Il
villaggio riposava placidamente nel tepore delle notti pre-primaverili. Sopra di
esso una spessa coltre di nubi spente precludeva alle stelle la possibilità di
rischiarare il cielo con la loro luce. Fino a quel momento l’unico suono
percepibile era stato il lieve soffiare del vento attraverso i cespugli
verdeggianti che accompagnava il valzer delle lucciole serali.
Fino a
quel momento.
Attenzione. Rilevata anomalia nei motori
centrali. Attenzione. Rilevata anomalia nei motori centrali. Attenzione.
Rilevata anomalia––
Digitò
rapidamente sulla spessa tastiera alcuni codici, osservando compiaciuto il
risultato sull’imponente schermo di fronte a lui. A seguito della successione di
caratteri verdognoli che comparivano in sfilata compatta ai suoi ordini, il
messaggio comunicato dall’altoparlante cambiò.
Attenzione. Il motore sinistro risulta fuori
uso. Prepararsi a un atterraggio di emergenza.
Un
rumore secco annunciò che la porta dal lato opposto della sala di controllo era
stata sfondata. « La cosa si fa intrigante » mormorò divertito mentre, composte
ma non inviate le ultime istruzioni, con un impulso delle sue gambe ruotò la
sedia girevole fino a posizionarsi faccia a faccia con il suo avversario. Un
uomo dai folti capelli rossi, attorniato da due o tre guardaspalle e diversi
Houndoom ringhianti, lo scrutò con sguardo grave.
« Ah,
Clipse! Che piacere rivederla! ».
« Non
ti muovere » gli intimò. Intorno a loro scintille sfavillavano a fiocchi dai
condotti metallici della stanza, aizzando ulteriormente i Pokémon intimoriti.
Incurante dell’imposizione appena ricevuta, l’uomo si alzò in piedi e con un
leggero calcio fece sdrucciolare la poltroncina su un lato, rimanendo affiancato
al prompt dei comandi « Su, su, siamo gentiluomini, non serve essere così
violenti! ».
«
Allontanati subito dalla tastiera, Bellocchio ».
« Ah,
beh, mi piacerebbe. Ma vede, devo insistere e restare qui, altrimenti mandereste
in fumo il mio lavoro ».
« Non
ti permetterò di distruggere anche l’altro motore ».
Il
giovane rise rumorosamente « Ah! Sia serio, Clipse, che vantaggio trarrei dal
fare cadere questo ferrovecchio? Ci rimarrei secco anche io! ». Detto ciò
accennò a un ghigno prima di calcare con un atto fulmineo il tasto di invio e
afferrare con l’altra mano il volante, ruotandolo di un angolo piatto. In
risposta l’aeronave si capovolse, cogliendo tutti meno che Bellocchio di
sorpresa e facendo perdere l’equilibrio ai presenti.
Quest’ultimo, appena ripresosi dalla manovra effettuata, premette un pulsante
dell’orologio che portava al polso, rivolgendo subito dopo gli occhi ai suoi
avversari: di essi il solo Clipse e un paio di Houndoom non avevano perso i
sensi. Contemporaneamente dal soffitto ora collocato sotto i loro piedi si aprì
uno sportello a scorrimento di ampie dimensioni, forse cinque metri quadri,
lasciando penetrare una brutale corrente indotta dalla differenza tra pressione
esterna e interna.
Bellocchio controllò nuovamente l’orologio e le nubi visibili attraverso
l’apertura. « Beh, a quanto pare ci dobbiamo salutare di nuovo, amico mio. Ah, a
proposito, i laboratori Delta e Omega sono già andati a fuoco, quindi non le
suggerisco di rischiare la vita per recuperarli. Buon atterraggio! ».
«
Lanciafiamme! » ruggì l’uomo,
indicando con le ultime forze residue l’uscita prodotta dal suo nemico perché
Houndoom sapesse dove mirare.
Una
Yanmega, apparsa da sotto le nuvole proprio durante il salto del giovane,
intercettò l’attacco subendolo personalmente, procedendo quindi nel suo
individuale viaggio aereo. La nave proseguì invece il proprio, superando il
paesello e inoltrandosi tra le imponenti catene montuose a sud.
Clipse
batté con violenza il pugno contro il rigido metallo sottostante, in preda
all’ennesimo sconforto. Aveva vinto Bellocchio. Aveva
di nuovo vinto Bellocchio.
