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Autore: B Rabbit    24/12/2013    2 recensioni
«Dov’è lui?»
«Gli ho detto di rimanere a casa» rispose, lasciando la tazza sul bancone.
Oscar la prese e annuì. «Che strano… testardo com’è. Ti porto qualcosa di dolce»
Gilbert non contestò e rimase ad osservare la porta verde bottiglia. Sorrise.
Nonostante fosse stato lui a ordinargli di non venire e aspettare così la fine del suo turno, fantasticava in un suo arrivo, come qualsiasi bambino faceva a Natale.
Ma lui non lo era più, e quindi rimaneva solo l’amarezza.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Oscar Vessalius, Oz Vessalius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Aroma di caffè





Strofinò il bancone con movimenti circolari, lenti, ancora e ancora, nonostante il legno fosse già pulito e percorso dai riflessi lucidi.
Proseguì, indifferente.
Non doveva sollevare lo sguardo dal bancone della cassa, altrimenti quel senso di solitudine sarebbe ritornato.
Delle ciocche nere gli scivolarono dalla morbida coda, riducendogli il campo visivo.
Non se ne curò, strofinando un altro quadrato di legno chiaro.
Forse per i movimenti del braccio e della spalla, altri capelli sfuggirono dal laccio e dispettosamente gli ricaddero intorno al viso.
Sbuffò e raddrizzò la schiena. Li guardò.
Coppie di ragazzi sedevano ai tavolini neri, parlando affettuosamente o ringraziando l’altro o la compagna per il regalo ricevuto.
Era Natale e quella notte i loro amori irradiavano una più intensa felicità.
Gilbert si sentiva stranamente male, quando li osservava.
Si sistemò velocemente la coda e, questa volta, decise di occuparsi delle stoviglie, lasciando stare il povero bancone.
«Ehi»
Si voltò verso la voce bassa e dolce del signor Oscar e si ritrovò una fumante tazza di caffè tesa a mezz’aria.
«Questa è per te» aggiunse lui con un sorriso. «Offre la casa»
La prese un po’ titubante.
«Ma, signore…»
«Non voglio “ma”, Gil!» e sbuffò appena. «Uno zio non può coccolare i suoi nipotini?»
Il ragazzo sorrise impacciato.
Il signor Oscar lo considerava della famiglia fin dal primo giorno in cui iniziò a lavorare nel suo bar per coppie.
Inspirò deliziato l’odore del caffè e si appoggiò con il bacino al marmo dove gocciolavano le stoviglie bagnate, seguito dal biondo.
«Grazie» sussurrò prima di bere un sorso del liquido rincuorante.
Sorrise alla sensazione bollente che il caffè liberava al suo passaggio, incendiandogli quasi le pareti dell’esofago.
«Piano, l’ho appena fatto»
Il moro guardò la sala piena di gente.
Con Oscar vicino, la solitudine era meno soffocante.
Però lo feriva comunque.
Era Natale e non lo avrebbe passato con lui.
«Mi dispiace veramente tanto, Gil» proferì ad un tratto il gestore. «Ti ho chiesto di lavorare in un giorno del genere»
«Non si preoccupi» gli sorrise. «E poi sarebbe pericoloso lasciarlo solo in un posto del genere» aggiunse poi.
«Non toccherei mai le donne degli altri» si discolpò l’uomo, annuendo.
Il ventiquattrenne si lasciò sfuggire una debole risata.
Oscar sorrise.
«A proposito» iniziò il biondo volgendo lo sguardo verso l’entrata, seguito dal cameriere. «Dov’è lui?»
«Gli ho detto di rimanere a casa» rispose, lasciando la tazza sul bancone.
Oscar la prese e annuì. «Che strano… testardo com’è. Ti porto qualcosa di dolce»
Gilbert non contestò e rimase ad osservare la porta verde bottiglia. Sorrise.
