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Autore: Super Mimi_    20/12/2013    6 recensioni
Fanfiction partecipante al contes 'I LOVE YOU, BROTHER!' indetto da EmmaStarr.
“Finalmente a casa.
Dopo mille avventure, promesse urlate con i pugni sollevati al cielo ed isole strane e insidiose, ce l'aveva fatta. Era riuscito a realizzare il suo, il loro sogno.”
[One shot|Portgas D. Ace, Rufy]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace | Coppie: Rufy/Nami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore forum e EFP: Super Mimi_
Fandom: One Piece
Titolo: You'll never be Alone (Arigatou, Otouto)
Rating: Verde
Personaggi: Portgas D. Ace, Monkey D. Rufy, Nami { RuNami } , Nuovo Personaggio
Pacchetti (e scrivete tutto il contenuto, non il titolo): La storia si deve svolgere in una foresta (salvo eventuali flashback o simili); Believe - Yellowcard
Genere: Lievemente Fluff, Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: One-shot (2207 words); Missing moments; Het
Introduzione:

Finalmente a casa.
Dopo mille avventure, promesse urlate con i pugni sollevati al cielo ed isole strane e insidiose, ce l'aveva fatta. Era riuscito a realizzare il suo, il loro sogno.”
Nda: Salve :D Ho scritto questa shot per il contest 'I LOVE YOU, BROTHER!' Indetto da EmmaStarr ^^
I protagonisti sono i fantastici fratelli D. e ho sfruttato questa occasione per scrivere su questi due batuffolini (?) <33 . Ho amato – e odiato, dipende dai punti di vista T^T – la saga di Marineford perciò ho pensato di raccontare la morte di Ace dal punto di vista di Rufy, immaginandomi un suo ipotetico ritorno, da Re dei Pirati, nella foresta del Monte Corbo.
[RISCHIO SPOILER!] Non ho tenuto conto dei nuovi capitoli del manga, ovvero dell'apparizione di Sabo, perché l'ho scritta un bel po' di tempo fa e ho preferito non fare cambiamenti; inoltre, in questo modo, può leggerla anche chi non è in pari con la trama di OP. [FINE SPOILER!]
Beh, che altro dire? Ringrazio EmmaStarr per aver indetto questa meraviglia di contest e avermi permesso di partecipare; buona lettura! ^^

Disclaimer: One Piece ©1997 Eiichiro Oda

You'll never be Alone

Arigatou, Otouto

Andrà tutto bene
Andrà tutto bene
Andrà tutto bene
Sii forte, credici
Believe - Yeellowcard

Percorse rapidamente il piccolo sentiero che conduceva alla modesta – e decadente – abitazione in legno, l'unica dimora in quella vasta e rigogliosa foresta popolata da animali alquanto feroci.
Voltò il capo verso la porta della casetta, sorridendo: quanti ricordi si celavano dietro quelle quattro mura! Aumentò il passo, dirigendosi verso il folto della vegetazione.
Attraversò gran parte della foresta, passando per i vari sentieri, calpestati innumerevoli volte da due fratelli allegri e spensierati, e ignorando i rami che s'impigliavano e laceravano il mantello nero e le risa che parevano riecheggiare tra le folte chiome degli alberi secolari, testimoni silenziosi di un legame nato quasi per caso.
Quando intravvide i primi spiragli di luce, prese a correre, non riuscendo a reprimere uno dei suoi enormi sorrisi. Schivò con un balzo il tronco di un albero caduto in mezzo al sentiero, atterrando morbidamente sui primi ciuffi d'erba che segnavano la fine della foresta e l'inizio del prato.
Superata anche l'ultima fila di alberi, la luce solare lo avvolse in un caldo abbraccio. Si concesse di ammirare per qualche istante l'orizzonte, dove una sottile linea ondulata segnava il confine tra mare e cielo, e si lasciò cadere mollemente sul tappeto erboso, incrociando le braccia dietro la nuca e beandosi del calore emanato dal sole. Chiuse gli occhi e distese il viso in un'espressione tranquilla; inspirò a pieni polmoni l'odore di salsedine e quello di erba bagnata, lasciandosi accarezzare dalla leggera brezza marina e dagli steli sottili.
Finalmente a casa.
Dopo mille avventure, promesse urlate con i pugni sollevati al cielo ed isole strane e insidiose, ce l'aveva fatta. Era riuscito a realizzare il suo, il loro sogno.
Riaprì lentamente gli occhi, mettendosi seduto e prendendo a studiare il cappello che stringeva avidamente tra le mani. Gli avevano permesso di portalo con sé, lontano da quella collina in cui fluiva il dolore di migliaia di persone. Scrutò con sguardo curioso, come se fosse la prima volta in cui lo ebbe visto, ogni particolare impresso sulla stoffa arancione; ne accarezzò il tessuto lacero, il cordino rosso, ormai logoro, e le faccine cucite sopra la tesa. Aumentò maggiormente la presa: il cappello di Ace, del suo fratellone.
Ormai erano passati anni da quel maledetto giorno, ma ricordare faceva ancora troppo male. Credeva che, con il passare del tempo, sarebbe riuscito a dimenticare, ma tutto ciò che aveva veramente ottenuto o, per meglio dire, perso era un pezzo di sé; quella parte che raccontava di una promessa, la più importante della sua vita.
Ascolta Rufy, io non morirò mai!”
Una frase urlata all'orizzonte terso; cinque parole che, per Rufy, erano una certezza, una promessa mai ripetuta, ma sempre ricordata.
Le dita si strinsero convulsamente attorno alla tesa, mentre gli occhi si velavano di lacrime, neppure credeva di averne altre da versare.
«Ci sono riuscito, Ace, sono diventato il Re dei pirati.», biascicò.
Il cuore accelerò i suoi battiti e il respiro si mozzò, combattendo per risalire lungo la gola. Strizzò gli occhi, mentre i pensieri volavano a un torrido pomeriggio di estate.

