On the
road
Il
vento tra i capelli
La
mano dietro il mio collo
[…]
Bere
e guidare
Comprare
troppo
Overdose
e morte
Di droghe e di amore
-National
Anthem, Lana Del Rey
Se
c’è qualcosa di cui Damon
è innamorato, quel qualcosa è la strada. La
strada. Sì, la strada, la stessa
che ha accolto la sua presenza a quindici anni quando andava via di
casa, la
stessa che lo ha portato ovunque, la stessa che lui adesso percorre con
la sua
Camaro celeste del 67.
Le
strade son tutto, le
strade portan a tutto e non portano a nulla, le strade son sempre
oggetto di
metafore e similitudini. La vita è
come
una strada… Scegli quale strada prendere… La
strada è anche quella che lui
sottintende quando urla un “va’ a quel
paese” a Giuseppe, è come se volesse dire
“va’ a quel paese, la strada da percorrere
è quella lì”. Però non lo
dice. Però
è una metafora. La tua strada
è quella,
la mia va dal lato opposto -(rispetta
il mio urlo, per piacere).
Ed
è buffo -quanto Stefan che
si fece la barba ad undici anni- vedere quanti diamine di concetti sono
sottesi
ad una semplice imprecazione; però Damon lo sa. E’
la strada.
Forse
è già arrivato in
Colorado, l’aria umidiccia si appiccica alla sua pelle
diafana e si inumidisce
il labbro inferiore mentre cambia la marcia, svolta a destra
perché è così che
dev’essere.
Damon
fa così: quando tutto
pesa troppo, prende il poco che gli serve e sguscia in macchina,
stringe fra le
mani il manubrio scuro della sua bambina perché
non gli va di aspettare il ritorno di qualcuno che va perennemente via
da lui.
Poi sceglie una strada qualsiasi, va dove la benzina glielo permette.
Annota
distrattamente tutto
su un quadernetto rilegato verde, aggiunge un segnetto sulla sua mappa
degli
stati uniti e lo chiude. Quel posto
l’ho
visto… lì c’è una cascata
non nota da toglier il fiato…
Quindi
Colorado.
Ha
deciso il Colorado.
Stazione di servizio ad ottocento
metri.
E’
ora di una sosta.
Una
musichetta country fa da
sottofondo a quello che è l’interno della stazione
di servizio, le luci fanno
le bizze ed un’ insegna scolorita –
“Road’s heaven”- fa capire a Damon che
è un
posto dimenticato da Dio.
“Ecco
a lei” una donna dai
lineamenti severi allunga la mano nella sua direzione per consegnargli
il
resto, ossia qualche spicciolo più uno scontrino fiscale
bianco.
In
risposta incurva le labbra
in quello che appare un sorriso triste e che più tirato non
si può.
Prende
la busta con dentro
tre birre, un giornale ed una torta di mele in una strana confezione
dorata. Ha
fatto il pieno ed ha usato la toilette, sciacquato il volto riuscendo
ad essere
più sudato di prima.
Quando
chiude la porta alle
sue spalle – producendo un inquietante tintinnio simile a
quelli dei film
horror- la vede. E non si riferisce alla sua bambina.
L’aria
è umida, sono le sei
di pomeriggio e il sole non pensa affatto a tramontare.
Ha
dei pantaloncini di jeans
chiari, mezzi stracciati e scuciti inferiormente, una camicia a quadri
neri e
rossi con le maniche piegate su i gomiti, delle converse bianche quasi
nere e qualche parolaccia fra le
labbra.
La
massa di capelli scura non
gli mostra il volto dalla carnagione olivastra e con occhi da cerbiatta.
Damon
sbuffa, un
impercettibile soffio d’aria che fuoriesce dalle sue labbra.
“Cazzo!
Perché diamine non
parte?”
Damon
lo giura, vorrebbe
fingere di non aver sentito e vorrebbe fingere di non saper nulla di
auto. E ci
riesce, sino a che lei non lo chiama.
“Mi
scusi! La prego… sono
disperata! Questa dannata auto non ne vuole sapere di partire”
Ha
una faccia che urla dici a me?, ma
lo sa che è a lui, quindi
si inumidisce le labbra per qualche che gli sembra la novantesima volta
e si
avvicina poggiando la busta a terra, vicino a lui.