Nonostante fosse stato lui a ordinargli di non venire e aspettare così la fine del suo turno, fantasticava in un suo arrivo, come qualsiasi bambino faceva a Natale.
Ma lui non lo era più, e quindi rimaneva solo l’amarezza.
Sospirò.
Oscar tornò dalla cucina con un pupazzo di neve al cioccolato bianco avvolto da un fazzoletto bianco.
«Grazie»



Si sciolse i capelli e indossò il cappotto nero.
«Io vado, allora»
«Buonanotte e ancora buon Natale» lo salutò allegramente Oscar, scopa in mano e sorriso sulle labbra.
Gilbert restituì gli auguri e uscì fuori, richiudendo la porta.
Rabbrividì al gelo della notte e provò nostalgia al ricordo del calore di poco prima.
Decise di avventurarsi nelle strade piene di negozi per voltarsi alla solitudine che lo attendeva pazientemente a casa.
Infilò i guanti bianchi per combattere meglio il freddo e nascose le mani nelle tasche.
Aggrottò le sopracciglia.
Tastò piano il pezzetto di carta con le dita della sinistra.
Si diede mentalmente dello stupido e constatò a malincuore che quella ragazzina che a volte sedeva con lui al bar avesse dannatamente ragione.
Prima che potesse tornare nel bar, una voce richiamò la sua attenzione.
Si voltò.
«Oz…»
«Si» rispose il ragazzo leggermente irritato.
Gil lo guardò, sorpreso.
Era vicino ad un palo, e la luce calda irradiata dalla sfera bianca gli bagnava la parte sinistra del corpo, proiettando sul lastricato la sua ombra affusolata.
Il moro deglutì. «Che… che ci fai qui?»
«Ti aspettavo» disse, il solito sorrisetto sul volto.
«Ti avevo detto di rimanere a casa»
«No» lo contraddisse, avanzando di un passo. «Mi avevi detto di non venire da te»
Gilbert tirò fuori le mani dalle tasche. «Lo hai fatto»
«No, sono rimasto fuori mentre tu eri dentro. Non sono venuto da te»
Il ragazzo sbuffò.
Dispotico
«Potevi entrare, non mi sarei arrabbiato»
«Mh, no. Preferivo farti aspettare» continuò.
«Perché?»
«Perché così imparavi a darmi ordini» rispose allegramente il più grande.
Il ventiquattrenne volse lo sguardo di lato. Aprì le labbra e liberò un tremulo sospiro.
«Andiamo» gli disse e, seguito dall’altro, inforcò una stradina vicina senza pensare ad un luogo preciso a cui andare.



«Gil, ti ricordi il giorno in cui ci siamo incontrati?»
«Si»
Il moro si sedette sull’altalena e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi vividi e smeraldini di Oz.
«Un anno fa» continuò e abbassò il viso, sorridendo debolmente. «E’ stato…»
«A Natale»
Gilbert annuì. «Era mattina»
«Non è stato un incontro meraviglioso» il venticinquenne si sedette all’altalena vicina e si dondolò un po’. «Direi… bagnato»
Il più giovane accennò ad una risposta, ma subito si voltò per nascondere lo sguardo da lui, imbarazzato. «Non è stata colpa mia…»
«Oh, è vero, è stata del pavimento; ti ha fatto uno sgambetto e tu mi hai servito addosso il caffè bollente che avevo ordinato»
Il moro mugugnò qualcosa e cominciò a giocare con i guanti, tirando piano la stoffa dalla punta delle dita. «Ti ho chiesto scusa»
«Più di una volta» riprese il biondo, guardando il cielo nero infilzato di stelle. «Stavi sul punto di piangere, se non sbaglio»
Il rossore dovuto al freddo peggiorò, colorando, oltre le gote, anche le orecchie, e Gil non era più in grado di voltarsi verso l’altro. «Arrivò il signor Oscar, poi»
«Si» affermò Oz, alzandosi lentamente dalla tavola per non farsi sentire dal compagno. «Lo zio rise a quella scena e alla fine ci presentò»
Il moro annuì lentamente. Espirò e osservò la debole nuvoletta librarsi dalle sue labbra screpolate dal freddo.
