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Autore: Beneath_Your_Beautiful_    23/12/2013    2 recensioni
"L’uomo ha il destino segnato fin dalla propria nascita. Le Parche non lasciano scampo, se decidono che devi morire, morirai in un modo o nell’altro e non potrai fare niente per evitarlo ma è anche vero, Percy, che noi possiamo cambiare il nostro destino, renderlo migliore o peggiore scegliendo il bene o il male. Possiamo rendere la nostra vita migliore, amando e lottando per ciò in cui crediamo. Sapevi che l’amore fu una delle entità nate alla creazione del mondo insieme a Gea?" Quelle parole gli risuonarono in mente, come se lei fosse lì accanto a lui.
Perché se ti piangi addosso e ti fermi ad osservare solo alcuni particolari della tua vita, o decidi di fermarti a rivivere sempre le stesse situazioni e a rifugiarti nei ricordi, allora non vivrai mai veramente. Perché se qualcuno ti ha donato una vita da vivere, anche se probabilmente è la peggiore che potesse affibbiarti, vuol dire che vale la pena viverla, perché tu sei qua, adesso, e non puoi fermarti, devi correre e rischiare perché l’orologio gira in un solo verso e non si fermerà perchè tu possa anche solo riprendere fiato.
Era questo che mi aveva insegnato lei.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hazel Levesque, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Cambia la tua vita
 
Stare lì da solo forse non era la scelta migliore. Forse non era la soluzione migliore neanche pensare troppo. Ma cosa avrebbe dovuto fare?  Cos’altro avrebbe potuto fare?
Continuava a non ricordare nulla se non lei. Lei, che non riusciva a capire cosa contasse per lui, cosa provasse o almeno cos’avesse provato nei suoi confronti.
E l’unica persona con cui si era realmente sentito bene, colei che aveva amato.. non l’avrebbe più rivista.

Si chiedeva perché. Perché non fosse morto lui al posto di quella ragazza dagli occhi caldi e assonnati, perché lo avesse lasciato lì da solo, perché lui dovesse soffrire così tanto, perché non ricordava nulla, perché alla fine si ritrovava sempre solo, dinnanzi a scelte che non avessero a che fare solo con lui, ma che avrebbero influito sul destino di tutti i viventi? Perché per lui non andava mai nulla per il verso giusto, perché doveva portare dolore quando quello che voleva fare era salvare coloro che amava? Perché aveva deciso di attraversare il Piccolo Tevere? Aveva deciso di salvare la vita di coloro che non conosceva, e di coloro di cui non ricordava nulla. Lo aveva fatto per Annabeth, se lo ricordava bene, ma adesso? Perché non era riuscito a salvare la persona che più amava?

Di Annabeth si ricordava bene, e durante il viaggio aveva cominciato a ricordare sempre di più, ma adesso  dov’era? E nel frattempo era riuscito a combinare solo guai, facendo morire la persone che era stata pronta ad accoglierlo, ad aiutarlo, a salvarlo. Colei che era stata capace di amarlo per il disastro che era, e lui non era riuscito a fare nulla per aiutarla.

Perché non poteva semplicemente essere morto lui? Perché tutti prima o poi dovevano sacrificarsi in modo che lui rimanesse in vita? Non voleva, lui non voleva essere salvato, non voleva che qualcuno si mettesse ancora fra lui e la morte, fra lui e il suo destino.

Odiava il fatto che qualcuno dovesse scegliere per lui, che qualcuno dovesse decidere di lui.

Era il suo destino, la sua vita e voleva esserne padrone. Voleva essere consapevole che se sarebbe dovuto morire, sarebbe morto. Contro le Parche non poteva nulla e lo sapeva, ma le Parche avevano davvero previsto che non dovesse morire e che invece dovessero farlo altri al posto suo? O suo padre aveva influito nelle loro decisioni? Anche se sapeva che era impossibile, gli sembrava l’unica possibilità. Era davvero tanto importante a tal punto che tutti coloro che amava dovessero morire o ricevere male, per lui?

Avrebbe voluto morire lui al posto di Edila. Lei non meritava la morte, lo aveva fatto per lui. Come tutti… ma lei in modo diverso. Ti proteggerò anche a costo della mia vita, gli aveva detto. A lui quelle parole erano sembrate tremendamente familiari e quando le aveva chiesto il perché di quell’affermazione lei aveva risposto che era perché lo amava, ma quello che aveva scoperto quando lei stava morendo era qualcosa di ben diverso anche se non metteva in dubbio i sentimenti della ragazza. Sapeva che era stata sincera con lui.

Lei lo aveva amato, ma lui non sapeva più cosa provasse nei confronti della ragazza che aveva conosciuto. In parte lei gli aveva mentito, anche se sapeva che era stato per proteggerlo.

Gli sembrava che tutti lo trattassero come se non se la potesse cavare da solo, come se avesse sempre bisogno di una badante. Come se fosse troppo piccolo per poter conoscere la verità.

Ma se avesse potuto, sarebbe sceso negli Inferi per portarla indietro, avrebbe voluto essere come Nico per poter parlare almeno ancora una volta con lei, per poterla rivedere, per poter rivedere il suo sorriso. Sarebbe stato disposto a morire per farla ritornare in vita, perché lei meritava di vivere. Anche Nico ci aveva rimesso qualcosa. Lui non sapeva dove fosse, ma avrebbe dovuto salvarlo, non avrebbe lasciato che anche a lui accadesse qualcosa come a sua sorella Bianca.

Una vita per un’altra vita, gli aveva detto Edila prima di chiudere gli occhi, addormentandosi per sempre.

Ma sapeva che se avesse invertito l’ordine dei fatti riportandola in vita –se ci fosse stato un modo-  il sacrificio che lei aveva fatto, sarebbe stato inutile. L’avrebbe lasciata sola, qui al Campo o in qualsiasi altro posto appartenessero, a soffrire quello che lui adesso stava soffrendo. Sapeva che lei aveva avuto la possibilità di fare la sua scelta, ma sapeva anche che non ce l’avrebbe fatta a sopportare tutto quel dolore, soprattutto con il potere che si ritrovava.

È vero. Il potere può aiutarti, ma può anche distruggerti la vita.

Ed era anche vero che chiunque ci fosse lassù, sapeva che quello che accadeva alle persone era distribuito in proporzione.

A Edila era andato il compito di proteggerlo e di sacrificarsi per lui, perché aveva coraggio. E a lui era toccato rimanere lì, senza alcun ricordo, a sopportare quel dolore che lo dilaniava, ma che sapeva di poter sopportare.

