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Autore: S t o n e r    23/12/2013    1 recensioni
Neville non ha mai osato lamentarsi.
Neville non se l'è mai presa con nessuno.
Ma solo perché l'urlo che ha dentro di se non è accompagnato da un'eco, non significa che vi si possa trovare solo il silenzio.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sì, mi piace scrivere cose drammatiche, losssssòò.
Neville è uno dei miei personaggi preferiti, e volevo già da un po' scrivere una fanfiction con lui come protagonista.
Spero vi piaccia e che non abbia commesso troppi errori.. Buona lettura!





Sorrisi e risate.
Ecco da cosa erano sempre riempite le aule, i corridoi, la Sala Grande e la sua Sala Comune.
Tutti appartenevano ad un gruppo, tutti si sentivano a casa.
Tutti, tranne Neville.
Non sembrava sapere il perché; forse perché era un ragazzo un po’ goffo?
Forse perché era uno degli studenti peggiori del suo anno?
Ma d’altronde non era l’unico a corrispondere a queste caratteristiche.
Certo, spesso intratteneva una conversazione con i suoi compagni di dormitorio Harry, Ron, Seamus e Dean, ma si capiva che loro non fremevano dalla voglia di continuare a lungo la chiacchierata.
Si era sempre sentito una nullità.
L’unica cosa capace di farlo sentire speciale era la lettura riguardo alle piante, o qualche lode dalla professoressa Sprite.
Eppure, Neville percepiva la sensazione di non volersi più accontentare, come se ciò che aveva, ciò che era, non fosse più abbastanza per lui.
Cosa aveva di diverso dagli altri? Perché, se qualcuno era nervoso, o semplicemente annoiato, se la prendeva con lui? Perché tutte le cose brutte capitavano a lui?
Ma non era vero, non era così; c’era Harry Potter.
Il bambino sopravvissuto, famoso per aver sconfitto voi-sapete-chi quando era solo un bebè, e per essere figlio di due grandi maghi.
…per essere figlio di due grandi maghi.
Harry veniva sempre lodato e riconosciuto per questo.
Ma perché lui no?
Anche i suoi genitori erano stati due maghi celebri quanto abili.
Ma perché di lui non venivano riconosciute le origini? Perché nessuno gli rivolgeva mai uno sguardo curioso?
Solo perché non erano morti?
Per quel che pensava, sarebbe stato molto meglio se lo fossero stati, invece di ‘vivere’ in quelle condizioni.
Ogni Natale, Neville, accompagnato dalla nonna, andava a trovare i suoi genitori in ospedale.
Anno dopo anno, andava a trovare coloro che avrebbero dovuto essere i suoi genitori.
Ogni anno, doveva sentirsi rivolgere la stessa identica domanda; “chi sei tu?”
Cominciava ad essere troppo per lui.
I suoi genitori erano stati torturati fino alla follia da una mangiamorte, e nessuno sembrava ricordarsene.
Quando sarebbe arrivato il suo momento?
Non chiedeva nulla di impossibile –a meno che avere almeno un amico si potesse considerare tale-.
La mia mamma e il mio papà sono stati coraggiosi quanto i Potter, se non di più!” era questo che si ripeteva ogni notte, prima di abbandonare il suo mondo per ritrovarsi in quello dei sogni.
Spesso si svegliava durante la notte, ritrovandosi le guance rigate da lacrime ribelli, che sembravano non avere l’intenzione di smettere di sgorgare dagli occhi.
Sognava di essere lì, nella stanza dove furono ritrovati i suoi genitori fuori di testa, assistendo alle torture che venivano loro inflitte.
Le gambe non davano l’impressione di riuscire a muoversi.
Si ritrovava lì, costretto a guardare i genitori che venivano torturati, senza poter fare nulla, senza poter dire loro un semplice “vi voglio bene”, oppure un “sono orgoglioso di voi”, almeno una volta.
Veniva sempre riportato alla realtà da un urlo, che solo dopo essersi risvegliato riconosceva come il suo.
