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Autore: voiceOFsoul    18/12/2013    0 recensioni
Tommaso e il suo gruppo coltivano la loro passione girando per locali una sera ogni tanto. Niente di eccezionale, pochi spettatori e qualche soldo per la benzina. La sua vita sembra perfetta: musica, amici, una bella compagna e una figlia stupenda. Ma questa vita inizia a stargli stretta. Sta per cambiare tutto, solo che lui ancora non lo sa.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Il cartello "chiuso" penzolava davanti ai suoi occhi, ma ciò non fermò la mano di Tommaso dallo spingere la pesante porta di legno. Nonostante non ci fosse alcun tipo di rumore se non quello della stessa porta che si spostava, qualcuno doveva ancora esservi dato che le luci erano accese. Si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso il bancone. Il pavimento di quercia scricchiolò sotto i suoi passi riempiendo l'ambiente di tensione, come nei miglior horror da quattro soldi. 
- Siamo chiusi! - Una voce che non riconobbe rispose alla rottura di quel silenzio.
- Lo so. - Rispose senza riflette su quanto fosse inconcludente ciò che aveva detto. - Steve e Bree sono ancora qui? - Si affrettò ad aggiungere per dare una parvenza di sensatezza alla sua affermazione. 
Una ragazza venne fuori dal buio. Il grembiule che aveva legato alla vita, nero con il logo del locale stampato in rosso all'angolo inferiore destro, gli fecero intuire che il posto di cameriere che era andato a chiedere di occupare era già stato preso.
- Ormai è tardi. Siamo chiusi. - Il suo tono era severo, il suo sguardo altezzoso.
- Ho letto il cartello, so che il locale è chiuso, ma come ti dicevo, sto cercando Steve e Bree. -
- Sai che c'è? Io non ti conosco ma credo che debba rivedere il tuo italiano, bello. Siamo chiusi significa che siamo chiusi. E se siamo chiusi, e lo siamo, tu devi girare i tacchi e tornartene per la tua strada. - Acidella, un pizzico di troppo. Eppure c'era qualcosa in lei, nel suo portamento, nell'espressione del suo viso, che la rendeva quasi simpatica.
- Senti, ragazzina... - Tommaso mosse un passo verso di lei, ma subito dovette fermarsi. - Ehi, ehi! Calma, non ti agitare! - Alzò le mani all'altezza del viso, cercando di non fare movimenti bruschi.
La ragazza, con la velocità di un ninja e la freddezza d'animo di una psicopatica, aveva estratto un coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni e glielo puntava contro.
- Ti ho detto di girare i tacchi e tornartene per la tua strada. -
La sua voce ferma che non tradiva un briciolo di tremore e paura fu ciò che più inquietò Tommaso. 
- Ok, va bene. Me ne vado. - 
Iniziò ad indietreggiare muovendosi con estrema lentezza, concentrando lo sguardo sul coltello. Sapeva che lo teneva in mano solo per spaventarlo, se avesse voluto fargli del male non gli avrebbe dato il tempo di muoversi. Ma se sentiva la necessità di uscire un coltello per farlo andare via, era meglio andarsene. Lei, dal canto suo, non cedeva, fin troppo calma per non insinuare nella mente di Tommaso il dubbio che fosse davvero pazza.
La porta dell'entrata si aprì di nuovo rumorosamente alle sue spalle. 
- Emma, hai finito tutto? Possiamo chiudere? -
Un distratto Steve entrò giocherellando con il mazzo di chiavi.
- Ho solo un'ultima cosa da fare. - 
La ragazza non si mosse di un millimetro, continuando a tenere alto il coltello e gli occhi fissi su quelli di Tommaso. Questo, che aveva avuto tutto il tempo per convincersi di trovarsi di fronte ad una squilibrata, aspettava di notare un cedimento nel pitbull di nome Emma che aveva di fronte prima di aprire bocca. 
- Che devi fare ancora? Vuoi una mano? - 
Steve, senza guardarsi intorno, era andato al quadro elettrico non accorgendosi affatto della scena che si presentava all'entrata del suo locale. 
- No, ce la faccio da sola. - disse facendo un passo in avanti che fece sudare freddo Tommaso.
- Dai, ti aiuto. - Steve si decise a voltarsi. - Oh, Tommaso! Che ci fai qui? -
Come rispondendo a un tacito comando, la ragazza abbassò il coltello e lo poggiò sul tavolo, per poi allontanarsi mentre si scioglieva il grembiule. Steve si avvicinò a Tommaso, rimasto immobile, più sconvolto della reazione dell'amico che non di essere stato sotto il tiro del coltello di una sconosciuta. Si comportava come se ciò a cui aveva assistito fosse la cosa più naturale del mondo e non era sicuramente rassicurante! Tommaso iniziò a chiedersi se tutto quello non fosse solo uno degli strani sogni causati da una cena pesante o dallo stress. 
