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Autore: charliehuter    22/12/2013    0 recensioni
Adesso che era ad un passo dal realizzare il suo sogno non aveva intenzione di lasciarsi abbattere, le incertezze non gli facilitavano sicuramente il cammino, ma nel profondo del suo cuore un barlume di speranza era alimentato dall'audacia e dalla forza di cui disponeva.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Floki, Ragnar Lothbrok
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Il sole era prossimo a tramontare quando Ragnar terminò la cena e finì di fumare la pipa in totale tranquillità.
Girovagò per qualche minuto nelle stanze familiari della casa; avvolto nei suoi pensieri vide la luce del tramonto scolorire poco a poco sui muri e le ombre strisciare fuori dagli angoli: la casa pareva triste e spenta. Lentamente il buio avrebbe inondato tutta la radura. 
Giunto nel piccolo salotto che lasciava intravedere la sala da pranzo, passò davanti al camino già acceso e si accostò alla finestra abbozzando una smorfia infelice. Un dolcissimo sguardo intriso di tristezza si perse al di là dei lucidi vetri: scrutando l’orizzonte, con i gomiti appoggiati sul davanzale e il mento fra le mani, si domandava quale sorte gli avrebbe riservato il destino; sperava in cuor suo di poter fare una buona impressione agli dei e a tempo debito confidava di raggiungere il Vahalla (se mai ci avesse lasciato le penne), ma soprattutto sperava di varcare la soglia della sua umile casa, almeno un’ultima volta. Con il trascorrere degli anni aveva imparato ad apprezzare quella zona della Scandinavia e a godersi la serenità di quel luogo per lui ameno. Adesso che il coraggio e la sete di conoscenza l’avrebbero guidato altrove alla possibile ricerca di nuove terre si sentiva scosso da una moltitudine di emozioni, infastidito da interminabili domande e abbattuto da tutte quelle risposte di cui non intravedeva la minima presenza. Scosse il capo per allontanare i pensieri che sfilavano leggeri e impalpabili davanti a lui e tornò per un breve attimo nella realtà.
Negli ultimi raggi di sole gli alberi autunnali pennellati d’oro e di carminio proiettavano sul terreno lunghe ombre appuntite e sembravano navigare senza radici in un mare di nebbia. Le tenebre erano già penetrate nei boschi d’abeti che rivestivano le falde delle montagne e che si fondevano in lontananza in una sottile  nebbiolina marrone. Catturato dal paesaggio e da quei giochi di colori, si distaccò dalla finestra e, dirigendosi verso l’ingresso, gli venne voglia di uscire in giardino. Arrivato innanzi alla porta in legno, tuttavia, si arrestò lentamente abbassando gli occhi verso terra: lì, su un lato della soglia, si trovavano ammucchiati alcuni fagotti che lui stesso aveva preparato.
Proprio il giorno dopo si sarebbe lasciato alle spalle le quattro mura di quella casa e animato da uno sbiadito senso di speranza avrebbe cambiato la monotonia che caratterizzava la gente del suo popolo. Da qualche anno a quella parte, inoltre, con la fine della bella stagione, strani cavalieri provenienti dall’estero girovagavano spazientiti per quelle terre alla ricerca del suo conto: non ne era pienamente sicuro, ma qualcosa lo spingeva a pensare che fossero uomini al servizio del conte Haraldson, da cui non era ben visto a causa delle sue aspirazioni. Da molto tempo Ragnar sperava di navigare verso occidente alla scoperta di nuove civiltà e adesso che aveva l’occasione di realizzare il suo sogno non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da nessuno, neppure dal governatore locale, anche se questo comportava sfidare un uomo avido e di vedute piuttosto strette per concedere incursioni nell'inesplorato sud-ovest. Adesso che era ad un passo dal realizzare il suo sogno non aveva intenzione di lasciarsi abbattere, le incertezze non gli facilitavano sicuramente il cammino, ma nel profondo del suo cuore un barlume di speranza era alimentato dall’audacia e dalla forza di cui disponeva. Socchiuse lentamente gli occhi e sospirando in modo deciso si trascinò nuovamente verso la tavola da pranzo:  un bicchierino in più gli avrebbe dato lo slancio giusto per iniziare una nuova giornata.
 
Il sole brillava alto nel cielo e la luce dei suoi raggi aveva già inondato la valle. Dovevano essere circa le nove quando Ragnar chiuse alle sue spalle la porta e, dopo essersi caricato delle ultime provviste, aveva lanciato un’ultima occhiata alla sua abitazione: l’aveva scelta per la sua posizione appartata e perché non vi erano altre case nei dintorni. Soddisfatto e con le mani sui fianchi guardava intorno a sé cercando di fissare nella sua mente ogni minimo particolare, consapevole che per lungo tempo non avrebbe rivisto quel piccolo angolo di paradiso che gli era tanto familiare. Alla sua sinistra Floki lo fissava con sguardo divertito e, carico di energia e buoni propositi, aspettava di mettersi in viaggio in compagnia del’amico. La sua figura riusciva ad esprimere vivacità e anche una strana voglia di coinvolgere chi gli stava intorno nelle sue improvvise risatine. In quel momento era perfino così allegro, che dopo una buffa giravolta, iniziò a canticchiare nelle orecchie del compagno.
- Per Freyr e tutti gli dei, di questo passo arriveremo con un ritardo spaventoso -.
Ragnar gli diede una pacca sulla spalla, spingendolo bonariamente all'indietro.  - Quindi dove pensi che ci manderà lo jarl quest’anno? -.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo, dopodiché scoppiarono a ridere.

