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Autore: Gageta    19/12/2013    6 recensioni
John è appena tornato dall'Afghanistan, ferito, con un disturbo post-traumatico da stress.
Ella, la sua analista, gli consiglia di creare un blog, e John comincia a scrivere di Sherlock Holmes, delle loro avventure insieme; di come lui sia brillante, delle sue deduzioni, di quella vita che sembra essere tornata ad essere un campo di battaglia.
Ma poi qualcosa comincia ad andare storto.
Sherlock si comporta in modo strano: certe volte sparisce all'improvviso, altre è fin troppo presente.
E quando John comincia a capire, le cose precipitano.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*spunta fuori dallo schermo*

E tra tante fic di Natale spunto fuori io con una bella angst… Ok, diciamo che le interrogazioni di inglese non fanno bene alla salute. E neanche I video su YouTube.

Anyway… questa cosa è nata dopo aver visto questo video, che vi consiglio di guardare alla fine per evitare di spoilerarvi qualcosa.

Per il resto ci tengo a dirvi che questa è la prima volta che scrivo una angst, per cui non sono certa del risultato. La mia beta ha detto che le è venuto il magone e sinceramente le credo, ma non so cosa potrete dirmi voi al riguardo xD

E già che ci siamo devo ringraziare la mia betalla (con questa storia inauguriamo la collaborazione(?) che mi ha corretto, letto, riletto, ucciso svariate volte, eccUn grazie di cuore, sperando che questa non sia anche l’ultima volta ;)

Ditto questo vi auguro una buona lettura :D

Gage.

«*«

 

 

 

And I’m damned if I do and I’m damned if I don’t
So here’s to drinks in the dark at the end of my road
And I’m ready to suffer and I’m ready to hope
It’s a shot in the dark and right at my throat
Cause looking for heaven, for the devil in me
Looking for heaven, for the devil in me
Well what the hell I’m gonna let it happen to me

(Shake it up, Florence and The machine)

 

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Trust

 

Disturbo post-traumatico da stress

Grave disturbo d'ansia che può svilupparsi in conseguenza a un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.

 

 

 

 

 

«Come va il suo blog?»

«Bene…»

«Non ha ancora scritto niente, vero?»

Abbassi lo sguardo. No, non lo hai ancora fatto.

«Lei è un soldato, John… e le servirà del tempo per riadattarsi alla vita civile. Scrivere un blog su ciò che le succede, le sarebbe davvero molto utile.»

«Non mi succede niente, mi creda.» dici, ed è la pura verità.

 

~*~

 

«John! John Watson!»

Ti fermi sul posto e ti giri, appoggiando il tuo peso al bastone per non sforzare la gamba.

«Stamford, Mike Stamford… andavamo insieme al Barts.»

«Ah sì.» Ora ricordi e gli stringi la mano. Diavolo se è ingrassato.

Speravi di fare la tua camminata mattutina per tornare poi nel tuo appartamento claustrofobico e iniziare quel cavolo di blog, mentre invece ti ritrovi a bere un caffè con un tuo vecchio amico, seduto sulla panchina di un parco e per un attimo ti sembra di essere tornato alla vecchia vita, prima dell’ Afghanistan.

«Dovresti trovare un coinquilino…»

«Oh andiamo… chi mi vorrebbe come coinquilino?»

Ride.

«Che c’è?»

«Sei la seconda persona che me lo dice oggi.»

Lo guardi storto, sei sicuro che stia scherzando... Ma lui continua a guardare divertito la tua espressione perplessa senza negare. È solo così che domandi: «Chi è stato il primo?»

 

 

~*~

 

The personal Blog of Dr. John H. Watson

29th January

Uno studio in rosa

Beh, Ella, spero tu sia contenta ora. Sto aggiornando il mio blog, visto?

È accaduto tutto così in fretta che fatico ancora a credere che sia realmente successo. L’ho conosciuto solo un paio di giorni fa e ora viviamo insieme, ma andiamo con calma.

Si chiama Sherlock Holmes e l’ho incontrato al Barts, grazie a Mike. Spero di poterti ringraziare un giorno per questo.

