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Autore: Klokli    23/12/2013    4 recensioni
"La vecchiaia, la morte, la maledizione degli esseri umani, eppure John ha sempre sostenuto che l’uomo sul lettino, umano, non lo è neanche un po’".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al prossimo caso, dottor Watson



ll suono ritmico dell’elettrocardiogramma e il respiro spezzato di Sherlock sono gli unici suoni che spezzano il silenzio opprimente dell’anonima stanza di ospedale.

John è lì, vicino al suo amico, probabilmente per l’ultima volta, ad affrontare l’ultimo nemico, insieme.

Peccato che stavolta neanche il brillante Sherlock Holmes possa fare nulla.

La vecchiaia, la morte, la maledizione degli esseri umani, eppure John ha sempre sostenuto che l’uomo sul lettino, umano, non lo è neanche un po’.

Purtroppo i suoi referti medici dicono il contrario.

Ha il fegato e i polmoni a pezzi, evidentemente ingerire sostanze chimiche per vent’anni in nome della scienza non era così salutare.

Vorrebbe ridere John, perché gliel’ha sempre detto e per una volta potrebbe avere ragione contro Sherlock Holmes, ma non ci riesce.

Dovrebbe dire qualcosa adesso, dirgli che andrà tutto bene, dirgli qualche parola inzuccherata per addolcire la sua dipartita, ma John Watson il caffè, come la vita, lo prende senza zucchero, e Sherlock lo sa.

Per questo entrambi restano in silenzio.

Sherlock ha le mani giunte, lo sguardo perso nel vuoto, se non fosse per le rughe che gli solcano il volto e la flebo attaccata al suo braccio che gli da un aspetto febbrile si potrebbe quasi dire che il detective stia solo deducendo, come nel loro appartamento di Baker Street, purtroppo le strumentazioni mediche e i frequenti colpi di tosse del moro sono una prova inconfutabile.

Sherlock Holmes sta morendo, e stavolta non ci sarà nessuna resurrezione inaspettata.

È questo che deprime John, la vecchiaia è così definitiva, non riesce a credere che Sherlock Holmes, in questo caso, non abbia – non possa avere – un piano B.

John ha paura di sapere cosa stia frullando in questo momento nella testa del detective, deve essere dura rendersi conto che, alla fine, dovrà morire come tutti gli esseri umani, in modo così banale, per una malattia.

Il dottore sa che il moro non può accettarlo, probabilmente sta ideando una terapia medica, sta cercando un modo per salvarsi o, al massimo, andarsene con stile, per ricordare al mondo che no, lui non è un uomo ordinario.

Eppure a John sembra di sentire gli ingranaggi della testa di Sherlock scricchiolare perché nessuno, né lui, né il più grande consulting detective di tutti i tempi possono fronteggiare la morte, anche perché le sono sfuggiti troppe volte e ora sono troppo vecchi per scappare.

In fondo ha sempre saputo che avrebbe visto l’amico morire perché, in caso contrario, Sherlock avrebbe dovuto conoscere il dolore, e quest’ultimo, come tutte le emozioni, è una perdita di tempo.

Era una delle frasi tipiche di Sherlock, quello stesso Sherlock che ora tossisce sangue e che respira a fatica.

John sente un groppo in gola e si costringe a non versare lacrime, in fondo è ancora un soldato nonostante l’età.

Sherlock si gira e osserva l’amico strizzare le palpebre, in un maldestro tentativo di darsi un contegno, poi il detective dice qualcosa, qualcosa che riporta tutto su un piano di normalità fuori luogo.

“Mi annoio, John”

Il dottore ride, prima di arrendersi e lasciare che le lacrime calde gli scorrano sulle guance rugose. Stringe la mano di Sherlock che rimane immobile.

La normalità, in quel contesto, è una stilettata al petto, perché tra poco, tra poche ore dannazione, sarà un ricordo, e John non riesce a sopportarlo.

Gli mancheranno i capricci petulanti del detective, gli esperimenti chimici sul tavolo della cucina, le notti insonni passate a dare la caccia ai serial killer, ma più di tutto gli mancherà la loro era, l’era di Sherlock Holmes e del Dottor Watson, quando Greg li chiamava, o meglio, quando suonava al campanello e il detective si precipitava in strada, le litigate con Sally Donovan e Anderson, i biscotti della signora Hudson – che li ha già lasciati – Molly, Mycroft. Una squadra, una famiglia, con le sue pecore nere, i suoi segreti, i suoi affetti. C’era tutto in quegli anni, tanto che a John sembra di non aver mai vissuto prima del giorno in cui ha incontrato l’uomo che gli ha cambiato la vita, che è diventato una presenza essenziale.