E sperava, perché la speranza e la fiducia in qualcosa di migliore glieli aveva trasmesse lei. Perché glielo doveva e perché non sapeva più a cosa o a chi credere.

Annabeth.. Annabeth.. Annabeth..

La consapevolezza che quella ragazza potesse contare più di quanto ricordasse non faceva altro che farlo stare peggio. Non voleva pensare che quello provato per Edila, quel sentimento che ancora sentiva, debole ma vivo, a combattere contro il dolore e la morte, non poteva pensare che non fosse stato amore.

Perché non sapeva più di chi fidarsi, e allora di aggrappava al pensiero di lei. Ai suoi occhi, ancora vivi anche nella morte. Si aggrappava a quello che gli aveva insegnato, e se lui adesso non riusciva ad amare, avrebbe amato la vita per lei. Avrebbe lottato con quel sentimento che cercava di farsi spazio nell’oscurità del suo cuore.

La testa gli scoppiava. Provare a ricordare, pensare e cercare delle risposte non faceva altro che confonderlo di più. Perché era vero! Il sorriso timido di Edila si confondeva con quello sicuro e beffardo di Annabeth; perché la sua voce squillante si confondeva con quella chiara e limpida di Annabeth; perché i gesti si sovrapponevano e non capiva più quali appartenessero all’una e all’altra, ma sapeva che non avrebbe mi potuto confondere i loro occhi.

Non riusciva a ricordare bene cosa provasse nel guardare gli occhi chiari e temerari di Annabeth, ma sapeva cosa provava guardando i pozzi scuri e caldi di Edila. Sapeva la fiducia, l’amore e la speranza che riusciva a leggerci dentro e non avrebbe mai potuto dimenticarlo, ne tanto meno confonderlo con qualcos’altro. 

Perché sapeva che se avesse avuto bisogno di qualcosa a cui ancorarsi avrebbe trovato il ricordo di quella ragazza e l’amore che gli aveva trasmesso, e che aveva trasmesso a tutte quelle persone laggiù al Campo Giove.

Fu così che si abbandonò ai ricordi che lei gli aveva “donato”, per mantenerli in vita, per fargli capire, per spiegargli tutto, per non fargli dimenticare chi era stato, chi era adesso e chi sarebbe diventato amando nonostante tutto.
 

Era nel suo alloggio e si guardava intorno. Era strano quel posto. I semidei non erano divisi in case secondo il loro padre divino e in quel modo era molto più difficile trovare qualche suo, in un certo modo.. “parente”. Il lato positivo, però, era che potevi conoscere molta più gente, potevi conoscere altri semidei e confrontarti con loro. Certo, se eri appena arrivata e avevi al collo una targhetta che ti etichettava come “probatio”, non eri certo fra le persone viste meglio.

Non che lì fossero antipatici, probabilmente erano solo.. diversi. In ogni caso, da appena arrivata, aveva notato che di certo al Campo Giove erano tutti un po’ più riservati e diffidenti, ma soprattutto avevano regole più rigide e modi diversi di comportarsi. Sapeva che quella diffidenza fosse dovuta alla paura di essere attaccati e distrutti, di vedere la vita sparire sotto i propri occhi. Si sentivano minacciati, e lei lo sentiva.

Il fatto che Percy fosse figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, ma soprattutto figlio di Nettuno e i Lari lo appellassero graecus, non facilitava di certo la sua impresa.

Nettuno non era ben visto dai romani, né tanto meno lo erano i greci. La cosa che la straniva, era perché avessero etichettato solo lui anche se erano arrivati insieme, anche se lei era come Percy.

C’era una gran calma dentro l’alloggio, cosa alquanto strana, ma pensava fosse perché loro laggiù erano molto più organizzati.

Si guardava intorno, studiava i volti dei ragazzi che la osservavano. Alcuni sguardi erano sprezzanti, altri curiosi e altri solamente indifferenti o stufi di quella situazione.

Riusciva a sentire ciò che provavano, quello che sentivano. Era strano, ma aveva sviluppato di più i suoi poteri prima di partire, e soprattutto mentre era rimasta in addestramento con Lupa.

Cercò di pensare ad altro: né alla missione, né tanto meno a studiare quei ragazzi. Già era abbastanza stanca di suo, e usare i suoi poteri la rendeva più debole e le portava sonno. Non poteva di certo permettersi di essere debole. Non ora, non .

Mentre cercava di interrompere il flusso dei suoi pensieri che continuavano imperterriti a scorrere nella sua mente come le immagini di un rullino, con la stessa velocità di un torrente in piena, una ragazza dalla carnagione scura e dai lunghi capelli neri la venne a chiamare.

-Edila?- chiese guardandosi intorno in quell’ordine caotico. Doveva avere all’incirca tredici anni, avevano constatato lei e Percy, anche se sembrava molto più matura. I suoi occhi dorati rivelavano che sapesse molto più di quanto desse a vedere, che avesse vissuto più dei suoi tredici anni. Quegli occhi di un colore caldo, erano accesi di una strana luce. Era un ragazza scaltra, ne era certa. Era più decisa e forte di quanto anche solo lei potesse immaginare.

Ecco, si era di nuovo fatta travolgere e bloccare tra i suoi pensieri. Odiava quando le succedeva.

Aveva continuato a guardare gli occhi della ragazza, e non era stata una buona mossa.

Anche la ragazza sembrava come paralizzata e si riscosse distogliendo lo sguardo da quello di colei che era sicura stesse cercando.

Non era stato come uno dei suoi soliti blackout, non era stata risucchiata dal passato, ma era come se gli occhi scuri della nuova arrivata fossero in grado di attrarti come una calamita e catturarti come un ragno fa con le sue prede.

Chissà di chi fosse figlia? Hazel cercò di non pensarci e le fece segno di seguirla.

Edila si alzò dal suo letto e la seguì, confusa quanto lei.

La nuova arrivata la superava in altezza solo di qualche centimetro, ma era certa che fosse più grande di appena qualche anno.

-Tu sei Hazel, non è così?- le chiese. Hazel alzò il viso e fu catturata di nuovo da quegli occhi color cioccolato. La guardò sorpresa e confusa più che mai e così disse –
Com.. come fai a saperlo?-. Edila le sorrise e distolse lo sguardo. Rispose sicura –Ho sentito l’altro ragazzo che ti chiamava, quando ci avete salvati dalle grinfie delle Gorgoni. Grazie piuttosto.- si girò nuovamente verso di lei e le sorrise. Fu una frazione di secondo, perché dopodiché continuò a camminare osservando ciò che la circondava. Tutto era nuovo per lei, ma Hazel era sicura che non fosse quello il motivo per cui avesse distolto lo sguardo così velocemente.


