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Autore: giuxbouvier    15/05/2008    4 recensioni
Una costruzione isolata attira la mia attenzione, sembra un albergo o un ostello, è come se mi chiamasse a se, sembra davvero un bel posto per fermarsi a dormire e a rilassarsi un po’. C’è qualcuno sulla porta, un uomo sulla trentina, alto, capelli neri spettinati dal vento e occhi puntati su di me, mi invita ad entrare, senza neanche chiederlo.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Hotel California

 

 

 

 

Sono stanco e assetato, ho caldo. La strada sotto i miei piedi sembra non finire mai. Da quant’è che cammino? Ore? Giorni.

Non c’è nessuno intorno a me, sono completamente solo. Il vento soffia calmo fra i miei capelli, spettinandomeli e dandomi un po’ di sollievo.

Sta iniziando a girarmi la testa e ad appannarsi la vista, non riuscirò a camminare ancora per molto.

Soffice musica nell’aria, chissà da dove viene, un profumo nuovo intorno a me, la polvere spostata dal vento crea piccoli vortici sulla strada.

Appaiono luci davanti a me, e persone, e case. Una città, un paese, o anche solo pochi edifici solitari, qualsiasi cosa sia, decido di fermarmi, almeno per la notte.

Una costruzione isolata attira la mia attenzione, sembra un albergo o un ostello, è come se mi chiamasse a se, sembra davvero un bel posto per fermarsi a dormire e a rilassarsi un po’.

C’è qualcuno sulla porta, un uomo sulla trentina, alto, capelli neri spettinati dal vento e occhi puntati su di me, mi invita ad entrare, senza neanche chiederlo.

Mi avvicino a lui e subito i suoi occhi verdi e profondi come l’oceano mi danno il benvenuto in questo posto sconosciuto e dimenticato da Dio.

Lui non parla, e non lo faccio neanche io, rimaniamo sulla porta di quello che, ormai ne sono sicuro, è un’albergo.

Non riesco a capire se la sua sia bellezza o no, se i suoi occhi esprimano un’infinita bontà o una spietata cattiveria, potrebbe essere un’angelo del paradiso o un demone infernale.

 

And i was thinking to myself:

 “This could be Heaven or this could be Hell”

Si avvia all’interno dell’edificio, io rimango fuori dalla porta, ancora perso nei miei pensieri, tutto ciò mi sembra cos’ strano, così innaturale, nessuno di noi ha ancora parlato, eppure mi sembra che ci siamo capiti benissimo.

L’uomo dagli occhi ipnotici torna poco dopo con una candela accesa in mano e si sposta di lato, lasciandomi passare e mostrandomi la strada da seguire.

All’interno è buio, solo la candela sparge un po’ di luce intorno a noi, nel lungo corridoio pieno di porte numerate.

A metà corridoio mi sembra di essere entrato in un altro mondo. Credo di sentire dei sussurri, ma siamo soli in mezzo al buio, non può esserci nessuno intorno a noi, è notte.

Man mano che avanziamo lungo lo stretto passaggio le voci si fanno più distinte e più forti, adesso sono sicuro di sentirle, vengono dal vuoto, sembrano preoccupate e agitate, vogliono avvertirmi di qualcosa, ma non riesco a riconoscere le parole.

 

Welcome to the Hotel California

Such a lovely place, such a lovely face.

Plenty of room at the Hotel California

Any time of year you can find it here.

Forse è solo la stanchezza e il sonno, o forse questo posto mi fa uno strano effetto. Però sono incuriosito, non voglio tornare indietro.

L’uomo si ferma davanti ad una porta, la numero 696, mi porge la chiave, sorridendo chissà per quale motivo.

In questo istante provo il forte desiderio di sentire la sua voce, dev’essere di sicuro melodica e calma, così gli faccio una domanda, una qualunque, la prima che mi viene in mente.

“Come ti chiami?”

Un po’ banale, vero. Lui mi guarda in un modo strano, come se gli avessi fatto una domanda assolutamente personale.

La sua voce mi giunge all’ orecchio e mi riempie, facendomi venire i brividi, somiglia a un canto.

“Gerard.”

Un nome inusuale, che nella sua bocca suona come un milione di parole d’amore e serenate romantiche.

“Io sono Frank.”

Afferro la chiave dalla sua mano, aprendo poi la porta e scomparendo all’interno della stanza, non prima di sorridergli.

