Fanfic su artisti musicali > Metallica
Ricorda la storia  |      
Autore: Nero inchiostro    24/12/2013    1 recensioni
Attorno a me vedevo solo ombre. Nient’altro. Solo denso buio, a tratti grigio. E poi c’era quella voce, quella voce che mi raccontava tante cose ...
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

Attorno a me vedevo solo ombre. Nient’altro. Solo denso buio, a tratti grigio. E poi c’era quella voce, quella voce che mi raccontava tante cose. A tratti era dolce, molte volte era mesta, talvolta era così arrabbiata che avrei giurato che mi sarebbe scoppiata la testa mentre mi si riempiva di quella voce. E non avevo idea di cosa fosse. Ma ogni giorno, ad una certa ora, tornava sempre. A volte credevo di essere pazza se non fosse che pezzi di quella storia che mi raccontava erano già dentro la mia testa, da qualche parte nei recessi della mia memoria.

“Sai, mia madre morì quando io ero ancora giovane. La nostra religione, il Cristianesimo scientista, non ci permetteva cure mediche e, be’, lei non permise a nessuna medicina nemmeno di avvicinarla ed era così… frustrante. Stare lì e non avere la minima possibilità di salvarla. E invece lei era sempre lì, a sorriderci come se stesse solo seguendo il percorso prefissato per lei, prescritto, già accaduto da qualche parte. E avrei voluto urlare, invece me ne stavo solo zitto. Ora come ora, be’, non starei per niente zitto. – rise – urlerei con tutte le mie forze e a quanto pare, a quanto mi raccontano tu lo sai bene.”

La voce si fermò per qualche istante e mi lasciò una profonda tristezza addosso sebbene il suo tono fosse, sì debole, ma non triste, piuttosto rassegnato. Talvolta immaginavo che sorridesse, anche se non riuscivo a dare un volto a quel magnifico suono. Eppure mi sembrava così familiare. Così pieno di forza che mi veniva voglia di alzarmi ed abbracciarla, quella voce, cullarla tra le mie braccia per far scivolare via tutti i dolori.

A volte mi raccontava semplicemente fatti allegri, fatti riguardanti i suoi amici o la sua famiglia attuale. Ero così contenta quando mi raccontava delle sue figlie e di suo figlio, dopo un po’ di tempo mi sembrava perfino di conoscerli. Non mi dava mai dei nomi, non sapevo come si chiamasse sua moglie, sapevo solo che era bionda e dolce; non sapevo che nome dare ai suoi amici, c’era il tizio che lui chiamava “il folle”, sempre ad organizzare feste e a suonare la sua batteria; e poi mi raccontava di un amico grosso, lo chiamava “quell’omone di Rob”, forse l’unico di cui mi aveva accennato il nome; e poi mi raccontava di “Mr. Non toccate i miei plettri”, ogni volta che lo chiamava così avrei voluto ridere. Se solo avessi ricordato come si faceva. E nella mia testa si delineavano immagini deformi di persone che, infondo, sentivo di conoscere, ma non riuscivo mai a distinguere nitidamente. A volte diceva un solo nome: Cliff. Ed io ero così triste, senza nemmeno saperne il motivo. Mi raccontava delle feste con Cliff, delle risate con Cliff, dei lunghi capelli di Cliff che sbatteva ovunque negli accessi di rabbia. Mi raccontava solo questo, eppure ero così triste…

Arrivai al punto che non reggevo più la confusione, mi sentivo immersa nel torpore di un sonno profondo eppure mi sentivo allo stesso tempo sveglia, ma mai pronta ad alzarmi, da dovunque fossi distesa o seduta. Vedevo sempre più grigio e sempre meno nero e quella voce ritornava sempre, a tenermi incollata in quello stato confusionale dove l’unica cosa nitida era lei.

