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Autore: Flam92    24/12/2013    1 recensioni
Perché qualcuno dovrebbe passare la sera della Vigilia di Natale in un aeroporto? Beh, voi cosa fareste, se il vostro migliore amico, o amica che sia, sta tornando dalla sua famiglia dopo essere stato in guerra per sei lunghi mesi? Bene, ecco la vostra risposta: fareste come ho fatto io, uscireste a dispetto della bufera di neve che fa pensare d’essere in Siberia, piuttosto che fuori Milano, con ben quattro ore di anticipo sull’orario di arrivo previsto per il volo e poi siedereste pazienti, caffè bollente in una mano e parole crociate, o un buon libro, nell’altra
Genere: Commedia, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: questa storia partecipa al contest natalizio del gruppo EfpMadness
N.d.A Eccomi qui con una storiella natalizia tutta per voi! Spero vi piaccia... è nata da sola e da sola si è scritta, sotto l'influsso dello spirito natalizio... Colgo l'occasione per informarvi che la mia long "E l'amore ingannò il Dio degli Inganni" sarà aggiornata nuovamente a partire da gennaio. Nel mentre, buone feste a tutti voi che seguite, recensite, preferite e ricordate! Un grande abbraccio e baci, Mòrrigan <3



A Winter’s Tale
 


TERMINAL DI MILANO-MALPENSA, 24 DICEMBRE, ORE 18
 
            Perché qualcuno dovrebbe passare la sera della Vigilia di Natale in un aeroporto? Beh, voi cosa fareste, se il vostro migliore amico, o amica che sia, sta tornando dalla sua famiglia dopo essere stato in guerra per sei lunghi mesi? Bene, ecco la vostra risposta: fareste come ho fatto io, uscireste a dispetto della bufera di neve che fa pensare d’essere in Siberia, piuttosto che fuori Milano, con ben quattro ore di anticipo sull’orario di arrivo previsto per il volo e poi siedereste pazienti, caffè bollente in una mano e parole crociate, o un buon libro, nell’altra.
            Così è cominciata la mia attesa per il volo che riporterà Alessandro a casa dai suoi; dopo circa un’ora dal mio arrivo, annunciano che il volo proveniente da Istanbul è, come da copione, in ritardo di un’ora e mezza, causa cattivo tempo. Non a torto, tutto sommato, visto che arriviamo almeno al mezzo metro di neve, e cadono fiocchi grossi come chicchi d’uva, oltre al vento tremendo che soffia senza sosta da due giorni a questa parte.
            Le parole crociate hanno perso tutto il loro fascino, come pure le curiosità e i fatti strani che le accompagnano, perciò mi diletto a osservare le persone che corrono frenetiche avanti e indietro per tutto il terminal, o che come me sono sedute su quegli scomodi seggiolini e si guardano attorno, sperando di scorgere nella calca i visi dei loro cari, stanchi per il viaggio, ma sorridenti e felici perché sono finalmente a casa.
            Quando Alessandro mi ha chiamato, l’altro ieri, mi ha chiesto se potessi passare a prenderlo, visto che vuole fare una sorpresa alla sorella, di un anno più grande, cui è davvero molto legato.
A proposito di sorelle… Strano ma vero, mi è parso di intravederla in mezzo alla ressa: non dovrebbe essere qui; Ale l’ha certamente avvisata, ma mentendo opportunamente sull’orario del volo, in modo da arrivare a casa e farsi trovare lì, senza che lei sospetti nulla. Un bel regalo sotto l’albero, insomma.
            No, no, è proprio lei: solo Giorgia, una filiforme ragazza di un metro e settanta, capelli rosso scuro e occhi grigi, può pensare di uscire con la bufera di neve indossando un paio di stivali a tacco alto.
            Non so che fare, la chiamo o mi barrico dietro la Settimana Enigmistica e spero che non mi riconosca? Prima che possa fare altro, si volta verso di me e mi fissa stupita: beccato! Ho sempre odiato il suo essere tanto fisionomista.