È andato tutto più o meno così. Sono entrato nel laboratorio dell’ospedale e nel giro di dieci minuti Holmes è riuscito a capire più cose sulla mia vita di quanto abbia fatto io ci sia riuscito io in tutto questo tempo. È stato davvero sorprendente, anche se all’inizio ero abbastanza incredulo. Quando mi ha spiegato come ha fatto sono rimasto basito dalla semplicità, ma anche dall’estrema precisione delle sue deduzioni. Se volete farvi un’idea di quello che fa il mio nuovo coinquilino provate ad andare sul suo sito personale, “La scienza della deduzione”. Vi assicuro che tutto quello che dice è vero, sa farlo.

Come faccio ad esserne così sicuro? Beh, oltre al riassunto della mia vita in meno di due minuti, ho assistito ad un reale caso di omicidio, o meglio, omicidi seriali. Sì, esattamente quello di cui tutti parlano da qualche giorno a questa parte. Non scherzo se vi dico che è riuscito a risolvere il tutto nel giro di una serata.

Altro che Scotland Yard, il suo lavoro è stato del tutto veloce e privo di qualsiasi errore. Sono rimasto veramente colpito dal suo modo di fare, piuttosto eccentrico e irriverente, lo ammetto, ma mi piace. Cioè, nel senso, è un buon coinquilino. Credo che non mi annoierò con lui.

E la cosa più sorprendente è che sembra avermi curato la gamba. Sì, ecco, sono tornato dall’Afghanistan con un problema psicosomatico, e nel giro di un’ora sembra essermi passato. Evidentemente Sherlock ha realmente compreso la causa del mio dolore e ha fatto in modo che passasse. Non so come, ma l’altra sera mi sono sentito finalmente libero. Ho corso per le strade di Londra come se non fosse mai accaduto niente e… mi sono divertito. Qualche birra al bar con gli amici, o una qualche serata al cinema con una ragazza, o che altro… tutto questo non è niente in confronto a quanto sono riuscito a fare ieri.

È stato tutto così… eccitante.

Il DI Lestrade di Scotland Yard ci ha fatti entrare nell’appartamento dov’è stato trovato il corpo della donna e lì ho fatto il mio dovere di dottore. Naturalmente quello che ho detto non è bastato a Sherlock Holmes.

Fino a quel momento non avevo ancora compreso a pieno tutti gli aspetti della sua genialità, ma poi, arrivati sulla scena del crimine, ha girato per la stanza e osservato la donna per qualche minuto, poi è partito in quarta, deducendo che lavorava nel cinema e che veniva da Cardiff (guardando com’era vestita e quanto e dove era bagnata), che era sposata e con numerosi amanti, e che aveva avuto una valigia. Ma nessuno aveva trovato una valigia di fianco al corpo. Ovviamente Sherlock ha capito che se non era lì doveva avercela ancora l’assassino, così e corso via a cercarla. Ammetto che in quel momento l’ho quasi odiato, ma poi alcuni eventi mi hanno fatto capire che era meglio se tornavo da lui.

Ho mandato un messaggio all’assassino usando il telefono della vittima (ero abbastanza spaventato in quel momento) e poi siamo usciti per cercarlo. Siamo rimasti appostati per qualche decina di minuti in un bar, ci siamo lanciati all’inseguimento di un taxi per le vie di Londra (che Sherlock sapeva a memoria!), fino a scoprire di essere in errore.

Quando siamo tornati a casa l’ispettore e tutta la troupe erano lì, ma non posso dire il perché e vi assicuro che è meglio per voi non saperlo. A un certo punto è arrivata la signora Hudson dicendo che il taxi era arrivato. Ma noi non avevamo chiamato alcun taxi.

Sherlock è uscito improvvisamente e lo abbiamo visto andarsene a bordo del veicolo.

Sono riuscito a seguirlo grazie al GPS del cellulare della vittima e sono riuscito a salvarlo prima che fosse troppo tardi. Per fortuna. Quel pazzo stava per suicidarsi.

Beh… è stata una serata piuttosto impegnativa ma tutto si è risolto per il meglio. Il tassista è morto e noi siamo sani e salvi a casa nostra.

Insomma, uno “Studio in rosa” è stato il nostro primo caso e sinceramente spero che non sia l’ultimo.

