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Autore: Ammimajus    24/12/2013    1 recensioni
La verità, in fondo, è che Louis un bambino non lo è mai stato; Harry Styles, invece, lo sarà per sempre.
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La mente è un bacino di memorie, di cui i rifiuti che galleggiano sono meri tormenti. Harry ha un solo chiodo fisso, da dieci anni a questa parte, svettante come la cima del Monte Bianco. Louis – con l’accento sulla i – che sul Monte Bianco ci è cresciuto, annega i tormenti scrivendo di notte.
[KIDS!AU – French!Louis/ English!Harry/ Sided!Payzer, accenni Harry+Zayn. Larry as a romance]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Din Din Din, oggi è il 24 dicembre e abbiamo un duplice motivo per festeggiare: la vigilia di Natale e il compleanno di Boo (tra l’altro, leggendo la storia comprenderete perché mi sono sforzata di pubblicarla oggi).
Ci ho messo secoli per portare a termine questa OS e, per un motivo o per l’altro, mi pare estremamente diversa da quelle che ho scritto finora - ammetto che, arrivata a questo punto, la odio un po', perché mi ha tediato per moltissimo tempo. È anche un po’ più lunga rispetto alle altre storie che ho pubblicato su EFP, ma spero che questo non vi freni e che abbiate la pazienza di leggerla tutta. Avrei potuto dividere la narrazione in più capitoli, ma non mi piaceva più di tanto l’idea di spezzare gli eventi solo per rendere più leggera la lettura. Idk, spero davvero che ciò che ho scritto vi piaccia e mi auguro di ricevere qualche parere.
Ultima puntualizzazione: le vicende sono ambientate a Chamonix e Parigi, con accenni  anche a Londra. Ho visitato Chamonix e Londra, perciò penso di averle descritte in maniera piuttosto rispondente alla realtà. A Parigi, invece, non ci ho mai messo piede e confesso che è una città che non mi affascina più di tanto – forse perché ho in odio i francesi. Ho tentato di documentarmi e di fare qualche ricerca su Google Maps, specie in merito al Quartier Latin, ma vogliate comunque perdonare alcune incongruenze.
 

Piccoli principi distanti.

 
Don’t let me, don’t let me go
‘Cause I’m tired of feeling alone.
 
-Harry Styles, Don’t let me go.
 
Le cime frastagliate dei monti svettano in alto nel cielo, nitide, illuminate sul retro dalla luce rutilante del Sole. In montagna, i suoi raggi sono più pungenti. Le ragazze si ammassano sulle strade sfoggiando abitini di cotone leggeri, di quelli che si sollevano alla minima folata di vento; i ragazzi, invece, camminano in pantaloncini e canotta. Qualcuno fa jogging a petto nudo; quasi tutti tengono in borsa una bottiglietta d’acqua o un paio di integratori vitaminici. Il Sole di montagna non fa sudare. È un fuoco pungente che attacca e logora le membra, finché, fiacco e assonnato, non ti abbandoni all’andatura languida delle tue gambe.
Louis non è uno di quei bambini che amano stare all’aria aperta. A lui il Sole cocente piace vederlo solo attraverso una finestra; preferisce di gran lunga un cielo plumbeo e coperto e – perché no? - qualche goccia di pioggia. Preferisce osservare l’Arve d’inverno, con la neve che puntella le strade e l’acqua che scorre lenta, in parte ghiacciata. Ogni tanto la mamma lo forza a mettere un piede fuori dalla sua cameretta e lui, sbuffando e gemendo, percorre insieme a lei i sentieri battuti nel bosco e arriva fino al centro del paese. La mamma gli compra un croissant e Louis finisce per pensare che per quella prelibatezza, ogni tanto, vale la pena di fare qualche chilometro a piedi.
“Louis, mi daresti una mano ad apparecchiare?”
La voce farfallina della mamma giunge veemente e irritante alle orecchie di Louis. Il bimbo vuole continuare a disegnare la cima del Monte Bianco sul suo taccuino colorato: ha appena scritto una bella filastrocca e adesso ha bisogno di corredarla con uno dei suoi frettolosi disegni.
“No, maman. Io non ho ancora fame” comunica, con tono di sfida.
Da quando la mamma ha deciso di abitare insieme a Jaques, il proprietario di un piccolo albergo a Chemin de Champraz, Louis ha iniziato a distribuire qualche parolina di francese qua e là, quando pronuncia una frase.
“Louis, non è ora di fare i capricci!” tuona la mamma dalla cucina. È più arrabbiata del solito, forse perché va di fretta. Quando va di fretta si adira sempre un poco più del normale. “Arriva una famiglia inglese tra un’ora e la prima cosa che hanno deciso di fare è una passeggiata nei boschi. Non ho intenzione di portare ritardo per colpa tua”.
Louis sbuffa, ripone la matita e i colori nell’astuccio e piega con cura il foglietto di carta. Appena avrà tempo, riprenderà a disegnare il Monte Bianco. Si dirige in cucina lentamente, ciabattando con languore come è solito ogni qualvolta è obbligato a fare qualcosa, e tossisce un poco per far notare la propria presenza.
“Ah, eccoti qui, finalmente!” esclama la mamma. Ha un tono un po’ burbero, ma sorride affettuosamente. Louis sa di averla resa contenta, ma non può approfittare della magnanimità del momento e correre di nuovo sul balcone, a disegnare. Se lo facesse, la madre verrebbe a pescarlo, agguantandolo per il bavero, e lo porterebbe di forza in cucina.
“Cosa devo fare?” domanda, lagnandosi un po’. Vuole che sia chiaro che non è contento di dare una mano: è stato appena sottratto ad uno dei suoi passatempi preferiti.
“Io devo finire di cucinare, potresti apparecchiare al posto mio?”
Louis annuisce con un lieve movimento della testa e, sempre con estrema lentezza, obbedisce. Prima la tovaglia, poi i bicchieri, poi i piatti e i tovaglioli. Infine le posate e le bibite. La mamma ha spostato tutto l’occorrente nei ripiani bassi, così Louis non può più dire che non arriva a prendere tutte quelle carabattole nascoste negli scaffali alti della credenza.
 
Un’ora dopo, Louis è in giardino e ha un libriccino bianco tra le mani. Sta seduto su una panchina, nel giardino retrostante all’albergo e, con i piedi che penzolano, incapaci di toccare terra, legge a voce alta. La maestra gli ha suggerito di fare così, ché è il modo migliore per imparare a leggere scorrevolmente.
E posso anch’io diventare come i grandi che non s’interessano più che di cifre. Ed è anche per questo che ho comperato una scatola coi colori e con le matite”.
Louis osserva intensamente la frase per molto tempo. Passano uno stormo di uccelli, un trattore rumoroso e un gruppo di turisti, nel tempo in cui lui districa i fili ingarbugliati che sono quelle parole. Louis è già maturo quando si siede sulla panchina e riflette per interminabili minuti.
Quindi i grandi vivono in un altro mondo, ha ragione a pensarlo! E lo pensa anche la maestra, se gli ha consigliato di leggere Il Piccolo Principe. Ecco perché a nessuno importa delle sue filastrocche! I grandi fanno ciò che viene detto loro di fare. Come la mamma, che ha imparato a preparare il pranzo ad un orario stabilito – così le ha chiesto Jaques - e costringe Louis ad apparecchiare ogni volta che ha fretta. A lei non importa delle parole o dei disegni, perché la sua vita è tutta scandita dalle cifre dei pagamenti, degli appuntamenti e dei guadagni.
Forse, allora, è vero che Louis ha un pizzico di talento e che, anche se nessuno vuole leggerle, le filastrocche che scrive valgono qualcosa. Dovrebbe farle vedere ad un bambino, pensa, ad uno che può comprendere la bellezza delle matite e dei colori.
“Louis, vieni dentro! Dobbiamo andare!”
La voce della mamma lo richiama per l’ennesima volta, puntuale come lo squillo della campanella, a scuola.
“Sto leggendo” grida Louis, sforzandosi di fare la voce grossa. Non ha voglia di piombare nel mondo dei grandi. A lui la matematica non è mai piaciuta, e nemmeno gli appuntamenti per le passeggiate nei boschi o la puntualità.
“Ci sono altri bambini che ti aspettano”.
Dapprima Louis non pone attenzione a quella frase. È un tipo solitario, a cui pochi rivolgono la parola. Sarà perché anche quando esce in cortile, durante il pranzo, preferisce sedersi all’ombra di un albero, anziché scorrazzare lungo il prato. Ma – ehi!- lì ci sono dei bambini che potrebbero apprezzare i colori e le matite! Non può proprio permettersi di lasciarsi sfuggire una simile occasione.
“Arrivo, arrivo!”
Chiude il libro con uno scatto e, come solo di rado succede, corre a perdifiato verso il casotto del giardino. È lì che tiene tutti i suoi tesori, in un piccolo baule che gli ha regalato il nonno. Vi ripone dentro il libro e, per qualche momento, chiude lì anche la sua solitudine.
 
Nella hall c’è una famigliola dall’aria allegra, di come Louis non ne ha mai viste. Un uomo grassoccio e imponente con un sorriso bonario disegnato sul volto, una donna attraente che pare piuttosto giovane per essere una madre, una ragazzina che, ad occhio e croce, è poco più grande di lui e un bambino con una cascata di capelli ricci che sembrano voler inghiottire il suo viso rotondo. Le famiglie lo affascinano in un modo del tutto particolare: un giorno gli piacerebbe averne una, anziché incarnare un pezzo del puzzle che Jaques e sua madre tentano di comporre giorno per giorno.
“Salve!” esordisce timidamente Louis, sventolando la mano in segno di saluto.
“Ciao” risponde la bambina, sorridendogli affettuosamente. Louis deve essere sincero con se stesso e ammettere che ha un bel sorriso, tutto sommato, non uno dei soliti ghigni perfidi che possiedono tutte le bambine della sua età. “Io sono Gemma, piacere di conoscerti!”
Rimane interdetto per qualche istante. Ma la mamma non aveva detto che la famiglia in arrivo era inglese? Questa bambina parla perfettamente l’italiano, almeno tanto quanto lo conosce Louis!
“La signora Anna è italiana” spiega prontamente la mamma, quasi avesse letto i suoi pensieri, stringendogli una mano attorno alla spalla per attirare l’attenzione su di sé. “Ha insegnato ai figli l’italiano e così loro sanno parlarlo, insieme all’inglese”.
“Potrete fare amicizia più facilmente” aggiunge Anna, rivolgendo ai bambini un sorriso eccessivamente melenso.
Louis storce il naso. Non gli piace fare amicizia e, ad esser sincero, ha davvero pochi amici. Uno è il nonno, l’altra è la maestra di italiano, quella che gli ha suggerito di leggere Il Piccolo Principe; poi c’è Luca, il suo compagno di banco, aostano, durante i mesi di scuola.
Certo, ha voglia di scoprire se Harry e Gemma disprezzano il mondo dei grandi tanto quanto lui e se sono contenti di essere bambini, ma questo non vuole necessariamente dire che Louis debba diventare amico loro.
Quando Harry gli rivolge un grande sorriso, Louis risponde con un timido cenno del capo.
 