Una volta steso sul letto dalle lenzuola rosse e fredde mi addormento quasi subito, pensando a quanto queste lenzuola abbiano bisogno di un amante per riscaldarle.

Al risveglio, il mattino dopo, trovo un vassoio con la colazione, vicino al letto, nella stanza è ancora buio e guardandomi intorno mi accorgo che non ci sono finestre alle pareti, solo vecchi quadri e tappezzeria che invece sembra nuova e lucida, neanche un granello di polvere sopra.

La porta si spalanca e io instintivamente mi copro il petto nudo con il lenzuolo, ed eccolo lì sulla soglia, l’uomo della sera prima, Gerard, in piedi vicino allo stipite della porta, con la sua pelle diafana e i suoi occhi verdi.

“Ha dormito bene?”

La sua professionalità e l’imbarazzo nel dire quella frase sono quasi ironiche, ma mi trattengo dal ridere, per buona educazione.

“Puoi darmi del tu, se ti va.”

Sembra ancora più imbarazzato di prima.

“Hai dormito bene?”

Ripete, ed io rispondo di si, afferrando una mela dal vassoio della colazione e iniziando a morderla con foga.

“Non ci sono finestre, qui dentro.”

Osservo distrattamente, mentre mi metto a sedere sul letto.

“No, non ce ne sono.”

Quando gli dico che non rimarrò ancora a lungo nell’ hotel sembra preoccupato e agitato, ma non riesco a capire il perché, a dire il vero non me lo chiedo nemmeno, sono troppo occupato a leggergli dentro, attraverso gli occhi.

E’ così agitato, imbarazzato e timido, sembra che custodisca un grande segreto dentro di sé, ma i suoi occhi non svelano nient’altro, rimarrà tutto un mistero.

“Perché non rimani un’altra notte? Mi farebbe piacere.”

Non mi conosce neanche e vuole che io rimanga, questo mi sembra non avere senso, però ne sono felice, perciò annuisco e lo saluto, andando verso il bagno per farmi una doccia.

Qualche ora dopo mi ritrovo a camminare per i corridoi di questo albergo che ormai ai miei occhi sembra più un labirinto. Sento delle voci provenire da una camera, ma non è come l’altro giorno quando sono arrivato, queste sono voci reali, provenienti dal presente, e una mi sembra di conoscerla.

Non riesco a capire che cosa dicono, parlano a voce bassa, però riesco a sbirciare all’interno della stanza semi- buia e disordinata.

C’è Gerard sul letto, il corpo nudo coperto solo per metà da un lenzuolo uguale a quelloche c’è nella mia camera, e un altro uomo, poco più vecchio di lui, sono stesi vicini, i loro corpi nudi si sfiorano sotto le lenzuola e si scambiano parole sottovoce.

Mi volto e proseguo la mia passeggiata lungo il corridoio, sono quasi sicuro di aver visto due occhi incredibilmente profondi fissarmi, prima che me ne andassi, ma forse era solo la mia immaginazione.

Non vedo Gerard per il resto della giornata, nella sala da pranzo e nell’hotel in generale vedo solo qualche ospite e sembrano tutti avere facce tristi e sorrisi falsi, quando mi incontrano, appaiono tutti così dannatamente strani e giù di morale, qui dentro.

Dopo la cena ritorno in camera mia, ma trovo la porta già aperta e la lampada sul comodino accesa, c’è qualcuno seduto sul letto, a gambe incrociate, e sta leggendo intensamente un libro.

“Che cosa ci fai qui?”

Domando, capendo improvvisamente a chi appartenga quel corpo abbandonato sul mio letto.

“Scusami, sono entrato senza permesso.”

Risponde la voce melodica e triste di Gerard, mentre alza gli occhi dal libro e lo chiude con movimenti lenti. La porta della camera 696 si chiude automaticamente dietro di me, causandomi un sobbalzo. Muovo qualche passo verso di lui, un po’ intimorito dal fatto di essere chiuso in una camera con solo lui vicino.

“Ti ho visto questa mattina.”

Dice a voce bassa, buttando il libro che aveva in mano in fondo al letto e fissandomi a braccia incorciate. Faccio finta di non aver capito.

“Come, scusa?”

“Dicevo, ti ho visto questa mattina, mentre spiavi nella camera.”

Allora non era stata la mia immaginazione a correre troppo nel vedere il suo sguardo su di me mentre mi affrettavo ad andarmene.

“Oh-Io… mi dispiace, ma passavo di lì e ho notato la porta aperta, poi me ne sono andato subito, insomma, non erano affari miei.”