Episodio 1x01
Bellocchio
chi?
Serena
aprì gli occhi. Un sobrio lampadario quadrangolare pendeva qualche metro sopra
di lei, spento come l’aveva lasciato poche ore prima quando aveva deciso di
provare a dormire. Oltre esso solo il soffitto scuro della sua camera da letto.
Si
drizzò seduta e appoggiò la schiena alla sua fidata coppia di cuscini. Rivolse
rapidamente lo sguardo a destra, posandolo su un bicchiere vuoto che aveva
accolto svariate dosi di latte e miele, fin da quando era piccola l’unico
toccasana che conosceva per l’insonnia. Sua madre lo preparava sempre, e sempre
aveva funzionato.
Fino ad
allora, quantomeno. Da due giorni persino la sua antica arma segreta aveva
cessato di avere la minima utilità, abbandonandola a una veglia snervante e
ininterrotta. Forse era lei a non saperlo preparare, si ritrovava a pensare; e
l’assenza della madre la rendeva ancora più intrattabile, sentendosi tradita
dalla persona a cui più era affezionata.
Dopo
aver lanciato un’occhiata rapida alla finestra scorrevole scese le scale,
arrivando in soggiorno e dirigendosi nel cucinotto. Aprì il frigorifero,
trovandovi però solo cibarie di varia natura e due cartoni di latte che non
voleva aprire visto che il loro gusto, a furia di assumere la bevanda in
illusori tentativi di riposare, aveva iniziato a darle la nausea.
In
preda a un’implacabile sete si accontentò di un bicchiere di liquame di
rubinetto. Liquame perché l’acqua lì
non era un granché, e infatti dopo un sorso la appoggiò sul ripiano disgustata.
Si incamminò quindi verso i gradini quando udì un rimbombo, un’esplosione
ovattata.
D’istinto si precipitò verso il cassetto della mensola più vicina, estraendone
una malandata torcia elettrica; successivamente accorse all’esterno, dove
tuttavia governava il silenzio più totale. A prima vista nessuno si era reso
conto di quel rumore, a parte lei.
D’un
tratto il cielo si illuminò per un breve istante, come se una singola freccia di
fuoco lo avesse perforato, per poi spegnersi nuovamente nell’oscurità notturna.
Serena rimase intontita per diversi minuti a osservare la volta in cerca di un
segno. Poi fece per rientrare, e un altro suono giunse alle sue orecchie.
Questa
volta era decisamente più vicino, e anzi riuscì a identificarne con precisione
la fonte: qualcosa era caduto nei cespugli del giardinetto di casa. La ragazza
si voltò stupita e in buona misura allarmata, dato che non aveva intravisto
nulla precipitare negli attimi precedenti.
«
S… ».
Quella
voce la fece sobbalzare mentre inconsapevolmente puntava il suo fascio di luce
portatile verso l’origine. « C-chi va là? ».
«
S… ».
«
Guarda c-che sono… » Serena squadrò lesta la torcia, poi proseguì senza molta
convinzione « … s-sono armata! Dimmi
chi sei! ». Nel frattempo, mosse lentamente qualche passo timoroso in avanti.
Dai
cespugli capitombolò fuori un corpo, accompagnato da un’esclamazione soffocata
della giovane che fece cadere la pila elettrica a terra.
«
Sete… ».
Serena
lo osservò attentamente: era un uomo tra i venticinque e i trent’anni, vestito
con una camicia celeste ridotta alquanto male e dei jeans celesti slavati.
Sembrava prossimo al trapasso, nonché per qualche poco intuibile ragione
affannato.
« Che
ti è successo? Aspetta, ti aiuto ad alzarti ».
« Sete…
Acqua, per favore… » ripeté lui, facendo segno con la mano di non avvicinarsi.
Solo allora i due si resero conto, con diverse reazioni interiori, che il dorso
stava sanguinando per una ferita superficiale.
Lo
spirito di cameratismo di Serena prese il sopravvento: scomparve per qualche
minuto all’interno della casa per poi tornare con un bicchiere ricolmo di quanto
aveva raccolto dal rubinetto. L’uomo lo afferrò e lo trangugiò d’un sorso, salvo
sputare tutto per terra con un volto al limite del ripugnato e una sorprendente
energia per uno che fino a un secondo prima era parso in fin di vita «
Bleah! Cos’è questo, veleno? ».