“Non riesco a trovare un’utilità pratica a questo contrattempo, John. Dovremmo essere sulla scena del crimine!”

Sherlock forse, non ha ancora realizzato che non ci sarà una prossima scena del crimine o forse, probabilmente, non vuole capirlo, l’unica cosa che può ma non vuole comprendere. Forse perchè è troppo semplice.

John reprime un singhiozzo e si sforza di parlare nonostante il groppo in gola.

“Mi mancherai, Sherlock” e dire quelle parole lo fa sentire ancora peggio, perché rende il tutto troppo concreto. Non credeva che avrebbe mai dovuto pronunciare quelle parole, lo sperava.

“Non dire idiozie John, la mia mente è più attiva che mai”

E lo sa, John Watson, la mente dell’amico è perfetta, ancora una volta, è il suo corpo che lo sta abbandonando e non è giusto. La gente non dovrebbe morire così, dovrebbe addormentarsi, e non capire più nulla, invece Sherlock capisce, elabora, inventa una bugia per non vederlo morire di dolore. Anche questo John lo sa.

Sa che è una bugia e che il suo creatore ne è consapevole, eppure Sherlock continua a guardarlo prima di alzare gli occhi al cielo, però anche in quel gesto c’è lo sforzo di un’abitudine che anche il detective fatica a considerare passata. Perché la mente più geniale del mondo, nonostante i tentennamenti, si sta arrendendo all’evidenza.

Si morde un labbro e ricambia la stretta di John, mettendo da parte il sarcasmo e gli inganni.

“Anche tu, John, mi mancherai anche tu”

Un colpo di tosse scuote quel corpo traditore.

“è stato un piacere avere la sua collaborazione Dottor Watson” gracchia con voce roca, sorridendo.

John cerca di sorridere e di guardarlo oltre il velo di lacrime.

“Incredibile come sempre, signor Holmes”

Sherlock diventa sempre più pallido, i due si guardano negli occhi per l’ultima volta, John si abbassa fino a sfiorargli le labbra in un contatto che va oltre l’amore, perché loro non sono amanti, il loro rapporto non è, non era, così banale, così ordinario, era una cosa indefinibile che non si spezzerà nemmeno con la morte, John lo sa.

La presa sulla mano di John si stringe e gli concede l’ultimo, bellissimo, sorriso.

“Al prossimo caso, amico mio” sussurra, e la presa si allenta.

l‘elettrocardiogramma si azzera, un rumore piatto invade la stanza.

John non si muove e guarda la luce negli occhi di Sherlock spegnersi.

“Al prossimo caso, Sherlock ”.
 

***

 

L’hanno seppellito una giornata soleggiata, una di quelle che normalmente avrebbero passato fuori, a risolvere casi.

Ritrovarsi ancora una volta davanti a quella lapide nera e lucida non è doloroso quanto dovrebbe, ma è una sensazione che sparirà con la consapevolezza.

La consapevolezza che stavolta Sherlock è morto davvero, è troppo strano, è troppo assurdo.

Dovrà aspettare tre anni magari, e poi ricomparirà, e ricominceranno tutto d’accapo.

John scuote la testa, stavolta no.

Poggia la mano sulla roccia liscia e stringe le labbra. È finita. Sherlock Holmes e il Dottor Watson non ci sono più, perché se uno se n’è andato anche l’altro è polvere, soprattutto dentro.

Non chiede un ultimo miracolo perché sa che non lo otterrà, eppure nel profondo non riesce ad spegnere la flebile fiammella di speranza, per quello servirà il dolore e la solitudine e John non sa se è preparato.

“Grazie…di tutto” sussurra.

In quel tutto ci sono troppe cose per cui ringraziare, avergli regalato una vita avventurosa, averlo consolato, averlo fatto vivere per davvero, averlo fatto disperare, tutto.
John afferra il bastone che ormai gli serve per davvero, a causa dei dolori dell’età, e si avvia verso un 221B desolato, e cerca di arginare il dolore che inizia a farsi strada nel suo petto, come una morsa.

Un po’ più lontano, dietro le fronde dell’alta siepe, dove una volta si poteva osservare il dottore piangere su una tomba vuota, non c’è nessuno, e la tomba stavolta è piena.




 


 

 

 
  
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