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Autore: AragostaMeccanica    24/12/2013    1 recensioni
"Il momento fu interrotto da un tremolio generale, quasi come fosse un terremoto, ma fui irritato dall’unico fatto che mi fece cadere la sigaretta nel cesso."
Genere: Comico, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era come se fossi appena uscito dal mondo, contavo i secondi uno ad uno, tutto era così confuso, non avevo mai visto così tante cose tutte nello stesso momento, il vento mi faceva da timone e la brezza da letto, mi sentivo vivo per la prima volta, non perché la mia vita non mi avesse già donato attimi indelebili, ma soltanto il fatto che il terreno fosse attimo per attimo più vicino mi iniettava gioia in circolo.

 
Piacere, mi chiamo Antonio, nipote di immigrati italiani negli Stati Uniti d’America, vi starete chiedendo cosa ci faccio in volo ad assaporare la vita, giusto?! Beh, sono una delle vittime dell’11 settembre 2001.

Non state li a piangere e ascoltate ciò che ho da dirvi.

Siamo tutti a conoscenza delle “difficoltà” della vita: disturbi psicologici, malattie, traumi, dolori in tutto il corpo; sono stronzate.

Vi scrivo da un mondo inesistente lettere che non esistono, su un foglio che è presente soltanto nel vostro cervello.

Non sono parole di conforto per la vostra miserabile vita, né parole di sconforto, praticamente non ho detto ancora nulla.

Dai, ora comincio.

Al mattino di quell’insano giorno ingurgitai il mio solito caffè all’italiana, poche dita di un medicinale indispensabile per l’organismo di un mediterraneo, diedi un bacio a mia figlia, la più piccola di due tornado, ed ebbi sia il tempo per litigare con il mio bimbo più grande(Bimbo per modo di dire) sia per una sveltina nel bagno con mia moglie(Non che fosse necessario, ma fa sempre bene).

Si stava aprendo un nuovo giorno ordinario, quello che tutti odiamo, lavoro, sonno, litigate, le cose peggiori potreste dire, forse lo sono, forse no, dipende dai punti di vista, non so neanche più se ho sentimenti, dato che sono morto..

Va bene, cerco di smetterla con l’ironia, ma, sapete, durante la vita si piange troppo, ed ora, senza più preoccupazioni, non posso che ridere.

Comunque, dicevamo, uscii di casa, sgridai il cane che aveva cagato sul tappeto, e tentai di aprire la portiera della macchina, non posso crederci di come potesse essere rovinato quel mezzo, l’unica serratura funzionante era quella del cofano.

Entrai da li.

Persi un totale di ben 10 minuti per avviare quella carretta rumorosa e, con gli occhi ancora rossi dal sonno, mi avviai verso l’ufficio.

Rimasi nel traffico di quell’odiosa metropoli per non so quanto tempo, con la sola compagnia del mio tanto amato sigaro alla vaniglia, ricordo che la mia auto sembrava un piccolo caminetto, fumo sia dal motore che dai finestrini, poi li aprii, qualche sciagurato avrebbe anche potuto chiamare i pompieri credendo che la mia bagnarola stesse andando a fuoco.

Arrivai in ufficio marcando il cartellino, stranamente, non in ritardo, ma lo sguardo sconosciuto del capo mi fece comprendere che le mie condizioni fossero pessime.

Ho sempre saputo di essere imbranato, ma non al punto da sbagliare ufficio.

Okay, scherzavo.

Arrivai in orario, salutai i miei colleghi e scambiai quattro chiacchiere con la guardia di sicurezza.

Fui accompagnato assieme al gruppo in una stanza con diverse sedie;
ero felice che avremmo dovuto fare una riunione, odio lavorare.

Ricordo che ero seduto nelle ultime file quando sentii di abbattermi, il tempo sembrava infinito, sapevo di dover tornare a casa per le 20:00, ora di stacco, ma non riuscivo a rendermi conto di quanti giorni fossero passati, il capo parlava e parlava.

Finii per non avere più idea di dove fossi, di chi fossi, di che giorno fosse, non avevo più coscienza di nulla.
Un tonfo ci fece sussultare.

Fumo nero cominciò ad entrare nelle finestre, ci affacciammo e cominciammo a vedere uno stato di agitazione generale.

Ne approfittai per chiudermi nel bagno, ci era sempre stato detto di non fumarci dentro, ma era più forte di me; mi ero sempre aspettato che quel vizio sarebbe stato il mio omicida, invece no, ancora ci rido sù..

Il momento fu interrotto da un tremolio generale, quasi come fosse un terremoto, ma fui irritato dall’unico fatto che mi fece cadere la sigaretta nel cesso.

Tralasciando il panico totale, non mi ero ancora ripreso dal sonno, scambiai l’odore di carburante e misto di tutto bruciato per carne alla griglia...o forse erano i cadaveri..
Comunque.. mi rifugiai con gli altri in un atrio, non potevamo scendere, un grosso incendio ci bloccava l’uscita.

Notai come divesi uomini in preda al panico, alla rabbia, al dolore si lanciassero dalle finestre, incoscienti di quanto fosse doveroso fumare un’ultima sigaretta in santa pace, ma, poiché non volevo consumare le mie(Non si sa mai), ne approfittai per scroccarne una da un tizio che stava per lanciarsi.

Steso a terra ripensavo alla mia vita, di quanto in passato avessi desiderato togliermela diverse volte, per cazzate, oppure per quando mia moglie aspettava quel figlio scemo che mi ritrovo.

Avevo attraversato diverse dipendenze da giovane, i funghetti andavano di moda, forse mi porto ancora qualche postumo per come io possa ironizzare così spicciolamente sulla mia morte.

Ah, vero.

Ancora devo spiegarvi perché sono un “suicida morto ammazzato”, alla fine feci anche io quella scelta, fù semplice, aspettare di essere per un’ennesima volta controllato dalla vita, oppure prenderne le redini, mi passò per la mia testa malata anche: “Magari riesco a volare..”, ma così non fu.

Ora sono un nome tra più di un migliaio di morti ammazzati.

Un nome, come nulla.

Ho preso le redini della mia vita, mi sono lanciato.

Ecco perché mi definisco in tale modo, non sono stato un codardo come tanti.

Sicuramente starete pensando a quanto possano essere inutili le mie parole, evidentemente non ci avete riflettuto abbastanza.

L’ultima cosa che ricordo è quando mi schiantai al suolo.

Poi mi rialzai, sapete?!, ero in paradiso.

Il paradiso è in terra e noi siamo i dannati.

Dannati a vivere in una realtà che sembra non appartenerci.

Tutto perché non sappiamo chinarci e brucare un pò d’erba.

Che imbecilli noi uomini.

Ah, ricordate che questa lettera non esiste.

                                                                                 -Antonio
  
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