Dopo essersi dati l'ennesima pacca sulle spalle e una rapida stretta di mano, presero il sentiero che portava al villaggio e, una volta arrivati, da lì si sarebbero avventurati verso luoghi per ora a loro sconosciuti. Sulla costa, in una zona che non dava troppo nell’occhio, sarebbero salpati verso ovest con una dozzina di amici e compagni, uomini impavidi che come loro si erano allontanati dai soliti ordini del conte ed erano andati contro il suo volere. L’imbarcazione con cui avrebbero solcato il mare era stata ideata dallo stesso Floki e ciò, in parte, contribuì a renderlo ancora più impaziente di partire. Era sicuramente uno dei migliori artigiani del villaggio e Ragnar aveva sempre ammirato l’abilità con cui costruiva le navi: conosceva a memoria la valle e sapeva dire, a occhi chiusi, come fossero disposti gli alberi e che tipo di alberi fossero; conosceva i boschi meglio degli scoiattoli, la brughiera meglio dei caprioli e le spiagge e gli scogli lontani non avevano segreti per lui, tanto meno i fiumi, i laghi e i ruscelli. Grazie alla sua nave si sarebbero spinti lontano, là dove nessun uomo si era ancora inoltrato; questa volta sarebbero andati a ovest e non più a est, verso quelle terre in cui si erano sempre diretti per ordine di Haraldson .
Nella luce della limpida mattina gli uccelli cantavano e tutto era immerso nella calma e nella pace. Intorno a loro si estendevano immensi boschi di alberi resinosi, abeti, cedri e cipressi. Mentre camminavano, sfiorando erbe e cespugli, deliziosi profumi si diffondevano nell’aria: d’un tratto Ragnar rise, non perché volesse scherzare, ma perché si sentiva felice.
- Odino ha donato il suo occhio per ottenere la conoscenza, ma io donerei molto di più -.
 
Erano più o meno le undici quando giunsero al villaggio: mentre si dirigevano verso la costa provavano l’irritante sensazione di essere osservati, ma nessuno in realtà si faceva strani pensieri su di loro. Guardandosi attorno non riuscivano a scorgere niente di insolito e questo li tranquillizzava abbastanza. Il cammino era stato lungo e abbastanza estenuante, ma i loro cuori si rincorarono quando udirono il suono dell’acqua e le voci dei loro compagni. Gli uomini li stavano attendendo davanti all’imbarcazione, già del tutto allestita e pronta a salpare. Non appena li videro arrivare un solo grido di gioia irruppe nell’aria e un sorriso di immensa allegria comparve sul volto di ognuno. Niente era fuori posto: potevano andare ad ovest.
 
Capelli lunghi e unti gli penzolavano sugli occhi, le mani gli coprivano il volto e il cuore era ancora sporco di quel sogno che s’imponeva di realizzare prima di sognare tutt’altro: Ragnar navigava da giorni in mare aperto e l’azzurro interminabile dell’acqua lo stava lentamente uccidendo di rabbia. Il tempo nel resto del mondo era ancora bello e il vento continuava a soffiare, ma nulla riusciva ad allontanare il fitto strato di nebbia che divorava il vuoto circostante. Nessuna landa di terra si stagliava all’orizzonte e gli uomini stavano ormai perdendo la speranza: di questo passo sarebbero tornati a casa a mani vuote. L’unica cosa che si riusciva pian piano ad intravedere era il colore poco rassicurante delle nuvole che cominciavano ad apparire lontano: pareva che minacciasse di piovere.
- Libera i corvi, prima che sia troppo tardi - disse Ragnar rivolgendosi a uno dei compagni.
 
Avevano perso la cognizione del tempo. A tutti sembrava che fossero passati mesi, se non anni, da quando avevano messo piede su quella nave: non riuscivano più ad andare avanti. Floki si strofinava le mani e il suo alito disegnava piccole nuvole a contatto con l’aria gelida; Ragnar sembrava assente e fissava il vuoto, probabilmente rassegnato. 
Un paio di ali vibrarono improvvisamente nell’aria. Ragnar non ne fu molto convinto, ma come rianimato da una scarica elettrica, tese le orecchie e socchiuse gli occhi. Sentì nuovamente un debole battito di ali provenire dall’alto e alcuni strilli rauchi di uccelli marini..

- Gabbiani!! - gridò in preda all’euforia.

Con immenso stupore si sentirono tutti riappropriare della loro vita e liberare dalla malinconia che li aveva tenuti prigionieri così tanto a lungo. Un grido si levò in cielo e fissando l’orizzonte ancora avvolto nella nebbia intravidero veramente qualcosa: ce l’avevano fatta. Quella era l’ Inghilterra e non si trattava di un’allucinazione, gli dei non gli stavano tendendo nessuna avversità e la stanchezza che li affliggeva non si stava prendendo gioco di loro: tutto ciò era reale.
- Ricordatevi da dove siamo salpati - mormorò Ragnar divertito.
Risero tutti e si strinsero in un caloroso abbraccio di gruppo.




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Sessanta righe asimmetriche di una scadente normanna. Skål!
  
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