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Autore: Parabates    19/12/2013    4 recensioni
"Quindi è così che finisce" è in lacrime.
"Mi dispiace Liam, ma non può andare avanti così, le ho fatto del male" Questa era la cosa più difficile che abbia mai fatto.
"E non pensi a me? A noi due? Cosa sono io per te? Cosa eravamo noi? Non eravamo niente?" ha le mani strette a pugno.
"Avrò sempre una parte di te nel mio cuore, te lo prometto."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A PIECE OF YOU
20 Ottobre, Berlino.
 
Sono nella mia nuova stanza, a migliaia di chilometri dalla mia migliore amica, con le lacrime che mi scendono sul viso e scatoloni pieni di ricordi che non potrò condividere mai più con nessuno.

Il mio nome è Jane Gray, vivo a Berlino da circa 5 ore, dopo averne affrontate 12 di aereo. Sono alta un metro e settanta centimetri scarsi, ho i soliti noiosi capelli castani, ho gli occhi verdi, sono testarda, chiusa, insicura, curiosa e scrivo poesie. Sono stanca, distrutta e sola. Non conosco nessuno e i miei genitori saranno a lavoro circa 13 ore al giorno. Non vedo come le mie prospettive di vita possano essere positive in questo momento.

Dovrò andare a scuola, parlare una lingua che, pur avendo studiato per anni, non conosco ancora molto bene. Dovrò frequentare persone con cui non voglio avere niente a che fare e che probabilmente mi prenderanno in giro per molti fattori, iniziando dal fatto che io non sappia la lingua e finendo con il mio aspetto fisico.

Ho sedici anni e la mia vita sta già andando a rotoli. Non credo di avere la forza per andare avanti, non ho niente per cui combattere. La vita non aspetta, la vita va avanti. E Sam era l'unica cosa che mi aveva aiutato ad andare avanti, Sam era la mia migliore amica da sempre, aveva vissuto sempre a poche decine di metri da me, ed ora ci separavano migliaia di chilometri.

Cosa potrebbe andare peggio? Ci sono un sacco di cose che potrebbero andare peggio. Partiamo del fatto che sarò sola per i prossimi anni, vedrò i miei genitori si e no due ore al giorno. E in più non sono molto brava a farmi nuovi amici. L'anno scorso a scuola non avevo poi così tanti amici, certo non ero la sfigata di turno, ma non ero neanche chissà chi.  Il punto è che ora non ho nessuno, nessuno a cui dire le cose, nessuno con cui parlare, nessuno con cui studiare, nessuno con cui passare il tempo.

In realtà non ho proprio niente. Solo una marea di ricordi che volteggiano nella mia testa, gli occhi umidi e gonfi, le mani bagnate, il mascara sulle guance e un'infinità di domande.

E in più ci sono un sacco di cose che mi spaventano. Ma la cosa che mi spaventa di più è sapere che, dato che non ho amici, non so la lingua, non ho alcun contatto con il mondo, sarò solo io, saremo solo i miei pensieri ed io. E' questo quello che mi spaventa maggiormente. Dover convivere con me stessa per chissà quanto tempo, sopportarmi giorno e notte, sentire tutte le cose che ho contro di me ad ogni ora del giorno e della notte, perché ci saremo solo io ed i miei pensieri.

E' arrivato il momento di tenere le lacrime, alzarsi e rendere mia questa stanza, che sarà l'unico posto che, forse, mi ricorderà casa. Svuotando gli scatoloni trovo tutte quelle foto con Sam, i libri che mi ha regalato con le sue dediche, le mie poesie di quando avevo nove anni. Non riesco a non piangere, è più forte di me, devo piangere. Tiro fuori il computer, per vedere se è online, anche se non so che ore siano da lei, ma, come era prevedibile, non è collegata. Faccio partire la musica, che mi circonda, mi entra nelle orecchie e riesco a smettere di pensare al passato, alla mia casa, alla mia migliore amica.