Si avvicina a me camminando con una nonchalance da far invidia ad una modella, nonostante il pavimento fradicio e scivoloso; siede accanto a me, levandosi il piumino e posandoselo in grembo. Sotto porta il suo maglione natalizio di lana bianca decorato da bordini composti di renne rosse.
            “Ciao Yury, come stai?” mi chiede con quella voce roca e gradevole, un po’ bassa, forse per il vento e il freddo.
            “Sto bene Giorgia, e tu? Come mai qui? Credevo che non venissi a prendere tuo fratello”
            “Al solito, ha provato a fregarmi, ma ho guardato gli orari dei voli sul sito della compagnia. Ergo, l’ho beccato in pieno. Così sono io a far la sorpresa a lui.”
Sghignazza soddisfatta, scostando i capelli umidicci che le cadono davanti agli occhi. Oh, lo ammetto, ho sempre avuto un debole per lei… e per i dolci che fa. Come cuoca è una bomba.
            “E pensare che stavolta credeva davvero di avertela fatta. Vedi di non deprimermelo la Vigilia di Natale.” Ribatto a tono e ridendo a mia volta, certo che non se ne avrà a male se anche la prendo un po’ in giro.
            “Quindi suppongo che il mio mezzo russo preferito sia il complice del piano per farmela alle spalle”, esordisce dandomi di gomito.
            “Reo confesso mio malgrado”, replico fingendomi pentito. La mia finta faccia di circostanza dura esattamente tre nanosecondi, poi scoppiamo entrambi a ridere come due bambini rintronati che ne hanno combinata una delle loro.
            “E sì che quello serio dovresti essere tu, vecchietto… Dopotutto, hai ben tre mesi e due settimane più di me”
            “Ancora con questa storia?”, rispondo con uno sbuffo, “Sono solo tre mesi, accidenti! E poi al liceo ero tuo compagno di banco, quindi trattami bene!”
            “Ma se mi rubavi sempre la merenda! Ho fatto la fame per colpa tua. E poi”, aggiunge con un’occhiatina maliziosa, “Non ti ho mai perdonato per avermi nascosto il libro di letteratura inglese. Mi hai costretto ad ascoltare tutte le lezioni di filosofia, di filosofia, mannaggia, anziché leggere gli estratti del Macbeth!
Ahi, questo fa male, set, punto e partita, Giorgia cara, colpito e affondato: stavolta l’hai vinta tu.
            Bene, credo che a questo punto siate un po’ confusi, perciò lasciate che vi spieghi come ho conosciuto i due fratelli terribili, incubo della nostra compagnia quando si giocava a pallavolo. O a calcetto, o a scopone scientifico… sì, insomma, quei due sono un incubo, punto.
            Come avrete capito, io e Giorgia abbiamo frequentato il liceo assieme, invece Ale, più piccolo di me e la sorella di un anno e mezzo scarso, l’ho conosciuto giocando a rugby.
I primi tempi io e lui non ci sopportavamo, difficilmente riuscivamo a stare vicini senza litigare. Al nostro allenatore, però, venne la brillante idea di metterci a giocare uno contro l’altro, durante un allenamento, così da sfogare tutta la tensione e l’astio, per il bene nostro e della squadra.
Quel giorno abbiamo guadagnato una marea di lividi e graffi, certo, ma anche un’amicizia di quelle a prova di bomba.
Quando Giorgia ha realizzato che il mio migliore amico era suo fratello, il giorno che ci ha trovati in casa a discutere di strategie di gioco durante una partita, ci è quasi restata secca per la sorpresa.
Storia incasinata? Probabilmente sì, e vi chiedo scusa, ma insegno fisica e l’essere contorti è d’obbligo.
            Giorgia sbircia l’orologio sulla parete alla nostra destra, che segna le 19:45; sbuffa infastidita e prende a guardare i grossi fiocchi di neve oltre le vetrate, certamente maledicendoli perché, per colpa loro, il fratello è in ritardo.
            “A cosa pensi, Jar Jar?”
            “Non chiamarmi così! Quel carnevale ho preso un granchio enorme. Comunque, pensavo al motivo per cui Ale ha deciso di entrare nell’esercito… Non me lo ha mai detto. E a te?”