Iniziava a credere che quella ragazza potesse avere il potere di ipnotizzare o influenzare la gente, o qualcosa di simile. Sembrava che ti guardasse dentro, che riuscisse a vedere la tua anima e questo non le piaceva, e in parte le fu grata quando smise di guardarla.

-Ehm.. figurati.- le rispose Hazel abbassando lo sguardo.

Continuarono a camminare in solenne silenzio finchè Hazel non si sentì in dovere di spiegarle dove la stesse portando, e così disse –Reyna vuole parlarti. Vuole parlare con te prima di farlo con Percy, è convinta che tu possa aiutarla..- cercando di mostrare una sicurezza che non sentiva.

Edila la guardò e le sorrise come per ringraziarla dell’informazione, anche se Hazel pensò per un attimo che la ragazza che le stava a fianco sapesse già tutto.

Notò che i suoi occhi non erano più scuri come prima, ma illuminati dalla luce del sole erano di un nocciola che ti trasmetteva pace e sicurezza. Si sentì bene, ma un attimo dopo, come riprendendo conoscenza, ne ebbe timore.

Arrivarono qualche minuto dopo ai Principia.

Hazel si voltò verso quella ragazza così strana e sussurrò con la paura di incontrare i suoi occhi  –Reyna ti aspetta. Buona fortuna..- le augurò rivolgendole un sorriso sincero.

Edila la guardò a sua volta, cercando di trattenere il suo istinto, di non studiarla con lo sguardo, perché sapeva quanto a disagio potesse mettere la gente e quanto lei fosse capace di influenzare chi la guardava. Ma in fondo non faceva nulla o almeno credeva. Aveva scoperto che il suo potere aveva molte sfumature, stava imparando a controllarlo, a controllare quegli istinti e quei fenomeni di cui non si credeva capace. A volte si sentiva in colpa, perché pensava che la gente le stesse accanto solo a causa di quel dannatissimo sguardo, ma Lupa le aveva spiegato come controllare il tutto, e lei ci stava ancora lavorando.

-Grazie- rispose a quella piccola grande donna dagli occhi dorati. Le porse la mano e sapeva bene cosa stava per fare.

Hazel si sentì percorrere da un brivido caldo, che partì dal petto per poi diffondere un pensiero nella sua mente. Quel pensiero portava con se la voce di Edila e lei fu sicura che stessero davvero comunicando tramite la forza del pensiero.

Per la prima volta Hazel vide quegli occhi nuovamente scuri non come una minaccia, non la spaventarono. Questa volta portavano con sé sicurezza, amore e soprattutto fiducia. La figlia di Plutone sentì di potersi fidare di quella ragazza, la sentì vicina, la sentì uguale a lei. Sentì, per la prima volta in vita sua, che qualcuna la capiva davvero, che condivideva con lei il suo stesso dolore. Guardando quella ragazza in quei pozzi scuri che erano in contrasto con gli specchi luminosi di Hazel,  lei seppe che non la stava controllando o influenzando, le stava trasmettendo le sue emozioni. Era uno scambio di forze, uno scambio di pensieri, uno scambio di paure e insicurezze. Ma era soprattutto un patto silenzioso di amicizia e reciproca fiducia.

Edila le lasciò la mano. Sapeva che si sarebbero riviste, che avrebbero avuto modo di conoscersi meglio. Così le sorrise e voltandosi fece per entrare.

Il suo ultimo pensiero lo rivolse alla ragazza dagli occhi d’oro, al suo sguardo inizialmente scombussolato e spaventato, che poi era diventato fiducioso e sicuro.

Nella mente di Hazel risuonavano quelle parole mai dette Non sei l’unica. Fidati di te stessa. Io ti sono accanto! e fu sicura che mai nessuno le avesse dato tanta fiducia in se stessa con delle semplici parole.

Sentì il cuore riempirsi di felicità anche se non ne capiva il motivo.

La guardò entrare e notò quanto in realtà fosse buffa e quanta dolcezza emanasse. I suoi capelli castani rivelavano striature blu e viola alla luce del sole. Hazel guardò il tramonto, e credette di potersi sentire a casa.
 

Percy vide il tramonto coprire tutta la sua visuale. Vide il sole calare oltre le montagne in cui prima di quella maledetta missione aveva visto il volta di Gea. L’avrebbe distrutta, a qualsiasi costo!

Si sporse dal piccolo ponte che collegava la Collina dei Templi alla stradina che portava alla Via Praetoria.

L’acqua lo calmava sempre, riusciva a sentire suo padre vicino anche se non gli rispondeva quasi mai. Di certo non si aspettava che gli avrebbe risposto proprio lì, in quel posto che non riusciva a sentire come casa, non dopo che aveva perso una della persone a lui più care. Nettuno si sarebbe sentito troppo a disagio e Percy silenziosamente lo ringraziò, perché voleva essere ascoltato, ma non voleva che qualcuno gli rispondesse.

Il sole calava lentamente lasciando spazio all’oscurità che si estendeva lentamente come una cappa a coprire il cielo, come due grandi mani che si allungavano cercando di rendere proprio tutto ciò che potevano prendere o trovare sul loro cammino.

In realtà si sentiva un po’ come Hazel, diviso fra un passato sicuro e un futuro incerto. Quei flashback erano un po’ come i blackout della ragazza, l’unico problema era che lui era perfettamente cosciente sia prima che dopo quei ricordi.

E la consapevolezza portava a sentire gli occhi bruciare, il respiro mancare e qualsiasi parola sparire.

In quel momento l’unica persona che avrebbe potuto farlo calmare era proprio colei ch non ci poteva in alcun modo essere.

Era sicuro che si trovava già nei Campi Elisi, ma non pensava che sarebbe mai rinata. Lei non avrebbe di sicuro voluto.

Gli mancava. Gli mancava terribilmente e sapeva che lei sarebbe stata in grado di placare e mettere fine al suo dolore. L’avrebbe guardata negli occhi, lei gli avrebbe sorriso e tutto sarebbe andato meglio.

Ma sapeva che non doveva essere così, che in ogni caso sarebbe andata com’era andata, perché se non fosse morta per lui, sarebbe comunque morta e anche se avesse voluto cambiare il tutto, alla fine ci sarebbero andate di mezzo gli uomini. Loro dovevano essere protetti anche se probabilmente meritavano di morire.