Inizio finalmente a dare un posto a tutte le cose e, dopo tre ore e mezza circa, la mia camera è pronta, ed è meravigliosa. E' diversa dalla mia vecchia stanza, ma ha un non so che di familiare. Vorrei rimanerci per sempre, ma non posso, la mamma mi ha detto di andare a salutare i vicini del pianerottolo non appena si fosse fatta "un'ora decente".

Così mi sistemo un po', prendo il mio nuovo, anonimo mazzo di chiavi, composto da ben tre chiavi, quella di casa, quella del portone e quella della cassetta della posta, e mi chiudo la porta dietro. Rimango ferma sullo zerbino nuovo, guardando di fronte a me. Alla mia sinistra ci sono le rampe delle scale, alla mia destra il muro, che, procedendo, è interrotto da una porta, e, di fronte a me, una decina di metri più avanti, c'è la porta del terzo abitante di questo pianerottolo. Decido di andare a salutare il "vicino della porta davanti", mi avvio e suono il campanello. Dopo qualche minuto la porta si apre e compare una signora ben vestita e curata, avrà si e no quarantadue anni, che inizia a parlare molto velocemente, e quello che riesco a capire è una piccola frase che mi dice di andar via; la fermo e le dico che sono la figlia dei nuovi arrivati, indicandole la porta di casa.

È strano chiamarla casa, ma non so come altro chiamarla e poi devo abituarmi all'idea che vivrò lì. Facendo mente locale e capendo che non so molto bene la lingua, inizia a parlare più lentamente e mi da il benvenuto, mi invita ad entrare in casa e mi regala un vassoio pieno di biscotti caldi per i miei genitori. Spero che i biscotti siano buoni, perché io adoro i biscotti. Ha i modi di fare di una vecchietta speranzosa, credo si fidi molto di me, in fondo, sono solo una ragazzina.

"Grazie signora -le dico- i miei genitori gradiranno"

"Ma figurati... come hai detto di chiamarti?"

"Mi chiamo Jane, Jane Gray"

"Jane mi ha fatto molto piacere conoscerti, sei stata molto carina a venire a salutarmi. Salutami i tuoi genitori, non vedo l'ora di conoscerli."

"Oh ma certo, non si preoccupi, si faranno vedere presto. Grazie ancora e arrivederci!"

Mi saluta e chiude la porta dietro le mie spalle.

Non credevo che la signora Müller potesse essere così gentile, mi fa piacere avere qualcuno di amichevole, ma di certo non andrò a parlare con lei quando ne avrò bisogno, sarebbe triste per una ragazza della mia età, anche se ora mi sembra l'unica persona che si è data disponibile. Vado a posare i biscotti a casa e ne prendo uno, poi mi avvio verso la porta dell'altro vicino di casa, suono ed aspetto. Leggo il cognome, Roberts, è un cognome americano, bene, magari parleremo in inglese. Non risponde nessuno. Sto per andarmene quando apre la porta un ragazzo di poco più di vent'anni, ma ne dimostra di più. È ubriaco e non si fa la barba da troppo tempo, puzza di fumo.

"Tu devi essere quella nuova. Non sei un po' giovane per avere un marito ed un figlio rompipalle?"

"Io sono il figlio rompipalle"

"Aaah" ride "scusami piccola, non volevo offenderti"

"Ci vuole un po' di più per offendermi" gli rispondo duramente

"Che tipa tosta. Che ci fai qui? Cosa vuoi? Non posso darti né sigarette né alcolici, sei minorenne"

"Veramente ero venuta per salutare"

"Quindi dovrei darti il benvenuto. Benvenuta, allora"

"Grazie. Be' il mio dovere l'ho fatto, quindi vado, ciao"

" Non scappare! Io sono Matthew"

"Io Jane"

"Se hai bisogno di qualcosa -ammicca- non mi faccio scrupoli eh"

"Tranquillo, so badare a me stessa" e dopo avergli detto così, apro la porta e ritorno dentro la mia nuova casa.

