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Autore: moonwhisper    15/05/2008    8 recensioni
Sono di nuovo qui.
Non so spiegarmi nemmeno bene perché.
Forse è masochismo, forse bisogno di sentire di nuovo quel dolore intenso e pulsante bruciarmi la pelle, come un maglio incandescente.
Gli esseri umani muoiono, giusto Bill?
Credo di si.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve One-Shot, scritta in un momento molto "no".

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Soundtrack: Play

 

***

 

Sono di nuovo qui.

Non so spiegarmi nemmeno bene perché.

Forse è masochismo, forse bisogno di sentire di nuovo quel dolore intenso e pulsante bruciarmi la pelle, come un maglio incandescente.

Ho bisogno di sentire il cuore sanguinare, Bill, ho bisogno di provare di nuovo quell’atroce sensazione di vuoto incolmabile ed eterno, per sentirmi viva. Un essere umano. Per sentire che ci puoi essere ancora, anche se sotto forma di questa tortura autoindotta.

Casa mia, che è stata anche casa nostra per quei mesi rubati al tempo, rubati al tuo lavoro, ai tuoi padroni, è ancora qui. Padroni, continuo a chiamarli, esattamente come li chiamavo allora. E quasi mi sembra di sentirlo, il tuo sussurro contrariato, appena imbarazzato forse, mentre sibilavi che non era affatto così, che la vita era tua, di nessun altro.

Sorrido appena, mentre supero il primo angolo del giardino e il sole del tardo pomeriggio mi accarezza il viso, tenero e dolce quasi come lo eri tu. Mi chiedo se avresti il coraggio di non chiamarli così, adesso, in qualunque posto ti trovi. Sorrido di nuovo, amaramente stavolta, e penso che in tutti questi anni non ho mai smesso di cercare un posto dove collocarti. Perché tu non puoi essere semplicemente sparito, non puoi essere li, a disintegrarti come tutti. Tu non eri tutti. Ma, sopraffatta dal mio realismo, dal mio tenere i piedi per terra, che perfettamente si combinava con il tuo spirito da sognatore, ammetto subito dopo che anche tu eri umano, nonostante io non abbia nemmeno mai sfiorato quest’idea con la mente.

Ma certo che eri umano… gli esseri umani muoiono, giusto Bill? Credo di si.

Infilo le mani nelle tasche e guardo il giardino. Si vede che è abbandonato. Si vede dalla lavanda che cresce senza un senso ma profuma nello stesso modo in cui profumava quattro anni fa. Si vede dalle erbacce alte e dorate, che brillano eteree contro il sole. Si vede dall’edera che si è impossessata dell’altalena e di tutti quei ricordi che abbiamo lasciato qui, a crescere con i fiori.

Questa casa dovevo venderla, lo sai? Avevo deciso di liberarmi di tutto ciò che mi avrebbe fatto solo male. Poi ho scoperto che di quella sofferenza avevo bisogno come acqua, che la agognavo come farebbe un assetato nel deserto. Sentivo il bisogno di soffrire dentro di me, soffrire per tutto. O forse era solo il bisogno di ricordare, che avvertivo. Perché ormai ricordare e soffrire per me sono due sinonimi, due parole che racchiudono stessi significati e stesse reazioni.

Fendo le erbacce con le gambe e mi siedo sull’altalena. Scricchiola ancora. Ti piaceva questo rumore, dicevi che ti sembrava lo stesso dell’altalena del parco giochi di Lipsia, e tu avevi tanti bei ricordi di quel posto. Ricordi d’infanzia. Gli unici ai quali eri più attaccato. Con il tempo avevi imparato ad eliminare quelli più brutti, e avevi conservato solo immagini di pomeriggi al sole passati con Tom e Andreas, di ragazzine con il mento sporco di gelato e i codini, di giochi stupidi. Mi raccontavi tante volte di quei ricordi, tanto che adesso sono diventati miei. Saprei dirti come erano vestiti il tuo amico e tuo fratello, come si chiamava la prima bambina per cui avevi perso la testa.

Mentre lascio che i miei occhi bevano il sole, comincio finalmente a percepire quel vuoto.

Eccolo li. Il mio baratro personale. Così nero e sconfinato che mi terrorizza solo a pensarci. Ma io lo cerco quel vuoto, ogni anno, lo stesso giorno, lo cerco con una disperazione tale che mi sembra di volerci morire dentro. Mi lascio cadere, mi lascio dilaniare e pervadere da questo nulla impietoso, solo per credere che, in qualche modo, ci sei ancora.