Ma chi era lui per giudicare? Non poteva farlo, non per quanto fosse un semidio.

L’uomo ha il destino segnato fin dalla propria nascita. Le Parche non lasciano scampo, se decidono che devi morire, morirai in un modo o nell’altro e non potrai fare niente per evitarlo ma è anche vero, Percy, che noi possiamo cambiare il nostro destino, renderlo migliore o peggiore scegliendo il bene o il male. Possiamo rendere la nostra vita migliore, amando e lottando per ciò in cui crediamo. Sapevi che l’amore fu una delle entità nate alla creazione del mondo insieme a Gea? Quelle parole gli risuonarono in mente, come se lei fosse lì accanto a lui.

Ricordava quel giorno in cui, dopo che entrambi erano stati ricevuti –separatamente- da Reyna, si erano rifugiati su quello stesso ponte e avevano osservato l’acqua del Piccolo Tevere scorrere sotto di loro, a tranquillizzarli, a renderli un po’ più sicuri di se stessi, una sicurezza data anche dalla presenza l’uno per l’altra. Perché in fondo avevano paura, una paura immensa di quello che Reyna aveva detto loro, anche se Percy sapeva che quel giorno Edila gli aveva nascosto parte della sua conversazione con Reyna, senza che lui avesse però sospettato nulla.

E adesso era solo su quel ponte, a dover prendere un’altra decisione, una delle tante della sua vita, e anche questa come le altre avrebbe influenzato il Campo Giove. Ma sapeva già cos’avrebbe scelto. Sapeva che avrebbe nuovamente preferito il bene degli altri al suo, ma voleva perdere tempo per convincersi di poter cambiare qualcosa.

Si sentiva così stupido. Così stupido a rifugiarsi nei ricordi, così codardo. Perché in realtà sarebbe voluto fuggire ma non poteva farlo. Si, perché lui era il Percy coraggioso e pronto a far ridere tutti, ma a volte avrebbe voluto proprio fuggire via da tutto e tutti.
 

-Benvenuta!- esclamò Reyna rivolgendole un sincero sorriso, senza però guardarla realmente negli occhi. –Tu sei Edila vero? Sei la ragazza venuta al Campo insieme al graecus..-. Fu in quel momento che senza rispondere, senza rispettare le regole della buona educazione, le sorse spontanea una domanda. –Perché chiamate solo lui in quel modo?- chiese Edila curiosa e un po’ irritata. Sapeva cosa quella ragazze le avrebbe detto, lo immaginava, lo sentiva semplicemente.

-Bene. Vedo che nessuno ti ha mai parlato delle così dette “regole basilari per una buona educazione”- esordì un ragazzo mingherlino che si nascondeva dietro Reyna.

Spostò un attimo lo sguardo su di lui. Aveva un’aria scaltra, ma anche qualcosa che non la convinceva per niente. Era un saccente. Era presuntuoso e bisognoso di attenzioni, non era lì per rispondere a gente del genere, pensò.

Edila gli rivolse un sorriso di superiorità e fece per rispondere a tono, quando fu costretta a portare lo sguardo su Reyna che stava per pronunciare qualcosa, ma questa volta la incastrò con i suoi occhi, senza lasciarle scampo.

La ragazza cercò di formulare una frase di senso compiuto, ma era totalmente scombussolata. I due “cani”-per così dire- che le stavano sempre accanto era alquanto agitati. Il ragazzo che si trovava dietro di lei -e che teneva stretto fra le mani un peluche di grandi dimensioni, notò Edila- spostava lo sguardo confuso da lei a Reyna, non capendo cosa succedesse.

Per quanto si potesse sentire importante evidentemente non era abituato a vedere l’altra ragazza a disagio con i nuovi arrivati. Fu notando gli occhi sconvolti e spaventati del ragazzo, che si riempivano di rabbia pian piano, che capì di aver perso il totale controllo di se stessa.

Cercò di riprendersi e abbassò lo sguardo, portandosi le mani alla testa che le stava esplodendo. Si sentì barcollare e tentò di non perdere l’equilibrio, era davvero troppo sfinita e i pensieri confusi e spaventati di quei ragazzi non l’aiutavano.

-Sonno!- sentì esclamare al ragazzo, sorpreso. Lei era convinta e sapeva che era finta sorpresa. Loro la stavano aspettando, sapevano chi era.

Si riprese all’improvviso come se non fosse successo nulla e rivolse lo sguardo più sicuro che aveva al ragazzo, soffermandosi con la coda dell’occhio a Reyna che cercava di rassicurare i suoi …  “cuccioli”.

-Si. Sono io. Edila, figlia di Ipno o meglio, come dite voi, Sonno.- disse d’un fiato, trattenendo i pensieri che si affollavano cercando di prendere il possesso della sua mente.

-Sai perché sei qui, vero? Sei sicura di voler rimanere? Sei in tempo per tornare indietro alla tua.. vita-. Edila sentì che il ragazzo aveva trattenuto a stento una parola, un aggettivo.

-Inutile.-

-Cosa?- chiese Reyna ancora scossa, che non riusciva più a seguire il filo del discorso. Questa volta era lei a spostare lo sguardo dall’uno all’altra dei ragazzi presenti lì con lei.

-So cosa volevi intendere.. Ottaviano. Non sei l’unico a sapere le cose qui. Non sai nemmeno una minima parte di ciò che pensi di sapere su di me. Non sai nulla!- sputò sprezzante per poi continuare –ed evidentemente, non sono poi così inutile se sono qui.- e gli rivolse, involontariamente, un sorriso amaro che proprio non riuscì a trattenere.

Ottaviano era piuttosto scosso anche se non lo dava a vedere. Stava per rispondere, quando Reyna lo bloccò, come prima aveva fatto con Edila, e fu a lei che si rivolse.

-Ti prego. Abbiamo bisogno di te, stai dalla mia parte!-. Poche parole pronunciate in una supplica, una supplica che voleva intendere: “Ti prego non controbattere, stai al gioco. Ascolta me, non lui. Stai dalla mia parte, non ti rivoltare anche tu contro di me. Lui non conta poi così tanto.” o che suonava come qualcosa di molto simile, e per capirlo non aveva bisogno dei suoi poteri.

-Dimmi cosa devo fare..- pronunciò quelle parole cercando di non mostrare la paura che la stava attanagliando, cercando di dare alla sua voce un tono deciso.

Lei già sapeva.
 