“Batteria?
Motore? Bobina?
Benzina? Ha controllato qualcosa?”
La
ragazza assume
un’espressione terrificata, con le sopracciglia aggrottate ed
il volto
inclinato.
“So
solo che quando giro la
chiave la macchina emette un rumore… beh si, simile a un gemito… poi non
parte”
Le
guance diventano rosse,
lui l’osserva per mezzo secondo prima di ghignare.
“Ragazzina, se è
così è un problema della batteria o del pignone
dell’alberino”
Prima
di domandare “pign che?”
esclama: “Grandioso!” con un
sorriso sulle labbra.
Damon
la guarda, scoppia a
ridere.
“Significa
che non si ripara
con uno schiocco di dita, a meno che questo posto non sia magico invece di essere sperduto in
Colorado” abbozza un mezzo
sorriso che fa automaticamente sparire quello della bruna.
“Ed
io come faccio, adesso?”
Un’idea.
Lei
non lo dice.
Lui
ha capito.
“Non
ci provare”
Spalanca
le braccia: “Ti
prego!” quando son passati a darsi del tu? “Un
passaggio fino a Denver, da lì
me la saprò cavare!”
Scuote
la testa e quota
novantuno, si inumidisce le labbra.
“A
due condizioni”
“Spara”
“Primo,
la musica la scelgo
io. Secondo…” vaga con lo sguardo sulle sue scarpe
sporche. “Non provare ad
entrare nella mia macchina con quelle”
Il
sorriso della ventiduenne
va da un orecchio all’altro: “Sono Elena,
comunque”
“Non
te l’ho chiesto”
“D’accordo
mister gentilezza, ma si da il caso
che io sia
una ragazza educata”
“Ed
io restio a parlare con
ragazzine sconosciute in preda agli ormoni. E comunque
non ti ho chiesto neanche questo”
***
Il
viaggio è una gran cosa,
ma ammettiamolo: qualsiasi cosa abbia a che fare con la strada
–se poi si
aggiunge la sua piccola…
- rende
questa nettamente migliore.
Damon
stira le labbra,
stringe le mani attorno al manubrio quando la ragazzina canticchia
“working
double time on the seduction line” tamburellando le dita sulle
cosce
scoperte.
Lo sa che
vorrebbe parlare, ma lui non è quel genere di persona e si
limita a non
sbandare quando lei allunga le sue lunghe gambe, perché lui
è pur sempre un
uomo e lei innegabilmente attraente.
Gli AC/DC partono
con il ritornello, Elena incrocia le braccia prima di rivolgergli
un’eloquente
occhiata.
“Mi piace pensare
che a Denver ritroverò mio fratello” esordisce,
inclinando appena le labbra.
Lui alza un
sopracciglio in risposta, arriva a quota novantadue e la guarda per
mezzo
secondo.
“So di non
avertelo chiesto” – dice lei –
“Ma vorrei fare conversazione. Ed è come se mi
potessi fidare di te”
Scuote la testa,
punta gli occhi color del ghiaccio di fronte a sé, voce roca
e “La gente non
dovrebbe fidarsi di me”. Probabilmente dentro gioisce, sette
parole son molte
rispetto ai trentaquattro minuti di silenzio trascorsi ed Elena si
volta nella
sua direzione. “Ma io non sono la gente.
Io sono Elena”
“L’hai
già detto, ragazzina”
La
forma passiva del verbo spiazzare non è un
verbo che ricorre spesso nel descrivere Damon. Semplicemente
perché nulla lo
spiazza più, il “Posso?” di Elena che
non aspetta neanche una sua risposta è
più rincuorante che spaventoso.
C’è
meno gente
al mondo, ma lui potrebbe comunque cadere e farsi molto male.
Lei
alza il volume, adesso ci sono le note
iniziali di No bravery riecheggiano nella Camaro, Elena giura di averlo
visto
prendere uno strano respiro. Siamo a quota novantatré quando
lui vede negli
occhi di Elena il rimorso.
Ogni
tanto fa ancora male sentire certe parole,
potrebbe comunque dare la colpa alla melodia di No bravery. Ma diamine,
quando
gli ha detto “Non vedo più coraggio nei tuoi
occhi” non dovrebbe pensare a lei,
allo stesso modo Elena, con il “Non devo cambiare
te” pronunciato da Damon con
le lacrime agli occhi.