Mi manchi così tanto Bill. Così tanto che in alcuni momenti sento di poter morire. Il cuore stride, urla, in un modo così orribile e terrificante che mi sembra quasi di sentirlo nelle orecchie. Si squarcia, annega in una pozza di bollente sangue nero, senza riuscire a fermarsi. Non pensavo potesse fare così male, sinceramente. Sai come sono sempre stata. Ero quella che diceva che da qualsiasi caduta, ci si può rialzare. Da qualsiasi guaio, si può uscire. Da qualsiasi dolore, si può trovare il modo per ricominciare. Ero talmente stupida Bill. Io ho semplicemente finto di ricominciare, finto di rialzarmi. Invece sono ancora stesa a terra, stremata, supina così come lo ero quella notte, passata con gli occhi sbarrati a cercare di rispondere a domande senza senso. Come: “perché non ero li?”, “perché nessuno l’ha seguito?”, “perché non mi ha detto che stava male?”. In realtà ad ognuno dei quesiti c’era una risposta. Io non ero li perché ci eravamo lasciati, Bill. Ricordo perfettamente cosa ti dissi, riguardo al tuo lavoro, riguardo al fatto che ti stavano sfruttando. Ricordo la tua sfuriata, ricordo la mia frustrazione che uscì fuori in quel momento inaspettato. Ricordo che ti sputai addosso tutta la sofferenza che avevo provato in quegli anni, “l’inesistente ragazza di Bill Kaulitz”, imprigionata nella mia routine quotidiana ad aspettare che tornassi dal tuo mondo dorato. I momenti insieme li si passava nascosti da tutti, quasi stessimo commettendo un reato efferato e imperdonabile. Tu hai taciuto, e poi hai detto che non potevi farci nulla, che per rimanere insieme quello era l’unico modo, che non volevi vendermi a giornalisti e magazine come se fossi una notizia in più. Come se fossi te. Avrei dovuto chiederti scusa per tutto quello che ti avevo detto, ma non lo feci. Mi rinchiusi nella mia fierezza, nel mio orgoglio. Fu così che finì, tra noi due. Ed anche se entrambi sapevamo bene che era una cosa immensamente stupida, porre la parola fine ad un amore come il nostro in quel modo, nessuno fece un passo indietro. Dopotutto, è sempre così che si sbriciolano le cose più importanti.

Ti sei ammalato, ed io non ero li con te. Ti hanno operato, ma di nuovo ero solo un posto vuoto. Forse ti sarai chiesto se sarei venuta, forse mi avrai aspettata. Sono certa che tu l’abbia fatto. Sarebbe stato tremendamente da te, pensare cose del genere. Cose romantiche, intrise di quel senso di irrealtà che ti fluttuava intorno, come fosse tutto normale. Quanto invidiavo quel tuo essere così… bambino, quasi.

Sai, non posso fare a meno di chiedermi se, se non fosse accaduto nulla, tu saresti ancora qui. Se io non ti avessi lasciato, se avessi continuato a pressare contro di te per non farti soffocare, tu te ne saresti andato così?

Lo so qual è la risposta, Bill. Lo so bene. Perché mi conosco, e conoscevo bene te. E so che ci sarei riuscita, con urla, lacrime e sangue, ma ci sarei riuscita a tenerti ancorato a me, alla tua vita. Invece ti ho abbandonato. Ti ho ucciso un po’ anche io. Nessuno di noi è innocente.

Chissà come ti è venuto in mente, quella sera, di prendere tutti quei tranquillanti. Perché, perché Bill? Perché un gesto così stupido? Perché così poco… da te? Mi sembra di vederti, mentre gonfio e con le occhiaie ti butti su quel divano dove ti avrebbero trovato e allunghi una mano nella borsa bianca, quella grande. Ti vedo mentre prendi quelle pastiglie come se fossero caramelle, cercando di ripeterti che no, “loro” non sono i tuoi padroni, loro non ti stanno sfruttando e tu non sei arrivato al limite invalicabile. Prima una, poi un’altra… poi cominciano a fare effetto e tu nemmeno te ne accorgi, e quando la boccetta è completamente vuota ormai è troppo tardi. Ti addormenti, stanco, provato, così diverso dal Bill che tenevo fra le braccia dopo aver fatto l’amore. E non ti svegli più, Bill. Non ti svegli quando suona il tuo cellulare, quando Tom bussa come un forsennato alla tua porta. Non ti svegli quando la fanno aprire dal responsabile dell’albergo. Naturalmente non ti svegli nemmeno quando ti scrollano, quando cominciano a preoccuparsi, quando tuo fratello urla il tuo nome, in preda al panico.

Ah, eccolo finalmente. Quel vuoto. Eccolo qui. Mi ci sono persa di nuovo. Ed è così bello annegarci dentro che non tornerei alla realtà per nulla al mondo.