 

6 commenti

Harriet Watson

Ma che bella storia, fratellino! Ho sempre pensato che saresti diventato uno scrittore… spero di poterti rivedere presto! Buone avventure ;)

 

Ella

Sono contenta che tu abbia cominciato a scrivere sul serio. È una buona cosa. Spero che tu possa divertirti con il tuo nuovo “coinquilino”, ma ricorda di venire agli appuntamenti. Sempre che tu ne abbia ancora bisogno.

 

John H. Watson

Ella, non sono ancora così fuori di testa. Certe cose me le ricordo…

 

Mike Stamford

Sono contento che tu mi abbia tirato in mezzo, veramente. Spero di essere ricordato come il cupido di questa vostra splendida relazione.

 

John H. Watson

Non siamo fidanzati Mike.

 

Mike Stamford

E vorrei ben vedere… LoL

 

 

~*~

 

«Allora, dottor Watson… come procede il suo blog?»

Lasci Sherlock alle sue brillanti deduzioni e ti volgi vero Lestrade. «Oh… alla grande direi. Sto acquisendo molti fan…» rispondi mentre prendi qualche appunto del caso che stai seguendo sul tuo taccuino per il prossimo post.

«Tutto merito di Sherlock Holmes…»

Annuisci con un sospiro. «Se non ci fosse lui, io non sarei neanche qui, forse…»

«Beh, sono contento di poter dare una mano, ovviamente. Se ha bisogno di qualche aiuto per i casi che racconta sono qui.»

Sorridi divertito. «Credo che Sherlock farà benissimo la sua parte…» dici, e ti allontani verso il tuo amico.

 

 

 

Sei seduto tranquillamente sul divano, il computer che ti riscalda le gambe mentre aggiorni nuovamente il tuo blog.

Sherlock manda uno sbuffo dalla poltrona di fronte.

«Cosa c’è?» sospiri in risposta.

«Sono annoiato.»

Alzi lo sguardo dal computer e lo vedi, lì, sdraiato con le gambe all’aria, le braccia buttate all’indietro che toccano il pavimento. Guarda il soffitto e ripete le stesse parole all’infinito.

Sospiri e ti prendi la testa tra le mani. «Perché sei qui?»

«Dove dovrei essere?»

Deglutisci e fissi lo schermo del computer. «Non… non qui a parlare con me come se niente fosse.»

Alza un sopracciglio e ti guarda per secondi che sembrano interminabili.

Sospiri. «Ok, ho capito. Prima o poi mi farai impazzire…» Ti alzi di malavoglia e vai in cucina a preparare il the. Ci impieghi meno di cinque minuti (sei diventato piuttosto veloce negli ultimi tempi), e lo porti in salotto, dove lo versi in due tazze.

Lo porti alle labbra ancora fumante e ci soffi sopra per raffreddarlo almeno un po’. «Stasera sarò fuori con Sarah, sei pregato di non interrompere il nostro appuntamento con qualche caso improvviso.»

«L’altro non era improvviso.»

«Oh no… è successo tutto casualmente mentre eravamo al circo, certo.»

«Perché incolpi sempre me dei tuoi fallimenti sentimentali?»

«Perché non posso attribuirti tutti i meriti.»

Sherlock sbuffa ancora mentre si sistema in una posizione più decente sulla poltrona e ti fissa con i suoi occhi penetranti. «Che cosa saresti senza di me, John Watson?»

Sospiri e appoggi la tazzina sul tavolino. «Niente.»

Con la coda dell’occhio lo vedi sorridere e fai una smorfia di disappunto in risposta. È vero, senza di lui non saresti niente. Lui è la tua droga adesso, colui che riesce a farti dormire la notte, colui che ti ha dato un’altra vita da vivere e senza la quale probabilmente saresti perso. Sospiri e ti prendi la testa tra le mani. Rispetto a lui, John, tu non vali niente.

Tutti i fan del tuo blog seguono lui, le sue avventure, nient’altro. Tu le scrivi, sei lo spettatore, lui è il protagonista. Sei diventato spettatore della tua vita.

Pensi a tutti gli appuntamenti che sono andati a monte dopo che hai portato Sarah al circo. Le hai abbandonate tutte, chi più chi meno, solo per tornare da lui la sera, tornare a scrivere le sue storie e tornare a vivere la tua vita con lui. Non ricordi quasi più la tua vita senza Sherlock, ora. Lui è il tuo passato, il tuo presente e l’unico che riesci a vedere nel tuo futuro. È il tuo migliore amico, colui senza il quale ora non saresti qui, probabilmente.