“Siamo
quasi arrivati” esclama Elena, le gambe
incrociate ed, obiettivamente, uno strano sorriso sulle labbra che
Damon
comprende.
“Vuoi
che ti lasci qui, adesso?” e quanto fanno
male queste parole, Elena si blocca per due secondi e sorride.
“Dovrebbe
esserci un Motel a duecento metri”
Mai
visto un sorriso più triste: “Ti lascio
lì, allora”
La
bruna deglutisce, mormorando un ‘grazie
mille’ ed osservando il grigio
Motel che ha visto un sacco di volte.
“Tuo
fratello è qui?” chiede mentre la voce vibra,
spegne il motore della macchina ed apre la sua portiera.
Elena
scuote la testa: “Non penso proprio. Passerò
la notte qui”
Alza
il capo, chiude la macchina; un sussurro
flebile “che coincidenza”.
“Sai
Damon”
– prende la parola facendolo rabbrividire. –
“Non c’è bisogno di prendere una
stanza accanto alla mia, me la saprò cavare”
Sorride
ed abbassa il capo: “Ragazzina, non sono
mica qui per te”
E
può quasi giurarlo, gli era mancato il suo nome
pronunciato con quella voce e da quelle labbra morbide, perennemente al
gusto
di ciliegia.
“Immaginavo”
deglutisce.
“Buona
notte”
“Notte,
Lena”
La
stanza in cui dormirà –o perlomeno
fingerà di
farlo- è quadrata, un letto matrimoniale che non
occuperà mai per bene, una
scrivania, due sedie, delle tende bordeaux che chiudono
un’ampia finestra ed un
cassettone bianco. Alla sinistra c’è una porta che
conduce al bagno, piccolo ma
efficiente.
Butta
il suo zaino a terra, poggia le birre sul
tavolo.
Probabilmente
lei è già sotto le coperte, o magari
sotto la doccia, o forse è scappata via e Damon potrebbe a)
rincorrerla b)
ripetersi quant’è scemo.
Ma
a) non fa niente di tutto questo e b) ripensa a
lei e alla stupida proposta, stupida quanto fatale.
“Adesso
io andrò via – Elena esclama in preda alla
disperazione – io andrò oltre quella
porta e non mi vedrai più, Damon. Puoi fare due cose. Puoi
seguirmi, rincorrermi
e prendermi per mano. Oppure non ci diremo neanche addio, io
chiuderò per
sempre con te e viceversa.”
Lui
la guarda, gli occhi lucidi ed il groppo in gola.
“Se
scegli la seconda opzione, non ci vedremo più. Se ci
rincontreremo sarà solo
opera del dannato destino che adesso sto mandando a fanculo. Ma non
sarà così
semplice: se un giorno ti ritroverò, se dovrò
parlarti… fingerò di non sapere
chi tu sia. E tu devi far lo stesso. Sconosciuti”
“Saremo
sconosciuti” sibila Damon. “Sconosciuti che hanno
condiviso un letto, una casa
ed hanno esplorato uno il corpo dell’altro. Certo Elena,
fingerò di non averti
mai vista, fingerò di non averti vista nuda né in
preda alla pazzia, al piacere
ed alla gioia. Saremo sconosciuti”
Elena
vorrebbe capire se prova ancora qualcosa per lei.
“Io
vado” – scrolla le spalle –
“Hai due opzioni, ricordatelo”
E Damon decise di non seguirla,
di non farla diventare come lui, scelse
il meglio per lei.
Ma Elena… lei voleva
lui, voleva sbagliare e voleva il peggio.
Lui… immobile.
Damon
deglutisce, giunge a quota novantaquattro e
si passa una mano fra i capelli.
Si
alza dal letto su cui era seduto e sguscia
fuori dalla sua camera.
E’
un attimo ed i suoi occhi incontrano un paio da
cerbiatta. Sgranati ma da cerbiatta.
“Cosa
ci fai qui?”
“E’
il momento di finirla con questa farsa”
Poggia
le sue labbra su quelle della bruna, cinge
il collo elegante con una mano.
“Dio,
Damon” esclama lei, baciandolo appena e poi
sfuggendo alla sua presa.