“Sai, oggi quell’omone di Rob ci ha portato sei casse di birra ed eravamo così eccitati al pensiero di festeggiare che mi stavo perfino dimenticando di venire qui. Ma l'ho ricordato, non avrei saputo davvero dimenticarlo. Sai, ti sto tenendo la mano perché è così piccola e soffice che tra le mie quasi scompare, si tiene al caldo. – rise – Domani partiremo per il nuovo tour, ci aspetta il sud America e sono così nervoso che, se avessi ancora i capelli lunghi me li mangerei!” E rise ancora, nervosamente stavolta. La sua voce si era inclinata un poco e la voglia, la voglia di abbracciarla, quella voce, stringerla a me era così grande che credetti di essermi mossa. Ma non fu così, nessuna sua reazione. Semplicemente continuò a parlarmi.

“Ehi, pulce, adesso devo proprio andare.” Si bloccò per un momento, la parola ‘andare’ era sfumata via, come se ad un tratto avesse perso la voce. Può una voce, perdere se stessa? Eppure era quella la sensazione che ebbi.

“Adesso, mi sto alzando. Mi avvicino a te e ti do un bacio sulla fronte. Ti racconto tutto, e anche se non dovessi sentirmi al tatto magari mi sentirai con la voce. E se nemmeno con la voce mi sentissi, so che una parte del tuo cuore conserverebbe in qualche modo le nostre chiacchierate. Io …” Si fermò di nuovo, un istante, poi continuò solo con un: “Addio.” E poi di nuovo il silenzio del mio buio.

 


 

Era il quindici dicembre quando mi risvegliai dal coma. Non so come, non so bene il perché ma semplicemente aprii gli occhi e vidi, riconobbi il viso di mia madre. Lei mi sorrise, ma ero sicura che non fosse sua la voce che mi aveva accompagnata per tutto quel tempo.

“Tesoro, oh mio Dio, tesoro della mia vita sei sveglia!” Mia madre piangeva, mi abbracciava, stringeva il mio corpo fragile e dolorante mentre io, disorientata mi guardavo attorno. La luce mi dava quasi fastidio agli occhi, così li richiusi, ma cominciai a parlare.

“Mamma …”

“Dimmi tesoro, cosa c’è?” Raccolsi tutte le forze possibili , presi un respiro.

“Mamma, di chi era quella voce?”

“Quale voce?” Aprii gli occhi ed il terrore si impadronì di me. L’avevo forse immaginata? Poteva la mia mente aver inventato una voce così bella? Iniziai ad agitarmi e sentii il macchinario di fianco a me impazzire.

“Calmati, tesoro calmati! Dottore!”

E poi di nuovo il buio.

 


 

“Ehi, pulce …” Aprii a stento gli occhi. Era la voce di mio padre, me lo sentivo. Ed infatti, non appena li aprii, vidi il suo volto, segnato e stanco.

“Papà …”

“Tesoro, non agitarti, la mamma non lo sa ma la voce esiste. Puoi stare tranquilla.”

Mi misi a sedere ed aprii per bene gli occhi, la bocca era amara e nemmeno bere un sorso d’acqua mi aiutò.

“Credo che tu debba vedere questo.”

Mi porse il suo telefono cellulare, un video apparve sullo schermo e, al primo suono, al primo pronunciarsi di quella voce scoppiai in un pianto che non sapevo cosa fosse, non sapevo se fosse gioia, se fosse dolore, se fosse un pianto e basta. Ma dopo aver visto quel video, un video d’addio, tutto nella mente mi tornò chiaro, tutti quei nomi accennati mi tornarono chiari, quella voce, quella voce divenne un volto. Seppi solo voltarmi verso mio padre, con le lacrime agli occhi e sussurrare solo: “James.”

 

 

N.d.a.  Se siete arrivati fino in fondo vi ringrazio. Ebbene sì, non so come mi sia venuta in mente una cosa simile ma l’immagine di James Hetfield che sta accanto ad una sua fan in coma mi pareva dolce. Sì sono una ragazza contorta -.-

Alla prossima, Nero Inchiostro

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Metallica / Vai alla pagina dell'autore: Nero inchiostro