Fanfic su attori > Cast Merlin
Ricorda la storia  |      
Autore: Aries K    23/12/2013    2 recensioni
Quando Colin si sveglia e vede Bradley, nella sua stanza, circondato da valigie e semi vestito alle cinque e mezzo della mattina del ventiquattro Dicembre, capisce che ha decisamente architettato qualcosa per le loro vacanze. Qualcosa che non si sarebbe mai aspettato...proprio come un Natale che ti cambia la vita.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bradley James, Colin Morgan, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao ragazzi! Questa storia è nata per augurare al fantastico fandom di "Merlin" tanti auguri di buone feste, e spero che questo mio "regalino" possa farvi sorridere. Non voglio rubarvi altro tempo e vi lascio alla lettura -aaah, Bradley e Colin mi hanno preso la mano ed è piuttosto lunghetta c.c - quindi... ancora auguri a tutti voi e buona lettura!



"Il Natale, bambino mio, è l'amore in azione. Ogni volta che amiamo, ogni volta che doniamo, è Natale."
Dale Evans.






E’ la cosa più bella del mondo.
Quel pensiero mi colse di sorpresa, strappandomi un sorriso mentre le mie mani –leggere, timide- accarezzavano i capelli di Bradley, dormiente al mio fianco. Le due di notte erano il momento della giornata che preferivo perché era a quel punto del dì che i miei pensieri correvano liberi, senza filtri da parte mia. E la stanchezza provocata dal mio ultimo spettacolo per ‘Mojo’ non faceva che incoraggiare la disfatta delle mie difese.
Dopo aver arruffato per bene quella massa morbida e bionda mi lasciai scivolare nel torpore del letto, massaggiandomi con distrazione il gomito che aveva dovuto sostenere il peso del mio corpo in una posizione tutt’altro che comoda.
<< Mmm, hai già finito? >> La voce strascicata di Bradley mi fece riaprire gli occhi, proprio nel momento in cui decise di volgersi nella mia direzione. Aveva ancora le palpebre abbassate, un sorriso sornione sulle labbra screpolate e i capelli che mi ero permesso di torturare sparati in ogni direzione, quasi stessero sfidando la forza di gravità.
<< Ma allora sei sveglio >>, commentai con tono scherzosamente accusatorio, << voglia scusarmi sua Maestà per aver interrotto il massaggio reale sul vostro reale cuoio capelluto. >>
Nonostante l’oscurità in cui era avvolta la camera da letto, le ombre giocavano con il viso di Bradley permettendomi di indovinare un sorriso nascere dalle sue labbra. Poi il furbetto aprì l’occhio destro, lasciando la parte sinistra della faccia affondare nella sofficità del cuscino.
<< Che non si ripeta mai più una cosa del genere, Colin Morgan >>, mugugnò e un braccio che non avevo visto arrivare –segno inequivocabile che il sonno stava per avere la meglio sulla mia coscienza- mi avvinghiò, trasportandomi ancora più vicino a Brad. I nostri nasi si sfioravano appena ed ebbi l’impulso di avventarmi su quelle labbra socchiuse, che lasciavano mostrare gli incisivi.
<< Vuoi davvero dormire? >>, sussurrai sentendomi avvampare, non riconoscendomi in quella sfrontatezza. Le due di notte, sono per me, una vera debolezza; mi ritrovai a pensare per poi comprendere che il mio unico tallone d’Achille era vedere Bradley James semi nudo e sprofondato nel letto del mio appartamento di Londra.
Alle due del mattino del ventiquattro Dicembre.
Ad ogni modo, la mia avance gli fece spalancare entrambi gli occhi e sollevare il capo dalla posizione che aveva assunto: da quando stavamo insieme mi rimproverava spesso di quanto, avvolte, mi sentisse freddo e nascosto – com’è che diceva questa testa di fagiolo? Ah sì- nascosto dietro i miei limiti.
Ma Bradley si sbagliava.
Perché io ardevo per lui, e solo perché in confronto alla sua persona passionale e disinvolta ero imparagonabile non significava che non lo amassi o, ancora peggio, che non mi sentissi a mio agio con lui e con la nostra relazione. Relazione che, lasciate che ve lo dica, ha colto di sorpresa me per primo. Quando vestivo i panni di Merlin credevo che quello che avvertivo nei confronti del mio amato collega fosse semplice ed incredibile chimica; un dono che ogni attore desidererebbe possedere con la propria co-star; invece, più passava il tempo –i minuti, i mesi, gli anni- che compresi che la nostra connessione andava ben oltre il campo lavorativo. Ben oltre la mia capacità di comprensione, insomma, ben oltre tutto ciò che credevo di sapere su me stesso e la vita.
Avete capito? E’ con Bradley James che ho conosciuto il mio vero io. Alla fine, la magia l’ha fatta lui.
E ora eccolo nel mio letto, a guardarmi come un papero a cui hanno pestato le zampette.
Oltre ad averlo spennato, concedetemelo.
<< Oh, ecco… beh…Dormiamo .>>
<< D-D-Dormiamo? >>, balbettai, avvampando nel fuoco ardente della vergogna. Non solo la mia sanità mentale mi aveva fatto fare un passo falso, ma ora venivo addirittura…rifiutato.
