Further than Near
-Respiro
veloce-
Vento
lontano da Est. Veloce come cento treni in corsa fuori binario, vuole i miei
capelli. Li avrà tra petali di acqua e ghiaccio festoso.
-
Fisso
il soffitto –
E
sono aghi di festa che possiedono il corpo e la mente. Segui il vento, segui i
capelli, non lasciare che la mano si provi a ricomporli. Vanno dove vuoi
andare. È il vento che, veloce come cento locomotive, trova la strada più
breve. Tra mille monti in tiepida festa.
-
Mi scopro sempre più spesso intento a fissare il soffitto, immerso in quella
che ad un occhio fantasioso potrebbe apparire una calda schiuma di tiepidi
pensieri-
Soffitto
scalfito da aghi e vento. Te lo dico così, con parole di fortuna; e sei tu che
fisso al soffitto. Ridi, puoi ridere, perché non sarai più solo. Non saremo più
soli. Per primo il respiro meno rado, poi uno sguardo ancorato alla festa dei
tuoi anni.
-
E
non hai idea di cosa possa essere?- mi chiedi, la tua indagine è gentile e
timorosa.
-
Lo
sai che ti amo?- chiedo in risposta,
come per fossilizzare sotto strati di calorosa argilla le tue preoccupazioni.
Sei lievemente percorso da un caldo sussulto.
-
Lo
so..- rispondi, e sorridi. Il vento disegna sfoghi sulla tua pelle. Ti avventi
su quel calore che mi parla.
-
…
ma vuoi sapere cosa sia, e hai perfettamente ragione- è adesso che il sole
tramonta in una stanza, attraverso gli scuri scalfiti da raggi di vento. Forte
da est, come cento cavalli senza sella e fantino.
-
E
me lo puoi dire?- tre volte azzurro e caldo. Sei questo mentre chiedi un nuovo
mio flusso di parole.
-
Prima arriva il respiro veloce-
Faticoso.
-
Poi mi scopro a fissare il soffitto-
Ardito.
-
Amore, c’è che siamo io e te, e che la festa può iniziare-
Nuovo.
Definito.
Era
un coniglio in gabbia, prima di volare alto in cielo.
Non
credo di averti mai raccontato di quando l’ho sentito teneramente grattare le
sbarre della gabbietta metallica. Era candido, piccolo e sano. Non dissimile in
questo alla creatura che adesso vola e ci porta in groppa lontani, saldi.
Salvi.
Non
so dove fosse stato comprato. Chi sia stato a nasconderlo sotto il mio letto,
proprio non riesco ad immaginarlo. Forse sei stato tu a regalarmelo, forse sono
stato io. Forse sono state loro. Forse sono stati loro.
Credo
che siamo stati noi. Era piccolo e
scalpitava, mangiava buffe palline senza tregua. Un giorno in cielo splendeva
un sole tanto dolce e pieno da ricordare il calore di un bacio posato sulla
pelle appena lavata e profumata di miele e cannella. Il prato, riscaldato, è
lucido e asciutto. Vento ghiaccio da est. Pioggia al centro. Città gremita,
siamo molti, pieni, c’è un tavolo lungo e squadrato. C’è calore in tutto ciò
che diciamo, facciamo, beviamo. E allora io lascio aperta la gabbia. Un bianco
fulgore attraversa la sala. Accarezza i nostri caldi capelli, ci asciuga occhi
e menti. Ci bacia, e due ali ornano il buffo batuffolo candido. Vola, e in men
che non si dica siamo suoi passeggeri.
-
non
lo sapevo, ma avrei dovuto intuirlo- dici, e il bastone di gomma ti colpisce
due volte. Incolume digrigni i denti e aggrotti la fronte. Non dire
sciocchezze.
-
Non
dire sciocchezze, non sono cose che si possono capire.. così!- dico, senza
tregue e timore al bianco calore che ci unisce a un futuro che può essere
nuovamente splendente.
-
Così
come?- mi dici, sfidi il coniglio alato.
-
Così..
cioè.. su due piedi! Non si capisce quando per un’altra persona è in atto la
corsa del coniglio-
Dico, e verosimilmente.
-
ma
io ti amo, e dovrei capirlo…- dici, caldo batuffolo azzurro e biondo.
-
Ti
amo, goditi il panorama – dico, sovrastando col cuore la grande valle innevata
che si apre ai nostri piedi.
Uno,
due, quattro, cinque conigli. Corrono, volano, giocano.
Sarà
un lungo, lungo inverno.
Insolitamente
caloroso.
TBC…