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Autore: AriiiC_    20/12/2013    0 recensioni
Ci sono tante parti in una bambola: c'è la pezza, c'è il cotone, ci sono diversi bottoni e ci sono aghi.
Aghi taglienti come occhi indiscreti che ti scrutano tra la folla.
Aghi gelidi come morti che non sarebbero mai dovuti morire.
Aghi pungenti come quelle voci, quelle lì che non ti lasciano mai sola.
{Sempre Kenia Reaper, sempre 13 anni, sempre Distretto 8
Serie: "Come son fatte le bambole?"
Nella stessa collana: Porcellana, Filo, Due Bottoni, Lacrime e Sogni.
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Come son fatte le bambole?'
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“Il mio amore mi è venuto a dire…”

 Canticchiava Kenia saltellando per la strada. Sussurrava quelle parole al nulla, forse a Betty che strisciava per terra nonostante la bimba le tenesse salda la “mano”.
 Quella mattina del Distretto Otto faceva freddo, ma lei aveva deciso di andare a fare un giro lo stesso. Vestita solo di un sacco di iuta e a piedi nudi, i commercianti al mercato a volte la guardavano, le sorridevano, le porgevano un pezzo di stoffa.
 “…se voglio baci per fiorire.”
 Kenia li raccoglieva, stringeva loro le mani, li ringraziava. Stirava le labbra in un angelico sorriso e ricominciava a saltellare. Piano piano o forte forte, in base a come le capitava di sentirsi. Il suo ritmo preferito, però, era quello a metà strada, quello che le permetteva di sentire ogni odore, rumore, ogni cosa le botteghe le offrissero. Quello che impediva agli altri di rendersi conto di cosa stesse accadendo.
 Spesso, la gente la vedeva come un angelo: passa furtivo e, prima che tu te ne accorga, è già sparito.
 “Gli ho risposto a quel villano:…”
 A Kenia non era mai piaciuto questo modo che avevano gli altri di intenderla: sapeva di non essere un angelo, perché Nonna l’aveva cresciuta come fosse un demone dalla pelle di creta e gli appuntiti occhi di acquamarina. Nonna che l’amava tanto l’aveva fatta sentire colpevole di una nascita mai programmata e del tutto sbagliata.
 Ma non aveva mai avuto tempo di raccontarglielo del tutto, caduta morta sul pavimento con accanto solo un mazzo di rose bianche.
 “…‘poi mi terresti in una mano’.”
 Kenia ricordava particolarmente quel giorno perché era stato l’ultimo in cui aveva parlato con Oluwasegun, la saggia nonna che aveva trasmesso tutto il suo sapere alla nipotina. Quello stesso sapere che aveva portato Kingsley ad adottarla.
 Uomo strano, Kingsley: affettuoso ed opportunista, sempre pronto ad arrivare al proprio scopo. Scopo pulito, a detta sua.
 Gli occhi della bimba si facevano lucidi mentre il vento le accarezzava le guance in modo tutt’altro che dolce. Delle voci iniziarono ad urlare, ma lei le ignorò, alzando la voce nel canto.
 “Il mio amore mi è venuto a dire…”
 Più Kenia le ignorava, più loro urlavano: le tartassavano la mente in modo incessante. Dopo diversi mesi in quello stato, però, lei aveva imparato a fingere: bastava continuare a saltellare, cantare sempre più forte e dimenticarsi di pensare. Guardarsi sempre intorno, senza mai rintanarsi nel buio nero dei pensieri più tristi.
 Difficile, dopo gli avvenimenti degli ultimi tempi. Però Kenia ci provava sempre: provava a scordare Logan, il suo viso, le sue labbra che la sfioravano.
 Ci provava, ma era inutile.
 “…se voglio gli aghi per cucire.”
 Kenia aveva più volte chiesto a Kingsley, o Denny, o chiunque avesse voglia di ascoltarla, di poter avere indietro il corpo di Logan: era convinta che, con un po’ d’ago e filo, avrebbe potuto ricucirgli la ferita sulla tempia e, quindi, riportarlo in vita. La risposta più esaustiva – e anche l’unica, a dirla tutta – che ebbe fu un “Barbie, ora Logan è in un posto migliore.”
 Ancora non riusciva a capire quale fosse questo posto migliore perché nessun posto per lei era meglio delle sue braccia.
 “Gli ho risposto a quel villano:…”
 Kenia ne aveva parlato a Betty.
 “Dammi un ago e ti infilzerò, così sarò di nuovo con lui.” sussurrava inconsapevole di cosa quelle parole davvero significassero.
 Continuava a sussurrarle mentre tutto diventava difficile, mentre le urla le facevano venire la pelle d’oca più del freddo. Correva mentre il mondo attorno a lei pareva fermarsi.
 E allora piangeva, scoppiava come una tempesta dopo giorni di calma piatta. I piedi freddi sbattevano sulla strada sterrata e lei scappava dalle bancarelle, dal cielo, dai profumi, dai commercianti, dalla musica ma, soprattutto, da quelle voci.
 Si girava intorno guardando disperata ciò che la circondava, incapace di riconoscere quale fosse la strada di casa. La melodia continuava nella sua testa ma le parole mancavano.
 Mancava la memoria per ricordarle, mancava la forza per pensarle, mancava perfino la voce per sussurrarle.
 “Ma la canzone va finita!” le aveva criticato Logan una volta.
“…‘gli aghi pungono la mano’.”
 Kenia lo sussurrò con solo una nota di musica nella voce. Poi cadde a terra sulla strada bagnata di un vicolo, schiena al muro, le guance rigate di lacrime e le mani tra i capelli.
 La testa tartassata da voci che, come aghi, non facevano altro che pungerla e distruggerla.











Adolf's corner.
  
 Ari-bao.
 Sempre lei, sempre un po' fulminata/visionaria/bao. In realtà non so cosa "visionaria" significa, ma suona figo.
 Ari-pubblicizziamo le pandaivols che se lo meritano (Il sangue del vicino è sempre più rosso.)
 Co tutta sta pubblicità mi sento uno sponsor (y) 


 Ariii e Adolf♥

 
  
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