Ti amavo. Quell’amore sconsiderato, un po’ folle, pieno di difetti e assurdità. Un amore così pieno, così devastante e bello che sembrava impossibile potesse essere vinto da qualcosa. Ma qualcosa ci è riuscito. Non è stato l’esserci allontanati, perché io so, lo so, che ci saremmo riavvicinati, che tutto sarebbe tornato come prima al tuo ritorno dall’America. No, è stata la morte. La morte può tutto. Ti ha persino cancellato. E tu eri così pieno, così colorato, eclettico, luminoso, affascinante. Non ci sono validi motivi per cui io debba chiedermi come mai ti ho amato così tanto, come mai continuo ad amarti, nonostante tu non esista più.

Al vuoto si aggiunge quel senso d’angoscia che mi soffoca, che mi stritola la gola.

Non posso amare nessun altro Bill. Non posso vivere pienamente, non posso pensare di poter abituarmi all’idea della tua morte. Non voglio farlo. Non voglio dimenticarti. Sarebbe un insulto così orribile al tuo ricordo.

Ora avrei bisogno di uno dei tuoi abbracci. Quegli abbracci con cui mi cingevi da dietro, con la tua gracilità che riusciva a raccogliermi tutta contro di te, come se fossi forte e impavido. Mi sentivo protetta, e il mondo appariva come ben poca cosa. Nel letto sento la tua mancanza, ancora oggi. La sentirò per sempre. Mi manca il modo in cui seguivi il mio corpo con il tuo, il modo in cui ci facevi combaciare perfettamente, come le due metà di una mela. Mi manca toccarti i capelli e sentire il tuo respiro sulla punta del naso, la sera, di fronte al caminetto.

Perché te ne sei andato senza di me? Perché non mi hai aspettata? Mi odiavi così tanto, per quello che ti avevo fatto, da non desiderarmi accanto a te per sempre? Mi hai voluta punire?

Affondo le dita nei capelli, mentre calde lacrime disperate cominciano a rigarmi il volto e il respiro si fa affannoso.

So benissimo di dire cose senza senso, ma la rabbia è così tanta che non so più con chi prendermela.

Ho odiato me stessa fin dal giorno in cui ho saputo che eri morto, e ho odiato con la medesima intensità “loro”. Quelli che ti hanno dato la fama, che ti hanno fatto abboccare all’esca e ti hanno venerato fino ad assuefarti di tutti quei complimenti e di quelle attenzioni. Li odio perché poi si sono mostrati per ciò che erano: burattinai. E tutto il tuo universo, fatto di luci e infinita popolarità, si è trasformato in un immenso e grottesco teatrino di marionette. Avrei voluto ucciderli. Al tuo funerale i manager hanno anche avuto la faccia di presentarsi. Ho perso il controllo di me stessa, provata com’ero. Ho cercato di aggredirli, volevo fare loro del male fisico. Squartarli con le mie stesse mani. Hanno cercato di portarmi via, ma non ci sono riusciti. No, non ci sono riusciti Bill. Sai come sono cocciuta.

Un altro sorriso a tradimento mi inganna, facendomi tendere il viso in una brutta smorfia a metà tra dolore e dolcezza.

Come mi piaceva il modo in cui mi chiamavi, in cui mi guardavi, mi sfioravi. Il modo in cui hai sempre avuto rispetto di me, anche quando ci conoscevamo appena ed io ero una stronza fatta e finita. Di quelle che qualunque persona sana di mente avrebbe evitato. Ma se esisteva qualcuno più cocciuto di me, quello eri sicuramente tu. E nessun altro. Nessun altro sotto tanti punti di vista.

Abbasso le braccia, arresa, di nuovo.

Il sole sta per tramontare, e voglio andarmene prima che su questo luogo calino le tenebre e tutto diventi impossibile da sostenere.

A casa mi aspetta mia madre, e anche Tom. Abbiamo deciso di cenare insieme, stasera. Giusto per non star da soli Bill, perché adesso che non ci sei stare da soli è decisamente insopportabile. Tom non sta bene, sta ancora peggio di me, se possibile. Siamo tutti dei relitti, e mi dispiace ammetterlo, perché so che a te non farebbe piacere vederci così, ma davvero non riusciamo a farne a meno. Abbiamo messo su delle parvenze di esistenza, di languida resistenza a questa vita, ma nemmeno noi ci crediamo troppo. Ora che non ci sei non ha più senso vivere, ma nemmeno seguirti. La marea ci porta via. Non sappiamo dove, e non ci interessa.

Eri unico. Nessuno mai sarà più come te.

Taccio mentre mi alzo e mi allontano, accompagnata da un malinconico fruscio. Sembra che queste piante vogliano trattenermi qui con loro, a ricordare i tempi andati.

Ma il tempo è finito. Per oggi basta.

Dopotutto sono umana, giusto Bill?

Credo di si.

 

 

I’ve tried and I’ve tried to forget about you
Just little lies for myself
And you.. you were innocent and true as can be,
And now you are not here with me

 

I can’t go on and keep on keep on
Crying inside and blame destiny...

 

You’re strong like the mountain…
You’re soft like snow…

 

[Yashal - Elisa]

  
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