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Autore: _Trilly_    22/12/2013    9 recensioni
Trascorse le vacanze estive lontana dall’Argentina con il suo papà, Violetta è pronta ad affrontare un nuovo anno in piena libertà allo Studio 21, ma ritornata a casa, si rende conto che troppe cose sono cambiate: durante il suo periodo di assenza ha capito di non provare più nulla per Thomas, ritornato in Spagna, e di sentire invece la mancanza di Leon, per cui ha scoperto di provare ancora un sentimento molto forte. Quest’ultimo, dopo aver chiuso con lei ha cambiato vita, ritrovandosi ad essere una persona completamente diversa da quella che era. Le vacanze estive hanno cambiato anche Pablo e German, che hanno preso importanti decisioni che li porteranno lontano da Angie, che seppur ferita avrà modo di fare finalmente chiarezza nel suo cuore. Nuovi personaggi nel frattempo giungeranno a Buenos Aires con le loro vicende e con i loro inconfessabili segreti. Ci saranno amici e rivali, nuovi insegnanti e nuovi amori, che movimenteranno la vita nell’accademia più famosa di Buenos Aires e che porteranno dei profondi e irreparabili cambiamenti, tanto che le cose per i nostri amati personaggi non saranno più le stesse…
Leonetta e Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Angie, Diego, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Leon ed io siamo tornati insieme,” annunciò Violetta euforica, raggiungendo Francesca e Camilla a un tavolo al Restò Band. “Sono così felice!”
“È fantastico! Sono contenta per te!” Esclamò Fran, stringendola in un forte abbraccio.
Camilla invece non si mosse. A che gioco stava giocando Violetta? Prima abbracciava Diego, poi si rimetteva con Leon. Che volesse ripetere gli eventi dell’anno prima? Iniziò ad applaudire, tanto che l’italiana e Vilu si voltarono a guardarla, perplesse. “Che ti prende Camilla?”
Lei rise ironicamente. “Complimenti, davvero. Anno nuovo, sempre la solita Violetta. Non ci hai messo molto a trovare il sostituto di Thomas.”
Violetta la fissò, confusa. “Che vuoi dire?”
“L’anno scorso passavi da Leon a Thomas e viceversa. Quest’anno fai lo stesso con Leon e Diego. Ti piace così tanto giocare con i sentimenti delle persone? Forse Ludmilla ha sempre avuto ragione su di te e…”
Sbam! La Castillo, ormai con le lacrime agli occhi, colpì l’amica con un ceffone sulla guancia sinistra, zittendola di colpo. “Non ti permettere mai più.” Lasciò poi il locale di corsa, mentre intorno a loro si era radunata una piccola folla.
Camilla si toccò la guancia colpita, ma non disse nulla. Era convinta al cento per cento di ciò che aveva detto e non se ne pentiva.
“Proprio non capisco che ti prende,” mormorò Francesca, scuotendo il capo. “E voi che avete da guardare? Andatevene!” Aggiunse, rivolgendosi alla folla di curiosi, che si affrettò a dileguarsi. “Mi dici cosa ti è preso?”
“Smettila di difenderla e guarda in faccia la realtà, Francesca! Il lupo perde il pelo ma non il vizio,” sbottò la Torres furiosa, prima di voltarle le spalle e andarsene.
Proprio in quel momento, arrivarono Maxi e Nata che si tenevano per mano e dietro di loro Luca, Lena e Federico. Quest’ultimo rivolse un dolce sorriso a Francesca da dietro le spalle di Luca e lei ricambiò. Ormai stavano insieme, ma ancora non avevano avuto il coraggio di dirlo al gelosissimo fratello della ragazza, in compenso però lo avevano detto a Lena, che dopo l’iniziale delusione, si stava ora sforzando di accettarlo.
“Cos’è successo con Camilla?” Chiese Maxi, confuso.
Francesca scrollò le spalle. “Non ne ho idea. Ha saputo che Violetta e Leon sono tornati insieme e anziché essere felice, l’ha accusata di giocare con i sentimenti di Leon e quelli di Diego.”