Sono solo le undici di mattina, cosa faccio? Decido di andare un po' in giro per la città. La cosa che mi colpisce di più è l'architettura.
Ho sempre sognato di fare l'architetto, forse questa città potrà essere uno stimolo, ma io voglio Sam, voglio la mia città e i miei amici, voglio tornare a casa. Mi metto seduta in mezzo a un parco, con l'erba verde tempestata dei colori delle foglie cadute dagli alberi, adoro i colori dell'autunno. Non fa freddo, c'è un brezza piacevole che mi smuove un po' i capelli. Decido di sdraiarmi e poggio la testa sulla borsa. Poi, mi addormento.

Quando mi sveglio, guardo l'ora sul telefono e vedo che sono le due e mezza del pomeriggio, così decido di avviarmi verso casa. Sono parecchio infreddolita, stare in un parco, ferma, per tre ore e mezza ti irrigidisce un po', ma camminare mi aiuterà a riscaldarmi.

Camminando, passo davanti alla scuola in cui andrò. Sono le tre e stanno uscendo. Così mi fermo a guardare e mi diverto ad indovinare chi di loro sarà un mio compagno di classe da domani. Vedo un sacco di persone così poco interessanti. Non credo che quest'anno avrò molti amici, forse non avrò proprio nessuno. Mi accorgo di un ragazzo che mi sta guardando, è solo, vicino alla sua auto e mi sta guardando. Non distinguo bene i suoi tratti, è abbastanza lontano, ma mi guardo intorno e non ho nessuno, quindi sono certa che stia guardando me. Cosa ha da guardare? Che vuole da me? Trovo questa cosa piuttosto inquietante, così mi abbottono di più il giubbotto e mi avvio per la mia strada velocemente e senza pensarci.

Lungo la strada mi metto le cuffiette, schiaccio "play" sul mio iPod e la musica mi fa scordare tutto.
Torno a casa e qui trovo, stranamente, mia madre. Non faccio neanche in tempo a spogliarmi, che mi urla contro: "Jane! Ma dove eri?"

"Ero in giro, hai detto tu di cercare di trovarmi a mio agio, così sono uscita e ho fatto una passeggiata per la città e mi sono appisolata."

"Sei sempre la solita"

"Mamma, perché sei a casa?" Le domando dirottando il discorso da un'altra parte.

"Che c'è, non posso stare a casa mia? Aspettavi qualcuno? Devo andarmene?"

"No, ma hai detto che avresti lavorato fino a tardi.."

"Certo che tu sei proprio rimbambita! Oggi è il primo giorno, ti facevo più intelligente. Io e tuo padre abbiamo una sorpresa per te, seguimi"

Seguo mia madre di nuovo giù per le scale, che corre freneticamente, come se la sorpresa fosse per lei. Mi porta giù in un garage, non sapevo avessimo un garage. Lì trovo papà, dentro la sua macchina, che mi dice di salire. Salgo e mi chiede "Ehi pesciolino, hai mangiato?"

"No, in realtà no, papà"

"Bene, ora andiamo a mangiare tutti insieme" concluse e mia madre continuò "Si, è tanto tempo che non lo facciamo"

Era tantissimo tempo che non mangiavamo insieme, che non andavamo a pranzo tutti insieme. Di solito capitava solo durante una ricorrenza speciale, il compleanno dei miei nonni. Purtroppo però i miei nonni sono venuti a mancare due anni fa, tutti e tre nello stesso anno, è stato un colpo davvero brutto per i miei. Così era un bel po' che non passavano un po' di tempo in famiglia, sono contenta di poter apprezzare questi momenti ancora una volta.

"Sai Steve, la mia compagna di ufficio mi ha consigliato un ristorante, si trova ad un quarto d'ora da qui" dice mia madre riferendosi a mio padre "E' economico e dice che il cibo è ottimo, andiamo a provare, no?"

"Certo, come no" risponde entusiasta mio padre.