In poco più di un’ora la mamma di Louis ha fatto percorrere alla famiglia inglese – il cognome è Styles, adesso Louis l’ha scoperto- più della metà del percorso previsto per l’escursione.
Mentre i genitori continuano a chiacchierare animatamente tra loro - discutendo ora del paesaggio, ora dei piatti tipici francesi, ora delle città da visitare nei dintorni - i figli non hanno scambiato una sola parola.
Di tanto in tanto Louis coglie le occhiate severe della mamma, che lo esortano a parlare con Harry e Gemma; ma, per quanto si sforzi di farsi coraggio, il bimbo non riesce a cavar fuori una sola parola dalle sue labbra rosee.
Così, il primo a rompere il silenzio, infastidito da tanta opprimente quiete, è Harry. “Allora, Louis … quanti anni hai?” domanda, sorridendo per l’ennesima volta. In questo, Harry è molto simile alla madre: frizzantino e vivace, gentile ed accomodante.
Louis, perfezionista com’è, sente l’impulso immediato di dover correggere l’errore di Harry. “Guarda che qui il mio nome è diverso. È Louìs, con l’accento sulla i” puntualizza, osservando distrattamente un cespuglio di lamponi alla sua destra.
Gemma soffoca una piccola risata, mentre Harry arrossisce un poco. “Scusami, è che in Inghilterra lo pronunciamo in modo diverso” dice, mortificato. Non gli piace che i suoi sbagli vengano sottolineati.
“Comunque ho dieci anni” esclama Louis, tentando di eliminare ogni sorta di scontrosità dalla voce. Si è accorto che Harry c’è rimasto male per la correzione brusca e vuole a tutti i costi rimediare. Un conto è essere timido, un altro è essere scortese. “Tu e Gemma quanti anni avete?” aggiunge, sentendosi in dovere di porre qualche domanda.
Il rossore del viso di Harry si placa e il bambino alza un poco la testa per guardare Louis negli occhi. “Io ne ho otto e mia sorella ne ha undici” risponde, lievemente sollevato “Siamo tutti quasi coetanei”.
Louis si sforza di costruire un sorriso un po’ più largo del solito e, incapace di trovare nuovi argomenti di conversazione, corre avanti, superando il gruppo.
Conosce quella parte del bosco a memoria, tante sono le volte che vi si è addentrato. Ormai distingue le bacche che crescono sui rametti dei cespugli, la portata dei torrenti che affluiscono nell’Arve, le zone da cui è bene tenersi lontani, per evitare di cadere in profondi dirupi, e le varie specie di uccelli che d’estate popolano le chiome degli alberi.
Giunge in un punto in cui il terreno diventa piano e uno dei torrenti si separa a formare un piccolo ruscello, che scorre lentamente fino a riversarsi in uno specchio d’acqua piuttosto ristretto. Louis estrae la borraccia dal suo zainetto e la immerge nel laghetto, fino a farla riempire, mentre sente la voce della mamma farsi sempre più vicina.
“Ecco” annuncia “Qui possiamo riposarci per una decina di minuti.”
Dal canto suo, un Harry esuberante inizia a correre, agile e scattante, fino all’orlo del ruscello, nel punto in cui esso si allarga. “Vi schizzo tutti quanti!” grida, immergendo le mani nell’acqua gelida.
Louis ha partecipato tante volte alle escursioni che sua mamma organizza. Ha visto tanti bambini immergere le mani in quel ruscello e ritrarle subito, turbati, infreddoliti a causa della bassissima temperatura dell’acqua. Harry, invece, non ci fa nemmeno caso. Si lava le mani e getta qualche goccia addosso alla sorella, che gli urla qualcosa in inglese, infastidita; poi, addirittura, vi immerge il viso.
“Harry!” urla Anna, guardandolo con apprensione e scostando dal naso i grossi occhiali da sole. “Des, per favore … fallo uscire. Gli verrà un raffreddore!”
Des si volta bruscamente e, quando si rende conto della situazione, corre ad eseguire la richiesta della moglie. Afferra Harry per le braccia e lo trascina fuori dall’acqua, furioso; ulula qualche parola in inglese. Louis non è ancora molto ferrato in quella lingua e riesce a malapena a distinguere qualche parola. Da ciò che capisce, Des è arrabbiato con Harry e lo sta rimproverando severamente. Louis getta un’occhiata al bambino e vi legge nello sguardo una tristezza mista a mortificazione, che è molto simile a ciò che Louis prova quando gli viene imposto di fare il grande.
Sente una strana empatia nei confronti di Harry, una sorta di cameratismo che si risolve nell’essere entrambi parte di un mondo fatto per gli eletti, in cui i colori e le matite vivono insieme alle marachelle e a volte sono parte di esse. Decide di celebrare il momento, di esaltare quella condivisione che ha con Harry e lo imita. Nel giro di qualche istante, anche Louis ha la faccia immersa nell’acqua gelida del ruscello.
Altrettanto velocemente, sente che un paio di braccia lo afferrano e lo trascinano di peso su un tronco riverso per terra. “Sei impazzito?” urla la mamma. “Non hai visto cos’è successo a Harry? Avevi davvero tanta voglia di beccarti un rimprovero?”
Louis si guadagna uno sguardo torvo che è un chiaro ammonimento e una promessa: “Appena torniamo a casa io e te facciamo i conti” – e questa è una delle frasi che lo intimoriscono maggiormente.
Ma quando Harry caccia il suo primo starnuto, sa di aver trovato un compagno. E senza averlo chiesto, è anche sicuro che sia una di quelle persone, uno che sa apprezzare la bellezza dei colori e delle matite.
 
Louis ha dieci anni e non sopporta l’idea di dover stare con una babysitter. Adora essere un bambino, è vero, ma nel suo modo di vedere c’è una linea netta che separa il mondo dei bambini da quello dei neonati. Le babysitter, si dice lui, sono fatte per accudire i neonati, non per esasperare i bambini con le loro preoccupazioni.
Ma le convinzioni dei bambini non hanno valore nel mondo dei grandi e poiché sono i grandi a decidere, Louis non può pensare di scacciare brutalmente la baby-sitter che quella mattina gli è stata affibbiata.
Per sua fortuna, però, non è da solo. Steso sul letto con un paio di coperte addosso, Harry è approdato sulle coste del sonno profondo. Ha la fronte imperlata di sudore, le labbra secche e l’incarnato lievemente pallido. Louis deve riconoscere che, per quanto la storia del ruscello li abbia spinti a diventare amici, non è stata certo un’idea brillante. Lui stesso ha contratto un brutto raffreddore ed è costretto a prendere quegli odiosi antibiotici due volte al giorno.
Harry dorme per così tanto tempo che Louis riesce a finire di leggere Il Piccolo Principe. Quando ripone la sua copia nello zaino, può indubbiamente dire che quello è uno dei libri più belli che abbia mai letto. E proprio mentre lo pensa, Harry inizia a rigirarsi tra le coperte sempre più frequentemente, fino al momento in cui, pian piano, sgranchisce le gambe e apre gli occhi.
“Buongiorno” dice, con lo sguardo perso nel vuoto. Per essere un bambino, ha una voce incredibilmente roca, che gli si aggrava ancora di più con la bocca impastata dal sonno.
La babysitter scatta in piedi non appena sente la voce del bambino, abbandonando di colpo la lettura della sua rivista di moda. “Come stai, tesoro?” domanda, passandogli una mano sulla fronte.
Harry dice di stare molto meglio e sorride a tutti, anche se la febbre non è ancora passata e la babysitter si preoccupa che tutta quell’esuberanza possa solo farlo stancare. Louis,invece, s’è fatto d’improvviso più allegro ed estroverso, mostra addirittura una certa contentezza nel sapere che Harry si sente meglio – almeno adesso può tediarlo con qualcuna delle sue domande.
“Cosa stavi leggendo?” domanda Harry per primo, sovvertendo i piani di Louis e tossicchiando un poco. Fa leva sui gomiti e si mette a sedere, lasciando che le coperte scivolino via dal busto e asciugando con la manica del pigiama un po’ del sudore che gli ha imperlato la fronte.
Il Piccolo Principe” risponde Louis, con il cipiglio orgoglioso di chi è fiero della propria lettura.
Harry nota la sua reazione e sorride sotto i baffi, dissimulando il suo divertimento con qualche colpo di tosse. “Ne ho sentito parlare” dice, fingendo di interessarsi ai libri, quando in realtà preferisce di gran lunga i CD di Elvis Presley che suo padre gli fa ascoltare. “Di cosa si tratta, precisamente?”
Louis sorride appena e coglie l’occasione per mettere alla prova quello che, sebbene sia strano ammetterlo, potrebbe essere il suo nuovo amico. “E’ la storia stupenda di un pilota che incontra un bambino speciale. Ma secondo me, la cosa più significativa è che dice quanto è importante il mondo dei bambini”.
“Giusto” sentenzia Harry, l’espressione assorta a causa delle parole di Louis e lo sguardo perso nel vuoto, a soppesarle.
“Tu cosa ne pensi?”
“Penso che quello che dice sia vero” spiega Harry, gesticolando un poco con le mani grandi. “Succede che a volte la gente tratti i bambini come persone inferiori, perché pensa che non siano in grado di capire. Invece lo siamo e i grandi sbagliano a sottovalutarci”.
Louis è contento e affascinato dal discorso di Harry. “E cosa ne pensi dei colori e delle matite?” chiede.
“Che con loro mi diverto moltissimo!”
“E delle cifre?”
“Sono bravo in matematica, ma disegnare mi diverte di più”.
Louis, suo malgrado, teme di aver trovato un amico.
 
A Harry necessitano tre giorni per riprendersi dagli effetti della sua bravata, sebbene debba sempre portare con sé un pacco di fazzolettini, perché gli capita spesso di starnutire violentemente. A Louis tre giorni sembrano un tempo abbastanza lungo per discutere degli argomenti più svariati, comporre insieme filastrocche e disegnare i personaggi di Star Wars, come gli ha gentilmente chiesto Harry. Se non fosse che si ostina a chiamarlo “Louis”, senza accento sulla i, direbbe che questo Harry è di gran lunga la persona migliore che abbia mai incontrato.
La restante settimana è un susseguirsi di nuotate in piscina, passeggiate nei boschi, cene sorprendentemente sostanziose e scarabocchi sui taccuini. Di Harry, Louis ha scoperto che non gli piace la senape, che va matto per i croissants e che ne mangia molti anche in Inghilterra, nonostante lì non sappiano farli, che ama correre sui pattini a rotelle e  che ascolta le canzoni di un certo Elvis Presley, un artista morto da moltissimo tempo che Louis non aveva mai sentito nominare prima. Inoltre, sa che vuole molto bene a Gemma, anche se i fratelli della loro età litigano spesso, e che ha un migliore amico che si chiama Zayn Malik e non è del tutto inglese. A Louis sembra che questo sia un numero abbastanza consistente di informazioni per affermare di conoscere Harry piuttosto bene e avanzare la proposta di tenersi in contatto, nonostante abitino in due nazioni diverse.
Costringe sua madre a scrivere su un post-it il loro numero di telefono, insieme all’indirizzo, poi si fa dare da Anna le stesse informazioni, annotandole sul suo taccuino rosso, quello per le cose importanti.
Harry spera che Louis mantenga la sua promessa, che nonostante la timidezza abbia l’ardore di fare una telefonata o di spedirgli qualche lettera, visto che scrivere gli piace così tanto.
Al momento di salutarsi, i due si abbracciano e si ricordano ancora della parola data. Louis è un po’ triste, perché la sfortuna ha voluto che scegliesse come amico un bambino inglese; sua mamma, di contro, gioisce follemente alla vista di quell’abbraccio che il piccolo scambia con Harry. Louis non aveva mai abbracciato nessuno prima.
 
***
 
Harry avverte il gemito di Zayn infrangersi accanto al suo orecchio, non dissimile da un latrato canino, spezzato sotto il peso degli ansimi; può sentire ogni lembo di pelle dell’altro aderire, sudata, al suo dorso scolpito.
Zayn ha iniziato a scarmigliargli i ricci, affondandovi le dita, massaggiandogli le tempie, scoccando baci umidi sul capo di Harry. Sussurra l’ultima imprecazione, lascia l’ennesima scia di saliva lungo la schiena del riccio e poi, finalmente, lo libera. “Ammettilo: non avresti potuto festeggiare il tuo ultimo giorno in Inghilterra in maniera migliore” azzarda, con la voce ancora flebile e suadente di chi è avvolto dal piacere.
Harry ridacchia appena, affondando il viso nella federa del cuscino, e preferisce ignorare la domanda. Ad ogni modo, Zayn non è il tipo che si aspetta delle risposte.
In effetti, Zayn è proprio privo di aspettative. Harry non riesce ancora a concepire l’idea di aver accolto nella sua vita una persona simile, ma le sue emozioni hanno agito così autonomamente che non ha avuto modo di rendersi conto di come Zayn facesse irruzione nella sua miserabile esistenza. È moro, di pelle ambrata e occhi scuri, come il cioccolato fuso che, di tanto in tanto, Harry spalma sulle torte. È troppo magro e persino un po’ basso. Ad onor del vero, chiunque è diventato basso agli occhi di Harry, ora che ha superato ampiamente il metro e ottanta.
Zayn è anche irriverente, menefreghista e un po’ troppo sincero, a volte. Come un tizzone ardente che brucia in fretta e, nel consumarsi, distrugge anche tutto ciò che gli si trova accanto. Vive alla giornata, disegna volti e paesaggi, imprime ricordi nella propria vita e in quelle altrui. Senza ombra di dubbio, a lui va il merito di aver insaporito l’esistenza di Harry.
“A che ora hai l’aereo, domani?”
Harry tenta di assemblare i pezzi pian piano: ogni volta che trascorre del tempo in compagnia del suo migliore amico, ha la sensazione di alienarsi dal mondo. “Uhm …” mormora, giocando nervosamente con le lenzuole “… alle nove del mattino” aggiunge poi, mentre alla mente si fa viva l’immagine del biglietto aereo imbustato e poggiato sul comodino della sua camera.
Zayn si limita ad annuire rapidamente e gli si accosta, soffiando moine. Gli avvolge un braccio attorno al petto e gli immobilizza i piedi con le sue gambe nude. Poi torna a baciarlo. A Harry riesce difficile mantenere il controllo, forse perché è ancora assonnato o forse perché – diamine! - dopotutto è ancora un adolescente in preda alle furie ormonali. Così si abbandona al tocco feroce di Zayn e si lascia baciare per l’ultima volta. Quando il moro ha finito di torturargli le labbra, Harry si sfila agilmente le coperte di dosso e raggiunge in due falcate i vestiti, appallottolati sul pavimento – ha il sentore che sua madre lo riprenderà duramente per aver stropicciato in quel modo la camicia che lei dovrà stirare, e a quel punto Harry dovrà inventarsi una scusa per giustificare lo stato dei suoi abiti.
“Così finalmente, cercherai di realizzare il tuo sogno” commenta Zayn, un lieve punta di sarcasmo nella voce. Finge di essere irritato dalla scelta di Harry e di tanto in tanto diventa pure un po’ nostalgico, ma il riccio sa che si riprenderà prestissimo. Chissà, magari riuscirà a far sua Roxanne, quella ragazza mora dell’ultimo anno che insegue da troppo tempo. O troverà qualcun altro: un nuovo amico, un nuovo compagno, un nuovo bersaglio su cui convogliare la sua frustrazione. Qualcuno che possa essere per lui deliziosamente dannoso, alla pari di Harry.
“Lo spero. Sai, sono dieci anni che questa storia va avanti e mi sono scocciato di avere tra le mani soltanto la polvere” confessa poi Harry, saltellando sul posto per indossare i jeans a sigaretta.
Zayn si alza dal letto e agguanta la camicia prima che Harry arrivi a prenderla. È ossessionato dall’idea di rivestire il suo amico ogni volta che gli è possibile. Guida le braccia dell’altro nelle maniche larghe, gliela sistema per bene sul petto e inizia ad abbottonarla. “Ho sempre adorato le tue strane metafore” aggiunge poi, scoccandogli un bacio sul collo.
Harry si libera della sua stretta e afferra la borsa, quella sdrucita di similpelle che porta con sé tutti i giorni, da quasi due anni. È un regalo di compleanno arrivatogli dalla Francia.
“Devo andare, Zay” mormora, gettando una rapida occhiata all’orologio da polso.
L’altro annuisce appena e si abbandona sul letto, annoiato.
Si salutano così, un po’ addolorati che tutto ciò che hanno condiviso stia volgendo al termine.
 