Bradley dovette scorgere la delusione sul mio viso perché rotolò sul mio corpo, poggiando la fronte contro la mia e imprigionando i miei polsi con le sue grandi mani, piegandomi le braccia al di sopra della testa.
<< Non pensare per nessuna ragione al mondo a quello a cui stai pensando! >>, mormorò, gli occhi blu che sembravano neri, un’espressione così seria a dominarlo che poche volte mi era concesso assistervi; quasi, non mi parve nemmeno lui in quella penombra.
<< Tu non sai a cosa sto pensando .>>, gli risposi, imitando il suo tono di voce per salvare un briciolo d’orgoglio.
Fece un sorrisetto appena abbozzato.
<< Colin, lascia che ti dica che in questo mondo se non ti conosco io, non ti conosce nessuno. Apprezzo la tua iniziativa ma abbiamo bisogno di riposare, per domani. D’accordo? >>
Fece una breve pausa inumidendosi le labbra, dopodiché affondò il viso tra il mio collo e la clavicola, sussurrando:
<< Non pensare nemmeno per un momento che io non ti voglia, perché io ti desidero ogni minuto della mia vita, Col. Non ci ho messo cinque anni per farti capire quanto tu sia importante per me, quanto io ti ami per poi trattarti come una pezza da gettare via a mio piacimento. Non devi considerarti tale, solo… non questa notte. Domani mattina dobbiamo svegliarci presto. >>
Le sue parole mi lasciarono senza fiato per qualche secondo; il principio d’imbarazzo aveva lasciato il posto ad una commozione che avevo sperimentato solo dopo la fine di ogni mio spettacolo, quando la parte ingorda di me bramava applausi e fischi d’apprezzamento.
Commozione e adrenalina, una droga per il mio corpo.
<< E tu non devi pensare che io mi senta come una pezza, perché non è assolutamente così che mi fai sentire, Bradley. Credevo solo di aver…di… la mia solita insicurezza. >>
Sospirò ma, prima che potesse ribattere, lo anticipai:
<< Dovresti rivedere i tuoi termini di paragone, sai? Fanno schifo. >>
Detto ciò mi mossi in modo da farlo rotolare via e con una risata sommessa atterrò sulla sua piazza di letto.
<< Cercherò di rimediare. Buonanotte. >>
Si sporse per stamparmi un bacio sulle labbra e poi mi diede le spalle.
Non so quanto rimasi a fissare la sua schiena nuda, coperta solo a metà dalla coperta. Mi domandai oziosamente se avesse freddo, poi ricordai il calore che aveva quando, poco prima, era su di me. Fissai le sue clavicole sporgenti ed ebbi l’impulso di seguirne la geometria, solo che il buonsenso mi frenò appena in tempo poiché non volevo disturbare ancora il suo sonno.
Morfeo mi stava accompagnando nel proprio mondo quando, un istante prima di cadere tra le sue braccia confortevoli, domandai:
<< Ehy…ma perché dobbiamo svegliarci presto domani? >>
Tuttavia, non penso che Bradley udì la mia voce strascicata –un misto tra un lamento e uno sbadiglio- perché non mi sembrò di aver ricevuto una sua risposta. Con ogni probabilità Bradley era nell’unico luogo in cui io non potevo raggiungerlo: quello dei sogni.
Ma quanto mi sbagliavo, e quanto, ancora, non lo sapevo.


Avete presente quel momento irreale che si vive tra il sonno e la veglia? Quello in cui non si è pienamente coscienti ma abbastanza da captare che, intorno a voi, vi è un movimento?
Perché è proprio così che mi svegliai nella mattina della Vigilia di Natale. Era stato un rumore a farmi destare, seguito da un’altra serie di tintinnii e spostamenti strusciati.
<< Bradley…? >>
Non appena aprii gli occhi Bradley apparve nel mio campo visivo. Era in piedi, sveglissimo e, a giudicare dal suo stato, fresco di doccia. Indossava solo i suoi soliti jeans sbiaditi con la cintura ancora slacciata, intento a rovesciare le maglie di un maglione rosso.
<< Ben svegliato! Ti avrei chiamato giusto tra…mmm…due minuti. >>
<< Che succede… >>
Mi ammutolii quando mi accorsi che dalle fessure della serranda non filtrava nemmeno uno spiraglio di sole, o un qualsiasi tipo di illuminazione che mi facesse intendere che il giorno era appena sorto. No, erano le cinque e mezzo di mattina stando ai numeri che lampeggiano sulla sveglia. E, con un’ennesima stralunata occhiata, presi coscienza di due valigie adagiate sul letto e una, più piccola, a terra.
Balzai in piedi.
<< Stiamo partendo, per caso? >>
<< La tua perspicacia mi fa impazzire. >>, scherzò come suo tipico,<< comunque sì. Abbiamo il volo tra meno di un’ora quindi, fossi in te, mi darei una mossa. >>
Vedendo che rimanevo impalato ai piedi del letto, fece un gesto frenetico con le mani che fuoriuscivano dalle maniche del maglione che stava, nella foga, cercando di indossare.