« È
acqua… Sì, non è granché, ma… ».
« Non
ti aspetterai che la beva! Non sono così
disperato! ».
Seccata
e sbalordita la giovane rientrò ed esaminò le alternative mentre rifletteva su
ciò che stava facendo. Chiunque fosse quell’uomo, bere non doveva essere il suo
problema primario: sarebbe stato più opportuno chiamare un’ambulanza, o meglio
ancora fornire ella stessa un primo soccorso. In seconda battuta, in effetti,
quell’individuo aveva rifiutato l’acqua che gli aveva offerto, quindi forse non
era messo tanto male. Probabilmente la scelta migliore era quella: fare ciò che
le chiedeva. Dopo? Beh, qualcosa le sarebbe venuto in mente.
Dopo un
po’ di rimuginare optò per il suo latte e miele, uscendo dunque con in mano il
drink fumante di forno. Titubante lo offrì al misterioso personaggio, che come
prima lo ingerì tutto d’un fiato, stavolta senza rigettare nulla.
Al
contrario con uno scatto fulmineo si alzò in piedi allegro e tonificato,
suscitando nell’astante un moto di sorpresa non indifferente. Era poco più alto
di lei, pur essendo sicuramente di età ben maggiore. «
Wow! Questo sì che è intrigante! Cos’è? ».
« Latte
e miele… Mi aiuta a dormire ».
« È
spettacolare! Posso averne dell’altro? ».
« Uhm…
S-sì, non vedo perché no… » balbettò Serena, rendendosi però conto di stare
parlando al vuoto: dopo il primo monosillabo pronunciato il nuovo arrivato si
era fiondato all’interno dell’abitazione senza proferire altro.
La
ragazza lo guardò pigramente sorseggiare il suo sesto bicchiere in appena dieci
minuti, anche se presumibilmente avrebbe impiegato anche meno se non fosse stato
limitato dai fisiologici tempi del microonde. Non sembrava più così moribondo, e
anche il taglio che aveva notato prima ora non stillava più sangue. Certo non era
il ritratto della salute, questo no: portava segni di escoriazioni su quasi ogni
lembo di pelle esposto, il suo vestiario era un mosaico di brandelli e grondava
sudore; però l’ambulanza sembrava non essere più necessaria.
Notò
che il bicchiere che aveva in mano in quel momento si stava svuotando più
lentamente degli altri, segno che forse poteva iniziare a intavolare un dialogo.
« Da quanto non bevevi? ».
Il
giovane interruppe per un secondo il rinfresco, sistemando la riga dei capelli a
destra « Oh, non è quello, ma vengo da un posto caldo ».
« Già,
da dove vieni? ».
«
Un’aeronave. Beh, un’aeronave in fiamme, in effetti. Bella esperienza, ma non la
rifarei ».
«
Aspetta, aspetta, che intendi? Eri su un’aeronave
adesso? ».
« Sì ».
« E sei
caduto? ».
« In
realtà mi sono buttato. È una lunga storia ».
La
ragazza ricordò la scia rosseggiante nella volta celeste, e immaginò che doveva
trattarsi proprio del velivolo nominato dal suo interlocutore. Ciò non
significava che la storia fosse credibile: punto primo, che un dirigibile o
qualcosa di simile si fosse trovato casualmente nel cielo sopra il villaggio era
fuori da ogni logica, visto che non vi erano rotte aeree in quel punto; punto
secondo, se davvero si era buttato come diceva ora non sarebbe stato più spesso
di un pancake. Decise comunque di concedergli il beneficio del dubbio. « E come
diamine hai fatto a sopravvivere? ».
« Oh,
mi ha trasportato–– » quello batté la mano sulla testa, come chi ha
improvvisamente rammentato una questione fondamentale «
Sheila! ». Senza nemmeno terminare il bicchiere si alzò e volò
all’esterno, scrutando poi i dintorni.
Serena
lo inseguì senza comprendere il motivo di un tale repentino cambiamento d’umore
« Sheila? ».
« Il
mio Yanmega, dannazione! È venuto giù con me! » strepitò mentre alzava l’indice
per individuare la direzione del vento. Stabilitala con sommaria esattezza tornò
a Serena « Okay, io vado a cercarlo. Tu aspettami qui e… Ah, tienimi in caldo il
latte, che quando torno lo finisco! ».
