Hotel
California
Sono stanco e
assetato, ho caldo. La strada sotto i miei piedi sembra
non finire mai. Da quant’è che cammino? Ore?
Giorni.
Non
c’è nessuno intorno a me, sono completamente solo.
Il vento soffia
calmo fra i miei capelli, spettinandomeli e dandomi un po’ di
sollievo.
Sta iniziando
a girarmi la testa e ad appannarsi la vista, non riuscirò
a camminare ancora per molto.
Soffice musica
nell’aria, chissà da dove viene, un profumo nuovo
intorno a me, la polvere spostata dal vento crea piccoli vortici sulla
strada.
Appaiono luci
davanti a me, e persone, e case. Una città, un paese, o
anche solo pochi edifici solitari, qualsiasi cosa sia, decido di
fermarmi,
almeno per la notte.
Una
costruzione isolata attira la mia attenzione, sembra un albergo o
un ostello, è come se mi chiamasse a se, sembra davvero un
bel posto per
fermarsi a dormire e a rilassarsi un po’.
C’è
qualcuno sulla porta, un uomo sulla trentina, alto, capelli neri
spettinati dal vento e occhi puntati su di me, mi invita ad entrare,
senza
neanche chiederlo.
Mi avvicino a
lui e subito i suoi occhi verdi e profondi come l’oceano
mi danno il benvenuto in questo posto sconosciuto e dimenticato da Dio.
Lui non parla,
e non lo faccio neanche io, rimaniamo sulla porta di
quello che, ormai ne sono sicuro, è un’albergo.
Non riesco a
capire se la sua sia bellezza o no, se i suoi occhi
esprimano un’infinita bontà o una spietata
cattiveria, potrebbe essere
un’angelo del paradiso o un demone infernale.
And
i was thinking to myself:
“This could
be Heaven or this could be Hell”
Si avvia
all’interno dell’edificio, io rimango fuori dalla
porta,
ancora perso nei miei pensieri, tutto ciò mi sembra
cos’ strano, così
innaturale, nessuno di noi ha ancora parlato, eppure mi sembra che ci
siamo
capiti benissimo.
L’uomo
dagli occhi ipnotici torna poco dopo con una candela accesa in
mano e si sposta di lato, lasciandomi passare e mostrandomi la strada
da
seguire.
All’interno
è buio, solo la candela sparge un po’ di luce
intorno a
noi, nel lungo corridoio pieno di porte numerate.
A
metà corridoio mi sembra di essere entrato in un altro
mondo. Credo
di sentire dei sussurri, ma siamo soli in mezzo al buio, non
può esserci
nessuno intorno a noi, è notte.
Man mano che
avanziamo lungo lo stretto passaggio le voci si fanno più
distinte e più forti, adesso sono sicuro di sentirle,
vengono dal vuoto,
sembrano preoccupate e agitate, vogliono avvertirmi di qualcosa, ma non
riesco
a riconoscere le parole.
Welcome
to the Hotel California
Such
a lovely place, such a lovely face.
Plenty
of room at the Hotel California
Any
time of year you can find it here.
Forse
è solo la stanchezza e il sonno, o forse questo posto mi fa
uno
strano effetto. Però sono incuriosito, non voglio tornare
indietro.
L’uomo
si ferma davanti ad una porta, la numero
In questo
istante provo il forte desiderio di sentire la sua voce,
dev’essere di sicuro melodica e calma, così gli
faccio una domanda, una
qualunque, la prima che mi viene in mente.
“Come
ti chiami?”
Un
po’ banale, vero. Lui mi guarda in un modo strano, come se
gli
avessi fatto una domanda assolutamente personale.
La sua voce mi
giunge all’ orecchio e mi riempie, facendomi venire i
brividi, somiglia a un canto.
“Gerard.”
Un nome
inusuale, che nella sua bocca suona come un milione di parole
d’amore e serenate romantiche.
“Io
sono Frank.”
Afferro la
chiave dalla sua mano, aprendo poi la porta e scomparendo
all’interno della stanza, non prima di sorridergli.
Una volta
steso sul letto dalle lenzuola rosse e fredde mi addormento
quasi subito, pensando a quanto queste lenzuola abbiano bisogno di un
amante
per riscaldarle.
Al risveglio,
il mattino dopo, trovo un vassoio con la colazione,
vicino al letto, nella stanza è ancora buio e guardandomi
intorno mi accorgo
che non ci sono finestre alle pareti, solo vecchi quadri e tappezzeria
che
invece sembra nuova e lucida, neanche un granello di polvere sopra.