<< Muoviti. >>
Eseguii l’ordine acciuffando i primi indumenti che mi capitarono sotto mano; scombussolato e ancora con il sonno interrotto a gravarmi sulle spalle mi sistemai alla bell’e meglio. Pensai e ripensai a cosa avesse architettato –mi avrebbe portato in Irlanda dalla mia famiglia? Saremmo tornati nel suo appartamento in America? Avremmo raggiunto qualcuno?- non riuscendo a cogliere nemmeno una delle miliardi di emozioni che percepivo al centro dello stomaco.
L’imprevedibilità di Bradley era un fattore che ancora dovevo far mio.
Una volta percorso il corridoio per accedere al soggiorno, lo trovai poggiato contro la parete con lo sguardo spinto oltre la vetrata della finestra, sconfinante nel cielo ancora spento, la mente in chissà quale luogo remoto. Come spesso accadeva non riuscivo mai a capire se quell’abitudine fosse stata estrapolata da Arthur, o se Bradley avesse dato quell’impronta personale al personaggio. Privarlo di quel momento di intima riflessione mi costò un vago senso di colpa; tuttavia dissi:
<< Sono pronto. Credo. >>
La sua immagine riflessa sulla superficie del vetro mi lasciò intendere un sorriso al limite del compiaciuto; mi raggiunse acciuffandomi per la sciarpa, per poi attirarmi a sé.
<< Una delle cose che mi piace di te è che non sei lento a prepararti. Abbiamo anche del tempo per fare una colazione decente. >>
Quella vicinanza mi permise di scorgere un guizzo di eccitazione nei suoi enormi occhi blu, occhi che, ve lo confesso, non smettevano di farmi vacillare, di mettere in discussione la parte più salda del mio autocontrollo. Per mesi mi trovai a sperare di non dover mai far a meno di quella straordinaria sensazione, un giorno.
<< Non mi dirai dove mi stai portando, vero? >>, borbottai, avvicinandomi alle sue labbra istantaneamente corrucciate in segno di protesta per il mio essere petulante.
<< Lo vedrai tra poco >>, sospirò sfiorando la punta del mio naso con il suo,<< che tu ci creda o meno il viaggio è solo l’antipasto del mio regalo di Natale per te. >>
<< Perché ho la sensazione che mi vergognerò del regalo che io ho comprato per te, in confronto a ciò che hai architettato? >>
Bradley scosse il capo e finalmente azzerò quel poco di distanza che avevamo posto tra noi. Le sue labbra incontrarono le mie, mentre una sua mano guantata mi afferrò per un ciuffo di capelli, quelli che fuoriuscivano dal berretto di lana. Si staccò con straziata lentezza, senza l’accenno di una minima fretta, respirando affannato sul mio volto in fiamme. La sua lingua percosse le mie labbra piene e socchiuse e poi, come se non mi avesse concesso una dose di eccitazione tale da farmi impazzire, mi strattonò per una spalla, dicendo:
<< Tu non puoi saperlo, Colin, ma il vero regalo che potrai farmi sarà la tua reazione al termine di tutto questo. >>


Proprio come aveva calcolato Bradley –nell’euforia generale che ci aveva colto non appena messo piede fuori dall’appartamento- trovammo il tempo di sederci in un bar che scovammo lungo la strada verso l’aeroporto. Consumammo una colazione veloce e silenziosa, esattamente come l’andatura che avevamo optato per arrivare sul ciglio del marciapiede opposto al bar per farci notare da un taxi. Una volta riusciti nel nostro secondo intento, caricammo le valigie e scivolammo nei sedili posteriori.
L’autista era un uomo di mezza età che non appena ci vide ci apostrofò come “Arthur e Merlin di Merlin!” , raccontandoci di come sua figlia –Mercedes, che razza di nome è?- fosse impazzita per noi e per lo show. Bradley lasciò conversare me, lui era troppo occupato a inviare messaggi o rispondere a chiamate che stuzzicarono la mia curiosità. Se non fossi stato certo che quelle telefonate fossero strettamente collegate con ciò che aveva astutamente pianificato, sarebbe stata la mia gelosia ad essere stuzzicata.
Ma questo rimanga fra noi.
Dopo aver autografato un pezzo di carta macchiato di caffè che l’autista ci rifilò assieme al resto, ci dedicammo a tutte le pratiche burocratiche previste per l’imbarco.
Più volte mi sorpresi a fissare Bradley e quel suo sorrisino sghembo che mi lasciava solo immaginare quanto fosse compiaciuto di se stesso per ciò che stava facendo.
<< Perché mi fissi? >> Nel suo tono di voce c’era un’inconfondibile nota narcisistica.
<< Perché non dovrei farlo? >>, ribattei abbozzando un’imitazione del suo ego, << comunque sia, Pierrefonds? Ma cosa… >>
<< Taci, Colin. E rilassati. Sì, la destinazione è quella ma, come già ti ho detto, non è nient’altro che l’antipasto. >>
Perplesso e sempre più smarrito lo seguii lungo lo stretto corridoio dell’aereo, fino ad occupare i nostri posti. Non appena decollammo sentii come un vuoto d’aria impadronirsi del mio stomaco e, no, non era dipeso dalla gravità quanto dall’improvvisa consapevolezza che non riavrei messo piede e a Londra senza sentirmi diverso. Nuovo. Forse, arricchito nell’animo.