«
Aspetta, aspetta, aspetta! » esclamò
lei trattenendolo per la camicia « Stammi bene a sentire, tu non vieni in casa
mia a sbafare il
mio latte e miele e poi te ne vai a spasso così, senza criterio!
Quindi ora io
vengo con te! ».
« Sei
in pigiama! ».
« Non è
un pigiama, è una… » Serena si rivolse
uno sguardo approssimativo « … tuta ».
Seguì
un lungo silenzio imbarazzante.
« Okay,
è un pigiama ».
Estenuato, l’uomo si rassegnò « Va bene, va bene. Regole per andare in giro con
me: uno, niente domande stupide; due, niente iniziative; tre, fai tutto ciò che
ti dico. Intesi? ».
Dopodiché prese a incamminarsi con decisione verso un boschetto a sud della
dimora, con Serena al piccolo trotto dietro di lui.
« Ehi,
non mi hai detto come ti chiami! ».
«
Bellocchio ».
La
ragazza trattenne una risata. Che nome ridicolo, i suoi genitori un figlio
proprio non dovevano averlo voluto. « Bellocchio chi? ».
«
Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti
chiami davvero così? ».
« Ma
certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Lei
assunse un’espressione stranita. Ripassò a mente le ultime quattro o cinque
battute della conversazione, ma non riuscì a individuare un filo logico. Forse
avrebbe dovuto chiedere spiegazioni, ma il suo interlocutore stava accelerando
il passo e non aveva molto fiato da spendere. « … Beh, il mio nome è Serena ».
« Tanto
piacere, non vedo quanto sia di importanza ora ».
« Mia
mamma mi ha sempre detto che la prima cosa che bisogna fare è presentarsi ».
«
Giusto, tua mamma. Com’è che non l’abbiamo svegliata? ».
« Non è
qui. È a una gara di corsa con Rhyhorn a Luminopoli ».
Come ogni anno in questo periodo, soggiunse internamente Serena. I
suoi obblighi di campionessa plurima del Palio di Luminopoli le imponevano di
partecipare. Ogni tanto aveva la bizzarra idea di invitarla come spettatrice,
dimenticando le ragioni per cui lei non
poteva lasciare casa sua in tali giorni.
«
Frena, frena, frena. Corsa con Rhyhorn?
» domandò confuso Bellocchio.
« Sì…
La gente cavalca i Rhyhorn… e ci fa le corse. Cosa c’è di così assurdo? ».
« Dove
ci troviamo, Serena? ».
La
giovane rispose con orgoglio patriottico « Borgo Bozzetto ».
« Mai
sentito ».
«
Come sarebbe a dire mai–– ».
« Non
siamo a Sinnoh, vero? ».
Nel bel
mezzo della discussione i due entrarono nella boscaglia, dove anche le fioche
illuminazioni stradali del paese cessarono di aiutarli nel loro cammino. Serena
si pentì di non aver portato con sé la sua torcia. « Che cos’è Sinnoh? ».
« Una
regione. Non saprei dirti quanto lontana da qui, ma visto che non la conosci
direi parecchio ».
« Ora
sei nella regione di Kalos ».
«
Kalos… » borbottò Bellocchio tra sé e sé « Chissà dove mi ha portato quel pazzo
di Clipse… ».
Serena
stava finalmente per azzardarsi a chiedere chiarimenti, ma fu interrotta dal
lamentoso verso di un Pokémon lì vicino. Il suo compagno di viaggio lo riconobbe
immediatamente e si lanciò alla sua ricerca, fino a ritrovare l’oggetto
dell’indagine: una mostruosa libellula color verde scuro con un paio di occhi
rossi come il fuoco e lunga circa due metri.
Disgustata la ragazza si ritrasse mentre Bellocchio andava incontro all’ennesimo
mutamento caratteriale della notte: dopo essere passato dal moribondo al
concitato, il suo tono era adesso divenuto più dolce mentre sussurrava
all’orecchio del Pokémon. « Ehi, ehi, ehi… Sei ancora intera? ».
La
creatura esalò un verso a metà tra un guaito e un assenso, un responso che fu
accolto con piacere dal suo proprietario. « Come speravo. Non ti preoccupare, ti
porterò in un Centro il prima possibile ».