“È impazzita,” concluse Luca, Lena invece scosse la testa. “Secondo me le piace uno dei due ed è gelosa perché sono entrambi cotti di Violetta.”
Tutti la fissarono allibiti, poi Federico annuì. “Ora che mi ci fate pensare, l’ho vista diverse volte parlare con Diego.”
“Si,” convenne Nata. “Li ho visti anch’io. Vi ricordate il giorno in cui Gregorio e Jackie stavano per azzuffarsi? Credo che Ludmilla abbia chiesto a Diego se gli piacesse Violetta o Camilla.”
“Fatemi capire,” intervenne Maxi. “State dicendo che a Camilla piace Diego?”
Francesca sospirò. “Questo spiegherebbe perché premeva per far incontrare Leon e Violetta, ma Broadway?”
“Sono a chilometri di distanza e lui non è di certo famoso per essere un fidanzato attento e premuroso. Magari le attenzioni di Diego l’hanno lusingata e…” ipotizzò Lena e gli altri annuirono. “Già, può darsi.”
 
 




Nel frattempo Violetta aveva raggiunto lo Studio. Stava cercando Leon, aveva bisogno di un suo abbraccio. Lui era l’unico in grado di risollevarle il morale. Ben presto, lo trovò accanto agli armadietti in compagnia di Diego, Marco e Andres. Parlavano allegramente e appena la vide, Leon le rivolse un dolce sorriso. Senza pensarci troppo, Violetta corse a gettarsi tra le sue braccia.
“Ehi piccola, tutto bene?” Sussurrò lui, guidandola in un angolo appartato. Lei scosse la testa, seppellendo il volto contro il suo petto. “Ho litigato con Camilla.”
“Perché?” Chiese Leon, accarezzandole i capelli.
La ragazza sollevò lo sguardo, incrociandolo con il suo. “Mi ha vista abbracciare Diego e ora pensa che sia indecisa tra te e lui come in passato lo sono stata con Thomas, ma non è così, io…” s’interruppe, notando che Leon non la stesse più ascoltando. Il ragazzo infatti, si stava avviando verso Diego, che essendo di spalle non se ne era accorto. Preoccupata, Violetta si affrettò a seguirlo.
“Ehi Ramirez, mi spieghi perché hai abbracciato la mia ragazza?” Sbottò Leon, lasciando il moro a bocca aperta. “Prima mi spingi a farci pace e poi ci provi? Lo trovi corretto?”
Diego scosse la testa. “Ma che ti salta in mente? Come puoi pensare che possa provarci con la tua ragazza?”
“E allora perché l’hai abbracciata?” Insistette, fulminandolo con lo sguardo.
“Non è stato lui, sono stata io,” intervenne Violetta, frapponendosi tra i due. “Tu non volevi parlarmi, allora ho chiesto a Diego di aiutarmi e lui ha accettato. Ero su di giri all’idea di poterti finalmente dire ciò che provavo e l’ho abbracciato. Tra di noi non c’è niente, devi credermi.”
Il moro annuì. “Mi stava semplicemente ringraziando, non sai quante volte mi ha detto che ti ama. Sei un imbecille se pensi che io potrei tradirti Vargas,” aggiunse con uno sguardo deluso.
Leon sospirò, prendendosi la testa tra le mani. “Scusatemi, non avrei dovuto dubitare, sono un idiota.”
“No, non è così,” disse Violetta, abbracciandolo. “Sono io che ti ho fatto diventare così sospettoso e sono io quella che deve scusarsi, avrei dovuto dirtelo.”
Il ragazzo la strinse forte a se e al contempo guardò Diego. “Scusami amico, scusa se…”
L’altro annuì. “Tranquillo, lo capisco. Anch’io mi sarei insospettito al tuo posto. A proposito, come lo hai saputo? Voglio dire, eravamo soli e…”
“Camilla,” spiegò Violetta. “Ci ha visti e per questo mi ha accusata di illudere sia te che Leon.”