E Bradley mi aveva guardato così tanto durante tutto il viaggio che non potetti non confermare quelle sensazioni. Mi passai una mano sul viso, una volta messo piede nel territorio francese, come per controllare se il suo sguardo appassionato e limpido non mi avesse sciupato.
<< Faccio una chiamata e arrivo. >>
<< E’ una scusa per farmi caricare anche i tuoi bagagli? >>
Arrestò la sua camminata e mi guardò con fare teatrale.
<< Come se io potessi schiavizzarti! >> Poi si allontanò ridendo, proprio mentre scuotevo la testa borbottando un sei solo stato il mio bullo per cinque anni sul set, cosa vuoi che sia trascinarmi anche le tue valigie? Cosa che comunque non feci, perché ad aspettarci c’era già un taxista che ci aiutò al limite del servizievole.
Grazie alla mia memora fotografica sapevo dove stavamo andando prima ancora di vedere svettare, oltre una coltre di alberi verdi e una leggera nebbiolina, il tetto dell’Hotel che ci aveva ospitati durante il nostro soggiorno per “Merlin”.
Senza che proferissi parola Bradley disse:
<< Per questo primo Natale post-Merlin mi sembrava giusto tornare dove tutto è iniziato. Dove ho capito che per essere felici bisogna prima di tutto esser onesti con se stessi. >>
L’ultima frase e la cadenza con cui l’aveva accompagnata mi costrinse a voltarmi nella sua direzione e quindi ad incontrare il suo sguardo, che stava anch’esso cercando il mio.
<< E’ giusto così. >>
Mimò con le labbra un silenzioso “ti amo” e io ricambiai stringendogli forte la mano.
Il nostro Natale non era nemmeno iniziato e già sentivo un qualcosa di assolutamente nuovo nascere dentro di me.


Come un patto tra noi, stipulato tacitamente mentre salivamo le scale, non appena varcata la soglia della porta della stanza che già avevamo avuto modo di esplorare, ci avventammo l’uno sull’altro. Avevo le sue mani dappertutto, percepivo ogni mio respiro crescere fino all’agonia per ogni indumento di cui venivo privato; cercavo di fare lo stesso con quelli di Bradley ma il tremore di quell’emozione violenta e inaspettata non mi permetteva altro che soccombere sotto il suo tocco. Ardente, inspiegabile, mio.
<< Ti amo. >> Ricambiai la confessione di qualche minuto fa, ma Bradley mi mise a tacere a furia di baci. << Questo non è il momento per parlare >>, ansimò, conducendomi senza troppi complimenti nella stanza da letto. Non sembrava nemmeno trascorso un anno dall’ultima volta che quella camera ci aveva visto in una situazione analoga; mi sentii parte di un qualcosa di soprannaturale, come se un Colin Morgan fosse rimasto congelato in questo luogo in attesa di rivivere quel momento.
Approdato nel letto, arreso sotto la sua grandezza, le ciocche della sua frangetta mi costrinsero ad abbassare le palpebre e quindi a privarmi della vista del suo viso stravolto dalla passione, di una bellezza enfatizzata. Assolutamente imperdibile.
Sentii il mio corpo vibrare impaziente quando le sue mani mi voltarono per adagiarmi con la pancia contro il materasso. Inarcai la schiena al passaggio umido e gradito dei sui baci. Mi accorsi che anche lui, come me, stava per giungere al limite così lo implorai di riempirmi con la sua essenza, dando una tregua al nostro piacere sconquassante.
Per una volta da quando lo conoscevo, Bradley obbedì ad una mia richiesta, aggrappandosi con quanta più forza aveva alle mie nocche chiuse a pugno sulle lenzuola immacolate. Credevo che le nostre mani potessero spezzarsi o addirittura fondersi in un tutt’uno, e ricordo di aver pensato che per quella sensazione di dolore e piacere avrei potuto addirittura piangere.
Una volta soddisfatto gravò al mio fianco ed io lo baciai con immensa gratitudine.
<< Adesso >>, fece tornando beffardo,<< puoi dire tutto quello che ti passa per la testa. >>
<< Non c’è molto che mi passi per la testa al momento >>, dovetti ammettere osservando il soffitto bianco e privo di crepature, colmo di lui in ogni singolo poro della pelle,<< solo che ti amo. >>
Con la coda dell’occhio lo vidi intrecciare le braccia sotto la testa, sentendolo sospirare sommessamente.
Dopo un breve silenzio, parlò:
<< E questo mi basta. >>
<< Ti basta. >>
<< Per adesso, mi basta. >>



***


Se un giorno mi avessero detto che sarei tornato a Pierrefonds non ci avrei creduto. Questo perché sapevo che non ci sarebbe stato nessun altro tipo di futuro per “Merlin” e perché, detto fra noi, ero carico di impegni lavorativi di vario genere. Soprattutto, non avrei mai creduto di poter rimettere piede nel castello di Pierrefonds.