« Ecco,
sì, dovrei avvisarti che non ne abbiamo, qui a Borgo Bozzetto ».
« Beh,
io non sarò un esperto in notizie, però questa la classificherei tra le
non buone se sei d’accordo ».
Serena,
fino a quel momento in qualche modo distratta, domandò curiosa « Che le è
successo? ».
« Un
Lanciafiamme. Sull’aeronave hanno tentato di ostacolarmi con degli Houndoom, e
Sheila si è presa il colpo al posto mio ».
«
Sheila? ».
« È il
suo nome ».
« Tu
dai i nomi ai Pokémon? ».
« Tu
no? » ribatté il giovane « Dà loro un’identità. Il nome che abbiamo dice molto
di noi. E, se mi è concesso, tu hai un nome davvero bello, Serena ».
Lei
emise un risolino compiaciuto. Era andata sempre molto fiera del suo nome.
Comunque di certo non era il tipo a cui le adulazioni facevano dimenticare le
questioni rilevanti, ragion per cui riprese l’interrogatorio informale. « Ehi,
aspetta, perché mai ti avrebbero attaccato su un’aeronave? ».
«
Credimi: meno sai di me, meglio è ». Ogni ulteriore intervento fu troncato da
un’altra smorfia di Yanmega, cui corrispose un sorriso allietato di Bellocchio.
Serena notò che si era voltato, ma impiegò qualche istante a capire che si era
voltato verso di lei.
« Cosa
c’è? ».
« Vuole
che l’accarezzi » spiegò.
«
Come? ».
« Su,
un’Allenatrice come te non sarà spaventata da una Yanmega. Sarebbe
imperdonabile! ».
Serena,
punta nell’orgoglio, si avvicinò alla libellula riservatamente, protendendo la
mano destra. Fece quindi passare il suo palmo sulla verdastra pelle ruvida,
ottenendo in risposta un cenno di felicità frammisto all’espressione di un
pensiero che non era in grado di comprendere.
« Dice
che hai paura… » tradusse Bellocchio.
La
ragazza osservò il suo braccio, rendendosi conto che in effetti stava tremando.
Tentò quindi di giustificarsi « Ah, ma non è… Non è colpa sua… Non sono
abituata, ecco… ».
« … ma
non di lei » proseguì il suo interlocutore, al che il silenzio calò ex novo sul
bosco « Di qualcos’altro. Non è così? ».
Serena,
comprendendo di essere stata colta in flagrante, annuì e indicò con lo sguardo
una zona di Borgo Bozzetto non troppo lontana « Si vede anche da qui ».
« Che
cosa? ».
« La
Maison Darbois » chiarì « Una villa
abbandonata secoli fa. Non ci abita più nessuno, a quanto dicono. Eppure ogni
tanto mi capita di vedere una luce, al piano di sopra… Che si accende e poi si
spegne, tutto in pochissimo tempo ».
« E ti
fa paura? ».
Serena
assunse un’espressione molto più seria di quanto fosse abituata a fare « Non
dormo da due giorni perché si vede dalla finestra di camera mia. Mi terrorizza
».
« E
allora cosa aspettiamo? » esclamò eccitato Bellocchio saltando in piedi. Con
rinnovato dinamismo estrasse una Mega Ball turchina e richiamò Yanmega al suo
interno.
« A
fare cosa? ».
«
Regola numero uno » le rammentò « Cosa potrei mai voler fare? Andremo alla
Maison Darbois! ».
« Cosa?
Ti ho appena detto che mi terrorizza! ».
«
Appunto! Dove sarebbe il divertimento altrimenti? » Bellocchio s’avviò ad ampi
passi nella direzione individuata, voltandosi poi dopo poco « Anche se non mi
spiego come un’Allenatrice possa aver paura di una casa stregata. Ah, a
proposito, hai con te i Pokémon? Oh, senz’altro, nessuno sano di mente andrebbe
in giro la notte senza. Bene, in marcia!
Avec moi! ».
Serena
rimase per diversi istanti a esaminare quell’uomo, riflettendo ancora su come il
suo comportamento e la sua età sembrassero variare a seconda del momento con
avvicendamento impercettibile. Poi, accorgendosi di essere rimasta indietro, si
affrettò a rincorrerlo.
« Ehi,
aspetta! Io sono ancora in pigiama! ».