Scuoto la testa, sconsolato: “Non ne ho idea, mi spiace. Magari nemmeno lui. Però so una cosa”, proseguo prendendola per le spalle, per tirarla un po’ su, “Fra una mezz’ora, quaranta minuti al massimo, quell’aereo atterrerà e potrai tormentare di nuovo quel gigantesco rompiscatole di fratello che ti ritrovi, il quale è incidentalmente anche il mio migliore amico. Che ne dici?”
            “Si prospetta interessante, davvero”, risponde regalandomi uno dei suoi rari sorrisi di cuore, di quelli che ti fanno sciogliere come neve al sole. Stringe appena il mio avambraccio, ancora saldamente poggiato sulla sua clavicola, quindi si alza un attimo, congedandosi con uno schietto “Scusa, pausa pipì”
            La guardo allontanarsi nella folla, che nel frattempo è diminuita; non mi capacito del fatto che una ragazza così dolce e carina, sempre disponibile e di buon cuore, sia ancora single. Ne avessi incontrate di più come lei, forse non sarei un irrecuperabile dongiovanni. O forse sì, ma magari non avrei litigato coi miei. Motivo per cui ora sono in aeroporto ad aspettare il mio migliore amico, insieme alla di lui sorella.
Questo, però, nessuno di loro lo sa. Sarà uno strano Natale, da solo, lontano da parenti e amici in quel di Ekaterinburg. Pazienza, prima o poi le cose si sistemeranno.
            Dopo una ventina di minuti, eccola di ritorno; si scusa per avermi fatto aspettare tanto, ma a quanto pare, per motivi non meglio specificati, al bagno delle donne c’è sempre una coda chilometrica.
Si lascia cadere sulla seggiolina accanto alla mia e si massaggia il collo, gli occhi chiusi.
            “Fra quanto dovrebbe arrivare l’aereo?” domanda con uno sbuffo.
            “Non dovrebbe mancare molto, cinque, dieci minuti al massimo. Dai, forza e coraggio, tra poco arriva”
            “Cominciamo ad avviarci? Sono stufa di aspettare qui.”
Si alza e rimane a fissarmi con gli occhioni da cucciolo, finchè non mi tiro in piedi e le offro il braccio, quindi cerchiamo di raccapezzarci e capire dove diavolo dobbiamo andare per recuperare il buon Alessandro.
            Uno scricciolo di donna con la grinta di una tigre e protettiva quanto mamma orsa: capisco perfettamente la sua fretta e la sua impazienza di rivedere il fratello, soprattutto in questo momento, dopo sei mesi passati lontani da casa, a rischiare la vita.
            “Smetti di saltellare come un grillo impazzito! Dai, hai trent’anni, non tre!”
            “Non riesco a capire perché è così in ritardo! Sono le otto e venti, doveva arrivare cinque minuti fa!”
            La prendo per le spalle e la scrollo delicatamente, non voglio farle male; la fisso negli occhi, per assicurarmi che capisca bene quello che le dico.
            “Ascoltami con attenzione, ragazza dai capelli rossi: uno, sotto i dieci minuti non è ritardo, due, la nevicata sta peggiorando e tre, per la miseria, se non la pianti di preoccuparti ti chiudo in macchina e ti lascio lì. Chiaro dolcezza?”
            “Sì, sì, è solo che…” mi fissa con un po’ di magone, poi mi abbraccia di slancio nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.
Mi coglie un po’ alla sprovvista, però ricambio quasi subito il suo abbraccio, accarezzandole i folti capelli arruffati. Le poso un bacino piccolo piccolo sulla sommità della testa, mentre cerco di tranquillizzarla come posso. Lei si stringe ancora un po’ a me, tornando ad essere per un momento la timida ragazzina impacciata che era al liceo.
            Per fortuna di lì a poco accade il tanto atteso miracolo di Natale: finalmente viene annunciato l’atterraggio dell’aereo su cui viaggia Alessandro. Giorgia alza la testa di scatto e si stacca da me, per poi tenere d’occhio tutti gli arrivi e scoprire dove dobbiamo andare a prendere suo fratello.