Hai mandato all’aria perfino gli appuntamenti con Ella per lui. Ma le cose sembrano andare bene ora. E grazie a lui, solo per lui.

 

Qualche ora dopo prendi il cappotto ed esci dall’appartamento, senza neanche salutarlo.

La sua tazza di the è ancora sul tavolo, ormai fredda.

 

~*~

 

The personal Blog of Dr. John H. Watson

1st April

Il Grande Gioco

Avrei dovuto scriverlo un paio di giorni fa e mi dispiace di avervi lasciato col fiato sospeso ma ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendermi. Non è stata proprio una passeggiata.

Dunque, ecco come sono andate e cose.

Ho lasciato Sherlock in casa e sono uscito per andare ad un appuntamento, ma appena fuori dal portone qualcuno mi ha premuto qualcosa sulla bocca e sono svenuto.

Quando mi sono svegliato ero nello spogliatoio di una piscina e avevo addosso… beh, un po’ di esplosivo. Eh sì, ne sono stato rimasto scioccato almeno quanto voi. Spero ora capirete di più qual è stato il mio problema.

Comunque, davanti a me c’era Moriarty. Mi ha raccontato un po’ di cose, alcune delle quali è meglio che non sappiate nulla, e mi ha dato un auricolare da dove ascoltare alcuni comandi. Ricordate cosa vi dicevo a proposito delle persone rapite che parlavano come tramiti per Sherlock? Sono stato uno di loro.

Quando Moriarty ha sentito la voce di Sherlock nella piscina mi ha fatto uscire e gli ho riferito i suoi messaggi.

Forse non mi crederete se vi dico che per una volta, la prima volta, ho visto la paura negli occhi di Sherlock. È stato… strano. Però ne sono rimasto lusingato. Anche se, in effetti, non sono del tutto sicuro che temesse per la mia vita. Diciamo che mi piace pensarla così.

Morale della storia?

Moriarty ha giocato un po’ con noi e poi se ne è andato per una chiamata improvvisa. Ha detto a Sherlock che ci saremmo rivisti, detto fra noi spero proprio che sia così. Ho tanta voglia di sparargli un bel colpo in testa.

Non è tutto quello che è successo e vi chiedo ancora una volta perdono, ma purtroppo non posso rivelare i particolari causa sicurezza nazionale e bla bla.

E sinceramente non mi sono ancora del tutto ripreso.

 

9 commenti

Harriet Watson

Oddio John… tutto bene? Perché non mi chiami mai? Devo venire a sapere cose dagli altri?

 

theimprobableone

Vogliamo di più! Che ne è stato della chiavetta? Non può lasciare le cose così a metà dottore…

 

John H. Watson

Cose tipo cosa?

 

Harriet Watson

Tipo dell’analista. E del tuo nuovo appartamento.

 

KittyRiley

Sono una sua grande fan dottore.

Le sue storie sono straordinarie. Sarebbe bello se potesse pubblicarle… “Le Avventure di Sherlock Holmes.” Non trova?

Sono una giornalista, può scrivermi qui: rileykitty@gmail.com

 

Mike Stamford

Oh John è totalmente a posto, tranquilla Harry. Ci bado io a lui.

 

John H. Watson

E c’è anche Sherlock ;)

Ma forse sono io a tenergli la testa attaccata al collo.

 

Matt76

Dottor Watson, mi lasci dire che questo è il migliore blog che io abbia mai letto. Le sue storie sono fantastiche.

 

always

Sarebbe bello se solo fossero vere…

 

~*~

 

«Avrai immaginato la mia risposta…»

Sposta leggermente lo sguardo verso sinistra e ti guarda, leggi il dubbio nei suoi occhi. Annuisci lentamente, gli dai il permesso. Tra tutti i luoghi in cui avresti potuto morire lo farai lì, in una piscina fuori dal mondo. Eppure, in un certo senso, non hai rimpianti. Morirai lì, al fianco di Sherlock. Morirai per salvarti da Moriarty, morirai per Sherlock, con lui, per lui.

Il cuore ti batte a mille mentre lo osservi abbassare la canna dell’arma verso il basso, verso il giubbotto imbottito di esplosivo che fino a poco prima avevi addosso.