Cerco di spiegare, mentre arrossisco bellamente sotto i suoi occhi, questo gli causa un sorrisetto e una risatina quasi inudibile, poi sospira e si alza dal letto, avvicinandosi.

“No, non erano affari tuoi, ma non mi importa, nessuno ti ha impedito di andare in giro e sbirciare attraverso una porta semi-aperta. Era lecito farlo.”

Mi appoggio alla scrivania dietro di me, indietreggiando lentamente, la sua vicinanza mi mette in soggezione e non riesco a mettere insieme una frase con un senso compiuto.

“Era il tuo ragazzo?”

Spero mentalmente che mi risponda di no, anche se non c’è nessuna remota possibilità che lo faccia, erano a letto insieme, quindi è naturale che fosse il suo ragazzo.

“No, non era il mio ragazzo.”

Nota lo sguardo stupido che appare sul mio volto e si accinge a dare una spiegazione all’affermazione precedente.

“Sai, stando qui dentro e avendo pochissimi contatti con l’esterno non ho molte occasioni per stare con qualcuno e l’amore e la passione sono due cose che mancano molto nella mia vita, certe volte mi sento davvero solo e cerco di scacciare via la solitudine nell’unico modo che conosco.”

Mi chiedo mentalmente perché non abbia contatti con il mondo esterno, ma non oso chiederglielo, capisco che non gli piace parlarne e che si è rattristato. 

“Adesso ti senti solo?”

Chiedo con voce calma, non so da dove siano uscite quelle parole, non le ho neanche pensate, le ho dette e basta e rimango un attimo confuso dalla mia stessa domanda. Confuso quasi quanto lui.

“Si, molto.”

Ormai forse sono andato troppo a fondo, ho scavato una buca troppo grande all’interno della sua persona, una buca così profonda che non ne posso più uscire, non ne voglio uscire, voglio continuare a scavare e scoprire sempre di più di lui, mi rende curioso.

 Mi ritrovo per l’ennesima volta a scrutare nei suoi occhi, ma questa volta riesco a leggerci dentro, mi sta chiedendo aiuto, sta chiedendo aiuto all’unica persona che in questo momento vorrebbe farlo a sua volta.

Vuole scacciare la solitudine, il mostro che lo sta divorando dall’interno? Bene, io sono qui, e sono disposto ad aiutarlo, non si può negare aiuto a due occhi verdi come questi.

Mi avvicino a lui con passo leggero, ha la facoltà di tirarsi indietro, e ce la ho anche io, ma nessuno dei due sembra desiderarlo.

Sfioro la sua guancia con la mano e la sua pelle assorbe il mio calore, voglio solo che si senta meglio, senza neanche sapere il motivo per cui sta male.

Le sue labbra sulle mie sembrano rose che sbocciano a primavera, all’inizio lente, pigre, timorose di mostrare i loro petali, ma poi sempre più veloci e senza paura, senza timore di mostrare al mondo la loro bellezza.

Le sue mani sul mio corpo sono come onde che si infrangono sugli scogli, veloci e sicure, fugaci e arrabbiate, feroci e desiderose di arrivare alla spiaggia, per poi dissolversi piano piano.

Quando ci sdraiamo sul letto, ormai liberi dai vestiti, l’ambiente intorno a me sembra cambiato, non più triste e malincomìnico, ma bello, luminoso e splendente, splendente della passione che due uomini si stanno dimostrando su questo letto di rose senza spine e onde senza paura.

Due uomini che si aiutano, che si fondonoin uno solo, che si aggrappano ognuno alle spalle dell’altro, per trovare uno spiraglio di luce in una vita che sembra vissuta perennemente al buio.

Due uomini che, con la notte che oscura il cielo, giacciono fra lenzuola rosse d’amore e sorrisi che illuminano finalmente i loro visi.

E’ notte fonda quando mi sveglio di nuovo, il cospo nudo di Gerard è steso vicino al mio, se non fosse per l’espressione serena sulla sua faccia e per l’abbassarsi e rialzarsi della sua pancia, sembrerebbe morto.

Sento di nuovo le voci di quando sono arrivato, sono le stesse, ma questa volta sono più forti, gridano disperate, mi avvertono del pericolo che ormai non posso più scampare, mi piace immaginare che vengano da fantasmi, fantasmi che piangono e si strappano i capelli, che si disperano per un altro povero sciagurato, che farà la loro stessa fine.