“Cazzo, io ti lincio! Sei un idiota all’ennesimo grado” esclama Harry, uno zaino sulle spalle e un trolley che sferraglia rumoroso sul linoleum dell’aeroporto. Zayn corre ancora più goffamente del suo amico – se  possibile: ha una sacca di tela piuttosto pesante sulle spalle e da quando ha iniziato a fumare così tante sigarette il fiato gli si è fatto più corto.
“Calmati, amico. Ce la faremo sicuramente” si difende Zayn, un po’ irritato, soffiando l’ultima nuvola di fumo dalle labbra e gettando il mozzicone della sigaretta nel primo cestino che trova, attento che nessuno si accorga del fatto che sta fumando in un luogo pubblico.
“Se io perdo l’aereo, tu perdi le palle” puntualizza Harry, virando rapidamente a sinistra e correndo verso il check-in ormai sgombro dalla folla dei passeggeri.
“Hai la capacità di diventare particolarmente volgare, quando ti arrabbi” scherza Zayn, tentando di rimediare al suo imperdonabile errore con un po’ di quell’umorismo scadente che è in grado di utilizzare.
“Allora cerca di non farmi diventare furioso” lo rimbecca Harry, secco e severo, mentre consegna la prenotazione e la carta d’identità e getta la valigia pesante sul nastro trasportatore. Dà un’occhiata alla carta d’imbarco che gli viene consegnata e legge ansioso che il gate è già stato aperto. Quando Zayn apre le braccia per avvolgerlo nell’ultimo abbraccio, Harry fa una smorfia, strizza l’occhio nella sua direzione e borbotta un: “E’ troppo tardi, ma sappi che ti voglio bene”. Poi sorride appena e corre verso il gate che gli è stato indicato. Harry è il tipo che si sposta troppo in fretta, negli aeroporti.
 
***
 
La prima volta che Harry lo vede riesce a malapena a distinguerlo, ma una strana sensazione gli attanaglia lo stomaco e gli suggerisce che, malgrado tutto, quello è Louis. Certo, lui sta passeggiando, fingendo di confondersi con il resto dei parigini – sono talmente eleganti e aggraziati che si sente a disagio, nel sapersi così sproporzionato – e Louis è dall’altra parte della strada, sul balcone, intento ad innaffiare i fiori alla finestra, ma c’è una strana tonalità di blu nel cielo che gli ricorda tanto gli occhi del bambino che ha conosciuto dieci anni prima.
Quando il presunto Louis rientra nell’appartamento, Harry stringe al petto la sua copia sgualcita de Il Piccolo Principe e sospira, incassando la testa fra le spalle.
Quella notte, né Louis né Harry riescono ad assopirsi. Il più grande è abituato ad una simile sensazione: ha smesso di bere caffè da tempo, perché a tenerlo sveglio è la sua mente che rimugina. Il più piccolo, invece, ha sempre dormito fino a mezzogiorno, quando ne ha avuta l’occasione; tuttavia Parigi non è Londra, Parigi è la città dell’Amore. E l’Amore non riposa mai.
 
L’adolescenza vuota di Louis si è ammassata come la polvere in mezzo a ciò che gli resta di più caro: i film drammatici in seconda serata, le puntate in streaming di Grey’s Anatomy, le tazze di tè fumante sorseggiato all’ora di pranzo e la serie infinita di taccuini a quadretti  su cui prendere appunti. In vent’anni – quasi ventuno – il suo armadio ha accolto un’innumerevole quantità di tute da ginnastica sformate e la scarpiera è stata riempita da una serie di regali di compleanno, tutti uguali – babbucce dei Simpsons, per l’esattezza, troppo gialle e poco consone alla sua indole. Nella dispensa, una scatola di cornflakes ha preso il posto della miscela profumata di caffè che sua madre comprava, mentre la scrivania è scomparsa sotto i pesanti volumi universitari. Se non fosse stato per Niall e Liam, in  quella casa sarebbe rimasto sepolto lo stesso Louis.
Niall ha due teorie, a proposito: la prima è che Louis – francese e rompipalle – sia un depresso cronico con il moccio al naso, tutelato dalla sua stessa tristezza; la seconda è che si sia trasformato in un secchione cronico che fa finta di essere depresso o che forse lo è, e si rifiuta di guarire. Ad ogni modo, l’ultima opzione gli pare assai più plausibile.
Quando Liam e la ragazza dei croissants sono nei paraggi e lo sentono parlare in questi termini, gli riservano un paio di occhiate severe che biasimano la sua insensibilità. Niall ride, perché in verità pensa solo di essere realista – poco importa che questo lo faccia apparire indifferente. È sicuro che la realtà dei fatti sia ben più semplice di come tutti vogliono credere, che la cura per Louis esista e che si trovi da qualche parte oltre la Manica.
Quando Niall fa irruzione nella camera di Louis sono le undici del mattino, si è appena svegliato – nonostante abbia ancora moltissimo da studiare per l’esame di Sociologia – e ha visto Liam parlare con qualcuno, sull’uscio della porta. Ma è troppo pigro per provare a capire chi sia e comunque ipotizza immediatamente che si tratti della ragazza dei croissants.
“Ci sono ospiti, Niall?” sbuffa Louis, alzando gli occhietti affaticati da un volume enorme, che chiaramente non è un libro dell’università e tuttavia pare avere almeno mille pagine.
“No” borbotta quello, sbadigliando “Solo la ragazza dei croissants. Ma mi sono svegliato di botto e volevo sapere cosa stessi facendo, dato che la luce della tua camera non si spegne da ieri pomeriggio”.
“Mi sono perso tra le pagine di un libro” confessa l’altro, affondando nuovamente lo sguardo nelle righe sottili di quel tomo mastodontico.
“Certo, tu sei uno che si perde spesso” lo apostrofa Niall, la voce impastata dal sonno, un paio di boxer di Calvin Klein e i capelli scarmigliati di chi è irrequieto anche di notte “Attento a non perdere te stesso”.
Niall fugge da quella camera che sa di muffa e parole, che vive nel buio e nel buio muore. Quella di Louis è una malattia contagiosa che è lungi dal voler contrarre. Louis, al contrario, preferirebbe rimanere nelle tenebre per l’eternità, piuttosto che esporsi alla luce rutilante emanata da Niall, che gli fa ballare in lungo e in largo la danza della vita.
Liam, invece, Liam è una buona via di mezzo: sensibile al punto giusto, attento ma non fiscale, una maglia di Burberry, un’ora in palestra e un’altra sotto la Tour Eiffel con la ragazza dei croissants.
Eppure, tra Niall e Liam, Louis continuerebbe a scegliere se stesso, anche se indossa sempre un pigiama, non riordina mai la libreria e ha solo tute nel suo armadio puzzolente.
E mentre pensa a quanto rassicurante sia quel mondo di cui solo lui fa parte, Liam irrompe nella camera, il viso cadaverico e il petto nudo su cui la pelle d’oca compone strani ghirigori. “Harry Styles è qui” sono le ultime parole che Louis riesce a registrare, prima di rimanere inghiottito da una serie vischiosa di ricordi umidi e taglienti, schegge di vetro galleggianti su un fiume di lacrime.
 
L’appartamento sulla Rue Saint – Jaques è troppo piccolo per l’esplosione colorata dei sentimenti che Harry Styles prova, nel vedere il suo Louis in carne ed ossa dopo dieci interminabili anni. Sono emozioni rosse, infuocate e indomabili, di quelle che imporporano le guance e animano i pennelli degli artisti. Tuttavia, in quella distesa di rosso, l’oscurità pesante e mesta che aleggia attorno a Louis spicca più di quanto quest’ultimo desideri; Harry sa che Louis ne è rimasto inghiottito, lo sa da sempre, anche se ha vissuto nella Londra dei bus a due piani carichi di turisti e non tra i bistrots parigini.
“Ciao Louis, senza accento sulla i”.
Harry non ha mai acceso la televisione in seconda serata e prende in mano il telecomando solo per guardare una puntata di How I Met Your Mother; i fogli a quadretti gli servono per scrivere la lista della spesa e a pranzo non beve mai. In compenso si ubriaca spesso – di emozioni forti, di giri della morte sulle giostre indiane del suo quartiere, di birra rossa, quando Zayn è stanco e non ha più voglia di fumare. Cammina scalzo per casa e prende il pc solo di notte, per ascoltare qualche brano dei Beatles; per il resto, fa affidamento sul proprio cellulare.
Louis sta agli antipodi, è la chiave di un mondo del tutto nuovo e la gabbia che lo tiene imprigionato a terra, impedendogli di perdersi nelle ballate di Bob Dylan. Louis, che tutte queste cose le odia, odia pure gli aerei. Dice di non averne mai preso uno e maledice chi abbia permesso a Harry di imbarcarsi sul volo per Parigi. “Errì” lo scimmiotta, la voce asettica che si esprime in un francese eccessivamente marcato. Dà un calcio alla babbucce di Bart Simpson - troppo gialle e poco consone alla sua indole - che ha sfilato dai piedi poco prima, e maledice persino il postino che gliele ha recapitate pochi giorni dopo il suo compleanno - “Suppongo che non ti stupirai di trovare il solito ridente regalo giallo, all’interno del pacchetto. Buon compleanno, Lewis. H”.
Harry non è prolisso, focalizza il nocciolo delle questioni e dà tutto se stesso, pur di arrivarci. Si spazientisce facilmente e scrive messaggi brevi quanto lunghe sono le sue telefonate, ma non si arrabbia mai se Zayn sbadiglia e riattacca. Louis lavora anche di notte, per colpa della sua prolissità: le scorie della tristezza gli scorrono nel sangue e lo ammorbano fameliche, muovendo le dita sulla tastiera. Ma anche se odia le telefonate lunghe, i messaggi brevi e le babbucce dei Simpsons, non rinuncerebbe per niente al mondo al solito, ridente e giallo regalo di compleanno – neanche se un editore gli offrisse di pubblicare il romanzo che sta scrivendo.
Harry e Louis – insieme o separati – sono sempre così magnetici che finiscono per dimenticarsi del resto del mondo, della metrò di Parigi o dei taxi londinesi. Dimenticano persino Liam e Niall, nascosti dietro la porta, che si scambiano battutacce poco eleganti e scrivono già il finale di una storia che ha smarrito la sua conclusione.
Ad onor del vero, Harry – che in se stesso non osa mai perdersi – qualche rumore l’ha sentito. Ma che importa? – Louis è gli è seduto di fronte, con i suoi zaffiri e le braccia che fluttuano nelle maniche del pigiama pesante di pile. Il suo sguardo guizzante gli suggerisce che sta prendendo atto della realtà, volente o nolente.
“Sono le undici del mattino: per noi è ancora prestissimo” lo rimbrotta infatti, senza guardare l’orologio da polso che deve aver scovato in qualche mercatino dell’usato. Il suo viso – scavato, pallido e reale – è in ombra solo per metà e la luce insufficiente compie strani giochi con le sue labbra piene. Harry ne è rapito e brucia nel suo stesso rosso.
“Allora, Harry, qual buon vento ti porta qui?” Niall è un tipo piuttosto impertinente, nonostante sia un musicista. Pretende sempre che Louis scriva qualche poesia, così da poterla mettere in musica, ma finisce per annoiarsi e studiare gli spartiti di brani già composti da altri. Però è bravo a fare domande, a mettere Louis a disagio e ad attaccare bottone con gli sconosciuti.
Quando Harry, connivente, risponde: “Niente di buono”, Niall schiaccia un occhio in direzione di Louis e incassa la vittoria con troppo poco contegno.
All’amico scappa una risata, di quelle frivole e scampanellanti che sono rimaste chiuse nella sua camera a Chamonix, poi si rimprovera per aver ceduto ad una simile provocazione. “Scusalo” dice, rivolto a Harry, con quel tono piuttosto formale che riesce ad inimicarsi chiunque “Non è abituato a ricevere visite a quest’ora”.
“Il tuo sembra un chiaro invito a spiegare il perché mi sono presentato qui così presto, Louis” deduce Harry, sarcastico – e lui l’orologio lo guarda sempre, davvero.
“E Louis, con l’accento sulla i” puntualizza Louis, e sarà la milionesima volta che lo fa, in dieci lunghi anni.
Harry ride ancora una volta, ride sempre, con quelle fossette scavate sui ricordi impalpabili di una lontana vacanza a Chamonix. Poi però torna serio e pensa al suo computer, con le briciole dei muffin incastrate tra un tasto e l’altro e lo schermo pieno di aloni scuri. Ricorda i compleanni mancati, gli aerei, la posta, Zayn che gli accarezza le gote, e si rende pienamente conto che quella è la sola opportunità che la vita gli offrirà mai.
Louìs  - è così strano che abbia pronunciato quel nome correttamente! – ti va di fare una passeggiata?”
 