I secondi si dilatano, Moriarty ghigna, Sherlock ha le dita sul grilletto e tu sei accovacciato a terra, non puoi muoverti.

Sherlock preme.

 

 

Ti svegli di soprassalto con il rumore dell’esplosione che echeggia lontano, la fronte e la maglietta del pigiama fradice di sudore.

Respiri affannosamente, il corpo che trema scosso da spasmi. Ti ci vogliono un paio di minuti per far tornare il respiro regolare, molti di più perché il tremore si fermi.

Era solo un sogno, uno stupido, maledetto sogno.

Ti passi una mano sul volto e ti strofini gli occhi con forza, l’immagine della piscina ancora impressa sulle palpebre chiuse. Ti lasci ricadere sul letto e cominci a singhiozzare, senza remore, lasciando che l’angoscia si affievolisca con il pianto.

La porta si apre lentamente con un cigolio sinistro e tu alzi di poco lo sguardo, posandolo sull’alta e snella figura di Sherlock che si affaccia quasi timidamente dalla porta. Ha i riccioli neri spettinati e l’aria assonnata. Sembra che tu lo abbia svegliato durante una delle sue sparute dormite.

Affondi il viso nel cuscino, tentando di coprire quelle lacrime di cui, in fondo, un po’ ti vergogni. Ma è inutile nasconderle, lui le ha già viste.

«Tutto bene, John?»

La sua voce calda e baritonale ti arriva come in sogno e ti scalda il cuore. Quella voce ha il potere di tranquillizzarti, almeno un po’.

Emetti un mugolio incomprensibile, niente di più. Vorresti che se ne andasse e che ti lasciasse in pace. Vorresti che rimanesse a parlarti, che rimanesse finché non prendi di nuovo sonno.

Sceglie lui per te.

La porta si richiude con un leggero tonfo e i suoi passi sul pavimento ti arrivano all’orecchio leggeri, quasi silenziosi.

Il letto si abbassa quando si siede, le coperte si ritirano lasciandoti preda al freddo per qualche secondo quando lui s’infila sotto di esse. Il piumone torna a coprirti poco dopo, riscaldandoti, mentre quasi inconsapevolmente ti avvicini a Sherlock. Poggi la testa sul suo petto, ti stringi a lui.

Le sue braccia ti avvolgono, protettive, e ricominci a piangere, più forte, ti lasci andare.

Non sai quanto tempo passa, non lo sai e non te ne importa neanche. Sai solo che lui è lì con te, che non ti lascerà.

Il suo odore è tutto quello che senti, il suo calore quello che avverti. La maglietta che stringi deve essere quella a maniche corte che indossa sempre sotto la vestaglia, quella che una volta hai lavato per ore perché una macchia di qualche suo intruglio non si decideva ad andarsene.

Un sorriso t’illumina il volto e solo in quel momento ti accorgi di aver smesso di piangere.

Una mano ti accarezza piano i capelli. «Va tutto bene…» La sua voce rimbomba potente nella cassa toracica, benché lo abbia appena sussurrato. Ti affidi ciecamente a quelle parole, sai che è così. Lui è lì con te, va tutto bene.

Lo stringi un po’ di più, come ad accertarti che sia vero, reale, e lui poggia le sue labbra sulla tua fronte. Tutto ciò che senti è il calore di quel leggero tocco, il calore che quel bacio timido ha il potere di trasmettere a tutto il tuo corpo. Rimarresti così per sempre, solo tu e lui, abbracciati, al caldo, al sicuro.

«Rimani qui. Non andartene.» sussurri. Hai un groppo alla gola e non sai perché. Parole confuse si affacciano tra i ricordi, parole che non riesci a distinguere tra loro, che non riesci a comprendere.

«Sarò qui finché lo vorrai.» è la sua risposta, e improvvisamente c’è solo la sua voce, bassa, il suo respiro sul tuo volto. Tutto il resto non è più niente.

Chiudi gli occhi, rassicurato, e ti addormenti nel calore delle sue braccia.

 

Il mattino dopo lui non c’è, il letto al tuo fianco è vuoto.

Il groppo in gola è tornato.

Improvvisamente hai freddo.

 

~*~

 

«Si può sapere che cosa ci fa ancora qui?»

Lestrade guarda Sally Donovan in volto. È furiosa.

