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Autore: Gageta    24/12/2013    4 recensioni
Tutto ciò che Sherlock vuole, è solo passare una bella vigilia di Natale. Ci riuscirà?
Sherlock sedeva a terra col volto all’insù, osservando i piccoli cristalli volteggiare in aria e posarsi sul suo naso, sciogliendosi quasi subito a contatto con il calore della sua pelle. Ogni volta il bambino rabbrividiva a quel contatto e ogni tanto chiudeva gli occhi, lasciando che la mente corresse con la fantasia: era sdraiato in un prato, gambe e braccia aperte che agitava per lasciare impressa nella neve la forma di un angelo; era a Trafalgar Square e guardava dal basso il grande albero in mezzo alla piazza, sorridendo felice alle festose decorazioni; era nel salotto di casa sua, seduto sotto all’albero e circondato da pacchi regalo più grandi di lui.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E… alla fine ce l’ho fatta anch’io.

Non mi perderò in inutili discorsi (anche perché doveva essere una piccola flash-fic ed è diventata una shot), ma mi limiterò ad augurarvi un felice Natale sperando che la mia storiella natalizia possa essere di vostro gradimento.

La bellissima fanart qui sotto è della mia carissima e bravissima Jawn (tutti Qui per altri suoi disegni :3 ).

«*«

 

 

Alla mia beta lalla_4, per tutto il suo lavoro e il suo inimitabile livello di sopportazione.

Questa è la tua statua crisoelefantina.

 

Buon Natale, Sherlock

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24 dicembre 1981

L’aria entrava indisturbata dalla finestra aperta, senza che il ragazzo mingherlino al centro della stanza si prendesse la briga di fermarla in qualche modo. Le tende di un azzurro opaco volteggiavano lentamente su se stesse, avviluppandosi, mentre alcuni fiocchi di neve entravano nella stanza, alcuni sciogliendosi quasi subito per il calore elevato.

Sherlock sedeva a terra col volto all’insù, osservando i piccoli cristalli volteggiare in aria e posarsi sul suo naso, sciogliendosi quasi subito a contatto con il calore della sua pelle. Ogni volta il bambino rabbrividiva a quel contatto e ogni tanto chiudeva gli occhi, lasciando che la mente corresse con la fantasia: era sdraiato in un prato, gambe e braccia aperte che agitava per lasciare impressa nella neve la forma di un angelo; era a Trafalgar Square e guardava dal basso il grande albero in mezzo alla piazza, sorridendo felice alle festose decorazioni; era nel salotto di casa sua, seduto sotto all’albero e circondato da pacchi regalo più grandi di lui. Poi però Sherlock riapriva gli occhi, e intorno a lui c’era solo un lucido pavimento di legno e una stanza fin troppo grande a circondarlo. E allora il sorriso che le proprie fantasie gli avevano fatto spuntare spariva, lasciando il posto a uno sguardo triste e sconsolato.

Il bambino si rannicchiò a terra, stringendo le braccia intorno alle gambe e poggiando il mento sulle ginocchia, sospirando.

Una ventata più forte delle altre gli scompigliò i capelli e Sherlock rabbrividì, ma non chiuse la finestra.

Il Natale era il giorno che tutti i bambini aspettavano e il piccolo Holmes non era da meno. Ma era la vigilia di Natale, e nessuno gli aveva ancora fatto gli auguri. Sherlock si sentiva solo in quel momento, e nessuno sembrava volergli fare compagnia.

Il campanile della chiesa rintoccò la mezzanotte. Sherlock alzò lo sguardo verso la finestra e sorrise debolmente. «Buon Natale, Sherlock.»

~*~

24 dicembre 1992

La stanza d’ospedale era immersa nel buio, la sola fioca luce delle stelle ad illuminarla dall’esterno. Le tende erano state tirate ai lati in modo da lasciar vedere il paesaggio all’esterno, ora inghiottito dall’oscurità.

Sherlock giaceva scomposto sul letto, le braccia e le gambe aperte e lo sguardo rivolto al soffitto. Annoiato. Questo era il ragazzo sedicenne in quel momento. E come si era aspettato nessuno era venuto a fargli visita, neanche alla vigilia di Natale.

Sherlock si rigirò nel letto e fissò la sveglia digitale posata sul comodino segnare la mezzanotte meno dieci. Suo padre non era venuto per il lavoro, lo sapeva. Siger Holmes non era mai a casa per Natale, figurarsi se aveva pure il tempo di andare a trovare il suo “povero drogato” secondogenito. Per la madre, invece, Sherlock sapeva di non esistere più, o qualcosa del genere. Ricordava perfettamente le parole della madre poco prima che succedesse la catastrofe, ricordava perfettamente la rabbia intrisa in quella piccola frase. Le ricordava, ma avrebbe preferito non farlo.

Il suo sguardo vagò per la stanza, posandosi sul pacchetto di caramelle che un’amorevole infermiera aveva lasciato come suo piccolo pensiero natalizio, e storse le labbra in una smorfia di disappunto. Odiava le caramelle gommose.

Quando sentì il passo leggero e ritmato arrivare dal lungo corridoio seppe subito a chi apparteneva. Non era poi così difficile capirlo dato che Mycroft portava sempre con sé un ombrello: il ticchettio dello stesso, intervallato ai passi tranquilli e cadenzati era una delle peculiarità più evidenti del fratello.

Sherlock si mosse velocemente e s’infilò sotto le coperte, girandosi su un fianco e dando le spalle all’ingresso.

I passi si fermarono dietro la porta e, dopo qualche secondo di silenzio assoluto, la luce del corridoio inondò parte della stanza mentre l’uomo faceva il suo ingresso.