Sarò onesto: stare abbracciato a lei, consolarla e sostenerla nei momenti in cui ne ha bisogno è un cosa che mi viene naturale, oltre che piacermi molto. Dipendesse da me, le augurerei ogni bene e di essere felice, con qualcuno che la meriti davvero.
            “Guarda, Yury! I bagagli di Ale arrivano alla postazione 12! Andiamo a prenderlo lì?”
Mi guarda con gli occhi che brillano di contentezza e impazienza, non posso certo dirle di no. Così, mi trascina in mezzo alla calca correndo come una disperata, finchè non arriviamo nella zona di ritiro bagagli, dove le prime valige cominciano già a scorrere sui nastri.
            “Facciamo così”, le dico ad un certo punto, dopo una decina di minuti che siamo lì, “Ale potrebbe arrivare da un momento all’altro, perciò tu ti nascondi dietro di me, aspetti che mi venga vicino e poi salti fuori urlando –Sorpresa!- Che ne dici?”
            “Uh, bello! Mi piace quest’idea!” ridacchia tutta felice, battendo le mani. È in casi come questi che mi domando se Giorgia abbia davvero trent’anni…
            Ci guardiamo attorno con grande attenzione, ben attenti ad individuare Alessandro prima che lui veda noi, così da mettere in atto il nostro piccolo piano; dopo non molto tempo Giorgia al mio fianco sussulta e mi dà di gomito, facendo cenno con la testa verso le porte della sala. Seguo il suo movimento con gli occhi e vedo anche io il profilo familiare di suo fratello, quindi la sua tenuta mimetica, che spicca in mezzo alla folla. Ancora non si è accorto del sottoscritto, perciò sposto velocemente Giorgia dietro di me e la sento stringersi contro la mia schiena, in modo tale da non farsi vedere.
Considerato che sono alto circa due metri e largo due volte lei, non mi è difficile nasconderla, anche  se è comunque più alta della media delle donne.
            Ale, dall’alto del suo metro e novanta coronato da un corta zazzera dello stesso colore di quella di sua sorella, si accorge finalmente del sottoscritto: mi rivolge un gran sorriso che gli illumina gli occhi azzurri, pur avendo la faccia stanca e tirata, quindi recupera il suo borsone e si avvia verso di noi.
Giorgia, che ogni tanto sbirciava da sotto il mio braccio, non riesce a trattenersi oltre e sguscia fuori, correndo incontro al fratello.
            Alessandro lascia cadere il borsone e la prende al volo, stritolandola in un abbraccio fraterno, mentre lei gli si aggrappa al collo come un koala. Sorrido al vedere quei due di nuovo insieme, e ancora di più mi fanno ridere le espressioni di tutte le persone che stanno guardando la scena con occhi allucinati: via, signori, mai visto due fratelli salutarsi calorosamente dopo non essersi visti per sei mesi?
Ale mi strizza l’occhio, come a dire “Me l’ha fatta anche stavolta, eh?” ed io mi avvicino ai due, che nel mentre si sono staccati e si tengono abbracciati per la vita.
            “Mi sei mancato un sacco, brutto testone”, sento Giorgia sussurrargli nell’orecchio; per tutta risposta, Ale le rifila un pugnetto sulla spalla.
            “Mi sei mancata anche tu, piccola sorellina rompipalle”
Ah, l’amore fraterno! Tremate gente, l’incubo formato famiglia è tornato!
            Ale ed io ci salutiamo con una serie di pacche sulle spalle e vari “Come va? Com’è stato il viaggio?”; ci avviamo verso l’uscita parlottando, ridendo e scherzando, io e il mio amico a far da cornice alla di lui sorella, che tiene ciascuno di noi sottobraccio. Un fisico, un militare e un’illustratrice: sembra quasi l’inizio di una barzelletta. Sì, siamo davvero strani.
            Usciti dal terminal ci accoglie un parcheggio completamente bianco di neve, che non ha smesso di cadere. Fortunatamente, però, il vento si è calmato, lasciando il posto al silenzio ovattato dei grossi fiocchi che cadono.