Non so come immagino tutte queste cose, ma all’improvviso trovo nella mia testa le immagini candide e luminescenti di queste persone e intuisco la loro storia, senza che me la raccontino, la immagino solo, ma so che in questo posto, in questo momento, non esiste più un confine fra realtà e immaginazione, la realtà è ciò che immagino e ciò che immagino è la realtà.

Questa volta riesco a scorgere alcune parole e qualche frase, fra i tristi lamenti delle amine in pena che piangono per il triste destino di un semplice visitatore qualunque, che voleva fermarsi per una notte.

 

And still those voices are calling from far away,

Wake you up in the middle of the night

Just to hear them say:

Welcome to the Hotel California

Such a lovely place, such a lovely face.

They livin' it up at the Hotel California

What a nice surprise, bring your alibis.

 

Corro verso la porta, qualcosa mi dice che devo uscire da qui, e devo farlo adesso, prima che sia troppo tardi, se non è già troppo tardi. Neanche l’immagine di Gerard nella mia testa, neanche i suoi occhi potranno farmi tornare indietro. All’improvviso capisco la verità sulla natura di questo posto, è sovrannaturale, c’è qualcosa che non va, troppe persone tristi e sempre le stesse, troppa solitudine e isolamento, anche se non riesco a capirne il motivo.

Arrivo alla porta di ingresso dell’albergo, è aperta e fuori il vento pungente mi graffia la faccia come scheggie di un bicchiere rotto. Percorro affannosamente i tre gradini che mi separano dalla strada sterrata.

Improvvisamente c’è qualcosa che mi ferma, dopo quei gradini, una specie di forza che mi spinge indietro e tutto davanti a me scompare, non c’è più il mondo all’esterno, non c’è più nulla oltre all’Hotel, e mi sento solo nell’universo, come se fossi l’unica forma di vita, riesco finalmente a capire le facce tristi e l’incredibile solitudine di Gerard.

Arretro senza fiato, non riesco a credere ai miei occhi, due mani forti e sicure mi afferrano da dietro e mi stringono forte, riconosco il profumo di rose mischiato a quello delle onde del mare, il profumo di amore che ancora indossa Gerard.

Una lacrima scappa dai miei occhi increduli e solca sicura la mia guancia, per venire poi raccolta da due labbra rosee e calde, che lentamente la spazzano via dal mio viso.

“Siamo tutti prigionieri qui, ma ci sono momenti in cui siamo felici di esserlo.”

La sua voce sembra una dolce melodia che si insinua all’interno del mio corpo e mi tranquillizza.

Meglio tornare nel mondo, o rimanere per sempre qui, in questo hotel maledetto, con un amante malinconico e un po’ triste, dimenticato da tutto e da tutti?

Questa domanda si fa velocemente spazio nella mia mente, e so già la risposta, la so da quando ho visto quell’uomo appoggiato alla vecchia porta di legno di questo hotel, da quando per la prima volta ho cercato di leggere nei suoi occhi e ho scoperto che tenevano un segreto troppo grande per essere rivelato a voce e troppo terribile per non sconvolgere chiunque.

“Ci puoi provare quante volte vuoi, ma non troverai mai un modo per andartene.”

Chiude la vecchia porta coi cardini arruginiti e mi prende fra le braccia, nessuna lacrima è più così coraggiosa da scendere dai miei occhi e un sorriso si fa spazio sul mio volto ancora scosso dalle recenti scoperte.

“Se devo essere prigioniero, voglio esserlo con te.”

L’unica frase che riesco a pronunciare per ore.

E così il mio futuro è qui, in questo albergo maledetto, con Gerard, dividendosi il suo arduo compito, quello di accogliere i nuovi ospiti con un sorriso sul volto e una candela nella mano.

E per anni non farò altro che sussurrare agli spensierati visitatori una frase composta da sole quattro parole, le più importanti che sentiranno nella loro vita.

“Benvenuto nell’ Hotel California.”

 

“Welcome to the Hotel California.”

 

 

 

 

 

 

Una libera interpretazione della canzone Hotel California dehli Eagles.

Se non la conoscete ancora vi consiglio di scaricarvela, perché è davvero spettacolare, io non riesco a smettere di ascoltarla.

Spero vi piaccia, questa volta ho scritto una cosa un po’ più lunga.

 

Non faccio mai le dediche, però voglio fare un’eccezione e dedicarla alla mitica Virgi, che mi ha fatto scoprire la canzone, per questo e per molte altre cose che fa per me tutti i giorni.

 

Julia

   
 
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