Percy fu come svegliato di soprassalto da una voce lontana, da un tocco familiare e solo successivamente, vedendo Hazel accanto a lui, dalla consapevolezza che non l’avrebbe ringraziata mai abbastanza per averlo salvato dal vortice oscuro che ormai erano i suoi pensieri.

La guardò confuso per una frazione di secondo, per poi sorriderle. Anche quegli occhi dorati avevano conosciuto Edila, avevano provato ciò che era capace di darti.

Il ragazzo sentì gli occhi pizzicare e la vista appannarsi, e qualche secondo dopo un paio di braccia lo stringevano, come a voler condividere quel dolore con lui, come a volerlo allontanare da lui.

E in tutta quell’oscurità che calava pian piano, sentì che anche Hazel provava un po’ del suo dolore, ma che Frank la stava aiutando tantissimo. E lui sapeva che anche
Annabeth sarebbe stata capace di farlo stare meglio.

Ecco. Adesso si sentiva dannatamente egoista.

Le lacrime scesero dai suoi occhi senza che potesse controllarle in alcun modo, e Hazel lo strinse più forte a se.

-Anche a me manca, Percy, più di quanto tu possa immaginare. Quella ragazza ti entrava dentro, riusciva a capirti..- non riuscì a finire la frase che le morirono le parole in gola.

-Perché..? Perché Hazel? Perché proprio lei e non qualcun altro?- disse Percy in un pianto sommesso, cercando di trattenere i singhiozzi che ormai scuotevano il suo petto. Sapeva che Hazel non avrebbe frainteso la sua frase e sapeva di poter davvero condividere con lei un po’ del suo dolore.

-Percy.. io.. io non lo so. Sono solo consapevole di essere qui, viva, a vivere una seconda vita, una vita che sarebbe potuta essere di Edila e invece.. mi dispiace Percy.- fece allontanandosi da lui delicatamente, sentendosi inopportuna.

Percy capì cosa intendeva con quell’affermazione, sapeva quanto potesse sentirsi in colpa quella ragazza e lui stava peggiorando il tutto.

-Hazel.. Hazel no! Tu.. tu meriti di vivere questa vita, tu meriti questa seconda opportunità. Edila sapeva cosa stava facendo, lo sapeva fin troppo bene. Sapeva di non essere abbastanza forte in battaglia, sapeva che non ce l’avrebbe fatta.- la riprese lui, scuotendola per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi e pronunciando con una certa fatica le ultime parole. Non sarebbe mai riuscito ad infondere la fiducia che voleva in quelle parole, ma ci credeva, erano la verità e sperava che ciò potesse bastare.

La figlia di Plutone lo guardò confuso, ma non cercò spiegazioni. Disse flebilmente –Tutto ciò lo avrebbe detto e fatto anche lei.- tirò su col naso come una bambina e gli sorrise. -In fondo sei come lei Percy. La porti qua..- accompagnò la mano di Percy sul cuore del ragazzo e continuò -.. lei vive in te!-. Lo guardò negli occhi e poi fece per andare e lasciarlo nuovamente solo, quando sceso già il ponticello gli urlò –Domani c’è il consiglio, non dimenticarlo, Pretore.- e gli rivolse un occhiolino, con la sicurezza e la vivacità di cui era capace solo quella ragazzina.

A quanto pareva lui era importante per la “sopravvivenza” del mondo e sapeva che se era andata così, era perché doveva andare così fin dal principio e lei glielo aveva mostrato. Probabilmente alla fine, se fosse andato tutto bene sarebbe anche morto, ma adesso non poteva, pensò.

***

Il giorno della riunione del Senato arrivò prima che Percy potesse accorgersene. Adesso si ritrovava dentro quella grande sala ad osservare i volti dei presenti.

Hazel e Frank gli sorridevano fieri di lui, Reyna lo guardava ammirata e Ottaviano avrebbe voluto farlo fuori, ma avrebbe dovuto aspettare e quindi si limitava a lanciargli occhiate per intimorirlo. Percy lo vide semplicemente come un tentativo fin troppo stupido.

Sapeva inoltre di doversi concentrare su qualcosa, qualcosa che non fosse il ricordo di Edila, e che doveva cominciare a vivere, a riprendersi la sua vita, per quel poco che ricordava di averne avuto, e quello era il momento adatto.

Parlarono di ciò che era accaduto, della missione e nominarono anche la ragazza che aveva dato la vita per quell’ impresa, a cui la sera prima avevano fatto una cerimonia insieme ai pochi morti della battaglia appena avvenuta.

Ci furono parecchie idee contrastanti su quello che avrebbero dovuto fare adesso, e Ottaviano era contrario ad ogni proposta che Percy prendeva in considerazione. Quello fra i due era un odio puro. Gelosia da parte di Ottaviano, e senso di giustizia nei confronti di chi sentiva di avere più capacità di quante ne avesse in realtà da parte di Percy.

Alla fine il graecus che aveva salvato il Campo, riuscì a convincere il Senato ad aspettare la nave volante che stava arrivando in loro aiuto e che portava con se Jason e anche..

Annabeth.

Sperava davvero che avrebbe potuto aiutarlo. Aiutarlo a capire, a stare meglio, sapeva che solo lei era capace di ciò e sapeva di non stare rimpiazzando Edila.

Come un vortice in piena, mentre si stava dirigendo fuori dall’aula del Senato con Frank ed Hazel al suo fianco, vide passargli dinnanzi a se tutta ciò che aveva vissuto fino ad ora: Grover, sua madre, Tyson, Annabeth, il Campo Mezzosangue, Chirone, Luke e tutti coloro che avevano fatto parte della sua vita.. e lì, tra quelle immagini la vide.

Lei.. lei arrivata prima di Annabeth. Loro due sul cornicione, ad un enorme altezza da terra, lei che invocava aiuto, lei che si faceva domande senza trovare risposte, lei che non aveva idea dei poteri che aveva, lei con le sue insicurezze, lei con la sua paura, lei con la voglia di mettere fine a quel dolore. Lei con una voglia immane di vivere nonostante tutto il dolore.

E capì. Capì di conoscerla, di averla davvero amata, di averla aiutata e di averla salvata anche lui a modo suo. Capì che loro due avevano già vissuto, e che adesso ci poteva essere solo Annabeth.

Annabeth senza timore, senza alcun senso di colpa, senza paura di essere nel luogo sbagliato. C’era Annabeth senza la paura di non sentirsi più a casa.
 

Un urlo straziante squarciò il clangore delle armi fatte di ombre della battaglia. Vide Frank ed Hazel allontanarsi trascinando con se Alcione, portandolo lontano dalle sue Terre di appartenenza.