Diego guardò prima lei e poi Leon, mentre un sorrisetto si faceva strada sul suo volto. “A quanto pare ci avevo visto giusto.” Con quella frase sibillina si allontanò, lasciandoli basiti. “Che avrà voluto dire?”
Leon scosse la testa. “Non ne ho idea. Ho un amico un po’ strambo,” aggiunse divertito.
Lei sorrise, intrecciando le dita dietro al suo collo. “Anche il mio ragazzo lo è,” sussurrò, facendo sfiorare le labbra con le sue. “Ah sì?” Il giovane Vargas sogghignò, baciandola dolcemente. “Oh sì,” disse lei, approfondendo il bacio.
 

 




“Eccomi,” mormorò Leon, raggiungendo Diego dietro un grosso cespuglio nel cortile dello Studio. Nella mano destra stringeva un mazzo di chiavi, tra cui erano piuttosto evidenti dei portachiavi dai colori sgargianti. “Sono della macchina di mia madre,” spiegò, notando lo sguardo divertito dell’amico. “Non si è ancora mosso, vero?”
Diego scosse la testa. “Credo si stia guardando intorno in attesa che esca.” La famosa Audi nera infatti, era ancora parcheggiata davanti all’ingresso dello Studio.
“Qual è il piano?” Chiese Leon, continuando a sbirciare tra le foglie.
“Prima o poi se ne andrà e appena lo farà, lo seguiremo con la macchina di tua madre. Devo scoprire dove vive e che luoghi o persone frequenta.” Diego sembrava tranquillo e controllato, ma il modo in cui le sue unghie artigliavano il terreno lo tradiva. Il moro era preoccupato, ansioso e forse aveva persino paura. Il suo passato e il suo futuro erano legati a quell’uomo, la verità gli avrebbe inevitabilmente cambiato la vita, restava da capire se in bene o in male. Istintivamente, Leon gli poggiò una mano sulla spalla. “Tranquillo, andrà tutto bene.”
Il moro sospirò, lo sguardo ancora fisso nel vuoto. “Una parte di me vuole conoscere la verità, ma l’altra… mi ha venduto e… probabilmente non mi vuole.” La sua voce, sempre così altezzosa e prepotente, ora era tremante, insicura e Leon se ne dispiacque, non lo aveva mai visto così vulnerabile. “Se non gli importasse nulla, non ti starebbe sempre alle costole, no?”
“Leon! Diego! Cosa state facendo?”
I due ragazzi si voltarono di scatto, mentre Violetta correva verso di loro. Pallido come un fantasma, Leon la tirò accanto a lui, tentando di nasconderla il più possibile dietro al cespuglio. “Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di tornare a casa subito dopo le lezioni,” bisbigliò furioso.
“Io non prendo ordini da te e poi ci eravamo promessi che tra di noi non ci sarebbero stati segreti. Che state combinando? Aggiunse, stizzita.
“Stt,” la zittì lui. “Questa cosa non ti riguarda e ora vai a casa.”
Il suo tono era freddo e incolore, ma Violetta non si scompose. “Io non mi muovo finché non mi dici la verità.”  
Leon fece per ribattere, ma Diego lo anticipò. “La vedi quell’Audi? Lì dentro dovrebbe esserci il mio vero padre, che appena nato mi ha venduto a una famiglia in Spagna. Sono giorni che mi segue e ora saremo noi a seguire lui. Voglio delle risposte.”
Violetta si portò una mano alla bocca, sconvolta. “Oh mio Dio, Diego. Tutto questo è orribile e… voglio aiutarti.”
“No!” Sbottò Vargas. “Tu devi starne fuori!”
“Non se ne parla! Non posso far finta di nulla dopo aver saputo una cosa del genere!”
“Vattene, ora! Non permetterò che tu corra alcun rischio!”
“Io non mi muovo da qui!”
Probabilmente avrebbero continuato a litigare se Diego non si fosse intromesso. “Smettetela, maledizione! Se ci scopre, siamo finiti! Restate entrambi, ma state zitti!”