Attraversando la cittadina che lasciava respirare il clima natalizio da ogni angolo –alberi di natale sapientemente allestiti in punti strategici, luci colorate ad intermittenza su quasi ogni balcone e bambini urlanti di gioia che trascinavano i genitori carichi di regali- arrivammo nel desolato e oltremodo buio ingresso del castello.
Stavo giusto per aprir bocca quando Bradley estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans, concedendoci di entrare nel cortile che conservava ancora la eco delle nostre risate, del galoppare incessante dei cavalli. << Non dirmi che ti ho lasciato senza parole. >> Naturalmente sapeva che era così. Ero ammutolito, e se prima pensavo di capire cosa avesse organizzato, ora, brancolavo nel buio più assoluto.
Avevamo attraversato metà castello, svoltato angoli che avrei creduto non poter rivedere mai più e quando finalmente misi a tacere le voci della mia testa che cercavano una spiegazione a tutto questo… fu allora che sentii un indistinto e sommesso coro di voci provenire dal fondo del corridoio, proprio dove avremmo trovato la sala che eravamo soliti usare per allestire la tavola rotonda e il trono dei Pendragon.
<< Se pensi che quello che vedrai sia la sorpresa finale, ti sbagli di grosso. Eravamo all’antipasto ora siamo solo alla prima pietanza. >>, mi sussurrò ad un orecchio mentre il mio passo rallentava; poi smise di rivolgersi a me nel momento in cui facemmo ingresso nella sala.
<< Non posso crederci! >> Questa fu la mia prima esclamazione quando mi resi conto che non solo mi ritrovavo di fronte al tavolo più grande e stracolmo di cibo che avessi mai avuto modo di vedere, ad un albero di Natale alto quasi fino al soffitto circondato da pacchi regali che non seppi stimare ma, soprattutto, non potetti capacitarmi dei visi che vidi in primo piano a tutto questo.
C’erano davvero tutti: Katie che stava sistemando una decorazione rossa come il suo abito lungo una vetrata, Eoin e la sua ragazza Charlotte, Angel a braccetto con Rupert, Alex che recuperava il Dr Watson da sotto il tavolo, Kasja –la fidanzata- che rideva proprio accanto a un Santiago sorridente. E poi Tom e Adetomiwa che corsero ad accoglierci.
<< Ce l’avete fatta ad arrivare! >>, esclamò quest’ultimo dandomi una pacca sulla spalla,<< Eoin aveva proposto di iniziare a mangiare tutto quel ben di Dio anche senza voi, sapete? >>
<< Bugiardo! Questa sera non passerà nessun Babbo Natale per te. Salterà casa tua. >>, ribatté Eoin,<< dopo aver demolito quella di Vlavla che –oh merda- il gatto! Il gatto sta graffiando il regalo che la mia Charlotte ha comprato per me! >>
<< Il gatto ha un nome! >>, rispose Vlavla, tra il divertito e l’esasperato andando a recuperare quella palla di neve.
<< Sì, infatti Colin e Bradley non hanno avuto modo di conoscerlo. Ragazzi, lui è il Dr Jeckyll. >>
<< Watson. Il Dr Watson. >>, precisò Alexander dal fondo della sala, sovrastando le risa degli altri.
Lanciai un’occhiata a Bradley che, però, era già stato trascinato via da Angel e Rupert.
Con il cuore colmo di gioia, tutti prendemmo posto a tavola.
Mangiammo molto, sì, ma ridemmo altrettanto. Mi erano mancati, tutti. Uno per uno.
Katie, riempiendo di fritti il suo piatto, non perse occasione per riportarci indietro nel tempo, stuzzicando la nostra memoria con un “ricordate durante la prima stagione, quando giocavamo a nascondino nel castello?”
<< Oh sì >>, assentì Brad, con la bocca piena,<< ricordo la magnifica caduta di Angel che non aveva c’entrato l’ultimo scalino. Leggendaria. >>
Angel esplose in una risata, e dovete credermi se vi dico che anche quel suono mi era mancato. << Sì, e tu mi eri di fronte e non mi hai nemmeno allungato una mano per farmi rialzare >>, lo accusò la riccia, alzando un sopracciglio sottile.
<< Forse perché era troppo occupato a ridere >>, suggerì Charlotte.
<< Oh, se ci fossi stato durante quei giochi io ti avrei aiutato, Angel. >>, mormorò Rupert che, a giudicare dalla tonalità che avevano assunto le sue gote, non voleva farsi sentire da tutti.
Eoin non perse tempo per lanciare una delle sue fantastiche frecciatine:
<< Lo sappiamo Romeo dai capelli rossi, lo sappiamo. Ma Bradley non è mai stato un cavaliere. >>
<< Puoi dirlo forte! >> Prima ancora di poter controllare il comando che il mio cervello aveva dato alla bocca, lo dissi. E Bradley, pulendosi le labbra con il tovagliolo, mi guardò con tanto d’occhi.
<< Tu non puoi proprio lamentarti, Colin! >>
<< Mi trattavi male. >>
<< Non capivo il tuo umorismo. >>
<< Questa mi suona come una scusa >>, commentò Katie, sfidando Bradley con il suo sguardo cristallino.