Come ci aveva detto la mamma, arriviamo in un quarto d'ora al ristorante. Prendiamo posto vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada e osserviamo il menu, non so davvero cosa prendere, non solo perché non so cosa significhino alcune parole, ma anche perché hanno tutti dei nomi strani, quindi dico alla mamma che avremmo preso la stessa cosa. Il cameriere, che è stato molto gentile nei nostri confronti, prende le ordinazioni e i miei iniziano a chiedermi come mi è sembrata la città, cosa mi piace, se la casa va bene e domande inutili su cui ripiegano perché non hanno altro da chiedermi, la carta jolly della scuola non può ancora essere giocata. Rispondo che la casa mi piace, è più grande di quella dove vivevamo prima, è più luminosa e gli spazi saranno sicuramente meglio gestiti, dato che la arrederò io, come ci eravamo accordati. A questa mia affermazione ridono. Poi gli dico di aver già ultimato la mia stanza, quindi la casa, in meno di una settimana, sarà pronta, scuola permettendo. Dopo di che il telefono di mio padre squilla e anche quello di mia madre. Sembra che siano in qualche modo sincronizzati. Sapendo che le loro conversazioni non dureranno poco, mi metto a guardare un po' fuori.

La gente che passa mi incuriosisce molto, qui le persone sono diverse da quelle della mia vecchia città, camminano tutti molto più lentamente, ma hanno la fretta negli occhi; sono tutti indaffarati, ma poi c'è qualcuno che spicca tra questi, solitamente i ragazzi, che camminano tranquillamente senza alcuna preoccupazione. Un gruppo di ragazzi passa, ridono e scherzano, riesco a capire quello che dicono e la cosa mi consola un po'. Sorrido anche io alle battute che fanno e abbasso lo sguardo, quando lo rialzo,  mi accorgo che in questo gruppo c'è lo stesso ragazzo che ho visto a scuola. So che ero lontana, che non l'ho visto bene, ma sono sicura che è lui, ne sono certa. E' ancora lì, che mi guarda, come se avessi un non so che di speciale, è inquietante. "LIAM!" lo chiama un ragazzo, lui distoglie lo sguardo e si dirige verso il gruppetto, che era andato avanti.
Arriva un cameriere con i piatti, che non era quello gentile, era un'altro più carino. Mamma aveva preso un'insalata, e quindi mi è toccato mangiarmi un'insalata. Non appena torneremo a casa, mi mangerò tutti i biscotti che ci ha dato la vicina. Pensando alla signora Müller, dico: "Ah, oggi sono anche andata salutare i vicini"

"E come sono?" dice mio padre con la bocca piena, abitudine che ha da sempre.

"Oh allora, c'è la signora Müller che è molto gentile ed accogliente, ci ha regalato dei biscotti e vi saluta tanto, vorrebbe conoscevi."

"Molto bene -si inserisce mia madre- e l'altro vicino?"

"Non è niente di speciale, un certo Matthew Roberts, è americano, immagino, è piuttosto giovane, ma non è tutto questo gran che"

"Li inviteremo tutti a cena questa sera da noi e cucineremo la nostra specialità!" dice la mamma.

"Abbiamo una specialità?" chiede mio padre

"Boh, qualcosa ci inventeremo" replica la mamma.

Abbiamo appena finito di mangiare, che subito ci portano il conto, paghiamo e ce ne andiamo.

"E' stato bello -dico- dovremmo farlo più spesso"

"Mi fa piacere che tu lo pensi" dice la mamma sorridendomi "ma c'è una sorpresa per te, cara la mia Jane. Ti avevo detto che oggi non eravamo andati a lavoro, e siamo andati a cercare una cosa per te."

"Si, guarda un po' qui" finisce mio padre tirando fuori dalla giacca un paio di chiavi e indicando un motorino grigio lucido e senza neanche un graffio.