I due annuirono imbarazzati, non aggiungendo più nulla. Trascorse così più di mezz’ora, finché l’Audi non mise in moto e partì.
“Ora!” Diego, Leon e Violetta corsero alla macchina della madre del messicano e si misero all’inseguimento. Leon guidava, mentre Diego teneva d’occhio l’Audi e gli diceva dove andare e Violetta se ne stava allerta sul sedile posteriore. L’adrenalina nel frattempo, scorreva a fiumi nelle loro vene. Mai avrebbero pensato di ritrovarsi a fare un inseguimento, si sentivano tanto i personaggi principali di un thriller.
“GIRA A DESTRA LEON! A DESTRA!” Urlò Diego, gesticolando freneticamente.
Leon lo fece, inserendo la quarta e schiacciando sull’acceleratore. Tra sorpassi e brusche frenate, i ragazzi riuscirono a stare dietro all’Audi, che nel frattempo non accennava a rallentare.
“Ma cosa…?” Borbottò il messicano, imboccando l’autostrada. “Dove diavolo sta andando?”
“Accelera Leon,” disse Violetta. “Si è spostato nella corsia di sinistra.”
Continuarono l’inseguimento con i due fidanzati che si scambiavano la parola di tanto in tanto, mentre Diego era silenzioso e immobile come una statua di cera. Perché l’uomo aveva imboccato l’autostrada? Stava tornando a casa, o la sua destinazione era un’altra?
Dopo una decina di chilometri, l’Audi lasciò l’autostrada e Leon la seguì. Si ritrovarono in un piccolo e desolato quartiere, illuminato solo da qualche lampione, la maggior parte infatti erano fulminati. La strada oltre ad essere buia, era quasi deserta e ai suoi lati si alternavano una serie di palazzine che sembravano reggersi in piedi per miracolo, la vernice era scrostata e le crepe erano piuttosto evidenti.
“Questo posto è orribile,” commentò Violetta, rabbrividendo e gli altri due annuirono. “Mi ricorda i quartieri nei film di Dracula,” aggiunse Diego. “Manca solo lui che ci stacca un’arteria.”
“Non sei divertente Diego,” sbottò Leon, fulminandolo con lo sguardo. Guardò poi Violetta dallo specchietto retrovisore e proseguì. “Se ti succede qualcosa, giuro che ti riporto in vita e poi ti ammazzo. Dovevi stare al sicuro a casa tua.”
Lei sorrise dolcemente. “Non mi succederà nulla finché sarò con te.”  
“Non ci provare, non abbocco a questi trucchetti.” Non poté però evitare di sorridere, proprio non ci riusciva ad avercela con lei, l’amava troppo.
Man mano che avanzavano nel quartiere, esso si faceva sempre più squallido e inquietante. Sui marciapiedi le uniche forme di vita erano i barboni ubriachi e le donne di facili costumi. Queste ultime assumevano pose sconce appena passavano loro accanto. Se Leon e Diego si sforzavano di mantenere il controllo, Violetta non poteva fare a meno di guardarsi intorno e tremare come una foglia. Mai in vita sua aveva avuto più paura.
Ben presto, i palazzi furono sostituiti dagli alberi e davanti ai loro occhi, si estese quella che sembrava una locanda d’altri tempi. Un’insegna scolorita e pericolante, portava incisa la sigla J.D.F. L’Audi parcheggiò nel piccolo parcheggio e Leon fece lo stesso, tenendosi però a debita distanza. Da essa uscì un uomo alto e possente, vestito completamente di nero, che dopo essersi guardato intorno con circospezione, entrò nella locanda.
“Che facciamo adesso?” Chiese Violetta, guardando i due.
“Io entro,” disse prontamente Diego. “Se non torno entro mezz’ora, andatevene.” Fece per aprire la portiera, ma con uno scatto, Leon bloccò le sicure. “Sei pazzo se pensi che ti faccio entrare lì da solo.”