«Perché?»

«Cosa perché?» Scuote la testa con foga. «Non è della polizia, non può stare qui.»

Lestrade sbuffa sonoramente. «Ne abbiamo già parlato. Moriarty dice che può essergli utile.» Con un cenno del capo indica la figura di John Watson, accovacciata a terra di fianco alla vittima dell’ultimo omicidio. «Ha un problema e l’aiuto che ci da’ sembra risolverlo. Non vedo perché dovremmo negarglielo, è anche bravo.»

La donna sbuffa e lo indica. «Oh no… Sherlock Holmes è il genio secondo lui. Ma lo senti quando parla?»

L’ispettore sospira. «È solo…»

«Qualcuno dovrebbe mettergli in faccia la realtà, Greg. Non ha tutte le rotelle a posto.»

«Perché ha un migliore amico? Non credi in Sherlock Holmes, Sally?» sorride l’uomo. «Andiamo… è tutta una recita. Sherlock è il personaggio più originale che potesse inventarsi. È un gioco che piace al web.»

John si appunta qualcosa sul blocchetto, mormorando tra sé e sé.

 

~*~

 

Ti stiracchi sbadigliando, mentre ti abbottoni la camicia. Sarah al tuo fianco accende la tv.

«Cosa mangi per colazione?» chiede, a metà tra uno sbadiglio.

Ridacchi. «Va bene qualunque cosa.»

Lei annuisce e ti guarda con una strana luce negli occhi. «Va tutto bene, John?»

La guardi per qualche secondo, poi le sorridi rassicurante. «Sì, certo…»

Sbatte le mani sulle cosce, poi si alza e si dirige in cucina.

Ti allacci una scarpa, la testa piena di pensieri tra loro scollegati. Programmi la giornata. Speri di trovare uno Sherlock trattabile a casa, o col cavolo che riesci ad andare a fare la spesa, pagare le bollette e andare in ambulatorio. Oggi non puoi proprio saltare.

«Quanto mi fai faticare Sherlock…» mormori tra te e te.

«Cumberbitchies…»

Ti fermi a metà nodo, le mani che improvvisamente non ubbidiscono più ai tuoi comandi. Alzi di scatto la testa e fissi la televisione.

«Sì, sì… Cumberbitchies… ma ci stiamo muovendo verso la Cumbercollective.»

La sua voce risuona prepotente nelle tue orecchie e per un attimo il tuo cuore si ferma.

Quella è indubbiamente la sua voce, la riconosceresti tra mille. Quella è la sua faccia, i suoi zigomi.

Sherlock Holmes lo riconosceresti tra mille, ma quello non è Sherlock Holmes.

Quel tizio rosso dentro lo schermo della televisione non è il tuo Sherlock Holmes.

 

 

Spalanchi la porta del 221b con forza, fiondandoti su per le scale a tutta velocità.

L’appartamento, come sempre, è aperto, e ci entri dentro respirando a fatica per la lunga corsa.

Il salotto è lì davanti a te, esattamente come l’hai lasciato: pile di libri accatastate qua e là, fogli sparsi per la stanza, le poltrone ingombre di vestiti da lavare. Per un attimo sembra tutto normale, ma poi il dubbio ritorna.

Sali a due a due i pochi gradini che conducono alle stanze superiori e apri di scatto la porta della sua stanza. La prima cosa che avverti è il freddo, poi ti rendi conto dello stato di abbandono in cui si trova la camera: il letto non ha né lenzuola né coperte, non c'è nemmeno un cuscino. Il materasso è ingiallito dal tempo e coperto da un leggero strato di polvere, come la lampada sul comodino. Tutto è completamente lasciato a se stesso, esattamente il contrario di quanto ricordi dall'ultima volta che sei entrato lì. Non ci sono fogli appesi ai muri, non ci sono vestaglie blu appese alla porta del bagno e nemmeno graffiti sulle pareti.

La paura ti attanaglia lo stomaco mentre ridiscendi ed entri in cucina.

Con orrore ti rendi conto che la tazza di the che hai preparato la sera prima per lui è ancora lì sul tavolo, il liquido ambrato ormai freddo. Apri il frigorifero, e a conferma di quanto cominci a capire, non vedi nessuna testa o altra parte di corpo all'interno. Sul tavolo non c’è alcuno strumento scientifico e nessun esperimento in corso a rilasciare cattivi odori per la stanza.