La porta si
spalanca e io instintivamente mi copro il petto nudo con il
lenzuolo, ed eccolo lì sulla soglia, l’uomo della
sera prima, Gerard, in piedi
vicino allo stipite della porta, con la sua pelle diafana e i suoi
occhi verdi.
“Ha
dormito bene?”
La sua
professionalità e l’imbarazzo nel dire quella
frase sono quasi ironiche,
ma mi trattengo dal ridere, per buona educazione.
“Puoi
darmi del tu, se ti va.”
Sembra ancora
più imbarazzato di prima.
“Hai
dormito bene?”
Ripete, ed io
rispondo di si, afferrando una mela dal vassoio della
colazione e iniziando a morderla con foga.
“Non
ci sono finestre, qui dentro.”
Osservo
distrattamente, mentre mi metto a sedere sul letto.
“No,
non ce ne sono.”
Quando gli
dico che non rimarrò ancora a lungo nell’ hotel
sembra
preoccupato e agitato, ma non riesco a capire il perché, a
dire il vero non me
lo chiedo nemmeno, sono troppo occupato a leggergli dentro, attraverso
gli
occhi.
E’
così agitato, imbarazzato e timido, sembra che custodisca un
grande
segreto dentro di sé, ma i suoi occhi non svelano
nient’altro, rimarrà tutto un
mistero.
“Perché
non rimani un’altra notte? Mi farebbe piacere.”
Non mi conosce
neanche e vuole che io rimanga, questo mi sembra non
avere senso, però ne sono felice, perciò annuisco
e lo saluto, andando verso il
bagno per farmi una doccia.
Qualche ora
dopo mi ritrovo a camminare per i corridoi di questo
albergo che ormai ai miei occhi sembra più un labirinto.
Sento delle voci
provenire da una camera, ma non è come l’altro
giorno quando sono arrivato,
queste sono voci reali, provenienti dal presente, e una mi sembra di
conoscerla.
Non riesco a
capire che cosa dicono, parlano a voce bassa, però riesco
a sbirciare all’interno della stanza semi- buia e disordinata.
C’è
Gerard sul letto, il corpo nudo coperto solo per metà da un
lenzuolo uguale a quelloche c’è nella mia camera,
e un altro uomo, poco più
vecchio di lui, sono stesi vicini, i loro corpi nudi si sfiorano sotto
le
lenzuola e si scambiano parole sottovoce.
Mi volto e
proseguo la mia passeggiata lungo il corridoio, sono quasi
sicuro di aver visto due occhi incredibilmente profondi fissarmi, prima
che me
ne andassi, ma forse era solo la mia immaginazione.
Non vedo
Gerard per il resto della giornata, nella sala da pranzo e
nell’hotel in generale vedo solo qualche ospite e sembrano
tutti avere facce
tristi e sorrisi falsi, quando mi incontrano, appaiono tutti
così dannatamente
strani e giù di morale, qui dentro.
Dopo la cena
ritorno in camera mia, ma trovo la porta già aperta e la
lampada sul comodino accesa, c’è qualcuno seduto
sul letto, a gambe incrociate,
e sta leggendo intensamente un libro.
“Che
cosa ci fai qui?”
Domando,
capendo improvvisamente a chi appartenga quel corpo
abbandonato sul mio letto.
“Scusami,
sono entrato senza permesso.”
Risponde la
voce melodica e triste di Gerard, mentre alza gli occhi dal
libro e lo chiude con movimenti lenti. La porta della camera 696 si
chiude
automaticamente dietro di me, causandomi un sobbalzo. Muovo qualche
passo verso
di lui, un po’ intimorito dal fatto di essere chiuso in una
camera con solo lui
vicino.
“Ti
ho visto questa mattina.”
Dice a voce
bassa, buttando il libro che aveva in mano in fondo al
letto e fissandomi a braccia incorciate. Faccio finta di non aver
capito.
“Come,
scusa?”
“Dicevo,
ti ho visto questa mattina, mentre spiavi nella camera.”
Allora non era
stata la mia immaginazione a correre troppo nel vedere
il suo sguardo su di me mentre mi affrettavo ad andarmene.
“Oh-Io…
mi dispiace, ma passavo di lì e ho notato la porta aperta,
poi
me ne sono andato subito, insomma, non erano affari miei.”
Cerco di
spiegare, mentre arrossisco bellamente sotto i suoi occhi,
questo gli causa un sorrisetto e una risatina quasi inudibile, poi
sospira e si
alza dal letto, avvicinandosi.