Il moro ruotò gli occhi e sbuffò. “Tu devi stare qui con Violetta, dovete starne fuori. Se vi dovesse succedere qualcosa, non me lo potrei mai perdonare.”
Leon e Violetta si guardarono e annuirono concordi, ormai avevano deciso. Il ragazzo aprì le sicure, poi entrambi uscirono dalla macchina.
“Che fate?” Chiese Diego confuso, imitandoli. “Entrate subito!”
“No,” disse Violetta, stringendo la mano del fidanzato. “Noi veniamo con te.”
“Siamo venuti insieme fin qui e insieme entreremo,” aggiunse Leon, sicuro.
Lo spagnolo li guardò a lungo, quasi sperasse di riuscire solo con lo sguardo a fargli cambiare idea, poi scosse la testa, rassegnato. “Accidenti a voi,” borbottò, così tutti e tre si incamminarono verso la locanda. La porta in legno cigolò rumorosamente quando Diego l’aprì, segno che i cardini ben presto avrebbero ceduto. L’interno era ancora più squallido. Il pavimento era scheggiato in più punti e ricoperto da ben tre strati di polvere. Una decina di tavoli rotondi in ferro battuto, erano disposti nella piccola sala, a cui erano accostate delle sedie anch’esse in ferro e apparentemente instabili. I clienti erano per lo più uomini e dalla puzza che emanavano e dalle risate che sembravano dei latrati, dedussero che dovessero essere ubriachi fradici.
“Andatevene,” sussurrò Diego, guardandosi nervosamente intorno, alla ricerca dell’uomo dell’Audi. “Questo posto non mi piace per niente.”
“Non ce ne andiamo senza di te,” disse Violetta, stringendo più forte la mano di Leon, che annuì. “È inutile che…” Il ragazzo si interruppe di colpo, mentre il suo sguardo si posava sul bancone in fondo alla sala. Esso era ridotto in stato pietoso come tutto il resto e il locandiere vecchio e decrepito, si sposava perfettamente con l’insieme. In ogni caso, la sua attenzione era stata attirata dai due uomini, che sorseggiavano qualcosa da due grossi boccali. Il primo era senza dubbio l’uomo dell’Audi e con la flebile luce all’interno del locale, poté notare che indossasse un completo nero e che avesse la testa completamente rasata. L’uomo accanto a lui era però di spalle, quindi non riusciva a vederlo in volto. Spostò lo sguardo su Diego e Violetta e notò che anche loro guardassero nella medesima direzione.
“Chi diavolo è quell’altro uomo?” Sussurrò Diego pensieroso. “Devo scoprirlo.” Fece solo un passo, poi Leon gli bloccò il polso. “Non puoi andare, ti conoscono e se ti vedono è la fine. Dobbiamo verificare che tipo di persone sono, prima di mostrarti.”
Il moro ruotò gli occhi, liberandosi dalla sua stretta. “E come faccio a verificarlo senza avvicinarmi?”
Il giovane Vargas si guardò intorno, poi trascinò lui e Violetta a un tavolo isolato. “Non ho detto che non ci avvicineremo, ma che non sarai tu a farlo.” Sotto lo sguardò confuso dei due, proseguì. “Ora vado ad ordinare qualcosa e cerco di ascoltare qualche pezzo di conversazione. Voi non muovetevi da qui.”
Diego e Violetta però gli afferrarono i polsi, impedendogli di alzarsi. “No Leon, riguarda me e sono io che devo rischiare, non tu.”
Leon sospirò, colpendo il tavolo con un pugno. “Loro non mi conoscono e quindi non corro alcun rischio. Mi limiterò semplicemente ad ascoltare.”
Diego sbuffò, prendendosi la testa tra le mani, mentre Violetta gli strinse la mano. “Vengo con te.”
“Non se ne parla, tu resti qui con Diego. Niente ma, Violetta,” aggiunse quando lei fece per protestare.
“Leon,” intervenne Diego. “Voi due non c’entrate con tutto questo. Tiratevene fuori finché siete in tempo.”