La vide. La sentì. La sentì fin dentro le vene, scorrergli insieme al suo sangue, arrivare al suo cuore e distruggerlo, gelando la circolazione, immobilizzandolo per il terrore.

Gli bastò girarsi che la vide dietro di lui, il suo stesso coltellino a squarciarle il petto, contornato da una chiazza rossa di sangue che colando bagnava lentamente il ghiaccio bianco sotto le sue ginocchia. Quel sangue che sembrava segnare il tempo, quel sangue che stava distruggendo la purezza di quel luogo, quell’urlo che stava invadendo le orecchie di Percy, e lo sguardo di lei che non gli permetteva di muoversi.

Quelli che moriranno in questa battaglia resteranno morti.

Queste parole risuonavano nella mente di Percy dal momento in cui aveva sentito quell’urlo fin troppo familiare. Sapeva di stare perdendo tempo, ma prima di raggiungere la ragazza avrebbe dovuto liberarsi da quella Legione che gli stava alle calcagna.

Allo stremo delle forze, arrabbiato e vedendosi impotente cercò di sfruttare tutta l’acqua che era contenuta fra quei ghiacci e fu così che riuscì a scatenare un piccolo uragano intorno a se per proteggersi quel tanto che bastava senza dover combattere.

In un momento migliore si sarebbe chiesto che diavoleria fosse mai questa o da quando era capace di fare ciò, ma davvero doveva muoversi e non aveva più tempo.

Cercò di riprendersi e corse verso Edila poco distante da lui, che nel frattempo si era accasciata al suolo. Si inginocchiò al suo fianco e le alzò la testa.

-Che.. che diavolo.. perchè?- chiese confuso Percy. Lei si sforzò a parlare –E.. era così che.. è giusto Percy.- disse con la voce ridotta ad un sussurro. Tossì, con un colpo talmente forte da spezzarla in due. Sputò sangue dalla bocca e Percy si sentì perso. Non poteva essere reale! Non poteva davvero essere finita! C’era qualcosa che poteva ancora fare.. ci doveva essere!!

Premette con la mano sullo squarcio aperto nel petto della ragazza e estrasse il coltellino. Lo lanciò lontano maledicendolo e continuando a ripetere –Dai Edi.. ti prego. So che ce la puoi fare. Guardami, sono qui. Edila.. apri gli occhi, non è ora di dormire questa, mi serve il tuo aiuto. Non chiudere gli occhi, resta con me. Guardami sono qui-.

Una cantilena, una supplica, poteva sembrare di tutto ma in quel momento Percy si ritrova a lottare contro la morte e sapeva di averlo fatto già diverse volte. Malediceva gli dei e li pregava, pregava suo padre, pregava Ade e pregava la Morte che stava assistendo imperterrita a quello spettacolo.


Edila alzò una mano per accarezzare il volto del figlio di Nettuno, e gli rivolse un sorriso sussurrando –Attenta alla lama amica!-. Accostò le mani sul volto di Percy, e fece quello che aveva fatto tempo fa: gli passo i suoi pensieri. Sapeva di non potergli ridare la memoria perché avrebbe disobbedito a Giunone e avrebbe rovinato la missione adesso che era giunta quasi al termine. Cercò di contenere il suo potere troppo potente soprattutto adesso che lei non aveva più forze materiali, cercò di non trasmettergli i suoi sentimenti ma solo i ricordi. Sapeva farlo bene ormai, anche se sapeva di stare rischiando, voleva che quel ragazzo dagli occhi come il mare non dimenticasse.

Il dolore era qualcosa di mai provato prima. Non era il solito dolore interno, quello che ti squarcia il petto, quello per cui vorresti urlare e piangere perché ti scoppia la testa e tu proprio non riesci a controllare il tutto. No! Quel dolore era molto di più: era paura, rabbia, delusione e la consapevolezza che sarebbe durato solo qualche istante, la consapevolezza che chiudendo gli occhi non li avresti più riaperti. E la figlia di Ipno adesso aveva paura. Paura di dover lasciare tutto anche se a volte avrebbe voluto farlo.
Voleva rivedere quegli occhi stupendi, voleva sentire l’amore di Percy, quell’amore che l’aveva resa forte, che le aveva dato uno scopo.


Sapeva però che era per lui che lo stava facendo. Sarebbe stato semplice: doveva solo continuare a guardarlo, lui l’avrebbe fatta stare meglio, il dolore sarebbe finito presto e lei avrebbe dormito, come sempre, niente di più facile.

La gente si sbagliava. La morte non era fredda, non era buia.. era solo paura. Tanta paura. Ogni cosa, quando stai per morire si trasforma in paura.

È per lui, è solo per lui, pensò.

Lei vedeva il mare in burrasca degli occhi di Percy, e ci vide la vita in quegli occhi. Vide la luce della vita, e si sentì invadere da un calore mai provato, da una pace mai percepita, da un senso di libertà mai conosciuto. Si sentì bene, si sentì a casa.. ma aveva paura.
 

Durante le sue ultime ore lei aveva avuto paura. Non paura della Morte che presto l’avrebbe accolta fra le sue braccia, ma paura che qualcosa le avrebbe impedito quel sacrificio.

Ma ce l’aveva fatta, pensò Percy.

 
Thanatos aprirà le sue porte e la paura sarà la migliore compagna della morte.

La Morte era lì, la vedeva, ed era lì solo per lei. E neanche la paura la stava abbandonando adesso che stava per chiudere gli occhi.
 
Un uragano di emozioni accompagnerà la vita, finchè un’anima non sarà fuggita.

E anche lui era là con lei. Percy era accanto a lei e stava cercando di proteggerla con quell’uragano che si era creato intorno come scudo, e lei riusciva ancora a sentire che quell’uragano il ragazzo lo portava anche dentro di se. Quell’uragano che si portava dentro ed esternava, stava cercando di proteggerli, cercava di alimentare a suo modo la vita, riuscendo però solo a conservare la morte e a renderla un po’ meno dolorosa.
 
Solo un corpo debole acconsentirà al sacrificio, e un cuore forte ne conserverà l’artificio.

Il suo copro debole in battaglia aveva acconsentito al sacrificio, ma il suo cuore aveva amato e sperato fino alla fine. E adesso le conseguenze e tutto ciò in cui lei aveva creduto erano in Percy..
 
Il mare si svuoterà e solo la conoscenza al suo antico splendore riportarlo potrà..