- A quest'ora non dovresti essere accucciato a Simona approfittando della nanna di Rose? - 
Tommaso lo guardò inebetito. 
- Ehi, ma che ti succede? Hai una cera! Sembra che tu abbia visto un fantasma. -
- Steve. - riuscì finalmente a dire - Chi diavolo era quella? -
- Quella chi? -
- Parlo del cane da guardia che ho trovato e che mi stava per azzannare alla giugulare se tu non fossi arrivato. -
- Ma chi? Emma? Carina, vero? - 
- Ma carina cosa? Mi ha puntato un coltello! -
- Sì, in effetti è un po' stravagante. Ma puoi anche capirla. Era da sola nel locale e si è vista piombare dentro uno sconosciuto. Si sarà spaventata. -
- A me non sembrava spaventata. Sembrava solo pazza. -
Steve rise. - In effetti credo lo sia, ma Bree ha insistito per farle fare una prova per quel posto di cameriere. Sai com'è lei! Si affeziona ai casi disperati. - Fece una pausa. - Credo che le ricordi un po' Evan. Non essere riuscita a salvarlo l'ha marchiata dentro e ora si butta a capofitto in ogni brutta storia che incontra. -
- La sua non è stata già abbastanza brutta? -
- Glielo ripeto ogni volta anche io, ma lei è così ...così ...testarda. Le dico sempre di stare attenta e adesso che è incinta vorrei proteggerla ancora di più. Ma quando si mette in testa una cosa è irremovibile. Tu mi capisci, no? -
Tommaso annuì, ricordando le notti insonni trascorse durante i nove mesi in cui aspettava Rose sperando che nulla potesse danneggiarla.
- Comunque, ha insistito lei per prendere in prova Emma. Oggi è una settimana esatta che è qui e finora si è comportata bene. Te l'ho detto, è un po' stravagante, ma non se la cava male: è una tosta! -
- Finché non uccide nessuno va bene. -
- Già. - Steve rise ancora.
- Steve io sono pronta. - disse Emma avvicinandosi a loro, avvolta già in un cappotto grigio scuro. - Possiamo andare se vuoi. -
- Certo, ora andiamo. Vieni qui, ti presento Tommaso. -
- Emma. -
Strinse la mano di Tommaso con forza e decisione, la sua personalità tutt'altro che debole era evidente, come anche il fatto che la sua non fosse affatto pazzia. C'era qualcosa di molto di più.
- Scusa per il coltello. Sono abituata a difendermi al primo segnale di pericolo e... -
- Tranquilla, tutto dimenticato. - 
Tommaso le sorrise e la osservò ricambiare il suo sorriso. I suoi occhi, fino ad allora duri come il marmo, sembrarono sciogliersi dietro alle lenti dalla spessa montatura scura, rivelandosi ambrati.
- Spero di non averti spaventato troppo. -
- Ma no! - Si intromise Steve. - Il mio amico qui è una roccia! Con chi ti credi di parlare? Sei al cospetto di uno dei più grandi possessori di cover band di tutto il Paese, il grande Axl Rose dei nostri tempi! -
- Non esagerare adesso, eh. - lo fermò Tommaso.
- Non sto esagerando. Devi sentirli, Emma. Sono davvero bravissimi. Al più presto dobbiamo organizzare un altro concerto qui. A proposito... - Steve sembrò tornare alla realtà. - Non mi hai ancora detto cosa ci ti porta da queste parti a quest'ora. -
Tommaso lo guardò per un attimo, voltandosi poi a lanciare uno sguardo ad Emma. Scrollò le spalle. 
- Niente, lascia stare. Volevo solo una birra e quattro chiacchiere. -
- Beh amico, sai che birra e chiacchiere sono il mio pane quotidiano ma Bree mi aspetta a casa. Non è stata molto bene oggi e proprio non voglio farla preoccupare. -
- Ma certo, torna a casa. Magari passo domani, ad un orario più decente. -
- Scusami Tommaso, davvero. Domani sono tuo a qualsiasi ora del giorno. -
- Vai da Bree e dal piccolino! Io posso aspettare. -
Steve gli sorrise. Uscirono in fretta dal locale. Tommaso aspettò che Steve avesse chiuso tutto prima di salutarli e dirigersi verso la sua auto. 

Non tornò a casa, non ce la faceva. Tutto il peso di quella giornata ai limiti del surreale gli gravava sulle spalle. Il licenziamento, la proposta del produttore di ascoltarli, il litigio con Davide, la sensazione che la sua storia perfetta si fosse conclusa. Neanche il sorriso di Rose era riuscito a calmarlo e questo per lui era un chiaro segno che il sottile filo dell'equilibrio si era infine rotto.

Quando posteggiò l'auto d'avanti casa era ormai l'alba. Gli restava il tempo di entrare a farsi una doccia prima di dover tornare al negozio di articoli elettronici per la comunicazione ufficiale dei suoi ultimi quindici giorni da non disoccupato.

   
 
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