Leon scosse la testa, prendendo la mano di Violetta e stringendola con quella di Diego. “Ti affido la cosa a cui tengo di più, proteggila finché non torno.” Si alzò, ma prima di proseguire aggiunse: “Sei il mio migliore amico, perciò c’entro eccome.”
Violetta lo guardò allontanarsi, mordendosi nervosamente il labbro. “Accidenti alla sua testardaggine, perché non ha voluto che lo accompagnassi?”
“Tranquilla principessa,” la rassicurò Diego, poggiando la mano sulla sua. “Da qui ho una vista perfetta e se le cose si complicano, sarò pronto ad intervenire. Andrà tutto bene.”
Lei annuì, tirando su col naso. “Lo spero Diego, lo spero.”
Nel frattempo Leon si fece strada tra i tavoli, fino a raggiungere il bancone. Il vecchio e decrepito locandiere, gli venne subito incontro. “Cosa posso servirti ragazzo?”
“Ehm…” iniziò, guardandosi intorno. Cosa poteva ordinare che potesse tenerlo occupato a sufficienza? “Un cocktail bello forte, grazie.”
“So cosa fa per te ragazzo.” Appena si allontanò, Leon fece cadere lo sguardo sui due uomini alla sua destra. Da quella posizione, l’uomo dell’Audi gli dava le spalle, mentre l’altro poteva vederlo perfettamente. Era un uomo sulla sessantina, piuttosto mingherlino. A colpirlo furono i suoi occhi piccoli e neri come il carbone. In essi c’era un senso di sicurezza e fierezza, tipico di quelle persone che si sentono al di sopra delle altre. I suoi capelli erano bianchi con striate di grigio e aveva due grossi baffi del medesimo colore. Indossava un elegante e raffinato completo gessato e sul taschino aveva appuntata una grossa “F” d’oro. Sembrava uno di quei ricchi signorotti d’altri tempi e stonava decisamente in quel luogo squallido e dimenticato da Dio.
“… lo Studio On Beat e la pista di motocross…” stava dicendo l’uomo dell’Audi, mostrando all’altro alcuni fogli. “Vive a casa di un certo Marco Navas, un suo amico allo Studio. Qui c’è l’indirizzo.”
L’anziano uomo annuì, facendo gesto al locandiere di riempigli il bicchiere. Solo allora, Leon notò che avesse al dito un grosso anello d’oro, con incisa la stessa lettera “F”.
“Con chi ha legato oltre che con questo Navas?” La voce del vecchio era bassa e fredda come il ghiaccio e il giovane rabbrividì, mentre fingeva profondo interesse per il bancone sporco e polveroso.
L’altro recuperò un foglio da una cartellina rossa e glielo porse. “Marco Navas, Andres Calipxo, Leon Vargas…” Leon continuò a fare finta di nulla, ma dentro di se avvertiva l’ansia e la paura. Non credeva che avessero informazioni anche su di loro. “Perché il nome di Leon Vargas compare così spesso?” Gracchiò il vecchio.
“A quanto pare sono molto amici, signor Fernandez.”
Il giovane Vargas sbiancò di colpo. Allora ci aveva visto giusto, Fernandez era il vecchio. L’uomo dell’Audi doveva quindi essere una sorta di collaboratore.
Fernandez si toccò pensierosamente i baffi, poi si scolò un sorso del liquido che aveva ordinato. “Procurami la lista degli insegnanti, collaboratori o chiunque altro frequenti lo Studio e continua a tenere d’occhio il ragazzo, non deve scoprire nulla.”
“Sarà fatto signore. A proposito, che mi dice di sua figlia?” Aggiunse l’uomo, guardandolo con una certa ansia.
“Non sa niente e mai lo saprà,” sbottò acidamente Fernandez. “E comunque dovresti pensare al tuo lavoro, anziché fare inutili domande.”
“Lei ha ragione, mi scusi,” balbettò l’altro, che anche se grande e grosso, appariva parecchio intimidito. “Ma ecco… scusi se glielo chiedo, ma cosa vuole farne del ragazzo?”