“Cosa?”
“Cosa? Mi
stai davvero chiedendo cosa?!”
Ha
le braccia spalancate, il respiro corto e la
rabbia negli occhi.
“Dio,
Damon! Dopo tutto questo tempo… mi chiedi cosa?
Non mi hai fermata! Perché siamo
ancora qui?” una lacrima sfugge ad Elena, che adesso ha un
dito puntato sul
petto di lui.
“Io
dovrei essere via… mi hai lasciata andare”
“Ho
fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi
persona”
Ride
istericamente, portandosi le mani ai capelli.
“E’ questo il punto, noi due non siamo la gente, o
qualsiasi persona. Io volevo
te, anche se mi hai praticamente cacciato da casa nostra e dalla tua
vita!”
“Io
non sono una persona di cui fidarsi, una
persona come quella che vuoi tu… mettitelo in testa, ti ho
fatto un favore”
“Ma
quale favore, Damon? Non farmi soffrire? Be’,
notizia flash. Eccome se l’hai fatto”
“Non
sei come me. E’ molto”
“Ma
io ho sempre voluto te”
sussurra con gli occhi rossi e la voce spezzata dal pianto.
Damon
protende una mano verso Elena, per
accarezzarle il volto. Si ferma a mezz’aria.
“Credimi,
ragazzina, c’è una differenza
sostanziale fra essere e volere”
L’uomo
chiude la porta alle sue spalle. E’ un
attimo ed entra nella sua, prende tutte le sue cose e pensa a cosa
farà Elena
quando lo scoprirà.
Calpesta
il terreno per arrivare alla sua Camaro
ed, automaticamente, chiudere con lei e
abbandonarla nuovamente.
“Cosa
pensavi di fare?” mormora una voce alle sue
spalle.
Damon
stringe lo zaino fra le mani mentre la
consapevolezza di doverla affrontare una volta per tutte si fa strada
nella sua
mente.
“Andarmene.
Scegliere ancora per te. Mettere un
punto a noi due”
Elena
inclina le labbra, le labbra tremano e
corruga la fronte.
“Ti
prego, resta”
“Resta
e cosa, Elena? E’ ovvio che tu debba andar
avanti, che io debba farlo. La tua camera è la tre e la mia
la cinque, perché non
hai scelto la quattro?”
Sorride:
“Per lo stesso tuo motivo”
E’
quello che lei fa sempre, lo mette alle strette
perché sa di aver ragione. L’ha sempre fatto.
“Perché
ti amo?”
“Perché
la quattro è la nostra stanza. La nostra.
Ma le nostre strade oggi non convergono, oggi non siamo
insieme”
Damon
scuote la testa al ricordo. “E’ stata la
nostra prima vacanza”
“Resta”
“Avevi
vent’anni ed io ventiquattro, è stato il
primo segno sulla mappa”
“Sai
che puoi restare”
“Ti
amerò sempre, sempre e comunque, con la stessa
intensità e passione. Il mio amore non sarà mai
comparabile a quello di qualcun
altro nei tuoi confronti”
Sta
piangendo. “Resta, Damon. Resta perché mi
ami”
“Mi
piace pensare che ci ritroveremo”
“Resta
perché ti amo ancora, non ho mai smesso”
“Ti
amo anche io, splendida ragazza. Ma adesso è
ora di andare”
-
Se
siete arrivati qui, sappiate che un profondo
grazie non lo nego a nessuno.
Questa
OS è particolarmente… non so, diversa dalle
altre. Ci tengo.
Non
è nulla di che, praticamente come ogni cosa
che scrivo. Nella mia testa avrebbe dovuto finir per bene, in un altro
modo. Ma
word mi ha bloccata. Ha detto “non è
così che dev’essere, loro due si
ritroveranno. Un’altra volta” e
d’altronde mi piace pensar che sia così.
Probabilmente
arriverò con un’altra OS sui Delena.
Ma non so, ci sono momenti in cui ho delle idee, le butto
giù su word e non mi
piacciono più.
Se
lasciaste un parere io vi amerei fino alla fine
dei giorni.
Grazie
per aver letto queste
duemiladuecentocinquantanove parole.
Un
abbraccio forte
Ah, se vi va passate dalla mia nuova long, Acid Rain… ci terrei moltissimo.