«Presi dei fazzoletti e cercai di… rimediare. Almeno un po’» inarcò le spalle come per nascondersi. «Tu ridevi e basta…»
Raggruppati quei pochi granelli di coraggio all’interno del proprio cuore e dimenticato il rossore del viso, si voltò verso l’amico, ma si meravigliò della sua assenza. «Oz?»
Prima di potersi alzare, Gil si sentì tirare dolorosamente le guance.
Mugugnando, alzò il capo e vide il biondo dietro di lui, sorridente.
Socchiuse appena le palpebre e si lasciò perdere nel verde delle sue iridi, docile, mentre la stretta scherzosa si allentava e le mani del biondo si allontanavano dal viso.
«Sono contento di averti incontrato, Gil» iniziò il biondo, liberando con un gesto delicato le due ampolle d’oro dall’ombra della frangia. «Quando sono con te, mi sento bene»
Il ragazzo sorrise e il più giovane sentì del calore pizzicargli nuovamente la pelle. Non se ne curò, e sorrise insieme all’altro.
«Anche io» gli disse. «Sono felice di averti accanto»
Il venticinquenne inarcò la schiena e soffiò scherzosamente sul volto del compagno, facendolo ridere sereno. «Ad un altro anno, allora»
Il moro annuì di rimando e seguì con lo sguardo il biondo che, aggirata la struttura, fece per sedersi di fianco a lui, ma si rialzò di scatto, come se la tavola fosse di ghiaccio invece che di legno.
«E’ vero!» gridò quasi, facendo sussultare l’altro.
Il ragazzo frugò nella tasca; si inginocchiò davanti a Gil e aprì la mano ai suoi occhi dorati.
Un pacchetto lucido rosso dai riflessi più scuri, stretto da un nastro verde.
«Me n’ero dimenticato, ah»
Il moro avvicinò lentamente la mano e sollevò con delicatezza il dono; lo posò sulle cosce e lo osservò. «Non dove-»
«Non iniziare» lo zittì presto l’altro, aggrottando appena le sopracciglia dorate.
Gil soppresse una risata e osservò il ragazzo. «Grazie»
L’amico sorrise. «Aprilo»
Obbedì e tirò un lembo del nastro per sciogliere il piccolo fiocchetto.
«Non sono bravo ad incartare i regalo» si giustificò.
«Tranquillo, è perfetto» lo rincuorò il più giovane.
Aprì la busta e immerse la mano per tastarne il contenuto: una scatolina.
La tirò fuori e l’osservò.
«Forza, mi sto annoiando» si lamentò il venticinquenne, i gomiti sulle gambe e il viso nelle mani.
«Aspetta, ho fatto» gli rispose divertito. Fissò il pacchetto nero – era fantastico il broncio d’impazienza di Oz – e, dopo il pugno giocoso dell’altro sulla gamba, sollevò il coperchio scuro: piegata su un morbido letto di ovatta, una cravatta nera e sottile riposava in attesa.
«E’ per il lavoro» spiegò Oz ancora inginocchiato.
Il moro sorrise. «E’ molto bella, grazie»
Stava per chiudere la scatolina quando la mano dell’amico lo fermò. «Aspetta»
Lo guardò interrogativo.
«C’è qualcosa sotto la cravatta»
Il ragazzo abbassò lo sguardo sul pacchetto; prese il dono con delicatezza e lo sollevò.
Guardò stupito il fondo della scatolina. «Oz…»
Il biondo sorrise. «Questa volta sono io a dartelo»
Il più giovane continuò a guardare il contenuto.
«Sei uno scemo» e, piano, accarezzò con l’indice la superficie cristallina di una piccola tazzina colma di caffè di vetro.