Si voltava spesso a guardare Harry, mentre dormiva beatamente, con un sorriso stampato sulle labbra.
E quella cicatrice.
Colei che distingueva Harry da chiunque altro, colei che lo aveva reso celebre in tutto il mondo magico.
Ciò che Neville desiderava più intensamente era di essere rispettato, ma in realtà lui era il primo a non farlo, da sempre.
Si lamentava di essere considerato da tutti una nullità, quando lui stesso si definiva tale.
Ma in realtà, l’unico aggettivo che doveva attribuire a se stesso era ridicolo.
Lui sapeva che Harry non era felice.
Harry non si sentiva speciale ogni volta che qualcuno esprimeva ammirazione o altro nei suoi confronti.
Il contrario; si sentiva a disagio.
C’era un detto che diceva che se qualcuno voleva cambiare qualcosa, doveva fare il primo passo.
Lui ed Harry avevano parecchio in comune, e Neville era pronto a scusarsi con lui per ciò che aveva pensato, per ciò di cui lo aveva accusato, nonostante il fatto che Harry non poteva sapere ciò che ultimamente era passato per la mente a Neville.
Niente da perdere, tutto da guadagnare.
Non poteva credere di aver provato invidia per Harry Potter.
D’altronde, gli studenti non erano a conoscenza di ciò che era successo ai Paciock –o almeno non tutti-, e pensando a ciò che doveva aver passato Harry ogni volta che qualcuno gli chiedeva qualcosa riguardo quella notte, si sentiva felice di essere invisibile.
Non sapeva perché avesse mantenuto segrete le condizioni dei genitori; non si vergognava di loro, nient’affatto! Anzi, forse si vergognava di se stesso, e della sua infantile trepidazione di entrare nella stanza dove si trovavano i genitori e vederli rispondere ai comandi del cervello, o meglio, di riuscire a riconoscere il loro bambino.
Ormai Neville, però, aveva perso la speranza…
…finché un giorno, dopo essersi perso nella scuola ed essersi ritrovato in un corridoio che giurava di non aver mai percorso prima d’allora, si accorse di una porta che spuntava dal nulla.
Si guardò intorno, intimorito. Una volta entrato, Neville riuscì a distinguere nel buio un riflesso; il suo.
Era uno specchio. Le gambe si muovevano da sole, come attratte dalla forza che l’oggetto misterioso e dall’aspetto antico emanava. E solo quando Neville si ritrovò esattamente dinnanzi ad esso, si rese conto di ciò che aveva davanti, e non si trattava solo della sua immagine.
I suoi genitori.
Non come li vedeva ogni anno, con lo sguardo assente e folle; proprio come dovevano essere stati prima di essere torturati.
I suoi genitori che lo stringevano forte…
Il cuore di Neville martellava all’interno del suo corpo, come se volesse uscir fuori.
Doveva essere rimasto lì immobile a guardare all’interno dello specchio per ore, perché alla fine aveva sentito la forza abbandonare il suo corpo.
Non sapeva cosa era stato, ma quella che lui reputava essere stata una immaginazione, aveva trasmesso a Neville la forza e il coraggio necessari per voltare pagina e cominciare un nuovo libro, una nuova avventura.
Quest’anno avrebbe regalato ai genitori un regalo personale, qualcosa di veramente speciale; un diario, dove all’interno avrebbe scritto ciò che era realmente accaduto, ma soprattutto chi erano, e chi era lui per loro.
Non che pensava che questo dono avrebbe potuto cambiare le cose, ma sentiva che era la cosa giusta da fare.
Una volta tornato al suo dormitorio, si ritrovò a sfilare da un cassettino un piccolo taccuino di pelle, completamente vuoto.
Con la mano libera, intinse una penna nell’inchiostro.
Così cominciava il suo diario; “Buon Natale, mamma e papà.
Io sono Neville, vostro figlio”.


 
  
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