<< Beh >>, fece questo, << era divertente. Lui non mi attaccava mai, al massimo si scansava e dovrebbe ringraziarmi per essersi fatto le ossa, Merlin. >>
<< Hai rotto la mia prima videocamera. >>, gli ricordai fingendomi sofferente. Risero.
<< Ringrazia che non mi sia volata su quelle dannatissime montagne russe. >>
<< Oddio, ero sconvolta! >>, sbottò Angel, << quasi quanto sentire Bradley parlare francese. >>
<< Je suis LOSER >>, quasi urlammo contemporaneamente io e Brad, ridendo poi come due idioti. Angel ricordò a cosa ci stessimo riferendo e raccontò a Santiago –che si era perso gran parte delle nostre imprese- le volte in cui io e Bradley avevamo deciso di alzare il nostro livello di burle ad uno più intellettuale. Il quale prevedeva Angel come cavia, ovviamente.
Non so per quanto tempo ancora continuammo a tirar fuori aneddoti che ricordavo o che avevo rimosso, ridendo a crepapelle, brindando ai nostri trionfi e all’amicizia che ci aveva portato, ancora una volta, ad essere tutti insieme in un giorno tanto importante.
Scartammo i regali una persona per volta, per dar importanza ad ogni singolo dono. Katie ricevette solo libri e quasi non li abbracciò come fossero neonati, per quanto li aveva apprezzati. Eoin ricevette dalla sua Charlotte un orologio costosissimo e personalizzato con le loro iniziali sul cuoio del polsino; lui, invece, le aveva comperato una collana abbinata ad un anello e ad un paio di orecchini a cerchio. I regali di Angel e Rupert erano più modesti, ma quando vidi le loro espressioni appagate mi venne in mente quel famoso detto “a volte basta solo il pensiero”. Toccò il turno di Santiago, poi quello di Alex e Kasja –anche il Dr Watson ricevette regali, sapete?-, per poi proseguire con Tom, Adetomiwa , me e Bradley.
Il regalo che gli avevo fatto –scortandomelo sempre con meno convinzione per tutto il viaggio- si rivelò essere gradito: un paio di occhiali a goccia come piacciono a lui, e una sciarpa dalla trama semplice e geometrica che aveva apprezzato un tempo di fronte alla vetrina del negozio. Anche io apprezzai i miei –Rup mi consegnò teatralmente la statuetta dell’Oscar con su scritto il mio nome, facendomi sentire piccolo piccolo- tranne quello di Bradley perché… non arrivò.
<< Non è ancora il momento per il mio regalo. >>, mi aveva spiegato fattosi improvvisamente nervoso. Da come gli altri reagirono mi diedero modo di pensare che sapessero a cosa si stava riferendo.
Ed io non avrei mai potuto indovinarlo.
Lasciammo il castello di Pierrefonds verso l’una di notte, non prima di aver visitato per un’ultima volta ogni singola stanza. Katie diede il via alla commozione, seguita a ruota da una nostalgica Angel; questo fin quando Eoin non impreziosì il momento con un rutto dal sound decisamente natalizio.
<< Era proprio necessario, tesoro? >>, bofonchiò Charlotte, che stava cercando di trattenere una risata. << Considerando che lo stavo trattenendo dalla prima fetta di pandoro direi che, sì, era necessario, tesoro mio. >>
La notte che avvolse me e Bradley dopo i saluti era gelida ma, in qualche modo, magica. C’era un nevischio sottile a colpirci i lembi di pelle scoperta, un freddo dicembrino sopportabile; forse, attutito dal calore delle luci natalizie che costellavano le vie che stavamo percorrendo.
<< Ora arriva la parte più difficile >>, esordì mentre il taxi ci guidava in una via sconosciuta dettata da Bradley. << Ovvero il mio regalo? >>
<< Il discorso che anticipa il mio regalo per te, sì. >> Guardò fuori dal finestrino e per qualche istante fu solo il lieve vibrare di questo a regnare su di noi.
<< Come sai non sono molto bravo con le parole. Preferisco esprimermi in altri modi. >>
Come se non lo avessi capito durante tutti questi anni.
Mi persi anche io con lo sguardo fuori dal mio finestrino, sorridendo del suo nervosismo, i pochi pedoni reduci da chissà quale serata che si confondevano con i lampioni, la strada, la facciata delle case. Tutto questo cessò senza che me ne rendessi conto, la corsa era finita.
Eravamo arrivati.
Tante villette incastonate fra loro sembravano osservarci come tanti spettatori curiosi e nell’ombra, il nevischio che prima sembrava piacevole e leggero iniziò a scendere con più ferocia e, il vento, placato, lasciò che il gelo solleticasse quella viuzza stretta di cui eravamo gli unici passanti.
Mi girai verso Bradley, confuso, e lo trovai che ricambiava il mio sguardo con una scatolina in mano. Non saprei descrivervela –era troppo allungata per contenere una semplice fedina, ma troppo stretta per ospitare un orologio- così come non potrei riuscire a farvi intendere di come io capii, nell’istante in cui me la porse, che stavo per stringere tra le mani il senso che mi sfuggiva di quel viaggio.