Mi avevano regalato un motorino. Non so quante volte glielo avevo chiesto prima di trasferirci, e naturalmente la risposta era stata sempre no. Avevo anche preso frequentato i corsi e preso la patente di nascosto per farmelo comprare, ma era stato inutile. E me lo avevano comprato oggi, forse per farmi fare una figura migliore domani, forse per comprarmi un po'. In fondo, la notizia della partenza e la partenza stessa erano state troppo frettolose, avevano sentito i miei pianti notturni e vedevano la mia tristezza. Non mi importa se hanno cercato di comprarmi, io sono felice comunque, ho un motorino, finalmente.

Salto su mio padre per prendere le chiavi mentre inizio a ripetere la parola grazie a ripetizione, ma lui sposta il braccio in alto, in modo che io non ci arrivi e mi dice "Jane, mi raccomando, noi ci fidiamo di te"

"Non vi deluderò, ma ora posso avere le chiavi?"

"No, prima torni a casa con noi, ad avvertire tutti della cena e poi puoi farci un giro"

"Ma mamma.."

"Non si discute, signorina"

"Va bene.." dico imbronciata.

Li seguo fino a casa e andiamo a bussare alla porta della signora Müller, che ci accoglie come se ci conoscessimo da una vita.

"Benvenuti, benvenuti! Entrate in casa. Questa mattina ho conosciuto vostra figlia Jane, è un amore."

"Oh bene, ci fa molto piacere."

"Come vi trovate? Spero tutto bene, se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere."

"La ringraziamo signora Müller, io e Steve le siamo molto grati" dice mia madre

"Chiamatemi Britta" dice l'altra

"Noi siamo Steve, Jane e io sono Abbie. Quindi, cara Britta, noi eravamo venuti qui per invitare te e tuo marito questa sera a casa nostra."

"Ma è meraviglioso! Non mancheremo, assolutamente!"

"Perfetto, allora ci vediamo stasera"

"Ovviamente! Ci vediamo questa sera, allora" risponde la signora Müller accompagnandoci alla porta.

"Okay, ora andiamo da questo giovanotto" dice mio padre.

"Posso andare a casa, intanto?"

"No, Jane, devi esserci anche tu." risponde severa mia madre

"Uff.. e va bene." dico nascondendomi dietro ai miei.

Papà suona il campanello, attendiamo che qualcuno ci apra, ma non succede niente, così decidiamo di lasciare un biglietto sotto la porta, nella speranza che lo legga entro la sera. Dopo aver lasciato il biglietto decidiamo di tornare a casa e forse, finalmente, posso prendere il mio nuovo motorino e farci un giro. Neanche metto piede in casa che riesco a strappare di mano le chiavi del mio nuovo mezzo di trasporto e inizio a correre per le scale.

Siamo al terzo piano di un edificio, quindi non ci metto molto a scendere tutte le scale. Appena chiudo il portone dietro le mie spalle inizio a correre, come se il motorino fosse la mia unica ed ultima speranza di vita.

Monto sul motorino, metto in moto e parto. Inizio a prendere strade a caso e mi ritrovo in un posto in cui non sono mai stata. Non che conoscessi chissà quanti posti a Berlino, ma c'ero stata già due volte prima di trasferirmici definitivamente con i miei.
Tutto sommato, il posto dove sono finita, è un bel quartiere, probabilmente uno dei più ricchi nella città. Non è una zona di nuova costruzione, è abbastanza datata, ma tutta ben pulita e tirata a lucido, mi piace. Decido di scendere dal motorino e continuare a piedi, perché le mani iniziano a gelarmi. Lo parcheggio vicino ad un grande albero, così se mi perdo o non lo ritrovo, mi ricorderò di questo grande albero, il più grande di tutti. Mi avvio per la strada principale, c'è parecchia gente in giro, che corre a destra e a sinistra tra case e negozi, che parlano al telefono, che sono sedute sulle panchine del parco. E' un quartiere vivo, di persone giovani e uomini e donne che tornano da lavoro. Sono tutta infreddolita, così mi avvio verso il primo bar che vedo. Ha un bell'aspetto, invitante e caldo. Mi siedo ad un tavolino, dal quale riesco ad osservare bene tutto il negozio. I colori sono neutri, è tutto fatto di un legno chiaro, familiare e rustico, ma allo stesso tempo moderno e versatile. Ci sono ampie vetrate che fanno entrare la luce e permettono una piacevole vista. Ai muri non ci sono quelle panche orribili rivestite di gommapiuma ed orribili tessuti che, con il passare del tempo, si macchiano e diventano unti. Le pareti sono fatte di lavagna, decorate con scritte e disegni piacevoli, ma una di queste pareti è occupata da una grande libreria, libri di tutti i tipi, mi piace. Mi ritrovo a sorridere, mi piace questo posto, davvero molto.