Parigi di notte non è bella quanto Londra e questa è una cosa che Louis odia. È una città che lascia spazio alle riflessioni, è silenziosa e straripa d’amore, nutre il Louis masochista che gli vive dentro. Londra di notte è ancora viva, chiama alla vita persino i turisti parigini, quelli con le baguettes sotto braccio, i baffi all’insù e le gonne ampie. Louis conosce Londra molto più di quanto vorrebbe: da tre anni a questa parte, da quando ha imparato a fronteggiare se stesso, prende un aereo che dice di odiare per andare sotto il Big Ben, alla mezzanotte di ogni primo febbraio. Ma questa è una cosa che Harry Styles non sa.
Harry, invece, che per anni ha ciondolato tra un locale notturno e l’altro, apprezza Parigi per quella che è: una scatoletta profumata, decorata a decoupage, in cui trovare se stessi in un folto mucchio di vecchie fotografie. Ora che ha messo piede nelle vie addobbate della città, spunta una voce sulla sua lista dei desideri e si ripromette di comprare due biglietti aerei per Roma, la prossima volta, anche se Louis ha paura degli aerei e odia tornare in Italia.
Fa cenno all’altro di sedersi su un marciapiede, sotto la luce tenue di un sole che tarda ad innalzarsi nel cielo. Louis sta cercando di darsi un contegno, ma non può fare a meno di fremere per il freddo: ha dimenticato il cappotto a casa e si sta ingiuriando mentalmente per non aver considerato l’ovvia ipotesi che fuori – il venti dicembre – potessero esserci simili temperature.
Harry lo guarda, sorride e si sfila la giacca di pelle che ha addosso; lui è di un rosso così bruciante che non sente mai freddo, non ha mai comprato una sciarpa e nemmeno un berretto. “Tieni...” dice, allungando la giacca a Louis.
Quello scuote la testa e rabbrividisce ancora, ma rifiuta tutto: la giacca, gli aerei, Parigi, Londra, persino Harry.
“Non fare l’idiota …”
“Non ho bisogno di una giacca”
“E io non ho bisogno che tu prenda un’influenza”
Louis sa che deve cedere e sa, nel momento esatto in cui afferra il giubbetto, che quello è Il Momento – lo immagina scritto con le maiuscole e ne rimane terrorizzato. “Come sta Zayn?” tergiversa, alzando la zip fino al collo. È artificiosamente disinteressato, ma quel solco profondo che gli attraversa la fronte fa ridacchiare Harry, perché in realtà Louis è dannatamente geloso. E intanto, nella mente del più grande, il viso di Zayn – di quel nullafacente barbuto che ha visto troppo spesso su Skype – è livido e gonfio a causa degli schiaffi.
 “Molto bene” risponde Harry dopo troppo tempo, senza riuscire ad arginare il moto di gelosia dell’altro - ma, in fin dei conti, ne è contento: non è un tipo egocentrico, affatto, ma gli piace sapere di occupare un posto rilevante nella vita delle persone che ama. “Credevo che se la sarebbe presa quando gli avessi annunciato le mie intenzioni” aggiunge “ma è stato disponibile ad aiutarmi. Era solo un po’ triste all’idea di perdere un amico”.
Il modo in cui pronuncia quella parola infiamma qualcosa in Louis, all’altezza della gola – un ruggito di disappunto, un urlo di protesta o semplicemente un gemito mesto. “Ah” dice, e non riesce a capire più niente.
E Harry ride, per l’ennesima volta, come se in quella situazione che ha dell’assurdo e del folle ci sia qualcosa di sinceramente divertente, svincolato dall’ombra di un passato mai conclusosi e dalla pesantezza di un presente restio ad iniziare.
Non è sensibile quanto Louis, ma possiede un certo talento che consiste nel saper leggere i pensieri della gente – soprattutto in circostanze come quelle, quando imbrigliare i sentimenti accresce l’evidenza della realtà. “Se te lo stai chiedendo, no. Io e Zayn non siamo mai stati insieme” ridacchia, passandosi un dito sulle labbra secche.
“Beh, tu non mi hai mai fatto credere il contrario”.
“Beh, tu non mi hai mai chiesto spiegazioni a riguardo”. Harry incassa l’ennesima vittoria.
La notte sembra scostare il velo dei segreti e sciorinare al vento parole che andrebbero taciute. E quando il velo cade a terra e disarma entrambi i combattenti, a Louis pare che sulle spalle gli sia calato un peso di piombo, una zavorra che lo annega più della vodka di Niall ogni samedi.
La notte sembra essere gravida di equivoci, un coltello affilato che recide la linea sottile tra amour et haine. Questo è incredibilmente strano, perché dopo dieci strazianti anni di forzata lontananza, la sola cosa per cui si dovrebbe trovare un po’ di spazio – nel bel mezzo di tanta negatività – è una serie interminabile di abbracci mozzafiato.
Harry, dal canto suo, getterebbe volentieri le braccia al collo di Louis, punterebbe la sveglia alle sette del mattino, preparerebbe un’ottima colazione – di quelle che il maggiore non sarà mai in grado di cucinare – e gliela porterebbe a letto, su un vassoio decorato a motivi floreali. Ma Louis no. Louis preferirebbe tornare indietro nel tempo e rimanere solo per tutta la vita, poiché non si sente affatto pronto ad accogliere qualcun altro nello spazio angusto del suo letto.
“Sono venuto qui per restare” confessa Harry, quando del silenzio si è riempito i polmoni fino ad esplodere “O per portarti a Londra con me. O per comprare due biglietti per Roma, se ti va”.
Louis, in quella giacca di pelle che gli scivola, troppo ampia sulle spalle, dovrebbe sentirsi protetto e amato. La verità, invece, è che ha sempre più freddo, come se una sottile serpe di aria ghiacciata frusciasse all’interno delle maniche. O del cuore. “Dovrei darti delle risposte, suppongo” deduce, soffiando sui palmi per riscaldare le mani arrossate.
C’è una strano baluginio nei suoi occhi che Harry ha sempre colto attraverso uno schermo, ma che dal vivo – alla luce pallida del sole dicembrino – sembra presagire l’avvento di una violenta tempesta. Perciò: “Non adesso” si ritrova a dire, quando in realtà le sue membra fremono impazienti nell’attesa di una risposta. Quello che sa, però, è che nonostante l’ansia pungente è disposto ad attendere altri dieci anni, se necessario.
“Rientriamo?” propone Louis, stanco delle parole. Intanto immagina di essere Niall, spavaldo, esuberante e con una tinta bionda per niente virile. Accantona ancora una volta l’idea di prenderlo a modello, poiché significherebbe rinnegare se stesso. Tuttavia, ammirarlo è inevitabile.
“Sarò sembrato un pazzo, ai tuoi occhi” mormora Harry mesto, cacciando le mani nelle tasche e colpendo i ciottoli grigi dell’asfalto, mentre segue i piedi piccoli di Louis in una città che conosce appena.
“In realtà ti ho sempre considerato un pazzo. Lo so dal giorno in cui hai buttato la tua testa nell’Arve.” Louis ride, da solo, e il fragore delicato della sua risata rimbomba flebile tra i palazzi parigini. Harry, invece, è più serio che mai: a Louis non piacciono i pazzi, nonostante lui sia il primo ad esserlo, e tra i suoi desideri non è certo contemplato quello di non piacere a Louis. Per questo motivo rivolge lo sguardo alle rues agghindate di Parigi e cerca di perdersi tra le vetrine colorate delle boutiques.
 
Niall è affacciato alla finestra quando scorge le figure di Harry e Louis che barcollano infreddolite sotto casa. Niall percepisce ogni cosa, anche se non ne sembra capace. Sa tutto di Harry dal momento in cui ha visto il suo viso sullo schermo del vecchio computer di Louis. A volte ha anche chattato con lui, di notte, scambiando pareri sulla canzone dei Rolling Stones che aveva intenzione di registrare. In fondo, ci spera quanto Harry che questo suo viaggio abbia un esito felice, perché le sole volte in cui ha visto Louis vivo sono anche quelle in cui ha trascorso intere serate su Skype. E gli occhi blu del suo coinquilino si sono accesi del colore del mare quando Harry è letteralmente irrotto in casa – anche se il suo viso si è contrito in un’espressione sconcertata e non esattamente appagata. Perciò è deluso che il suo amico, dopo dieci anni, rifiuti ancora la felicità che gli si offre su un piatto d’argento.
“Ci vuole solo del tempo” mormora Liam alle sue spalle, triste allo stesso modo.
Un giro nella toppa, il rumore di una chiave di metallo e Louis si toglie di dosso la giacca di pelle, appendendola ad un grosso pomello affisso al muro. “Siamo tornati” annuncia, per quanto presuma che i suoi amici lo abbiano aspettato a braccia conserte sul divano, come due vecchie frivole e pettegole.
“È stata una passeggiata piuttosto breve” asserisce Liam, con la voce che sembra lievemente guastata dall’ombra di un’accusa.
Louis sbuffa e gli riserva un’occhiata torva; Harry è perfettamente in grado di cogliere le basse frecciatine di questo stampo ed ha sicuramente capito che il desiderio dei coinquilini di Louis era quello di vederli tornare mano nella mano. Niall, che assesta una pacca sulla spalla del riccio, rende palese tutta la sua delusione borbottando qualcosa come: “Non preoccuparti, sarai più fortunato la prossima volta”; poi si rivolge a Louis: “Avevi dimenticato che oggi c’erano ospiti?” domanda.
A quel punto, Louis si dà uno schiaffo sulla fronte e sbianca: non è mai stato granché bravo a gestire l’ansia e il panico e ora che Niall gli ha ricordato quel particolare, si pente amaramente di non aver cacciato Harry dal primo momento.
“Louis, sei tornato?” Eleanor è fuor di dubbio la persona che pronuncia meglio il suo nome. D’altronde, si è sempre dimostrata la studentessa più eccelsa del corso di Lettere – seconda solo a Louis. Forse è per questo che lui l’ha scelta, o si è fatto scegliere. O ha lasciato che la vita li scegliesse. Le ha promesso tante cose con un paio di uscite galanti: un’infatuazione che non arriverà mai, una storia d’amore senza un inizio, un mazzo di fiori per il suo compleanno che non è mai stato spedito. Eleanor, prima in tutto quello che fa, non sa di essere eclissata dalla figura imponente di Harry Styles.
“Sono a casa” risponde Louis, con il cipiglio afflitto di chi ha un giogo attorno al collo. Le sorride appena e si trascina ad abbracciarla, lasciandosi alle spalle un Harry scontento, con gli occhi bassi e le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Sta’ tranquillo” gli sussurra Niall all’orecchio, sollevandosi sulle punte “Si sta prendendo in giro da solo”.
Gli regala un’altra pacca pesante sulla schiena e corre in cucina da Danielle, la ragazza dei croissants che lavora alla Boulangerie Saint Jacques, scoccandole uno di quei baci sulle guance di cui Liam è tanto geloso.
“Ehi!” lo rimbrotta Danielle, lasciando scivolare la chioma riccia sulle guance imporporate “Sto cercando di cucinare. E ho un ragazzo” gli ricorda, guadagnandosi in risposta un grugnito arrogante. Liam ride e si dedica a lei fintanto che il cibo non è pronto, mentre la tensione si ispessisce, palpabile, in quelle quattro mura troppo strette. Eleanor guarda Harry, Harry guarda Eleanor e Louis tenta di trovare un appiglio nella puerile ilarità di Niall, infantile solo all’apparenza. Il biondino sta cantando un motivetto dei Beatles, All You Need Is Love, il cui vinile è arrivato a Louis direttamente dall’Inghilterra due anni fa. Harry non ha mai capito che a Louis i Beatles non piacciono - nel suo iPod ci sono solo brani di Einaudi e di Ciaikovskij - e continua a propinargli canzoni dei Sessanta auspicandosi che a un occhialuto pantofolaio possano essere gradite.
 
