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Autore: reve99    22/12/2013    0 recensioni
forse non piacerà ai miei lettori questa storia, ma vorrei ugualmente pubblicarla. narra la storia di un giovane che vive in una bolla perfetta di tranquillità, senza conoscere il mondo. la domanda di un suo amico: "Perché esiste la morte?" gli farà cambiare completamente prospettiva, farà esplodere quella bolla, inserendo Richard nel mondo. Richard si rifugia nella solitudine per trovare la soluzione a tutti i grandi quesiti dell'universo, dimenticando i rapporti umani e le emozioni. diventerà un uomo freddo e cupo che si rifiuterà addirittura di chinarsi al capezzale di suo padre morente. ma una persona entrerà nella sua vita per riuscire a cambiarlo...
dal testo
"Che senso ha la sofferenza?"
"La sofferenza serve a gustare la gioia."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~~Richard era un giovane tranquillo, uno di quei ragazzi d’oro dal sorriso timido e il cuore grande. Uno di quei ragazzi che dice tutto nel silenzio, un ragazzo simpatico, spensierato, dopotutto. Passarono gli anni e il ragazzo crebbe e con lui anche le preoccupazioni, i dolori, le domande. Egli viveva spensierato, rinchiuso nel suo mondo magico e lontano, nella sua utopia perfetta senza pensare al passato o al futuro, cercando di vivere per come possibile, con ciò che gli era stato dato dal destino, senza cercare di riscattare in nessun modo la sua vita che tutto sommato non era così male. Aveva un amico in particolare, un certo John. Un tipo alla buona anche lui, solo molto più travolto da quelle onde nel mare della vita, da quelle pieghe rugose sul piano del destino, come le chiamiamo spesso: sofferenze. Un giorno dovette assistere ad un funerale di un suo amico, dunque quel tale dal sorriso timido e il cuore grande si trovò ad assistere al funerale dell’amico di un suo amico. Non che pianse molto quell’evento ma gli sembrava di essere più vicino al suo amico, a John. Mentre il sacerdote recitava il suo sermone, con la bara immobile ai suoi piedi, John disse: “Che senso a morire? Perché esiste la vita se poi bisogna morire?” Richard fu preso da un soprassalto, un’angoscia estrema come se la sua bolla fosse scoppiata e lui si trovasse nudo a camminare sul sentiero spinoso del mondo. Proprio non sapeva rispondere a quella frase e neanche aveva mai pensato alla morte o alla vita. Egli viveva perché era. Punto. Non c’era filosofia più schiacciante. Tuttavia quella semplice domanda gli aveva tolto ogni certezza. Quando stava un attimo in silenzio e pensava egli diceva: “Perché vivo, perché esisto? A che cosa servo?” alzava il braccio e pensava: “Perché sto alzando il braccio, che cos’è che mi permette di respirare?” poi pensava ai grandi misteri dell’universo: tutto ero confuso in una nebbia grigia e pesante che annebbiava il suo sguardo e la sua vita. Senza rendersene conto stava creando tra lui e la felicità un muro inossidabile, stava facendo calare la sua vita attraverso il pozzo della ragione e non esisteva cosa che non poteva essere dimostrata nel suo mondo. Si stava consumando, per riuscire a dimostrare i problemi più semplici egli passava giorni e notti, ragionando, calcolando, riflettendo fino a quando non riusciva a soddisfarsi con un’ipotesi traballante e insicura. Ora Richard stava per essere risucchiata in un’altra bolla che lo distanziava dagli altri e senza accorgersene o volerlo, si stava torturando. Frequentava pochi amici e la solitudine lo consolava. Il suo viso era diventato privo di un qualsiasi sapore, precocemente invecchiato e tragicamente vuoto e freddo. Quando qualcuno gli chiedeva: “Perché non sorridi mai? È bello essere felici.” Lui rispondeva cupo e misterioso: “Che senso ha essere felici? Nulla ha senso, tanto vale non essere ne felici ne tristi.” Egli si stava frantumando, mentre i giorni passavano le sue personalità volavano via come polveri invisibili lasciando alla vista di tutti un corpo tremante e un cervello esausto. Ecco cos’era diventato: non più un uomo ma un corpo tremante e un cervello esausto. La sua famiglia si preoccupava molto per la sua salute e i suoi crucci misteriosi, ma lui rifuggiva dal parlare con loro, si rinchiudeva spesso nella sua camera desolata, che aveva fatto spogliare di ogni ricordo ed ogni cosa, per la meditazione personale. Passarono gli anni e il padre si ammalò gravemente. La madre ogni giorno era al suo capezzale, tra lacrime strazianti e capelli strappati, osservava il padre di un pallido color giallastro che tremava e si angosciava. Da tempo Richard non conosceva più il senso della parola “PIANGERE” o “EMOZIONARSI”, le emozioni non potevano esistere dato che non potevano essere dimostrate con qualcosa di palpabile o immaginabile per la mente umana. Egli passava per la casa portata a quello stato di sofferenza angosciante tra la calma e la meditazione, voltando le spalle quando la madre diceva di piangere un po’ per il padre. Richard era stato travolto dalle domande che lo avevano fatto diventare un mostro, un non-uomo, un esempio di razionalità esagerata sinonimo di follia e crudeltà. Arrivò il sacerdote per l’estrema unzione. Il sacerdote di quella città era considerato un uomo sapiente, colto, capace di riportare sulla retta via i malvagi e ridonare speranza alle vittime del dolore. Si chinò sull’uomo sul punto di morte e fatta l’estrema unzione, tra i singhiozzi incessanti della moglie disse: “Dov’è vostro figlio?” la madre, rispose: “è in camera sua, non ha versato una sola lacrima per il padre, si rende conto?” il sacerdote si alzò e andò nella sua camera, che puzzava di chiuso, di angoscia invisibile. Gli disse: “Figliolo, dovrai stare male.” “Come, ha vedere così mio padre così? La vita inizia e finisce, questo è stato dimostrato e le mie lacrime non potranno impedire che questo accada.” “No, figliolo, non per questo… dico non soffrì a non poter soffrire?” “Che senso ha la sofferenza?” “La sofferenza serve a gustare la gioia.” “Che senso la gioia?” “Gioia vuol dire vivere, gioia vuol dire felicità, ed essere felici vuol dire aver trovato qualcosa nella vita.” “Che senso ha vivere?” “Che senso ha vivere? Beh, credo che alcune cose non possano avere un senso, bisogna solo viverle… ecco il senso della vita è viverla.” queste parole Furono come un illuminazione, una meravigliosa rivelazione e tutti quei concetti astratti, quelle terribili manie furono cancellate da quelle parole. Egli corse nella stanza accanto e, riuscendo finalmente a vedere il padre con gli occhi di un figlio, si chinò su di lui e bagnò il suo manto con una lacrima. Fu lì che Richard imparò a vivere.
  
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