            “Sapete vero che trovare la macchina sarà un’impresa? E che forse domattina saremo ancora qui?”
            “Ma quanto la fai lunga! Non ti ricordi un tubo caro mio!” mi risponde Giorgia con uno sbuffo, che si condensa in una nuvoletta bianca davanti al suo naso.
            “Dai, Yury, lo sai che mia sorella è peggio di un navigatore, quando ci si mette. Da che parte andiamo, Tom-Tom semovente?”
            “Non prendermi in giro! La tua è solo invidia, visto che hai lo stesso senso dell’orientamento di un palo in mezzo a un prato! Comunque, a destra fino a metà del parcheggio, poi sinistra in quella corsia… la macchina dovrebbe essere avanti un pezzetto sulla destra.”
            Ci fissa entrambi provocatoria, come a sfidarci a contraddirla; memori del fatto che non la spunteremmo mai in una discussione con lei, ci avviamo nella direzione che ci ha indicato.
Cascasse l’universo, la mia fedele Passat è davvero lì. Un punto per te, Giorgina!
            Carichiamo il borsone di Ale, che prende posto su sedile dietro: “Devo allungare le gambe” è la risposta alla nostra domanda inespressa. Avvio la macchina e partiamo per tornare a casa loro.
Durante il viaggio parliamo del più e del meno, Alessandro ci racconta com’era la vita in caserma, cosa facevano ogni santo giorno e devo ammettere che bisogna davvero avere il coraggio di un leone per affrontare tutto quello che questi ragazzi hanno passato. Ale cerca la mano della sorella e la stringe forte; lei ricambia e un sorriso sollevato le si dipinge in volto.
            “E tu che fai per Natale, Yury? Non vai dai tuoi?” mi domanda il mio amico, comodamente sdraiato sui sedili posteriori.
            “Dopo che ho mollato Caterina ho litigato con i miei… fondamentalmente perché per loro è inconcepibile che non abbia già una moglie e certo tot di figli al seguito. Quest’anno saremo solo io e il vecchio Vlad.” Per chi non lo sapesse, Vlad è il mio lupo cecoslovacco di cinque anni, mascotte indiscussa della nostra compagnia.
            “Ma che cosa triste!”, esordisce Giorgia, ormai mezza addormentata. “Ho un’idea: perché non venite da noi per Natale? Almeno non sareste soli. Ale, secondo te sarebbe un problema?”
            “Ma figurati! Con tutto quello che arriverà ci mangeremmo sei mesi. E poi Yury, sai che nostra madre ti adora. Sei sempre il benvenuto da noi. E papà va matto per Vlad, quindi…”
            “Allora è deciso, avviso mamma”, fa Giorgia tutta contenta, componendo il numero e parlando fitto fitto con la madre quando questa le risponde.
            Presi i dovuti accordi, faccio un tentativo e accendo la radio, per riempire il silenzio che si crea di lì a poco, con i fratelli che dormono tenendosi la mano; non è un silenzio imbarazzato, o che non si sa come riempire, ma un silenzio che parla a ciascuno di noi senza alcun bisogno di parole.
Finalmente la radio aggancia una stazione e le note delicate di “A Winter’s Tale” dei Queen si diffondono per l’abitacolo. Mai canzone fu più azzeccata di questa! È perfetta per descrivere questa serata fuori dalla norma.
            Guido per l’autostrada quasi deserta, mentre la neve continua a cadere e la luce giallognola dei lampioni creano un’atmosfera surreale, fuori dai finestrini. Sono sempre più convinto che il regalo di Natale me lo abbiano fatto i due fratelli, piuttosto che averlo fatto io a loro.
La canzone si avvia, con una certa malinconia, alla sua fine; sarà l’atmosfera, sarà tutto quello che è successo da quando sono arrivato a Malpensa, ma un profondo senso di beatitudine comincia a farsi strada dentro di me.
            “… Oh, it’s bliss”
Sì, è beatitudine. La beatitudine che solo il Natale passato con chi ci vuole bene porta con sé.
  
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