Fernandez fece per rispondere, ma…
“Ecco qui giovanotto.” Leon sussultò, mentre il locandiere gli metteva sotto il naso il famoso cocktail che aveva ordinato. I due uomini smisero di colpo di parlottare, notando solo in quel momento la sua presenza. Il giovane, comprendendo che ormai non c’era più nulla da fare, pagò il cocktail e si avviò a passo svelto verso il tavolo dove si trovavano dei pallidissimi Diego e Violetta. Prima che potessero chiedergli qualsiasi cosa, sussurrò. “Andiamo via, subito.” Posò il cocktail sul tavolo e i due si affrettarono a seguirlo fuori dalla locanda, senza proferire parola. Evidentemente la sua espressione sconvolta doveva averli portati ad obbedirgli, senza pensare minimamente di protestare.
Quando però giunsero accanto alla macchina, Diego bloccò l’amico per il polso, costringendolo a voltarsi. “Chi dei due è Fernandez? Cosa si sono detti?” Era maledettamente serio e pallido come un cadavere e istintivamente Leon deglutì. “Il vecchio, quello che vedevi di spalle. L’altro è il suo detective o qualcosa di simile. A casa mia ti spiego il resto, me ne voglio andare prima che si faccia troppo buio,” aggiunse, indicando con un cenno Violetta, che li fissava in silenzio, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore.
Il moro annuì, anche se non sembrava molto tranquillo. Fremeva dalla voglia di sapere il resto, tuttavia riconosceva che nemmeno lui ci tenesse a restare in quel posto un secondo di più e per questo entrò in macchina. Leon fece per fare lo stesso, quando notò con la coda dell’occhio che la Castillo fosse ancora immobile accanto alla portiera e che facesse fatica a trattenere l’agitazione. “Ehi,” mormorò, stringendole la mano e sorridendole dolcemente. “Va tutto bene.”
Violetta annuì, abbozzando un sorriso. “Ho bisogno di un tuo abbraccio.”
Leon sorrise, stringendola a se e accarezzandole i capelli. “È finita Vilu, è finita. Ora ce ne andiamo a casa.”
La giovane poggiò la fronte contro la sua e sospirò, guardando poi verso la macchina, più precisamente verso Diego, che sembrava una statua di cera, tanto era rigido. “Quello che devi dirgli non è una cosa positiva, vero?”
Lui si limitò a scrollare le spalle, per poi abbracciarla. “La situazione è più complicata di quanto pensassimo,” le sussurrò all’orecchio. “Devo trovare le parole giuste per dirglielo, il viaggio fino a casa mi serve per questo.”
Violetta annuì comprensiva, poi dopo essersi scambiati un bacio a fior di labbra, raggiunsero lo spagnolo in macchina e si misero in viaggio.
 
 






Dopo due capitoli Leonettosi, eccone uno ad alta tensione! Che ansia mi ha fatto venire il blocco di Fernandez, che finalmente appare di persona. Il fatto che sia avanti con gli anni, fa nascere dei dubbi su quale sia il suo ruolo nella vita di Diego e non solo… l’uomo conosce ogni suo spostamento e sembra parecchio interessato allo Studio e a coloro che ci lavorano, inoltre viene accennata una figlia di Fernandez, che non deve sapere nulla. Le cose si fanno sempre più confuse e inquietanti e per le ipotesi dei personaggi dovremo aspettare il capitolo 21, dove saranno spiegate meglio alcune cose. In tutto questo, una Camilla gelosa accusa Vilu e si becca un ceffone e assistiamo a una scenata di gelosia di Leon, che anche nei momenti di alta tensione, non può nascondere l’amore per la ragazza! Awwwww <3
Mi era stato chiesto di pubblicare un altro capitolo prima delle feste e perciò eccolo qui! Spero che vi sia piaciuto! :) Sono proprio curiosa di conoscere le vostre ipotesi su Fernandez XD
A presto, baci
Trilly <3
 
  
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