There's nothing you can do that can't be done, nothing you can sing that can't be sung, nothing you can say but you can learn how to play the game, it's easy. Nothing you can make that can't be made, no one you can save that can't be saved, nothing you can do but you can learn how to be you in time, it's easy. All you need is love …
 
Uno strano groppo alla gola suggerisce a Louis che Niall sta chiaramente tentando di fargli capire qualcosa, che tra un’occhiata severa e l’altra gli indica la via che ritiene più corretta, una serenità che non ha ancora agguantato e un asserito dinnanzi a Harry Styles.
“Posso preparare una carbonara?” domanda Harry, quando gli sembra che l’aria si sia fatta asfissiante e vuole togliersi di dosso gli occhietti cattivi di Eleanor, cucitisi sulle corde del suo cuore.
“Una che?” domanda Liam, sbarrando gli occhi e tentando di ripetere la strana parola che Harry ha pronunciato – “cherbonerah”, “carbounera”, che termine difficile! Sa che Harry ha origini italiane e che parla in quella lingua con Louis, ma fino ad allora ha scambiato con il riccio solamente parole in inglese, la sua lingua madre – gli viene da ridere perché Louis, con l’accento francese, dice sempre “modèr tong”, con le consonanti dolci e appena percettibili.
“È un tipo di pasta che si cucina in Italia” spiega Louis, aggiustando gli occhiali quadrati sul naso “Ve l’avrei preparata, se solo non fossi negato in cucina”.
“Oh, ma Harry ti supplisce alla perfezione!” scherza Niall, con quell’espressione torva e gaudente che pare essersi cucita sul suo viso.
Venti minuti dopo, i convitati stanno divorando la cherbonerah di Harry e il pollo di Danielle. Louis è seduto tra Harry ed Eleanor e vorrebbe trovarsi altrove, magari tra le Alpi su cui è cresciuto, nel piccolo hotel che sua madre e Jacques tirano ancora avanti. Harry sa di aver trovato in Niall e Liam degli alleati e  anche per questo si illude di avere già la vittoria in pugno. Ma quando Eleanor adagia il capo sulla spalla di Louis, pulendosi le labbra con un tovagliolino di carta, si ricorda che dieci anni sono un tempo abbastanza lungo per nutrire il desiderio di costruire una vita nuova e riconosce che le ore trascorse al computer non hanno mai fatto parte della vita reale. Avverte il desiderio acuto e pungente di fuggire e non aspetta che gli venga offerto il panettone: scappa via da quel posto orribile, dal suo orribile Louis e piomba nuovamente nella fredda Parigi senza la sua giacca di pelle sulle spalle.
 
Louis trascorre i tre giorni precedenti al suo compleanno sotto le coperte, nonostante Niall e Liam, la mattina del ventiquattro dicembre, poggino un vassoio colmo di cibo e pacchetti colorati sul comodino della sua camera angusta. Lui lo spinge via con la mano e affonda nuovamente il viso nel cuscino sottile, rannicchiandosi sotto le coperte.
Quest’anno il postino non suonerà il campanello e non gli recapiterà il consueto paio di babbucce dei Simpsons. Quest’anno, Louis non merita nemmeno l’ombra di un regalo.
“Amico, svegliati. Ti prego …” lo supplica Niall più volte. Con la chitarra prova anche a suonargli qualche motivetto che Liam si offre di cantare, ma tanto sforzo non sortisce alcun effetto. Louis si rigira sotto le coperte, bofonchia qualche gemito confuso e torna a singhiozzare come si è impedito di fare per troppo tempo. Le ore si incastrano l’una sull’altra mentre, per la prima volta, attende impaziente che qualcosa si muova nel giorno del suo compleanno. Accetterebbe anche un rimprovero categorico o un litigio violento, ma quel silenzio tombale grava pesante sui suoi pensieri e li fa vorticare turbinosi, sconquassandogli la mente.
Se non si fosse mantenuto così ritroso, di certo saprebbe che in quel momento Harry sta compiendo molti passi, tra un negozietto e l’altro, per comprare alcuni ninnoli di Natale.
È mattina, ma il sole batte impertinente sull’asfalto scuro e la giacca che Harry indossa è troppo imbottita per quel clima - o, più probabilmente, tanto affanno lo sta facendo sudare copiosamente. Ha una scatola sotto braccio da cui emergono le estremità di alcuni festoni colorati. All’interno, al ritmo dei passi di Harry, si muovono rumorosamente la statuette di un presepe e la base sconquassata di una capannina di legno.
Louis  non ha mai creduto in Dio, ma Harry è sempre stato abituato ad andare in chiesa e avrebbe certamente continuato, se solo Zayn – nei lunghi anni della loro amicizia – non lo avesse fatto desistere. Però gli piace ancora aiutare Anna e Gemma a sistemare i Re Magi sulla paglia e ad imbrattare di gel per capelli la carta stagnola, immaginando che piccoli ruscelli attraversino le montagne di carta e muschio finto.
Sta contrattando alla bancarella di un senegalese che mastica qualche parola d’inglese, perché gli conceda un grosso albero a sessanta euro anziché ottanta: ha quasi finito i suoi risparmi e non intende domandare nemmeno l’ombra di un centesimo alla sua famiglia. In fin dei conti, ha deciso di guadagnarsi Louis da solo.
Quando la sua insistenza ha la meglio, sorride soddisfatto e allunga tre banconote da venti al senegalese – in tutto questo ha scoperto che si chiama Mamadou – poi si dà un’occhiata in giro e si rallegra di trovarsi nel Quartier Latin, così vicino alla sua meta.
Quando può deporre sul marciapiede l’albero e lo scatolone, trascinati con fatica per un paio di isolati, prende il cellulare e scrive a Niall.
“Sono sotto casa tua. Apri, ma non dire a nessuno che ci sono.”
Si compiace: è un bene che lui e Niall abbiano stretto amicizia così presto.
 
“Ehi!” esclama Niall, quando Harry ha salito le scale di corsa e, ansante, si è fatto trovare sul pianerottolo del terzo piano. Il riccio si porta un dito alla bocca e gli fa cenno di parlare a voce bassa, senza farsi sentire, ché Louis potrebbe scoprirli e andare su tutte le furie. Intanto, da dietro la testa di Niall, fa capolino Liam, il petto nudo e una matita dietro l’orecchio.
“Ehi, Liam!” si corregge Niall, assicurandosi che il suo tono di voce sia abbastanza acuto da essere udito in tutta la casa. Poi regala una pacca all’amico, che somiglia più ad uno schiaffo per la sua violenza, Harry soffoca una risata nel collo del maglione sciupato e scuote la chioma riccia che quella mattina ha dimenticato di pettinare – come se fosse una novità.
“Mi serve una mano …” comunica, indicando con un dito la scatola ai suoi piedi, che ha poggiato a terra al termine della sua corsa.
Liam allunga il capo e getta un’occhiata poco convinta al punto indicato da Harry, alzando un sopracciglio. “Festoni e presepe? Louis non te lo permetterà”.
Ma Harry non bada a certe osservazioni e, con un gesto brusco della mano, scredita la validità dell’affermazione di Liam, come ha imparato a fare con sua madre. Non ama essere contraddetto e non si preoccupa di celare il suo disappunto dinnanzi a chi tenta di rimbeccarlo; anche questa è una cosa che ha imparato da Zayn, suo malgrado, insieme ad un’innumerevole moltitudine di brutte abitudini che si pente di aver contratto. Tuttavia, ogni volta che ripensa ai suoi giorni a Londra, ai tragitti sul bus senza biglietto, ai rimproveri di sua madre perché è tornato a casa tardi e la pasta si è freddata o agli occhi rossi di Zayn almeno due volte al mese, una strana nostalgia gli si spande nel petto. Decide di scacciare quelle immagini dalla mente mettendosi all’opera e: “Liam, potresti aiutarmi a portare qui sopra l’albero che ho lasciato al piano terra? Niall, serve anche il tuo aiuto!” dice.
A Harry piace stare con gli amici quasi quanto girare per Covent Garden tra le bancarelle stracolme, mentre Zayn mangia i suoi sandwiches alla cipolla. Ama organizzare e osservare a braccia conserte la sua opera, una volta terminati i lavori; ancor più, adora sorprendere le persone che gli stanno a cuore con trovate bizzarre o – peggio – del tutto prive di tatto. Louis odia il Natale e Harry ha deciso di portarglielo fin dentro casa; Louis ha paura degli aerei e Harry intende portarlo a Roma; Louis non sa cucinare e Harry sente il bisogno di preparare qualcosa per lui. E, per ultimo, se Louis è terrorizzato dall’idea dell’amore, Harry gliela imporrà con la forza delle sue pensate.
Impiegano tre minuti per portare quel grande albero al terzo piano: tre rampe di scale con i rami che si impigliano nei jeans e che si infilano sotto i piedi sembrano un viaggio verso il Calvario. In compenso, quando anche la punta è stata portata su e Harry attende solamente che Liam e Niall salgano il pezzo centrale, possono trarre un sospiro di sollievo e biasimarsi tutti quanti per aver ceduto all’improponibile idea di affaticarsi per i preparativi di Natale.
Louis, invece, una statua marmorea con le braccia intrecciate sul petto, è infuriato, un po’ perché nessuno ha tenuto conto del suo parere quando si è trattato di tutti quegli addobbi e un po’ perché deve pur camuffare quel rassicurante sollievo che ha provato nel vedere di nuovo gli occhi verdi di Harry. “Che state facendo?” domanda sull’uscio, burbero e diretto, la lingua serpentina che batte sul palato per scacciare l’ansia.
“Non lo vedi?” sbuffa Harry, dopo aver superato un attimo di sbigottimento, distendendo la schiena perché gli capita spesso di strapparsi questo o quel muscolo. Ha fatto un bel po’ di confusione nelle scale anguste e, a guardare i gradini dall’alto del pianerottolo, sono tutti pieni di aghi verdi di plastica.
“Che tu lo voglia o no, mio caro, il Natale è arrivato!” esclama Liam, allontanando Louis dall’uscio con un gesto brusco della mano e portandosi dietro lo scatolone con le decorazioni.
Gli tocca ammettere che Harry ha buoni gusti: tra quegli addobbi non trova niente di pacchiano o vistoso, sembra tutto scelto da un perfetto designer d’interni. Magari è proprio questo ciò che Harry vuole diventare, pensa Liam.
“Noi non lo festeggiamo” ribatte Louis, lanciando delle occhiate sbieche a Niall e Harry, intenti a sgombrare il pianerottolo da tutte quelle carabattole. Per Louis è un eufemismo dire di odiare il Natale: non ne ha mai festeggiato uno per bene, da che ricorda. Una famiglia, d’altro canto, non l’ha mai avuta. I dolci zuccherati, le vetrine agghindate a festa, gli alberi e le luci gli paiono solo un mucchio di ingannevoli gioie, effimere e deliziose, che lui non ha mai avuto il piacere di assaporare. Adesso, con il livore incancrenito a causa della polvere, dei libri e del buio della sua camera, il Natale gli sembra solo il plateale andirivieni di un mondo a cui non sente di appartenere.
Ma – qualunque sia la sua opinione a proposito – pare che essa non conti nulla: Niall, Harry e Liam sono talmente sorridenti, mentre cantano carole che conoscono alla perfezione, che Louis pare sfaldarsi nel silenzio della sua melanconia. Sta un po’ ad osservarli, rapito da quel gioco spensierato che è il loro aiutarsi a vicenda per addobbare l’albero; poi, quando la testa sembra scoppiargli, costipata dei ricordi di tanti Natali vuoti, urla qualche parola in italiano contro un Harry testardo che avrebbe fatto meglio a non venire e corre nella sua stanza, sbattendosi dietro la porta e girando la chiave nella serratura per ben tre volte.
 