«Almeno io non te lo rovescio addosso»
Gilbert rise e alzò lo sguardo verso l’altro. «Sei ancora arrabbiato, quindi?»
«No» e socchiuse lentamente gli occhi, mentre le labbra si inarcavano in un dolce sorriso.
Il moro arrossì appena. «Grazie…»
«Di nulla»
Sfiorò nuovamente la tazzina. E lì si ricordò.
Ripose frettolosamente la cravatta all’interno della scatolina e infilò il tutto nella busta rossa.
Oz, meravigliato, si alzò. «Cosa c’è?»
«Seguimi» gli rispose velocemente Gil, iniziando poi subito a correre.
Il più grande provò a chiamarlo, inutilmente, e, un po’ seccato, inseguì l’amico.
«Spiegami cos’è successo!»
«E’ tardi!»
«Non fare il Bianconiglio!»
«Muoviti!»
Il biondo riconobbe la strada.
Affrettò il passo e raggiunse l’altro con fatica. Lo guardò.
Aveva il viso rosso e digrignava i denti, cercando di ampliare le falcate.
Oz sorrise e lo imitò.
Dopo qualche minuto rallentarono, finalmente arrivati.
Oscar stava per chiudere la porta del bar.
«Aspetti!» gridò Gil.
Il più grande si fermò a riprendere il fiato, mentre il moro si precipitava all’interno del locale.
«Cos’è successo?» chiese l’interessato, e il nipote gli disse di lasciar perdere con un gesto della mano.
Il ragazzo uscì subito e si scusò con l’uomo. Teneva qualcosa dietro la schiena.
Il venticinquenne si avvicinò a lui. «Cos’è?»
Gil lo guardò e abbassò velocemente gli occhi.
«Beh…»
Oz fece un altro passo per avvicinarsi, ma un pacco blu lo fermò.
«Buon Natale…»
Il più grande lo afferrò, meravigliato. «E’ morbido…»
«Anch’io l’ho impacchettato da solo…»
L’amico rise. «Tranquillo, va bene»
Strappò la carta regalo da un lembo e, sotto gli occhi speranzosi dell’amico, estrasse il contenuto.
Un maglioncino bianco.
«Ma…»
«Si» lo anticipò il moro. «E’ identico al maglioncino che ti rovinai con il caffè»
Il biondo sorrise e dispiegò l’indumento davanti a sé. «Ti dissi già quel giorno che non mi importava»
«A me si»
Abbassò il regalo e guardò l’altro.
«Anche se… se abbiamo fatto amicizia, io… » sospirò. «Volevo sistemare l’incidente. E’ stato comunque l’inizio di tutto»
Oz si avvicinò a lui, il maglioncino adagiato sull’avambraccio. «Tu e le tue ossessioni perfezioniste»
Fermatosi vicinissimo al più giovane, allungò il braccio verso di lui.
Gil chiuse istintivamente gli occhi, sicuro di un qualche pizzico, ma si stupì quando percepì la mano di lui sistemargli una ciocca corvina dietro l’orecchio. «Grazie»
Riaprì le palpebre e arrossì, ignorando la risata del signor Oscar. «D-di nulla»

















Sono tornata per il Natale, che bel regalo, eh? :D
Questa fic sarebbe per domani, ma siccome è stata abbastanza sfigata – l’ho scritta oggi in due ore, ho rischiato di perdere tutto a causa della morte istantanea del pc e tante altre belle cose – posto oggi per essere sicura e mettere in salvo il progetto. E rovinare le feste a voi .
Che dire… Oz e Gil non stanno insieme insieme… sono un passettino indietro, diciamo.
Amo questo genere di storie, perché nei personaggi c’è imbarazzo e qualche freno per determinati gesti.
Non dico nulla, vado nella buca di Gil-Shiro-Usagi a nascondermi. Buon Natale e felice anno nuovo biscottini (why?) :3


  
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