Torni in salotto e ti guardi intorno, il respiro che si fa sempre più debole ogni secondo che passa. Ora vedi ciò che alla prima occhiata non avevi visto. Anche lì, nel salotto accogliente che tanto ti piaceva, manca qualcosa di lui. Il disordine è sovrano, ma non è quel disordine. Non c’è nessun violino sul tavolo, nessun cluedo conficcato nella parete con un coltello, nessun teschio sul davanzale del camino, nessuno smile giallo sulla parete. Sulla poltrona, dove solo due sere prima si era sdraiato sulle tue gambe a raccontarti uno dei tanti casi risolti quando tu non c’eri ancora, mentre gli accarezzavi i capelli con affetto, lì su quella poltrona c’è solo il tuo portatile, spento.

Senti le gambe cederti e un attimo dopo sei crollato a terra, lo sguardo ancora fisso sul computer.

Quasi non senti Sarah che entra nella stanza trafelata con il fiatone, non vedi la signora Hudson che si tiene le mani sulle labbra come a coprire un grido muto che forse non arriverà mai.

«John… John…»

Una mano si posa con dolcezza sulla tua spalla e ti scuote leggermente, cercando di richiamare la tua attenzione.

Respiri a fatica quando ti giri verso Sarah e la guardi con la paura negli occhi. Non ti accorgi nemmeno delle lacrime che hanno cominciato a bagnarti il volto.

I suoi occhi, i suoi occhi, ricambiano il tuo sguardo e tu scatti in piedi, allontanandoti di scatto da lei.

Sarah ti guarda spaventata. «…John…?» chiede flebilmente.

Ansimi senza saperne il motivo. «…Sher-Sherlock… Sherlock… dov’è Sherlock Deglutisci a forza, vuoi scacciare il groppo in gola.

Sai che Sherlock deve essere uscito. La tazza da the? Non l’ha bevuta, non ne aveva voglia. Ma Sherlock non ha mai rifiutato una tazza preparata da te.

Sai che il violino se l’è probabilmente portato via Mycroft, l’ultima volta che è venuto qui. Doveva fare delle riparazioni. Ma solo ieri ti ha suonato quella dolce melodia, ricordi?

Sai che lo smile deve averlo cancellato la signora Hudson, in qualche modo. Ma i buchi nel muro dove sono allora, John?

Il cluedo, i casi non risolti, il suo portatile, le sue sigarette, il suo teschio, la sua vestaglia. Dove sono tutte queste cose, John?

«John. John. John ti prego rispondimi…»

 

John. Va tutto bene John? Sono qui John.

«Sherlock…» il tuo è un flebile sussurro.

 

~*~

 

Sali i gradini del 221b lentamente, con le gambe pesanti.

Sei stato due ore in seduta con Ella, due ore. Ti senti completamente vuoto.

Pensi di farti una tazza di the, un’oretta davanti alla tv e poi di infilarti a letto. Ma quando varchi la soglia di casa lui è lì, di nuovo.

Chiudi gli occhi e scuoti la testa. «Vattene. Vattene, Sherlock. Tu non esisti.»

John.

«No!» Crolli in ginocchio con la testa tra le mani. E piangi.

Lui, la tua salvezza, il tuo unico amore, non esiste. È tutto frutto della tua immaginazione.

Si china davanti a te e ti prende le mani tra le sue, allontanandole dal tuo volto. John… sono qui John. Va tutto bene.

Ti butti in avanti e lo stringi tra le tue braccia, il più forte possibile. Vuoi che sia vero, vuoi che sia reale. Vuoi che tutto quello che avete passato insieme sia la pura realtà, niente finzione.

Lo stringi talmente forte che potresti quasi pensare che sia veramente lì con te. «Dimmi che non lo sto solo immaginando.» dici, tra un singhiozzo e l’altro.

Devi fidarti di me John.

«Ma… Ella… Sherlock. Sher»

Fidati di me.

La sua voce è potente e ti entra nella testa. Lui è lì con te.

Che cosa c’è di sbagliato? Niente.

Sherlock è davanti a te. Lo stai stringendo con le tue mani.

Senti la sua mano accarezzarti il volto, con dolcezza. Sono qui John.