Un’ora dopo, Harry Styles è sdraiato sul divano e rigira tra le mani l’ultima palla rossa da appendere all’albero. La casa è sgargiante e viva, dà l’impressione che vi abiti qualcuno – finalmente – eppure, tra un festone colorato e un personaggio del presepe, ogni labile scia di allegrezza si è persa. Louis è chiuso nella sua stanza da un tempo che ha Harry pare interminabile: ogni tanto l’ha sentito singhiozzare, come una pendola che scandisce il tempo, ma è stato trattenuto dal folle timore di venire respinto per l’ennesima volta e, con gli occhi lucidi, è rimasto incollato a quel divano dalla tappezzeria polverosa.
Non riesce a capacitarsi dell’idea che non sia riuscito a portare a termine la sua semplice missione e, ogni volta che pensa a quanto sia stato inutile e dispendioso questo viaggio che ha fatto, gli tornano in mente le battute saccenti di Zayn, che scherzando screditava tutti i suoi piani, e il sorriso di Gemma quando gli diceva che, comunque fosse andata, sarebbe riuscito in tutto. Sua sorella è una delle cosa più care che gli restano, ora che Des e Anna hanno scelto di divorziare, e la promessa fattale di tornare a casa con un fidanzato francese secchione e un po’ svampito deve essere mantenuta – pena la profondissima delusione di tutti quanti. Proprio quella promessa lo spinge a provare – “per l’ultima volta”, si dice – mentre il cuore gli balza in petto e marcia furiosamente nell’intento di fuggire via dall’ansia.
La porta della camera di Louis è piccola, tinta di bianco e scrostata in più punti, relitto sofferente della noncuranza del proprietario. Harry bussa una, due, tre volte e non riceve risposta – ma è una cosa che ha messo in conto, quando ha deciso di agire. “Louis, apri la porta!” grida, forse con troppa perentorietà; ma che importa? – sprecherà la voce e tutte le energie, si farà temibile e severo per quest’ultimo tentativo che vale dieci anni di attesa.
Deve mettersi a bussare insistentemente prima che Louis gli apra e, con gli occhi gonfi e i piedi nudi, torni a stendersi sul letto in silenzio, con la faccia affondata nel cuscino sottile.
Harry non sa dove sedersi, perlustra la stanza buia con gli occhi attenti e finisce per accontentarsi del tappeto verde sporco e arrotolato che sta ai piedi del letto – e nel frattempo scaccia via qualche fastidioso batuffolo di polvere, annidato tra i nodi. Non ha la più pallida idea di quale sia la cosa giusta da dire e, ad onor del vero, non è mai stato molto bravo per quello che riguarda il tempismo, ma con le mani che tremano e un riccio impertinente che gli è scivolato sulla fronte, borbotta qualcosa come: “Buon ventunesimo compleanno, Louis” in  un italiano pessimo e triste ad udirsi.
E siccome Harry e il tempismo sono acerrimi nemici, questo induce Louis a destarsi dalla risoluta tristezza nella quale ha preteso di avvolgersi; scosta la testa dal cuscino e, illudendosi di non essere visto, getta un’occhiata languida a Harry. Questo basta perché, improvvisamente ardito, quello si alzi e gli prenda la mano, la stringa nella sua quasi stritolandone le dita piccole e sottili, colme di calli.
È la prima volta che Harry e Louis si stringono la mano, in dieci anni. L’ultima volta che lo hanno fatto – entrambi lo ricordano alla perfezione, come se certe memorie fossero state impresse a fuoco nelle loro menti – erano a Chamonix e correvano insieme per l’ultima volta accanto alla riva del laghetto. Quello è lo scatto che muove ogni cosa, per la fortuna di Harry e, parallelamente, per sua enorme sventura: Louis finalmente cede, perché è stanco del suo rigore  e perché è ineffabilmente ebbro di tristezza. Risponde alla stretta con altrettanto vigore e guarda Harry negli occhi come non ha mai fatto, da quando l’ha visto arrivare: “Credevo che non mi avresti più augurato un buon compleanno” sussurra, e la sua voce si disperde negli anfratti nascosti di quella camera angusta, tra una tragedia di Shakespeare e un volume di Baudelaire.
“Ti sbagliavi di grosso” ridacchia Harry, intrecciando la mano libera tra i capelli scarmigliati dell’altro. Se non fosse così impegnato a godersi il sapore inebriante di ciò che sta accadendo, manderebbe un messaggio a Zayn – il solo al quale ha potuto confidare le sue ansie di questi giorni – e gli annuncerebbe che , finalmente ha raggiunto il suo scopo. “Mi dispiace solo che io non abbia potuto comprare un paio di babbucce come regalo di compleanno” aggiunge, e adesso sta accarezzando piano la schiena di Louis.
Quest’ultimo emette una risata frizzantina e getta il capo all’indietro, scoprendo la pelle tesa del collo che Harry si chinerebbe volentieri a baciare. “A dire la verità, ho sempre odiato le babbucce dei Simpsons che ti ostini a regalarmi. Non sopporto affatto quel cartone animato” confessa, la brezza dell’allegria che pare essere salita a contagiare i suoi occhi blu.
“Lo so, lo so” asserisce Harry, beandosi di quel Louis che pare essere tornato bambino – per un attimo, un attimo soltanto. “Ma tu avevi dimenticato quanto fossero belli i colori e le matite e quello era il modo migliore che avessi per ricordartelo”.
Louis piega le labbra in un sorriso sghembo, gli occhi che guizzano irrequieti oltre le lenti degli occhiali e: “Il Piccolo Principe, giusto …” mormora, inarcando un sopracciglio. “Comunque, se non si fosse capito” riprende poi “il migliore regalo che potessi farmi è stato il tuo arrivo qui. So che il mio comportamento ha lasciato intendere l’esatto contrario, ma …” tronca la frase a metà, un pugno di parole che gli muoiono in gola, prede di un timore ancora troppo vigoroso per poter essere sedato.
Harry se ne accorge e, in quell’attimo così delicato che sembra essere fatto di porcellana fine, dice – con la voce ferma di chi ne è convinto: “Io sono innamorato di te, Louis. È una cosa che ho maturato in questi anni e ne sono fermamente convinto” prende un respiro profondo e guarda negli occhi un Louis del tutto impietrito, continuando: “So che hai paura di innamorarti, perché non hai mai conosciuto l’amore in tutta la tua vita, ma fidati di me. Ora che anche i miei genitori sono separati posso capire come ti senti, ma i loro sbagli non devono necessariamente diventare i tuoi” aggiunge in fine, confessando quel grosso segreto che a lungo ha avuto paura di raccontare.
Louis vorrebbe consolarlo davvero, ora che è venuto a sapere della separazione, ma c’è così tanto a cui prestare attenzione che finisce per perdersi nella sua immobilità e, con i soli occhi, palesa ad Harry tutto il suo dispiacere, il suo tormento, la sua paura e – non ultimo – quello strano sentimento che i suoi cari scrittori chiamano amore.
Harry non fa caso alle parole mancate di Louis: ha aspettato quel momento per così tanto tempo che non gli interessa più se sia all’altezza delle sue aspettative e la sola cosa che auspica è che, finalmente, Louis possa accoglierlo nella sua vita con tutto quell’affetto che gli è mancato in dieci anni. Incoraggiato da quel silenzio o dalle curiose occhiate del più grande, Harry trova la forza di lasciarsi andare – che lo si voglia credere o meno, è lui quello che soffre di più, in quel frangente. L’immagine di Louis che getta indietro la testa riemerge ancora intermittente nella sua mente, per questo spinge il capo dell’altro all’indietro, premendo leggermente la giugulare con i pollici affusolati. Il primo bacio di cui Harry fa dono a Louis è un inseguirsi lascivo di labbra frenetiche: il riccio ha avuto un tempo infinitamente lungo per esercitarsi, con Zayn che aveva la pessima abitudine di farsi trovare nudo nel suo letto,  eppure Louis gli fa dimenticare ogni cosa, come un bimbo alle sue prime esperienze, e Harry lascia delle strisce di saliva qua e là, mentre risale lentamente lungo il collo, verso le labbra che ha tanto agognato.
Questa volta è Louis a baciarlo, la bocca che sa di colluttorio e integratori vitaminici; serra gli occhi e lascia – per una volta, la prima in assoluto – che sia il suo corpo a guidarlo, le membra sciolte dall’oppressione della mente. Tutto ciò che ha vissuto con Eleanor, i baci di lei, i seni tondi che si è chinato a baciare di tanto in tanto, sono frivole sciocchezze che scompaiono a confronto con questo Harry massiccio, alto, esageratamente sicuro di sé, che effonde passione e desiderio.
Louis ride per ogni bacio che riceve e affonda le dita nella schiena degli altri, fino a fargli male – ma Harry è suo, tutti devono sapere che non ha la minima intenzione di lasciarselo sfuggire nuovamente. Si stende sul letto, la schiena ora nuda che rabbrividisce, a contatto con le lenzuola ruvide, e osserva Harry immobilizzargli il bacino con le ginocchia; si baciano ancora e ancora, in tutti i modi che conoscono, fin quando non sono stanchi e si sfilano i vestiti di dosso, senza quietarsi mai.
Harry non smette di ridere, Louis affronta la paura gemendo e, quando con le dita sfiora le natiche dell’altro, solleva leggermente il bacino e lo ruota, elettrizzato da quelle sensazioni. Si fa impaziente, invoca il nome di Harry rallegrandosi che Liam e Niall se ne siano andati subito dopo la sua sfuriata, poi – con un bacio e una quantità esagerata di moine – lo costringe a dargli le spalle e si china sul suo dorso scolpito per abbandonare schiocchi umidi sulle suo scapole morbide. Quando Harry e Louis sono un’unica cosa – sfiniti, ansanti, paurosamente felici e felicemente spaventati – restano così, l’uno chino sull’altro, in un abbraccio esausto che supplisce qualsiasi parola. Louis, finalmente, ha ricevuto il più bel regalo di Natale che potesse desiderare.
 