.. che appena lei aveva chiuso gli occhi si era sentito totalmente vuoto. Ma poi cercando dentro di se aveva trovato quei sentimenti, e con i pensieri che Edila gli aveva passato, adesso era forte, e sapeva che avrebbe vissuto fino alla fine.
 
Attenta alla lama amica, da cui dipenderà la partita!

La sua stessa lama si era rivoltata contro di lei.
L’aveva vista fra le mani di una delle ombre, dirigersi verso Percy, e l’aveva fermata.
Azael, l’angelo.. che l’aveva sempre protetta in battaglia, ..della morte che l’aveva condotta dinnanzi a quelle porte maledette.

Percy pensava ancora alla profezia, a quella profezia di cui nessuno gli aveva parlato, quella profezia fin troppo personale per lui ma rivolta ad Edila, quella profezia che non sarebbe dovuto essere permessa.
 
- Una vita per un’altra vita.. Ti amo!- e fu lì che sorridendo e beandosi del colore di quegli occhi che aveva amato e amava, che lo salutò sapendo di aver trovato il suo scopo nella vita.

-No! No no! No!! Ti prego, per favore.. no! No!- urlò al cielo, rivolgendo uno sguardo di supplica a Thanatos che se ne stava lì a guardarlo senza alcuna espressione in volto.

Sapeva che non avrebbe potuto fare nulla in ogni caso, che lui li aveva avvisati, ma non ci voleva proprio credere.


Percy sentiva il sangue di Edila scorrergli fra le dita, e sentiva la vita di lei scivolargli fra le mani. Il terreno sottostante, ricoperto dal ghiaccio, era passato da un bianco puro ad un rosso che avrebbe portato con se di tutto, dai sensi di colpa al dolore. Che avrebbe portato via anche la felicità di Percy e un po’ della vita di quei ragazzi.

Poggiò le sue sottili labbra a quelle carnose ma ormai fredde di lei, e la baciò. La baciò come per ridarle vita, la baciò come si fa nelle favole, la baciò sperando che il suo respiro potesse arrivarle e riportarla indietro, la baciò sperando che lei lo potesse sentire, la baciò come sapendo che sarebbe stata l’ultima volta.

L’uragano che li aveva protetti fino ad allora, fungendo da barriera e respingendo qualsiasi attacco, alimentato dalla rabbia e dalla paura, adesso si stava affievolendo, rallentava e a breve avrebbe lasciato Percy senza alcuna protezione da ciò che lo circondava e lui non si sentiva in grado di combattere, di alzare un dito, di poter uccidere anche una sola anima.

Si separò dal corpo della ragazza, cercò di portarlo dietro le mura del Campo ormai inesistente, e si ripromise che sarebbe tornato e l’avrebbe portata con se.

Era così pallida, ma sembrava dormire tranquillamente.

Lui amava osservarla dormire, si perdeva a guardare e memorizzare ogni minimo particolare di lei.

La lasciò là tornando alla battaglia, ma mentre si dirigeva verso le Legioni che non aspettavano altro che lui, ritrovò Azael, il coltellino di Edila. Quell’arma l’aveva protetta in mille battaglie, ma era stata la sua stessa arma ad ucciderla..

Azael, l’angelo della morte, continuava a ripetere nella sua mente, dopo che avendo messo bene in custodia l’arma, avanzava cercando di respingere tutte le anime che andavano contro di lui.
 

Adesso capiva e sapeva. Sapeva cos’aveva voluto dirgli con quelle poche parole. Non aveva potuto dire molto prima di lasciarlo, ma lui l’aveva amata fino all’ultimo respiro.

Si sentì sorreggere dai suoi amici che lo guardarono con occhi preoccupati, ma lui rivolse ad entrambi un fievole sorriso, e guardando Hazel capì che anche lui avrebbe dovuto superare quel momento, perché non poteva vivere se avesse continuato a pensarla.

Edila era diventata in poco tempo da una ragazza insicura che si credeva incapace di fare qualsiasi cosa, da una ragazza che aveva paura, da una ragazza che aveva bisogno di amore e di essere aiutata, ad una ragazza sicura e capace di sopportare qualsiasi sentimento che le affollava la mente e il cuore, che anche cadendo era capace di rialzarsi per ritrovarsi sempre più forte. Si era trasformata in una ragazza sicura di se, che dava amore e che aiutava. Aveva scoperto i suoi poteri e solo come pochi erano in grado di fare, li aveva sfruttati nel modo migliore. Lei aveva lottato fino alla fine, contro il giudizio degli altri, contro il dolore e la paura, contro se stessa, contro la morte e contro il destino. Convinta di non avere uno scopo nella vita, convinta di non avere qualcosa per cui lottare o un motivo per cui vivere, aveva capito che doveva semplicemente cercarli dentro se stessa, e quando li aveva trovati, aveva lottato fino alla fine per sostenere le sue idee che non erano morte con lei.

Percy era consapevole che Edila viveva davvero in lui, sapeva che avrebbe parlato di quella ragazza ad Annabeth, ai suoi figli e a chiunque si sarebbe ritrovato senza speranza, fiducia o amore. Perché le idee e i pensieri di Edila non erano morti con lei, ma avrebbero continuato a vivere grazie a lui. Perché tutto quello che lei aveva trasmesso a Percy, lui lo avrebbe portato agli altri.. le avrebbe permesso di vivere nei suoi pensieri, nel suo amore e nel suo cuore.

Perché Edila non era morta, aveva solo trovato un modo diverso per comunicare alla gente e per aiutare la persona che più al mondo aveva amato.

Si concesso di pensarla un’ultima, vera, volta.
 

Ottaviano alzò il coltello che teneva nella mano destra, e lo abbassò in un colpo letale a squarciare il petto del grande peluche che si ritrovava fra le mani. Cominciò a leggere dentro l’imbottitura  del mega cagnone, intimorendo le due creature di Reyna.

Se un bambino lo avesse visto in quello stato, sicuramente si sarebbe ritrovato spaventato a piangere, pensò Edila.

I gesti che il ragazzo compiva avrebbero dovuto far ridere per la loro vena ridicola, ma in realtà incutevano timore, non solo per il secondo fine che avevano, ma perché lì nessuno stava scherzando. Con il destino non si scherzava.

Lei sapeva già tutto. Gliene aveva parlato Era al Campo Mezzosangue e Lupa le aveva spiegato di più, senza però che le due si fossero sbilanciate troppo. Ma Edila ormai sapeva come penetrare nei tuoi pensieri senza che tu te ne rendessi conto.