 

 

 

«Sherlock. Sherlock non esiste John.»

Respiri a fatica mentre fissi il pavimento con gli occhi pungenti di lacrime. Ella ti osserva con tristezza. «John calmati per favore… va tutto bene.»

«No… non va. Io…»

Ella sospira e si avvicina a te. «Hai inventato tu Sherlock Holmes, John

Scuoti la testa mentre nuove lacrime ti inondano il viso.

 

 

 

John.

Apri gli occhi di scatto e sei di nuovo lì, su quel divano, Sherlock è con te. Ti abbraccia, ti consola, ti scalda.

Fidati di me John.

 

Sarah ti sta abbracciando sul divano, ti lasci trasportare dal suo calore. Sei tranquillo ora, lui è lì con te.

 

 

~*~

 

John.

Alzi la testa dalle mani e lo guardi: è in piedi in mezzo alla stanza e ti fissa tristemente. Ti si stringe il cuore a vederlo così. Sospiri. «Vieni qui Sherlock.»

Si avvicina a passi leggeri e si siede al tuo fianco. Lo abbracci come se fosse la tua unica possibilità di salvezza in un oceano in tempesta.

«Ella dice che dovrei dimenticarti…»

Lo senti tremare sotto il tuo tocco. Chiudi gli occhi e una lacrima sfugge al tuo controllo. «Io… io non ci riesco, Sherlock.»

Senti le tue mani tremare mentre affondi le dita tra i suoi riccioli scuri, li scombini, li accarezzi.

Dimentichi tutto quando gli baci il volto, leggero, con dolcezza. Cerchi le sue labbra e lo baci ancora, e ancora.

«Ti amo, Sherlock

Anch’io, John.

~*~

 

 

 

«Ok, guarda in alto, sono sul tetto.»

Oddio. Sherlock… Sherlock no.

 

 

 

Le tue dita scorrono veloci sulla tastiera, scrivono lettera dopo lettera, parola dopo parola, riga dopo riga.

Non ti fermi.

 

 

 

«Ti devo… ti devo delle scuse.»

«Che cosa?»

 

 

 

Il cellulare suona ancora una volta alla tua sinistra.

La tredicesima volta, le hai contate.

 

 

 

«È tutto vero, tutto quello che hanno detto su di me.»

Deglutisce.

«Io… io non esisto. Io ho inventato Moriarty.»

«Perché me lo dici?»

 

 

 

Ti fermi un attimo e bevi un altro sorso della tazza di the. È dolce, allungato con il latte. Proprio come piace a lui.

 

 

 

«Voglio che tu lo dica a tutti. A tutti coloro che ti ascolteranno.»

«Ok. Sherlock. Ascoltami, ascoltami va bene?» Respiri a fatica. «La prima volta che ci siamo visti. La prima volta che ci siamo incontrati sapevi tutto di me. La prima volta.»

«Io…»

 

 

 

Poggi la tazza sul tavolino.

Urti leggermente la canna dell’arma.

Ricominci a scrivere.

 

 

 

«Nessuno è tanto intelligente, John.»

«Tu sì…»

«Già…»

 

 

 

Una lacrima ti riga il volto. Una sola.

Tutte le storie hanno la loro fine.

 

 

 

«Tieni… gli occhi fissi su di me.»

«Sherlock non…»

 

 

 

Sorridi tra le lacrime, non le asciughi, non ne hai bisogno.

Stacchi lo sguardo dallo schermo e lo sposti sul tavolino.

Tutte le storie hanno una fine. Questa è la tua storia, questa è la tua fine.

 

Le sue braccia ti avvolgono, da dietro.

Lo squillo incessante del cellulare smette di colpo mentre respiri a fondo il suo profumo, ti riempi del suo odore, del suo calore.

È la cosa giusta John.

«Lo so, Sherlock.»

Non c’è tremore nella tua voce, non c’è alcun rimorso. C’è solo lui, Sherlock, vicino a te, accanto a te, dentro di te. C’è solo lui, solo voi due contro il resto del mondo.

Ti hanno chiesto di scegliere una delle due parti, ti hanno detto che da entrambe non puoi stare.

Hai scelto lui.

 

 

 

Addio, John.

 

 

 

Chiudi gli occhi, il sorriso sulla labbra.

«Addio, Sherlock.»

   
 
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