Niall è incredibilmente felice di vedere che le occhiaie sul viso di Louis si sono fatte meno profonde e, con il petto gonfio di orgoglio, si scopre a sperare che scompaiano del tutto, perché non ha mai associato il riposo a Louis ed è curioso di vedere che coppia strana potrebbero incarnare. Per festeggiare ha comprato una bottiglia di spumante – piuttosto scadente, c’è da ammetterlo, ma aveva solo un biglietto da venti nel portafoglio – e ha riso quando Louis gli ha dato del “bambinone elettrizzato”. Liam è rimasto piuttosto soddisfatto dalla notizia e ha avvolto le sue braccia possenti attorno ad un Louis riluttante, poi ha borbottato qualcosa riguardo al fatto che il suo amico non si lasciava abbracciare da troppo tempo.
Così, senza che Harry e Louis se ne rendano conto, i due coinquilini hanno già organizzato una festa alla quale si sono preoccupati di invitare, naturalmente, anche la ragazza dei croissants – purché porti una torta grande e piena di panna, ovviamente.
Louis si è intristito un poco, perché Danielle ed Eleanor sono molto amiche e lei saprà certamente di come El abbia appreso – tramite un messaggio sul cellulare – che  Louis non è mai stato innamorato di lei. Ma quando l’ha vista arrivare in casa con un grande vassoio tra le mani e un sorriso compiacente, Louis ha potuto trarre un sospiro di sollievo e si è ritrovato a pensare che, in fondo, è meglio per Eleanor che quella specie di relazione rattoppata sia giunta al termine. Ed è convinto che Danielle sarebbe perfettamente d’accordo con la sua idea.
“Ho portato una torta piena di panna, come mi è stato chiesto” è la prima cosa che dice la ragazza, quando ha poggiato il vassoio sul tavolo della cucina e si è disfatta del suo cappotto pesante. Riceve un buffetto affettuoso da Liam e gli scocca un bacio a fior di labbra, per mettere a tacere le sue infantili lamentele su quanto sia terribile avere una fidanzata così impegnata.
I cinque mangiano insieme, raccontandosi aneddoti divertenti e per lo più ascoltando attentamente Harry, che narra nei minimi dettagli come ha conosciuto Louis. Niall batte le mani un paio di volte, quando il riccio prende scherzosamente in giro il bambino impacciato e a tratti un po’ burbero che ha conosciuto a Chamonix; Liam e Danielle, invece,  cominciano  a pensare che sarebbe una buona idea andare sul Monte Bianco e alloggiare nell’albergo della madre di Louis. Quest’ultimo, sempre taciturno, con i piedi fasciati da un paio di babbucce gialle e il maglione troppo largo di Harry che cade abbondante sulle spalle, cerca di memorizzare ogni istante di quel pranzo rumoroso: è il primo vero Natale che abbia mai festeggiato e, deve ammetterlo, non è poi così male. Niall, Harry e Danielle organizzano già il pranzo dell’indomani e cercano di scoprire che regali scarteranno, mentre Louis e Liam li osservano scambiandosi occhiate comprensive, di tanto in tanto. Sebbene con il presepe, l’albero e i festoni l’appartamento sulla Rue Saint – Jaques si sia fatto molto più piccolo, le luci intermittenti che ne decorano il parapetto del balcone potrebbero suggerire ai passanti che lì dentro vive una famiglia felice – e non avrebbero tutti i torti.
Una volta Niall gli ha detto che l’amore è una figata e, anche se userebbe termini di gran lunga più elaborati, Louis non potrebbe che essere d’accordo. Acconsente persino a cantare una strofa di quella canzone natalizia di John Lennon di cui stenta a ricordare il titolo e, inventando di tanto in tanto qualche parola che non ricorda – Harry gli sferra un pizzicotto sul braccio ogni volta che lo sente sbagliare – fa mostra della sua voce sottile e delicata che nessuno aveva mai udito prima. Ride spesso, soprattutto quando osserva Niall contorcersi sul divano, con la chitarra in mano, mentre urla: “Slash, vieni a vedere quanto è diventato bravo il tuo allievo!” e, per quanto sia restio a confessarlo, di quella giornata gli è piaciuto ogni istante. L’insistenza di Harry, alla fine, ha avuto la meglio.
Niall interrompe d’improvviso il suo concerto pretenzioso e allunga la chitarra in direzione di Harry. “Perché non ci fai sentire qualcosa?” suggerisce, con un’impertinenza tale da trasformare quella domanda in un ordine. “Andiamo!” lo incita “So che te la cavi bene con la musica”.
Harry, nella sua camera, ha una chitarra che apparteneva a suo padre. Ha imparato a suonarla quando frequentava il primo anno di liceo, seguendo le lezioni di un certo Nick Grimshaw, un ragazzo allampanato e sempre fornito di sigarette e altro, che frequentava l’ultimo anno. Da lui ha imparato il giro di do – che, alla fine, si è rivelato il più utile – e il barrè, e a causa dei lunghi pomeriggi trascorsi a scuola a strimpellare gli sono anche venuti i primi calli sulle dita. Richiama alla memoria una canzone che, tempo fa, cantava con Gemma quando suo padre lì portava nel bungalow di famiglia e li faceva sedere sul cassone del suo grosso pick-up. Prova qualche accordo, perché non ricorda bene lo spartito e, quando gli pare di aver trovato la giusta tonalità, si mostra più sciolto e sicuro di sé.
 
When I first held you I was cold, a melting snowman I was told, but there was no-one there to hold before, I swore that I would be alone for ever more. Wow, look at you now, flowers in the  window, It’s such a lovely day and I’m glad you feel the same, ‘cause to stand up out in the crowd you are one in a million and I love you, so let’s watch the flowers grow.
 
A Louis pare che quelle parole siano state scritte appositamente per lui; non conosce la canzone, perché non è di Einaudi, di Ciaikovskij o di Debussy, ma gli piacerebbe poterla cantare insieme a Harry, senza vergognarsi del piccolo pubblico che ha di fronte e che sta battendo allegramente le mani. Alla fine, decide di unirsi a quel quartetto strampalato fischiettando le note del ritornello, che ormai ha memorizzato. Gli occhi di Harry non riescono a scivolare via dalle sue labbra piene che si piegano così spesso all’insù e Niall, Liam e Danielle potrebbero giurarlo: gli addobbi più belli in quella casa sono Harry e Louis finalmente felici.
Inaspettatamente, Danielle – che adesso comprende quanto abbia fatto bene Louis a lasciare libera Eleanor da un sentimento che nemmeno esisteva – applaude più degli altri, i ricci che  le si muovono sulla testa come piccole molle, e: “Come siete carini!” commenta, estasiata.
Liam ride di cuore, portando le mani sulla pancia dolorante, e Niall concorda rumorosamente con Danielle, aggiungendo che era ora che i due si ritrovassero, perché in tre anni di convivenza non ha visto Louis essere innamorato di nessun altro fuorché Harry – e per Niall e la sua impazienza tre anni sono un tempo infinitamente lungo.
“Aspettate …” li ferma Harry, alzando una mano – l’altra è impegnata a stringere il fianco di Louis. “Mi state dicendo che Louis era innamorato di  me da prima che io venissi qui?”
“Ma non te ne sei reso conto da solo?” si stupisce Liam, accennando allo sguardo perso di Louis, stretto sul petto del riccio e incapace di smentire ciò che gli altri hanno detto di lui.
“Sapevo che provava qualcosa per me, ma non pensavo che fosse amore, davvero” chiarisce Harry, guardando il suo Louis con occhi diversi, alla luce della verità. Effettivamente c’è un sorprendente baluginio negli occhi dell’altro, una strana espressione sul viso che non è in grado di decifrare; e forse sì, questo è amore, ma Harry è stato troppo impegnato ad essere felice – indipendentemente dai sentimenti di Louis – che comunque gli importa ben poco di quando il più grande abbia iniziato ad amarlo.
“Se lo conosco bene come credo, ci vorrà un bel po’ prima che pronunci le due fatidiche paroline” scherza Niall, un po’ amareggiato dall’indole schiva di Louis e ancora non del tutto abituato a quella freddezza glaciale che non gli appartiene affatto e che Harry sa mitigare con strabiliante maestria.
Harry ridacchia, ma poco gli importa di come Louis si comporti, ora che può finalmente stringerlo al petto. Certo, un lieve pizzicore sulla nuca gli suggerisce che una punta di rabbia è sedata solo grazie a tanta felicità, ma decide di mettere a tacere ogni sorta di turbamento e, per scacciare quella strana sensazione, avvolge anche l’altro braccio attorno a Louis.
“Se non fosse stato innamorato di te, non avrebbe sfidato la sua paura degli aerei negli ultimi tre anni” ricorda Danielle, un sorriso innocente sul volto che è la genesi di un’apocalisse.
Liam e Niall la guardano in tralice, inorriditi e, se potesse soltanto parlare, Liam spegnerebbe immediatamente quel sorriso infuocato e inconsapevole che Danielle sfoggia con tanta ingenuità.
Harry ne ha sentite troppe, in un solo giorno: scioglie l’abbraccio con cui è rimasto avvinghiato a Louis e poggia i gomiti sulle ginocchia, mortalmente serio: “Scusa, che hai detto?”
Louis ha iniziato a sfregare i palmi sui pantaloni della tuta – lo fa sempre quando è nervoso – e, peggio, ha preso a mordersi il labbro inferiore ripetutamente – a questa è una cosa che fa quando muore d’ansia.
Solo in quel momento Danielle si rende conto dell’errore: sbianca rapidamente, inizia a gesticolare – ma non sa cosa dire – e allora affonda il viso nella felpa di Liam e borbotta: “Scusa”, come se quella fosse la nenia con la quale consolarsi.
“Qualcuno è disposto a darmi delle spiegazioni?” insiste nuovamente Harry e davvero non ha idea del perché tutti, Louis compreso, stiano reagendo in maniera così esagerata. Un ciuffo riccio gli è scivolato sulla fronte e immediatamente lui lo sistema, rigettandolo nella chioma folta, che in quei giorni pare essere più crespa del solito. Ogni movimento che compie è così repentino e irrequieto che oramai tutti ne possono cogliere il pessimo tentativo di nascondere l’ansia pungente.
“Io … dovrei, ehm …” inizia a dire Louis, borbottando tra una parola e l’altra qualche suono incomprensibile, che – diversamente da ciò che spera – non riesce né a placare la sua agitazione né tantomeno quella degli altri. “C’è una cosa che non ti ho detto finora, perché ero terribilmente spaventato dalla reazione che avresti avuto. E, onestamente, penso proprio che diverrai furioso, quando ne verrai a conoscenza”.
Harry ha iniziato a spaventarsi davvero: sembra che questo viaggio in Francia non voglia concedergli un attimo di calma e spensieratezza, ma che si stia guastando a causa di un continuo susseguirsi di eventi non del tutto benevoli. Chissà perché, in quel momento nutre la sensazione acuta e pressante che ciò che ha da dire Louis sarà la goccia pronta a far traboccare il vaso. E con quella rabbia che gli ruggisce in petto come un leone rampante, gli sembra già di esplodere – è quasi naturale, in quel frangente, pensare alla fuga come ad una possibile soluzione.
“Il primo febbraio degli ultimi tre anni l’ho passato a Londra, sotto il Big Ben” confessa Louis tutto d’un fiato, per evitare che ogni esitazione gli impedisca di continuare “So che sarai arrabbiato con me per questo, ma giuro con tutto me stesso che io ho tentato di venire a farti visita e …”
“Un attimo, un attimo” ripete Harry con foga, la bocca serrata in una smorfia addolorata e le mani improvvisamente diafane. “Io ho dato tutto me stesso per arrivare qui in Francia, ho progettato il viaggio per anni, perché pensavo che tu non avessi i mezzi per venire da me. Invece tu hai passato a Londra i miei ultimi tre compleanni senza mai farmelo sapere?”
“Aspetta, Harry, lascia che ti spieghi …”
Ma Harry non gli sta più prestando ascolto. Ogni tanto tenta di interpretare le espressioni di Niall e Liam, ma per quanto siano amici, quelli rimangono comunque i due coinquilini di Louis e questo basta a spiegare la loro apprensione nei confronti dell’altro. Danielle si sente ancora in colpa e borbotta spesso un: “E’ colpa mia” o  uno: “Scusate”, senza che nessuno le dimostri alcuna attenzione.
Harry non sa cosa gli sia preso e se potesse pensare con lucidità, converrebbe nel lasciar correre anche questo enorme errore di Louis, perché sono innamorati, finalmente hanno trovato la loro pace e non è ammissibile che una notizia simile scardini l’ordine appena stabilito. Harry Styles è una persona buona come poche e sa perdonare con facilità – lo ha fatto persino con suo padre, quando ha scoperto che aveva lasciato Anna perché si era innamorato di un’altra – eppure Louis rimescola le carte in tavola, lo acceca e lo infiamma. Non gli resta altro che bruciare da solo, per evitare che quel fuoco distrugga anche altri: per questo, prima che la sua rabbia esploda, inspiegabilmente incapace di essere clemente, si alza in piedi e corre via.
Louis non lo insegue nemmeno, perché ha paura – ancora una volta – e perché Liam lo afferra per un braccio e lo costringe a rimanere in casa: a lui pare di aver compreso Harry fino a fondo e, se c’è una soluzione che intende come la migliore, questa è lasciarlo da solo, a meditare su quali conseguenze possa comportare un eventuale abbandono delle sua disgraziata missione.
Così, Louis trascorre i due giorni successivi a fumare una quantità incommensurabile di sigarette scadenti, rubate dalla camera di Niall.
 