*

Percepiva il caldo afoso soffocarlo, vietargli l'ossigeno, e il sapore ferruginoso del sangue bruciare sul palato. Inspirò ed espirò, avvertendo la cenere e il fumo entrargli nelle narici e far lacrimare gli occhi, sbarrati e fissi sul pugno infuocato del nemico.
Tutto ciò, però, venne bellamente ignorato nell'esatto istante in cui una figura dinanzi lui si accasciò al suolo. La afferrò quasi al volo, spinto da un istinto a lui sconosciuto.
Ace era stato colpito.
Questo era riuscito a realizzare dal momento in cui il magma dell'Ammiraglio ustionò la pelle del maggiore, la collana si spezzò, lasciando schiantare le sue perle scarlatte al suolo, e un grumo di sangue denso venne sputato dal pirata.
Percepì nuovamente il liquido vermiglio, schifosamente caldo e denso, sgorgare dalle sue ferite e percorrere il suo corpo, scivolando sulla pelle e unendosi al sudore, mentre le forze minacciavano di abbandonarlo.
La guerra era tornata ad esplodere nella sua caotica confusione di grida e spari, di cozzare di metallo ed esplosioni di cannoni; ma questo entrambi non riuscirono a sentirlo o forse solo Rufy.
Ace non sarebbe morto: lui glielo aveva promesso.
Tramutò il pensiero in una sconnessa e cantilenata litania, cercando di convincere il fratello della sacralità di tale promessa, tentando di convincersi a crederci ancora.
«Devi essere forte. Ricordi? Tu non sarai mai solo. – sospirò Pugno di Fuoco, prima di continuare - Andrà tutto bene, Rufy.»
La sua voce, sgusciata dalle labbra aride, era fievole e incrinata, abbandonata dalla sua consueta e solare spavalderia.
La frase si ripeté nella mente del minore, spandendosi in ogni angolo e recesso della sua coscienza; ma ancora pareva priva di significato, vuota. In quella confusione, Rufy se lo chiese: si chiese come potesse andare tutto bene; come potesse fidarsi ancora di lui, dopo aver visto ridurre a un cumulo di cenere crepitante la loro prima e unica promessa.
Eppure, spinto da un desiderio a lui estraneo, si lasciò accarezzare da quel nuovo e irreale giuramento, cullato da due braccia ormai deboli e dallo sciabordio, lontano e indistinto, delle onde marine.
Le parole, pronunciate a stento, del fratello si insinuarono nelle sue membra, tremanti e scosse, regalando uno strano e gelido calore.

“Rufy! Non provare a mangiare il mio pezzo di carne!”
“Ace! Io ho ancora fame!”

Credici, Rufy.
Aumentò la stretta, premendo i polpastrelli sulla ferita del fratello, e gli occhi, velati di lacrime, rilasciarono disperati rivoli d'acqua.

“Rufy, tu sei il mio fratellino debole e piagnucolone, non ti lascerò mai solo.”
“Me lo prometti, Ace?”