"Non so a cosa tu stia pensando, fiorellino, ma un bel cappuccino ed una fetta di torta farebbero sicuramente un'ottima compagnia a quel sorriso" mi dice una voce. Catapultata nuovamente nella realtà, il mio sorriso svanisce e le mie guance arrossiscono.
"Questo significa che non vuoi un cappuccino e una fetta di torta? Ti avrei portato la mia torta preferita, ma non fa niente. Quando hai trovato qualcosa che ti piace chiamami." Alzo gli occhi e vedo il ragazzo che era fuori da scuola questa mattina, che è lo stesso che ho visto fuori dal ristorante, quel Liam. Lo conferma anche il cartellino che porta sulla maglietta bianca, probabilmente la divisa del ristorante. Portava un grembiule nero con scritto "That's your coffee". Non capisco mai perché in qualsiasi paese vada di moda scrivere le cose in inglese, ma meglio per me, devo impegnarmi di meno nel capire quello che c'è scritto. Lui mi sta ancora guardando. Ha uno sguardo molto dolce, gli occhi castani, che ispirano sicurezza e calore.

"Ehm no, senti, oggi mi sento buona, ho voglia di fidarmi di te. Portami quella torta e vediamo se merita."

"Certo che merita, te la porto subito. Cappuccino?"

"Come dirti di no? Anche un cappuccino." gli rispondo sorridente.

Così torno a pensare alla bellezza di questo Coffee Shop. Nella mia vecchia città ce n'erano tanti , ma erano tutti quanti uguali; quello dove andavamo sempre io e Sam era "Millie's": la proprietaria era una vecchia signora, il negozio era quasi sempre vuoto, ma lei era sempre gentile con noi; ci andavamo tutti i giorni alla stessa ora e lei ci faceva sempre trovare il nostro 'solito', che consisteva in un caffè macchiato e un muffin al cioccolato per Sam ed un tè ed un cupcake alla vaniglia per me, sul nostro solito tavolo, quello vicino alla vetrina. Spesso parlavamo con Millie e lei ci raccontava delle sue storie d'amore, che erano sempre estremamente romantiche ed avventurose. Io e Sam sognavamo spesso di trovare qualcun'altro da portare da Millie, ma era capitato solo una volta per uno, con Alex e John, ma si era rivelato un fallimento. Alex non era stato né il mio primo, né il mio unico ragazzo, ma fu l'unico ad entrare in quel locale con me e Sam. Pensare a queste cose mi ha messo un po' di tristezza, ma subito arriva la mia fetta di torta e il cappuccino.

"Eccoti qua, fiorellino" dice Liam porgendomi il mio ordine ed accomodandosi sulla sedia di fronte alla mia, a questo gesto la mia espressione cambia e lui dice "Ah, stai aspettando qualcuno? Non posso sedermi. Scusami, non lo sapevo."

"No, stai tranquillo, sono sola e rimarrò sola per tutta la mia permanenza. Pensavo dovessi lavorare e non provarci con me."

"Ehi ehi, chi ti dice che ci sto provando con te? Non perché sei carina, ti chiamo fiorellino e ti consiglio la mia torta preferita significa che io ci stia provando con te."

"A me sembrerebbe di si, ma se tu mi assicuri che non è così, allora ti crederò."