<< Prima che tu la apra, Colin >>, s’affrettò a dire mangiandosi le parole,<< vorrei che tu ascoltassi quello che ho da dirti. >>
<< Una sorta di biglietto d’auguri vivente? >>, scherzai, prima che il suo disagio e la mia sensazione che qualcosa di solenne e ineluttabile stava per investirmi mi rendesse più nervoso di quanto non sia disposto ad ammettere.
Dalla risata di Bradley capii che mi era grato per quella battuta.
<< Cercherò di essere il più conciso possibile, in modo di non rischiare di rimanere congelati qui, su questo marciapiede. >>
Si inumidì le labbra con la lingua, osservando in tralice la villa che si stagliava di fronte a noi come se fosse un oggetto animato a cui appellarsi per trovare le parole. Lo lasciai riempirsi i polmoni d’aria e poi:
<< La prima volta che ci siamo conosciuti, quel giorno ai provini per ‘Merlin’, di sicuro non avrei mai potuto pensare che il ragazzo che avevo di fronte mi avrebbe cambiato la vita, sconvolgendola più di quanto non abbia fatto la telefonata per confermarmi che avevo ottenuto il ruolo di Arthur Pendragon. Il nostro non è stato un amore a prima vista, nonostante l’alchimia e l’incredibile complicità che tutti ritenevano di vedere tra noi. Il nostro è stato un percorso iniziato con una reciproca diffidenza… >>
<< Mi ci è voluto un po’ per capire che non eri il classico divetto, ma solo una testa di fagiolo. >>, lo interruppi anche se non volevo farlo davvero.
Lui alzò un sopracciglio, prendendo atto delle mie parole.
<< E a me ci è voluto un po’ per comprendere te, il tuo accento irlandese e il tuo particolare umorismo. Ma una volta compreso tutto questo, una volta che la diffidenza si è evoluta in rispetto e in amicizia…poi è stata una discesa libera e siamo diventati nemici di noi stessi perché non potevamo credere che ci stavamo innamorando l’uno dell’altro; non potevamo credere che saremmo potuti uscire illesi da una situazione più grande di noi e abbiamo preferito allontanarci nell’ultimo anno di riprese, certi di non meritare di poterci amare senza chiedere scusa a chissà chi.
Ad ogni modo, quella lontananza ha permesso ai miei passi che si allontanavano da te di incespicare, vacillare, di farmi comprendere che non sarei andato da nessuna parte senza affrontare me stesso e te. Sei stato il mio desiderio e al tempo stesso la mia nemesi ma io lo sapevo che avrebbe dovuto crollare uno dei due per iniziare qualcosa di assolutamente nuovo. E dopo la diffidenza, l’amicizia, la lontananza e il desiderio si sono tutti trasformati in qualcosa di più grande ed ora eccoci qui. Eccomi qui, a chiederti di fare un grande- grandissimo- passo. Apri la scatola, Colin. >>
Obbedii senza proferire parola, troppo ubriaco delle sue parole, troppo spiazzato da un’emozione che non aveva né nome né voce.
Quando sollevai il coperchio trovai due chiavi incastrate in un polistirolo.
<< Mi è stato offerto di far parte di un progetto piuttosto importante, qui in Francia. Dopo un anno di pausa sento di poter tornare a lavorare; dopo che tu avrai finito con il tuo spettacolo teatrale potremmo trasferirci qui. In questa casa >>, indicò la villa al nostro fianco con un gesto del capo,<< quello che sto cercando di dirti è che voglio viverti, e ti chiedo di fare questo passo. Andiamo a convivere, Colin. >>
Improvvisamente fu come se tra le mani reggessi qualcosa di molto più pesante di una scatolina contente le chiavi di un’abitazione; guardai Bradley oltre il vapore del mio respiro affannato.
<< Sì. >> Fu tutto ciò che dissi.
<< Sì >>, confermò lui facendo dondolare la testa e crucciando le labbra.
Senza nemmeno che me ne accorgersi Bradley aveva depositato una mano sulla mia spalla, strizzandola vigorosamente e, strappandomi le chiavi di mano aprì il portone.
Lo seguii meditabondo mentre snocciolava di come era arrivato a mettersi in contatto con i vecchi proprietari, di quanto sia stato frustante nascondermi ciò che stava organizzando e della bramosia che lo aveva infuocato non appena aveva visitato la villetta per la prima volta.
A primo impatto l’interno mi ricordò vagamente uno chalet di montagna: il camino di granito al lato, due vecchie poltrone a costeggiare un divano altrettanto consumato, tutti e tre illuminati dalla poca illuminazione che filtrava dalla lunga vetrata ove il davanzale era ricoperto di cuscini. Il soggiorno veniva diviso dalla cucina da un arco di legno; da dove mi trovavo scorsi due scalini che avrebbero condotto al piano di sopra.
Sentii Bradley borbottare:
<< Non riesco a trovare l’interruttore. >>
<< Non fa niente. >>, dissi, come se stessi prendendo coscienza di ciò che stava davvero accadendo solo in quell’istante.
<< Naturalmente, c’è ancora la vecchia roba dei proprietari ma non appena inizierà il trasloc… >>
<< Bradley. Non è questo il momento per parlare >>, lo ammonii, con le stesse parole con cui lui l’aveva fatto con me non appena arrivati nella stanza dell’albergo, un minuto prima che il desiderio di appartenerci ci consumasse.