Credici.
Boccheggiò, come se respirare fosse impossibile, reprimendo uno, due singhiozzi, e ascoltò i sussurri che vacillavano sulle labbra del maggiore: il suo Addio.
Scosse il capo, lo chiamò, cercò il suo sguardo, incapace di sopportare tanto dolore; ma ogni gesto, pensiero, ricordo venne afferrato e trattenuto da quel 'Grazie' dal sapore amaro delle lacrime ed eterno di un sorriso.
Il peso del corpo orrendamente freddo del fratello – e in quell'istante, tra i mille pensieri e ricordi che affollavano la sua mente, si chiese come potesse il fuoco essere così gelido - si fece insostenibile e questi si riversò al suolo, con il suo carico di disperazione e cruda realtà.
Nonostante la guerra avvolgesse il campo di battaglia, Ace e Rufy stesso, Cappello di Paglia rimase immobile. Gli occhi sbarrati e increduli si perdevano nell'orizzonte dalle sfumature grigie, la bocca rimase spalancata; nessun suono, però, ne uscì. L'unico rumore che le sue orecchie riuscirono a captare fu il sordo battere del suo cuore, ogni rimbombo squassava la sua gabbia toracica, ma, quando il suo sguardo cadde sul corpo inerme di Ace, nel suo petto risuonò un cupo silenzio. Scrutò i lineamenti rilassati del suo viso, colorati da quel sorriso fanciullesco – quanto gli era mancato vederlo sorridere, ridere insieme, come due fratelli – che costituiva l'unica nota cristallina e tintinnante nella lugubre angoscia della piazza di Marineford. Si guardò le mani, sporche del suo sangue e di quello del maggiore, pregando una qualunque divinità che fosse solamente un orrendo incubo.
Le lacrime gli inondarono il viso, prepotenti e invano trattenute, più per ostinazione che per orgoglio, regalandogli una sorta di sollievo, anteposto alla sofferenza che dilaniava le sue membra.
Ace era morto, per davvero.
Serrò le palpebre e si portò le mani alle orecchie, nell'inutile tentativo di ignorare ciò che lo circondava per paura di venire infetto da quella brutale verità, maligna responsabile della sua morte.
Dondolò il capo, come quando era un bambino, ma non c'era più Ace a consolarlo e picchiarlo per 'quegli inutili piagnistei'.
La loro promessa era stata schiacciata e bruciata, piegata alla volontà di un'uniforme bianca, simbolo di Giustizia.
“Andrà tutto bene, Rufy.”
Alzò il capo al cielo, lasciandosi sferzare da un'ultima folata di vento, e le lacrime si placarono, asciugate da uno strano torpore, diffusosi in tutto il corpo, a cui, privo di forze, si abbandonò.