"Ah, meno male. Sei nuova, non è così?"

"Eh già. Si nota tanto?"

"Eccome, si nota da lontanissimo."

"Giusto, Liam, tu l'hai notato da fuori scuola."

"Sei troppo sveglia, tu. Sai il mio nome e mi hai riconosciuto. Dovresti per lo meno dirmi il tuo, di nome."

"Sei il tipo che mi segue, devo sapere il tuo nome."

"Sei la nuova ragazza, devo sapere il tuo nome" dice facendomi il verso.

"Mi chiamo Jane e vivo a Berlino da questa mattina alle due."

"Altro che nuova, sei nuovissima! Dovresti avere una guida che ti porti in giro per la città."

"E, provo ad indovinare, vorresti offrirti volontario per questo compito."

"Io l'ho detto che sei sveglia."

"Be' non ci vuole un genio, Liam. Sei scontato e ho visto troppi film al riguardo."

"Pensavo che tu avessi avuto così tanti ragazzi da conoscere tutte le tattiche d'approccio. Allora, facciamo che la smetto di importunarti, che assaggi la torta e poi mi dici com'è. Ti piace l'idea?"

"Non so come farò a starti lontana, ma se è questo quello che vuoi, lo farò."

"Ehi, capisco di essere magnetico, ma andiamoci piano, fiorellino." Ridiamo tutti e due mentre lui se ne va verso la cucina. Non è poi così spaventoso come sembrava. Finisco la mia torta, sorseggio il mio cappuccino e mi dirigo alla cassa per pagare. Da quando ha lasciato il tavolo, non ho più visto Liam, forse perché ero troppo intenta a mangiare la mia fetta di torta. Uscendo lo vedo e gli faccio un cenno con la mano, lui mi chiede se ci saremmo visti il giorno dopo, io gli rispondo che sarebbe potuto capitare e mi avvio verso il motorino.

Sono le sei e mezza, per bere un cappuccino e mangiare una torta ho impiegato due ore e mezza, un record. Ritorno sotto il grande albero e ritrovo il mio motorino, salgo in sella e metto in moto, poi sfreccio verso casa. Il vento tra i capelli, sul viso, sulle mani, è questo quello che mi piace, avere come la sensazione di volare.

Ora sono di nuovo sotto casa, ci ho messo solo un quarto d'ora a tornare, salgo le scale di fretta, apro la porta e trovo i miei, che parlano con Matthew Roberts, il mio vicino che puzza di alcol. Noto anche, però, che hanno sistemato in modo precario il salone e la cucina, il tanto che basta per non sconvolgere i nuovi vicini.

"Jane, eccoti finalmente!" dice la mamma

"Ciao mamma, ciao papà, ciao Matthew." dico io

"Ciao Jane" dice beffardo Matthew.

"Che ci fa lui qui?" chiedo con un tono leggermente sprezzante

"Jane, sii più carina" interviene la mamma

"Non si preoccupi, signora." conclude Matthew

"Be' ha trovato il biglietto ed è stato molto carino a venire qui ed avvertirci che questa sera sarebbe venuto. E' molto simpatico, voi due dovreste conoscervi meglio!" dice papà

"Si, certo, stasera ne avremo tutto il tempo -risponde Matthew- ma ora è meglio che vada, voi dovrete cucinare immagino, visto che non volete alcun aiuto"

"Te l'abbiamo già detto, stai tranquillo, noi sappiamo cavarcela molto bene in cucina, ci vediamo a dopo!"

"A dopo signori Gray, è stato un piacere! Ciao Jane!" Dice uscendo di casa. Non appena la mamma la mamma chiude la porta dico di andarmi a fare una doccia, poi li ringrazio ancora per il motorino.
Fare la doccia è una delle mie attività preferite. Adoro sentire l'acqua calda che scende sul mio viso, si trascina sul mio collo, striscia sulle spalle e poi scivola lungo tutto il mio corpo. E' come se ogni volta mi portasse via tutti i problemi. Quando ho finito di lavarmi mi sento sempre così leggera. Appena finisco di asciugarmi i capelli, la mamma entra e mi dice di mettermi qualcosa di non troppo elegante, un vestito con una stampa a fiori, che non metto mai, perché non mi piace, ma piace alla mamma, così lo metto per farla contenta.