Ottaviano si ricompose all’improvviso, interrompendo il flusso di pensieri della ragazza e suscitando una scintilla di  paura negli occhi di Reyna. Edila si chiedeva per quale motivo Reyna avesse paura. I due presenti oltre a lei sapeva già cosa sarebbe successo e cosa il destino aveva deciso per lei, perché Reyna aveva paura per lei?

Ormai la figlia di Ipno era abituata a farsi domande che non avrebbero trovato risposte, e il timore e la paura che l’avevano assalita poco fa, adesso la stavano totalmente abbandonando. Già sapeva e avere paura non avrebbe fatto altro che compromettere la missione, e lei non poteva permetterlo.

Ottaviano cominciò a dire:
 -Thanatos aprirà le sue porte
e la paura sarà la migliore compagna della morte.
Un uragano di emozioni accompagnerà la vita,
finchè un’anima non sarà fuggita.
Solo un corpo debole acconsentirà al sacrificio,
e un cuore forte ne conserverà l’artificio.
Il mare si svuoterà
e solo la conoscenza al suo antico splendore riportarlo potrà..-

e si fermò soppesandola con il suo sguardo. La studiava per capire cosa provasse anche se sapeva che lei non gli avrebbe dato la soddisfazione di poterlo capire anche in minima parte, così lui si limitò a guardarla con compassione.

Edila lo guardava impassibile, e dopo le ultime parole pronunciate, Reyna le si avvicinò e portando la mano ad artiglio sul cuore la condusse in un movimento esterno.

Il gesto di scongiuro, pensò Edila.

Capì che nessuno avrebbe provato a dire altro, capì che nessuno avrebbe provato a spiegarle tutto ciò o a consolarla e capì quanto in realtà sapessero.

Un romano non avrebbe mai adottato un simile gesto, voleva lasciare intendere lo sguardo sconvolto di Ottaviano.

Quel ragazzo non aveva un minimo di pudore, riflettè Edila scuotendo lentamente la testa.

Reyna le tese un mano e pensò “Perdonami, vorrei ci fosse un altro modo. Grazie..” e le rivolse un piccolo sorriso che la ragazza ricambiò a sua volta.

Non aveva paura, sapeva solo che la sua vita l’aveva portata a quello e che quello era il suo destino, il suo scopo che per tanto aveva aspettato. Non aveva rimpianti e non si meravigliava di nulla. Capiva ogni singolo gesto e parola non detta di quell’aula. Non li biasimò, non poteva. Anzi, li ringraziò perché sapeva che l’avrebbero aiutata e sostenuta fino alla fine.

Si voltò e fece per uscire quando Ottaviano, come scosso da un impulso improvviso puntò i suoi occhi sulla ragazza e le urlò –Attenta alla lama amica, da cui dipenderà la partita!-.

Si fermò per un attimo per poi continuare lungo la sua strada.

Lì, in quell’aula, quel pomeriggio, non esistevano più greci o romani, dei con nomi o caratteristiche diverse, non esistevano nemici e amici, non esistevano le parole di Marte o Ares, non esisteva più un numero da rispettare per le missioni, non c’era spazio per pensare, c’era solo una missione, uno scopo, e una vita da salvare.
Non c’era una profezia da decifrare, perché in quel giorno la vita reale era tutto. E si sentiva: presente, forte, con la voglia di non abbandonare ognuno di quei tre ragazzi.

Edila pensò che tutto quello che stava accadendo fosse assurdo, che fosse solo un brutto scherzo, ma sapeva che non era così. Aveva trovato il suo scopo, ma aveva anche capito che non avrebbe dovuto fidarsi di se stessa.

Uscendo incontrò quell’oceano che erano gli occhi del figlio di Nettuno, le sue sottili labbra piegate in un sorriso teso, e sentì che aveva paura. Le venne da ridere, e permettendogli di fraintendere, gli rivolse un sorriso aperto e contagioso.

Aveva mille domande e dubbi, eppure sapeva già. Lo sentiva. Lo sentiva negli sguardi degli altri, lo sentiva negli sguardi di Lupa ed Era, lo sentiva in quello di Percy, lo sentiva nelle parole non pronunciate, nella paura e nella determinazione alla vita, nella voglia di non arrendersi alla morte, lo sentiva nell’aria.

Capì che avrebbe potuto fidarsi solo di chi la circondava, di quegli occhi che l’avevano appena fatta stare bene e di quel sorriso che le aveva fatto capire che qualsiasi fosse il tuo destino, qualsiasi fosse stato il percorso della tua vita.. beh, adesso sapeva che ne valeva sempre la pena.
 

Perché se ti piangi addosso e ti fermi ad osservare solo alcuni particolari della tua vita, o decidi di fermarti a rivivere sempre le stesse situazioni e a rifugiarti nei ricordi, allora non vivrai mai veramente. Perché se qualcuno ti ha donato una vita da vivere, anche se probabilmente è la peggiore che potesse affibbiarti, vuol dire che vale la pena viverla, perché tu sei qua, adesso, e non puoi fermarti, devi correre e rischiare perché l’orologio gira in un solo verso e non si fermerà perchè tu possa anche solo riprendere fiato.

La vita non starà al tuo passo, devi essere tu capace di lasciarti trasportare da lei.

 


 

Spazio Boo!

Ciaooooooo bellezzeeee :D bene.. avrei delle cose da dire:                                                                                                                                           innanzitutto vi chiedo immensamente scusa se ci sono errori di battitura, scusa se la profezia fa cacare, scusa se non avete capito nulla e scusa per questa storia lunga 15 pagine che forse sarà anche monotona  e banale, ma in questo caso ho da ridire!!                                                 Amo questa storia, ho amato scriverla e mi ha divertito tantissimo impegnarmi nella sua creazione. Doveva essere una piccola idea, una storiella banale che però è diventata qualcosa di più grande. In questa storia ho trovato fiducia e amore, ed Edila è riuscita a trasmettermi tanto e spero che lo stesso sia per voi. Okay.. sto parlando da sola *^*                                                                                     Volevo semplicemente dirvi grazie se siete arrivati fino a qua, per cui mi farebbe piacere se vi fermate a darmi un parere.     Beh.. credo di aver detto tutto.. ehm.. Grazie, grazie e ancora grazie **                                                                             Per il resto credo che la storia parli da se xD                                                                                                                   Baci, J xx  

P.s. Questa è una specie di continuazione di quest'altra storia, se vi andasse di passare ;)   

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2019534&i=1                                                                                                                                                                                                                             

  
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