*

Piccole gocce d'acqua salata picchiettarono sulla tesa del cappello arancio, penetrando nella stoffa. Tutto ciò che gli restava del fratello era quel tesoro che stringeva avido tra le dita e una promessa, rinata e impiegabile.
“Andrà tutto bene, Rufy.” Si era disperato, interrogandosi sul significato di quelle poche parole, obbligandosi a crederci ancora una volta; ma troppo stanco e sofferente per farlo realmente.
Ciò che temeva più al mondo si era avverato: era rimasto solo, senza più alcuna famiglia né una persona capace di proteggerlo e accoglierlo tra le sue braccia.
Dopo la guerra, non aveva trascorso una sola notte senza pensare a quella frase e tormentarsi sul perché ciò fosse accaduto; solo grazie ai suoi Nakama non era impazzito, l'unica ragione che lo aveva aiutato a rialzarsi, e a una strana forza che aveva sentito bruciare nel petto, sotto forma di una calda e famigliare carezza.
La stessa brezza che, da bambino, mentre con Ace fissava l'orizzonte cobalto dal promontorio verdeggiante, aveva accompagnato una melodia dal suono cristallino, intrappolata e racchiusa nella foresta del Monte Corbo.
«Rufy, anche se noi saremo lontani, ricordati che non ti lascerò mai solo, perché noi siamo fratelli
Ancora gli pareva di sentire la voce di Ace pronunciarla.
Una strana sicurezza che lo aveva cullato durante le notti passate ad esplorare il Nuovo Mondo e che lo aveva riportato proprio lì, nel luogo in cui nacquero i loro giuramenti e maturarono i loro sogni.
Sogni mai spenti e realizzati – uno di loro ce l'aveva fatta, anche per gli latri due – e promesse infrante e rinate perché, in fondo, loro erano fratelli.
Si alzò e avanzò verso un albero, dove, tra i suoi rami, si nascondeva una casetta in legno, ormai segnata dal tempo, e sulla cui cima sventolava ancora fiera una bandiera pirata, malridotta e sbiadita. Si avvicinò e prese tra le mani un altro cappello, nero e bruciacchiato: il primo di tre fratelli che aveva sfiorato l'agognata libertà. Se lo portò alle labbra, lasciandogli un fugace bacio, e lo rimise fra le fronde verdeggianti della pianta. Lo stesso fece con il secondo cappello: il primo di tre fratelli che era diventato capitano di una ciurma. Indugiò prima di posarlo sul ramo, ancora restio a lasciarlo.
Si calcò il copricapo di paglia sul capo, oscurandosi il volto, per poi stringerlo tra le mani. Baciò la falda logora del cappello: il primo di tre fratelli ad aver coronato il suo sogno e ad averlo fatto anche per gli altri due. Lo posizionò tra le fronde dell'albero: di nuovo insieme.
Si voltò verso il mare, perdendosi nel suo confuso sciabordio, il richiamo a solcarlo nuovamente, e inspirò, lasciandosi solleticare le narici dall'odore di salsedine. Sorrise, portando le mani al capo, nel suo consueto gesto, per poi ridacchiare quando le dita sfiorarono le punte dei capelli, anziché le pagliuzze del copricapo.
Sentiva un strana e nostalgica felicità abbracciarlo, come se una parte di lui ancora corresse, armata di bastone e ingenuità, per la foresta del Monte Corbo. Sospirò.
«Papà, papà!»
Si voltò a scrutare la piccola figura sbucare dalla fitta vegetazione. Il bambino dalla capigliatura arruffata e corvina si fermò davanti a lui, regalandogli un enorme sorriso. Rufy ridacchiò, scompigliandogli i capelli, e lo prese in braccio.
«Ti piace, Ace?», si voltò, per mostrare al figlioletto il panorama.
Il moretto ammutolì, fissando il paesaggio con occhi sognanti e illuminati da una luce al pirata molto famigliare, che lo fece ridacchiare nuovamente.
«Dove hai lasciato la mam-», venne, però, interrotto dalla figura che sbucò dall'ultima fila di piante.
«Eccovi qua! Potevate aiutarmi o devo forse ricordarvi che la signora qui presente – e si puntò l'indice al petto - ha un peso in più da trasportare?!»
Entrambi i mori strizzarono gli occhi, spaventati, al suono minaccioso della voce della donna; si voltarono, mostrando un'espressione dispiaciuta.
«Scusaci.», si grattarono la nuca, con lo sguardo basso.
Nami, ormai dinanzi loro, li squadrò da capo a piedi, portandosi le mani ai fianchi e picchiettando un piede al suolo, per poi distendere il viso in un sorriso divertito, a causa delle espressioni dei due.
«Su, forza! Sono proprio curiosa di vedere questo posto di cui tanto parli!», esclamò, avvicinandosi maggiormente al limitare della scogliera.
Presto venne raggiunta dal bambino, che le abbracciò una gamba, e da Rufy, che cinse entrambi, posando una mano sul ventre gonfio della moglie, accarezzandolo.
«Papà, perché il tuo cappello è su quell'albero?», domandò il bambino.
«È andato a far compagnia ai suoi fratelli!», rispose, mantenendo lo sguardo fisso all'orizzonte, per poi baciare delicatamente una gota della moglie e sorridere felice.

“Andrà tutto bene, Rufy.” Ed era vero, ora ci credeva.
Una folata di vento, più forte delle precedenti, gli sferzò i capelli, scompigliandoli e facendolo ridere, felice. Loro erano fratelli, ed Ace non lo avrebbe mai lasciato solo.

“Diventerò il capitano di una ciurma di pirati e navigherò per ogni mare... Saremo liberi.”
“Sì!”

Il ramo che custodiva i tre cappelli si mosse, scrollando le sue foglie.
«Ciao, fratellone.»
Una carezza, un addio e una promessa mantenuta: lui non era più solo, aveva una famiglia con cui trascorrere il resto della propria vita e un fratello che mai avrebbe smesso di vegliare su di lui.

“Rufy...”

Andava tutto bene, lo sapeva.

“Grazie.”

 

  
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