Verso le otto e mezzo arrivano tutti e tre insieme. Britta e suo marito Augustus hanno portato un dolce e un mazzo di fiori, mentre Matthew una bottiglia di vino. Quando entra gli sussurro "Be' da buon intenditore non potevi che portare dell'alcol"

"Ehi, che umorismo tagliente che hai. Mi piace" dice sfiorandomi la schiena. Perché fa così? Si crede divertente? E' insopportabile.

"Matthew, benvenuto!" dice mia madre.

"Bene, miei cari ospiti, è arrivato il momento di accomodarsi a tavola". Mamma ci teneva davvero molto a questa cena. Aveva sempre dato molta importanza ai vicini, ma oggi si era davvero superata. Ha lavorato molto questo pomeriggio, per sistemare la casa, per liberarla dagli scatoloni. Ha continuato il lavoro che avevo iniziato e ha sistemato come avevo richiesto i mobili, tutto sommato è uscito qualcosa di davvero bello, sono fiera di me e di lei.

La serata è noiosa e passa molto lentamente, non sono molto partecipe, a parte per le frecciatine che mi lancia Matthew ogni tanto, a cui non faccio caso. Ho altro a cui pensare: domani è il mio primo giorno di scuola. Ho una paura tremenda, non so cosa devo mettermi, che impressione farò, chi saranno i miei compagni di classe e i miei insegnanti. E poi c'è quel Liam, che è un tipo che mi incuriosisce parecchio.

Alla fine della cena, se ne vanno tutti e i miei genitori non fanno che dire quanto sia divertente Matthew, che lo dovrei prendere come esempio e che dovrei farci amicizia. Evidentemente solo io sono in grado di sentire il suo puzzo anche a metri di distanza, di vedere le sue mani che tremano per colpa della sua dipendenza, i denti gialli causati dal troppo fumo e le occhiaie per le nottate passate a rovinarsi la vita.

Decido di chiamare Sam, mi manca troppo. Prendo il telefono e la chiamo, non mi interessa quanto dovrò spendere. Il telefono squilla a vuoto, forse starà dormendo. Poi, la sua voce. "Ciao, sono Sam. In questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e vi richiamerò al più presto, baci" E poi il suono acuto del segnale acustico. Passa qualche attimo, poi inizio a parlare
"Sam, mi manchi" la mia voce si spezza ed inizio a piangere, attacco immediatamente, non voglio che lei mi senta piangere, lo ha già fatto in passato, ma ora è diverso.

Mi asciugo le lacrime, mi lavo i denti e mi metto il pigiama, è ora di finire questo giorno, è durato fin troppo. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dai pensieri notturni che affollano la mia testa, fino a quando non mi addormento.




 
ANGOLO AUTRICE
Buona sera a tutti!
Questa è la mia seconda long, yayyyy
Ma questa è la mia prima long fanfiction, perché l'altra è una storia originale.
Ma comunque, ho alcuni avvertimenti da farvi.
Innanzitutto il carattere di Liam è inventato da me in gran parte, Berlino è solo un'ipotetica città, non ci sono mai stata quindi boh, mi piaceva ambientare una storia lì e poi alcuni personaggi -tipo tutti- hanno caratteristiche di alcune persone che conosco, quindi se vi ci riscontrate, significa che assomigliate ai miei amici, lol 
eeeh niente.
ringrazio Tienimiconte, la mia amata fornitrice di banner, per avermene fatto uno così bello. grazie. <3 
ho paurissima, ditemi quello che ne pensate, per favore, sono nelle vostre mani.
spero a presto, 
Parabates <33
   
 
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