Proprio come stava accadendo ora.
Forse i suoi occhi ancora non si erano abituati all’oscurità della casa perché quando lo baciai sussultò, per poi accogliere la mia lingua con un gemito smorzato.
Mi tolse il berretto e il giaccone ed io lo imitai, girandoci intorno senza mai staccarci un attimo.
Se ripenso a quegli istanti, ricordo ogni singolo pensiero che mi aveva attraversato la mente, come ad esempio l’assoluta certezza che, con quel suo gesto, Bradley mi stava chiedendo e donando molto di più di una semplice convivenza: quel passo consisteva nell’uscire dalla nostra bolla personale e mostrarci per quello che eravamo. Non due colleghi di lavoro dalla straordinaria complicità, non due amici ma semplicemente due ragazzi che si amavano e che avevano prima di tutto sfidato loro stessi con quell’amore totale e irripetibile.
E, mentre le sue labbra lambivano il mio addome, lì su quel divano impregnato di altri ricordi, mi domandai se fosse quello che volevo… e mi risposi che, sì, ero pronto ad affrontare anche questa nuova tappa con lui e per lui.
Perché, vedete, Bradley mi aveva dato quello che non sapevo di desiderare, ed io, prima di lui ero convinto che il lavoro che adoravo mi bastasse. Egli era riuscito ad insegnarmi che potevo amare il mio lavoro e lui nella medesima e sconsiderata intensità, che la devozione ad uno non avrebbe escluso quella che provavo per l’altro.
Tornò sulle mie labbra e fu a quel punto che io lo afferrai per i polsi, intento ad amarlo con rabbia, per fargli capire quanto fossi convinto di quello che avevo accettato varcando la soglia della nostra futura casa.
Mi ritrovai a cavalcioni su di lui e mentre sussurrava il mio nome tra gemiti e ansiti invertii le parti e lo amai, lo amai come meritava di essere amato.



Quando riaprii gli occhi la mattina seguente mi sorpresi di essere ancora sul ciglio del divano, completamente svestito ad eccezione di un piumone che mi avvolgeva come un involtino. Bradley non era accanto a me, della sua presenza vi era solo l’impronta della sua sagoma sull’imbottitura del divano consunto. Mi vestii in fretta e in furia per non perdere il torpore piacevole che la trapunta mi aveva donato, poi feci la mia entrata nella cucina –un piccolo locale modesto che ricordava quello della casa dei miei genitori in Irlanda- trovando Bradley allestire il tavolo per la colazione.
Non lo aveva mai fatto, il pigro.
<< ’Giorno. >>
<< Buongiorno a te. >>, gli risposi, afferrando una tazza fumante di caffè.
Prima che potesse raggirare il tavolino per baciarmi il suo telefono accanto alla brocca del latte squillò, feci in tempo a leggere il nome di Eoin sul display.
Mi sedetti sul davanzale della finestra in soggiorno, affondando tra i cuscini e rimuginando sul fatto che, tra non molto, avrei dovuto informare la mia famiglia riguardo la mia relazione –e imminente convivenza- con quel ragazzo inglese che tanto adoravano. Poco male, avrei avuto ancora del tempo per farlo.
<< Sta nevicando! >>
L’esclamazione di Bradley mi fece trasalire; nemmeno mi ero accorto dei batuffoli bianchi che scendevano dal cielo, e che il vento trasportava contro il vetro della finestra.
Bradley venne a sedersi in mezzo alla mie gambe, poggiando il capo contro il mio petto come se fosse un bambino che assisteva alla sua prima nevicata.
Rimanemmo in silenzio ad osservare la neve che cadeva per un bel po’.
<< Sai >>, feci di punto e in bianco, << questa volta ti sei proprio impegnato per bene nel fare le cose. >>
<< Modestia a parte, sono un asso nell’organizzare le cose. >>
<< Come sapevi che avrei accettato?>>
<< Non lo sapevo, Colin. >>, confessò battendomi un colpetto sul ginocchio,<< ho azzardato e ho vinto. In fondo, non sei stato che un azzardo, da quando ti conosco. >>
Era vero, non potevo di certo contraddirlo. Se non fosse stato per lui a quest’ora potevamo trovarci negli angoli di mondo opposti intenti ad ignorarci piuttosto che scendere a patti con il sentimento che ci legava. << Grazie per la colazione. >>
<< Non ti ci abituare, un giorno sarai tu a portarla a letto a me. >>
<< Non sono come Merlin! >>
<< E io sono come Arthur… >>
<< …sì, una testa di fagiolo con il regale didietro che pesa! >>
<< Ti preferisco quando mi fai i complimenti. >>
Dalla posizione in cui eravamo non potevo vederlo ma intravidi un finto broncio nelle sue parole.
Cinsi le braccia intorno al suo collo e lui mi prese la mano, senza staccare gli occhi dalla candida pioggia bianca che si attecchiva nel giardino della villetta.
<< Ah! >>, disse improvvisamente,<< buon Natale, comunque. >>
Sorrisi, depositando un bacio sui suoi capelli biondi e ancora arruffati.
<< Comunque >>, gli risposi,<< buon Natale a te. >>

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Aries K