“No,
non erano affari tuoi, ma non mi importa, nessuno ti ha impedito
di andare in giro e sbirciare attraverso una porta semi-aperta. Era
lecito
farlo.”
Mi appoggio
alla scrivania dietro di me, indietreggiando lentamente, la
sua vicinanza mi mette in soggezione e non riesco a mettere insieme una
frase
con un senso compiuto.
“Era
il tuo ragazzo?”
Spero
mentalmente che mi risponda di no, anche se non
c’è nessuna
remota possibilità che lo faccia, erano a letto insieme,
quindi è naturale che
fosse il suo ragazzo.
“No,
non era il mio ragazzo.”
Nota lo
sguardo stupido che appare sul mio volto e si accinge a dare
una spiegazione all’affermazione precedente.
“Sai,
stando qui dentro e avendo pochissimi contatti con l’esterno
non
ho molte occasioni per stare con qualcuno e l’amore e la
passione sono due cose
che mancano molto nella mia vita, certe volte mi sento davvero solo e
cerco di
scacciare via la solitudine nell’unico modo che
conosco.”
Mi chiedo
mentalmente perché non abbia contatti con il mondo esterno,
ma non oso chiederglielo, capisco che non gli piace parlarne e che si
è
rattristato.
“Adesso
ti senti solo?”
Chiedo con
voce calma, non so da dove siano uscite quelle parole, non
le ho neanche pensate, le ho dette e basta e rimango un attimo confuso
dalla
mia stessa domanda. Confuso quasi quanto lui.
“Si,
molto.”
Ormai forse
sono andato troppo a fondo, ho scavato una buca troppo
grande all’interno della sua persona, una buca
così profonda che non ne posso
più uscire, non ne voglio
uscire,
voglio continuare a scavare e scoprire sempre di più di lui,
mi rende curioso.
Mi ritrovo per
l’ennesima volta
a scrutare nei suoi occhi, ma questa volta riesco a leggerci dentro, mi
sta
chiedendo aiuto, sta chiedendo aiuto all’unica persona che in
questo momento
vorrebbe farlo a sua volta.
Vuole
scacciare la solitudine, il mostro che lo sta divorando
dall’interno? Bene, io sono qui, e sono disposto ad aiutarlo,
non si può negare
aiuto a due occhi verdi come questi.
Mi avvicino a
lui con passo leggero, ha la facoltà di tirarsi indietro,
e ce la ho anche io, ma nessuno dei due sembra desiderarlo.
Sfioro la sua
guancia con la mano e la sua pelle assorbe il mio calore,
voglio solo che si senta meglio, senza neanche sapere il motivo per cui
sta
male.
Le sue labbra
sulle mie sembrano rose che sbocciano a primavera,
all’inizio lente, pigre, timorose di mostrare i loro petali,
ma poi sempre più
veloci e senza paura, senza timore di mostrare al mondo la loro
bellezza.
Le sue mani
sul mio corpo sono come onde che si infrangono sugli
scogli, veloci e sicure, fugaci e arrabbiate, feroci e desiderose di
arrivare
alla spiaggia, per poi dissolversi piano piano.
Quando ci
sdraiamo sul letto, ormai liberi dai vestiti, l’ambiente
intorno a me sembra cambiato, non più triste e
malincomìnico, ma bello,
luminoso e splendente, splendente della passione che due uomini si
stanno
dimostrando su questo letto di rose senza spine e onde senza paura.
Due uomini che
si aiutano, che si fondonoin uno solo, che si aggrappano
ognuno alle spalle dell’altro, per trovare uno spiraglio di
luce in una vita
che sembra vissuta perennemente al buio.
Due uomini
che, con la notte che oscura il cielo, giacciono fra
lenzuola rosse d’amore e sorrisi che illuminano finalmente i
loro visi.
E’
notte fonda quando mi sveglio di nuovo, il cospo nudo di Gerard
è
steso vicino al mio, se non fosse per l’espressione serena
sulla sua faccia e
per l’abbassarsi e rialzarsi della sua pancia, sembrerebbe
morto.
Sento di nuovo
le voci di quando sono arrivato, sono le stesse, ma
questa volta sono più forti, gridano disperate, mi avvertono
del pericolo che
ormai non posso più scampare, mi piace immaginare che
vengano da fantasmi,
fantasmi che piangono e si strappano i capelli, che si disperano per un
altro
povero sciagurato, che farà la loro stessa fine.