***
 
La sensazione di essere tornato alla normalità stranisce Harry, che si era quasi abituato all’imprevedibile routine della sua vita parigina – un litigio con Louis, un’occhiata vispa, un segreto rubato, qualche amico in più e un amore rabbioso che rasenta l’isteria.
Trascinare il trolley rosso che ha rubato dall’armadio di Gemma gli riporta alla mente le corse a Heathrow, quando Zayn aveva portato ritardo e l’aveva costretto a salire di fretta sull’aereo per Parigi. Ma quelli sono giorni lontani, ormai, e anche se Harry ha promesso a Louis che sarebbe tornato presto, questo litigio gli suggerisce che potrebbe passare ancora molto tempo prima che uno dei due si decida a muovere un passo verso l’altro. E si sa, le incomprensioni e la distanza possono essere un miscuglio letale ed esplosivo per una relazione – questo, almeno, è quanto Harry ha letto sui blog di Tumblr che segue e che si ostinano a parlare dell’amore a distanza in questi termini.
Ha appena gettato il telefono nella borsa di cuoio, con noncuranza, anche se se ne pentirà nel momento in cui  ne avrà bisogno e non riuscirà a trovarlo nel miscuglio disordinato di fazzoletti, chiavi, fotografie e souvenir. Zayn lo ha chiamato almeno cinque volte, da quella mattina – e forse Harry è nervoso anche per questo: lo ha incitato ad annullare il volo di ritorno e a prenotarlo quando le cose si fossero sistemate. “Non preoccuparti del denaro” gli ha detto “troverai un modo. Penso proprio che Louis sia più importante.” È assurdo che Zayn si sia fatto improvvisamente serio e responsabile ora che Harry ha più bisogno della sua folle sregolatezza.
Sente qualcuno lamentarsi alla sua sinistra, si volta e comunica con eccessivo languore che non è in grado di comprendere il francese, ché parla solo inglese ed italiano. Tuttavia, all’ennesimo rimprovero in francese, si rende conto di essersi fatto spazio nella coda per il check-in, non curandosi di coloro che erano in fila prima di lui.
Non sa nemmeno come scusarsi adeguatamente, perciò fa qualche cenno con il capo e si sposta in fondo alla coda, con Il Piccolo Principe che rischia di scivolargli via dalle dita sottili.
Osserva assorto la piccola folla davanti a lui, incurante del forte conciliabolo che produce, e tenta di immaginare quali storie potrebbe raccontare ognuna di quelle persone. Due giovani ragazze, con le chiome lucide e fluenti, potrebbero parlargli del loro viaggio liberatorio a Parigi, di come abbiano approfittato della pausa natalizia per visitare posti nuovi e scorrazzare per i locali notturni; una famigliola dall’aria  stanca potrebbe dirgli che la giornata a Disneyland è stata strabiliante, anche se il bambino si è sbucciato il ginocchio e ha pianto per il resto della vacanza; quell’uomo anziano che sta consegnando la carta d’identità, mentre la valigia gli viene pesata, potrebbe essersi ricongiunto ad antichi ricordi.
Harry si domanda quale debba sembrare la sua storia agli occhi degli altri, se nel suo sguardo si colga l’ombra scura della tristezza, se il suo cuore spezzato si renda visibile a tutti, sanguinante e sofferente. Per quel che vale, Harry si sforza di tenere segreta la sua sfortunata esperienza: ogniqualvolta qualcuno lo guarda, sbuffa e finge di controllare il cellulare silenzioso. Ogni tanto lo schermo si illumina, perché Zayn e Gemma lo stanno tartassando di messaggi a cui non risponderà mai.
 
“Non ce la faremo, me lo sento!”
“Devi smetterla di fare l’uccello del malaugurio, Louis: è per questo motivo che ti trovi in questa situazione …” grida Niall, schiacciato sul sedile posteriore, mentre Liam si getta in una corsa sfrenata con la sua vecchia Camaro.
“Invece, io credo che il problema stia nel fatto che Louis non reagisce finché non si trova con le spalle al muro” obietta Liam, un po’ saccente – ma a quel punto può anche permetterselo. La macchina è la sua e non si può neppure dire che sia nuova: lanciarla a tutta velocità lungo le strade larghe, di prima mattina, con il freddo che attecchisce sull’asfalto, non è certo il modo più adatto a prendersene cura. Liam è un po’ irritato da questa cosa, quasi quanto lo è per l’irragionevole orgoglio di Louis.
“State un po’ zitti” ribatte quest’ultimo, piccato “Non mi state affatto aiutando”. Per l’occasione ha indossato un paio di jeans - che poi si è preoccupato di abbottonare in vita solo una volta salito in macchina – e questo è un cambiamento colossale per un pantofolaio tutto tute, occhiali da vista e libri. Louis sperava di vincere la sua tristezza così, ma ogni minuto che vede passare sull’orologio dell’automobile gli toglie un po’ del fiato che lo sta aiutando a controllarsi. Sta ripetendo a se stesso, ancora una volta, che è disposto a frenare i suoi umori uterini e a guardare tutte le stagioni di How I Met Your Mother, se Harry glielo concederà. Ma ha la netta sensazione che la sua sia una speranza magra e preferisce non nutrirsi di qualcosa che potrebbe deluderlo amaramente. Sfila la penna dalla tasca dei jeans e inizia a scarabocchiare le mani callose, stroncando ogni tentativo dei suoi amici di fare conversazione o, peggio, di riprendere i suoi atteggiamenti irragionevoli.
La mano destra è ormai colma di parole quando Louis, sul sedile del passeggero, viene scaraventato avanti da una brusca frenata di Liam; alza gli occhi, si guarda intorno e quello è l’aeroporto, alleluia! Il cuore gli balza in gola e lui lo inghiotte in un sospiro, apre il portellone e sta già correndo verso le porte automatiche, senza curarsi delle urla di Niall e Liam, che lo implorano di aspettarli.
La calca che sembra riversarsi addosso a lui è reale o è solo un espediente della sua mente, per infondergli ancora più paura e intimargli di correre più veloce? Gli manca il fiato, la voce, un paio di fogli vuoti su cui scrivere ciò che sta provando, una delle sue tute calde e Harry che lo bacia a fior di labbra. “Harry” continua a gridare, assestando gomitate alle figure ammassate dei viaggiatori – e qualcuno, tra loro, si volta a dirgliene quattro.
Quando Louis lo vede, Harry sta ritirando la carta d’imbarco con la testa bassa, attorno alla quale ha avviluppato una bandana verde. La sua figura, se possibile,  pare ancora più svettante rispetto al resto delle persone, che si trovano ad essere più basse di lui nella maggior parte dei casi. Il Louis remissivo, pauroso ed esitante è repentinamente vinto da questo nuovo Louis, che è uscito alla scoperta solo grazie a Harry Styles: corre per l’ultima volta tra la folla, a perdifiato, e quando gli è sufficientemente vicino da essere a portata d’orecchio, non sa più cosa dire. Per questo: “È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante” urla, strattonandolo per un braccio.
Harry si volta di scatto – ha riconosciuto la voce – ma è abbastanza cosciente di se stesso da impedire che le sue difese crollino e le sue mani si avvinghino ai fianchi morbidi di Louis. “Che ci fai qui?” sussurra appena, eppure è certo che l’altro l’abbia sentito – sa che Louis percepisce ogni cosa che li riguarda, anche se non ne fa mai parola. Non si è mai reso conto di essere così alto, ma ora che osserva Louis ed è consapevole di ciò che sta rischiando di perdere, quello gli sembra incredibilmente piccolo e inerme, con gli occhi grandi da bambino che implorano pietà. “Se vuoi che io ti perdoni, sappi che hai sbagliato a venire” continua, in mancanza di risposte. In realtà ciò che ha detto non è affatto vero, ma a questo punto del viaggio l’orgoglio è diventato una parte importante e Harry non può mostrarsi sempre accondiscendente con Louis, anche se lo ama tanto da perdonare in eterno.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante. E prima che tu ti stranisca perché sto ripetendo questa frase” aggiunge in fretta, perché Harry ha fatto intendere di voler parlare “voglio ricordarti che è tratta da Il Piccolo Principe. Che tu ci creda o no, mi sono innamorato di te all’età di dieci anni, quando hai gettato la testa nell’Arve, ti sei preso quel terribile raffreddore e mi hai confermato che al mondo esistono persone ancora affascinate dai colori e dalle matite.”
“Che cosa c’entra questo?” si spazientisce Harry, portando le mani sulla vita come fa sua madre quando è arrabbiata. Non gradisce che gli si faccia perdere del tempo e ogni secondo che passa rischia di farlo cedere – cosa che non può assolutamente permettersi di fare.
“Lasciami spiegare, ti prego” mormora Louis, la voce sempre più flebile e sottile – quasi irritante. “Harry, io sono innamorato di te da sempre e lo sarò per sempre e questa cosa mi spaventa. E prima che tu mi interrompa per l’ennesima volta, voglio dirti che ti amo, anche se nel mio mondo non c’è posto per l’amore. Questo ti darà la garanzia che sbaglierò ancora, come ho sempre fatto, perché la tua grandezza mi fa paura. Ma vuoi davvero che tutto ciò che abbiamo vissuto, dopo tutto questo tempo, scemi da un giorno all’altro e ci impedisca di essere felici?”
Harry è incredulo – “incredulo” è la sola parola che trova per dare un nome alle emozioni baluginanti dentro di lui. Lascia cadere per terra la borsa di cuoio e, tra uno sguardo a Louis e un battito cardiaco accelerato, si rende conto che un piccolo gruppo di persone si è riunito per assistere all’ultima battuta di quella storia. Vorrebbe urlare a tutti che preferirebbe rimanere da solo, con il suo trolley macchiato e il cellulare che si illumina per i messaggi insistenti di Zayn e sua sorella; vorrebbe dire che odia quella situazione perché gli ricorda i finali delle più stupide commedie romantiche – sebbene, ad onor del vero, lui ne abbia guardate parecchie. Invece lascia che Louis si alzi sulle punte e allacci le mani attorno al suo collo, suggellando il suo discorso con un bacio lento e insicuro – è uno strano gioco di labbra malferme che si inseguono, si acchiappano e si lasciano andare. Harry si abbandona al sapore dolce della lingua di Louis sul suo palato e, quando finalmente si avvede che troppe persone li stanno osservando, lo allontana con qualche piccola moina.
“Ti amo anche io, Louis” dice, gli occhi verdi che sembrano essersi fatti due pozzi profondi “Ma il mio aereo sta partendo e io devo tornare a casa. Ci sentiamo” aggiunge sfuggente, poi gli scocca l’ennesimo bacio a fior di labbra. Afferra la borsa e il trolley, individua il gate verso cui deve recarsi e corre a perdifiato, con le ruote della valigia che sferragliano rumorose.
Louis non ha il tempo né la voglia di aggiungere qualcos’altro. “Torna presto, Harry, e andremo a Roma insieme ” riesce a dire, ma solo quando il ragazzo che ama è già diventato un puntino indistinto. Inizia a piangere e non sa perché – o forse sì, ma non vuole credere che ammettere di amare sia così doloroso. “Perché torni, vero?” chiede poi, rivolto a Harry, ai suoi coinquilini, ai viaggiatori frettolosi e all’aria mesta e sfuggente dell’aeroporto.
Niall e Liam hanno preferito rimanere nascosti e far dono di quel solo momento che restava a Harry e Louis, così impegnati a cercarsi e a soffrire da divenire incapaci di trovarsi. Non sanno ancora che Louis sta piangendo, nuovamente vittima dell’incertezza.
 
 
Salve, lettori!
Eccomi tornata con una nuova storia. Ringrazio chiunque sia giunto a leggere fin qui dell’attenzione prestatami e spero che abbiate un pizzico di pazienza in più per leggere uno dei miei consueti commenti indecenti.
Mi piacerebbe sapere quale dei personaggi vi ha colpito di più e perché, se vi pare che le vicende siano state ben narrate e cosa ne pensate della trama in generale perché idk, io la trovo un po’ troppo scontata.
Sappiate che questa gigantesca minchiata – perdonate il turpiloquio – della storia a distanza mi è venuta in mente quando mi disperavo perché io e il mio ragazzo non trovavamo il modo di incontrarci. Confesso che dopo che ci siamo lasciati mi ha tentato l’idea di inserire un finale a dir poco brutale, ma poi ho pensato che sarei sembrata troppo crudele e frustrata e – niente – vi ho lasciato con un finale che dovete scrivere voi (e quindi, a questo punto, mi piacerebbe anche sapere che tipo di finale avete scelto per questa storia).
Se volete conoscere un aneddoto riguardante la stesura della storia vi comunico che la prima parte, in mancanza di un block notes, è stata scritta proprio a Chamonix, mentre guardavo il Monte Bianco dal balcone della mia camera d’albergo, su *rullo di tamburi* un sacchetto per le baguettes. Fate conto che sono stata a Chamonix ad agosto e sto pubblicando solo a dicembre: questo dovrebbe darvi un’idea della mia lentezza nello scrivere. E boh, dopo avervi raccontato questa scenetta idilliaca quanto insulsa – che, peraltro, mi infonde una terribile nostalgia dei luoghi francesi di confine – penso che abbiate pensato che sono una logorroica senza pari. Avete pienamente ragione.
Btw, spero di ricevere qualche recensione – sul serio – perché l’ultima OS che ho pubblicato è stata un flop che nessuno ha considerato *piange e si dispera*.
Ne approfitto per salutare e ringraziare due amiche che non leggeranno mai questa storia, ma che meritano di essere ricordate per il loro supporto nelle più disparate situazioni. Una era straniera tanto quanto Harry in Francia, quando è arrivata nel mio paese, e mi ha trovata sola e insicura, destabilizzata da un cambiamento troppo repentino, ma mi ha scelta come sua amica e non mi lascia andare da tredici lunghissimi anni; l’altra è taciturna e riservata, alla pari di Louis, e forse è convinta di non poter amare – ma so che prima o poi lo farà.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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