Non so come
immagino tutte queste cose, ma all’improvviso trovo nella
mia testa le immagini candide e luminescenti di queste persone e
intuisco la
loro storia, senza che me la raccontino, la immagino solo, ma so che in
questo
posto, in questo momento, non esiste più un confine fra
realtà e immaginazione,
la realtà è ciò che immagino e
ciò che immagino è la realtà.
Questa volta
riesco a scorgere alcune parole e qualche frase, fra i tristi
lamenti delle amine in pena che piangono per il triste destino di un
semplice
visitatore qualunque, che voleva fermarsi per una notte.
And
still those voices are calling from far
away,
Wake
you up in the middle of the night
Just
to hear them say:
Welcome
to the Hotel California
Such
a lovely place, such a lovely face.
They
livin' it up at the Hotel California
What
a nice surprise, bring your alibis.
Corro verso la
porta, qualcosa mi dice che devo uscire da qui, e devo
farlo adesso, prima che sia troppo tardi, se non è
già troppo tardi. Neanche
l’immagine di Gerard nella mia testa, neanche i suoi occhi
potranno farmi
tornare indietro. All’improvviso capisco la verità
sulla natura di questo
posto, è sovrannaturale, c’è qualcosa
che non va, troppe persone tristi e
sempre le stesse, troppa solitudine e isolamento, anche se non riesco a
capirne
il motivo.
Arrivo alla
porta di ingresso dell’albergo, è aperta e fuori
il vento
pungente mi graffia la faccia come scheggie di un bicchiere rotto.
Percorro
affannosamente i tre gradini che mi separano dalla strada sterrata.
Improvvisamente
c’è qualcosa che mi ferma, dopo quei gradini, una
specie di forza che mi spinge indietro e tutto davanti a me scompare,
non c’è
più il mondo all’esterno, non
c’è più nulla oltre
all’Hotel, e mi sento solo
nell’universo, come se fossi l’unica forma di vita,
riesco finalmente a capire
le facce tristi e l’incredibile solitudine di Gerard.
Arretro senza
fiato, non riesco a credere ai miei occhi, due mani forti
e sicure mi afferrano da dietro e mi stringono forte, riconosco il
profumo di
rose mischiato a quello delle onde del mare, il profumo di amore che
ancora
indossa Gerard.
Una lacrima
scappa dai miei occhi increduli e solca sicura la mia
guancia, per venire poi raccolta da due labbra rosee e calde, che
lentamente la
spazzano via dal mio viso.
“Siamo
tutti prigionieri qui, ma ci sono momenti in cui siamo felici di
esserlo.”
La sua voce
sembra una dolce melodia che si insinua all’interno del mio
corpo e mi tranquillizza.
Meglio tornare
nel mondo, o rimanere per sempre qui, in questo hotel
maledetto, con un amante malinconico e un po’ triste,
dimenticato da tutto e da
tutti?
Questa domanda
si fa velocemente spazio nella mia mente, e so già la
risposta, la so da quando ho visto quell’uomo appoggiato alla
vecchia porta di
legno di questo hotel, da quando per la prima volta ho cercato di
leggere nei
suoi occhi e ho scoperto che tenevano un segreto troppo grande per
essere
rivelato a voce e troppo terribile per non sconvolgere chiunque.
“Ci
puoi provare quante volte vuoi, ma non troverai mai un modo per
andartene.”
Chiude la
vecchia porta coi cardini arruginiti e mi prende fra le
braccia, nessuna lacrima è più così
coraggiosa da scendere dai miei occhi e un
sorriso si fa spazio sul mio volto ancora scosso dalle recenti scoperte.
“Se
devo essere prigioniero, voglio esserlo con te.”
L’unica
frase che riesco a pronunciare per ore.
E
così il mio futuro è qui, in questo albergo
maledetto, con Gerard,
dividendosi il suo arduo compito, quello di accogliere i nuovi ospiti
con un
sorriso sul volto e una candela nella mano.
E per anni non
farò altro che sussurrare agli spensierati visitatori
una frase composta da sole quattro parole, le più importanti
che sentiranno
nella loro vita.
“Benvenuto
nell’ Hotel California.”
“Welcome
to the Hotel California.”
Una
libera interpretazione della canzone Hotel California dehli
Eagles.
Se
non la conoscete ancora vi consiglio di scaricarvela, perché
è
davvero spettacolare, io non riesco a smettere di ascoltarla.
Spero
vi piaccia, questa volta ho scritto una cosa un po’
più
lunga.
Non
faccio mai le dediche, però voglio fare
un’eccezione e
dedicarla alla mitica Virgi, che mi ha fatto scoprire la canzone, per
questo e
per molte altre cose che fa per me tutti i giorni.
Julia