Sherlock chiuse gli occhi e rimase immobile, con la flebile speranza che Mycroft pensasse che stesse dormendo e lo lasciasse in pace con i suoi pensieri. Ma così ovviamente non fu.

«Mamma voleva venire ma alcune, come dire, occupazioni, glielo hanno impedito.» furono le sue prime parole, mentre con assoluta tranquillità accendeva la luce e si accomodava sulla sedia, osservando la nuca riccioluta del fratello minore.

«Non dire assurdità, Mycroft.» rispose Sherlock, stringendosi nella coperta. «Falle gli auguri anche da parte mia.»

Il maggiore sbuffò, spostando lo sguardo sulle sue scarpe. «Avrei voluto averti a casa per Natale…»

«Avrei voluto avere una casa per Natale.» ribatté l’altro.

Mycroft si passò una mano sul volto. «Perché ti ostini a pensare che nessuno ti voglia bene?»

«Perché nessuno me lo dimostra.» Sherlock si girò verso il fratello e lo osservò con aria triste. «Fa finta di niente e non ribattere. Non voglio continuare oltre questa discussione. Auguri anche a te e lasciami in pace.»

Mycroft sospirò e guardò il fratello attentamente. «Un giorno capirai quanto sei speciale, Sher. Un giorno troverai qualcuno che te lo farà capire. Per quello che posso…» si alzò e allungò una mano a spostare con un buffetto un ricciolo dal suo volto. «…buon Natale fratellino.»

~*~

24 dicembre 2012

L’archetto correva veloce sulle corde, impugnato con fermezza e delicatezza dalle mani del suo musicista e producendo una dolce melodia natalizia. Sherlock, con gli occhi chiusi, dava le spalle al salotto e ai suoi occupanti rivolgendo invece la testa alla finestra dove, grazie alle tende scostate, si poteva vedere la neve cadere in grossi fiocchi sulla strada di fronte, imbiancando i marciapiedi e i piccoli giardini delle case adiacenti.

Con un’ultima, lunga, nota, Sherlock interruppe la sua musica e con una leggera piroetta si girò verso i suoi amici, eseguendo poi un lungo inchino. Gli applausi della signora Hudson lo accolsero con entusiasmo, seguiti da quelli di Lestrade e di John e della sua nuova ragazza, seduti sulla sua poltrona.

«Bellissima! Bravissimo!» esclamò la padrona di casa, sorridendo con entusiasmo.

Sherlock sorrise grato e rimise il violino al suo posto nella custodia, sedendosi poi al computer.

Pochi secondi dopo il campanello suonò e Molly fece il suo ingresso nella stanza, insieme a un sacchetto pieno di regali per i suoi amici. «Ah… non mi dite che mi sono persa il concerto di natalizio di Sherlock!» esclamò sorridente al suo indirizzo, sorriso che non venne accolto dal concentrato Sherlock.

«Sì, buon Natale anche a te Molly.» intervenne subito John. «È, diciamo, un po’ impegnato al momento.» Sorrise di circostanza e la fece accomodare sulla poltrona di Sherlock, allungandole un bicchiere di champagne.

«Che ne dici di venire a festeggiare con noi, Sherlock?» lo interruppe John, chinandosi sul computer e sbirciando lo schermo oltre la spalla del coinquilino, per poi allontanarsi verso la sua ragazza.

Sherlock annuì lentamente e spense il portatile, guardando poi la stanza intorno a lui.

Molly e Lestrade parlavano tra loro con sorrisi incerti, una seduta e l’altro in piedi, bevendo di tanto in tanto qualche sorso di champagne.

John e Janette, appartati in un angolo, si scambiavano sguardi e gesti d’affetto all’apparenza casuali: una carezza di mano, un toccarsi di ginocchia, un bacio frettoloso al brindisi.

E Sherlock, in piedi di fronte a tutto ciò, sorrideva tranquillamente e parlava con la signora Hudson del panettiere di sotto, dei prezzi aumentati e di qualche omicidio che l’indomani avrebbe sicuramente richiesto la sua attenzione. Per una volta Sherlock aveva passato un Natale in compagnia, ma nonostante quello continuava a sentire che mancava qualcosa.

Allo scoccare della mezzanotte si scambiarono tutti gli auguri.

John lasciò Janette agli abbracci e agli auguri di Molly e gli si avvicinò, sorridendogli con quel sorriso che riservava solo e unicamente a lui. Gli strinse le spalle in segno di affetto e in quel momento Sherlock sentì che tutto tornava al suo posto.

«Buon Natale, amico mio.»

~*~

24 dicembre 2026

 

L’albero di Natale scintillava alla luce accesa del salotto con le luci ad intermittenza che lo illuminavano ad intervalli regolari.

Festoni rossi e bianchi erano appesi per tutta la stanza, le calze a forma di Babbo Natale vuote appese al camino; vicino alla finestra, sul davanzale, era appoggiata una palla di vetro con all’interno una miniatura del Big Ben che, se agitata, veniva avvolta da un vortice di finta neve bianca.

Sotto all’albero erano ordinatamente posti una decina di pacchi, piccoli e grandi, avvolti in carta regalo. Fuori dalla finestra vicina la neve imbiancava ormai da due giorni le strade dell’isolato, impedendo il passaggio di numerosi mezzi di trasporto.

Un bambino di dieci anni sedeva immobile su una delle poltrone del salotto, le mani giunte sotto al mento e i capelli riccioluti che gli ricadevano disordinatamente sul viso. Aveva gli occhi chiusi e, se non fosse stata per l’assoluta immobilità delle sue labbra, si sarebbe potuto anche pensare che stesse pregando.

«Hamish?»

La testa di John fece capolino dalla porta della cucina, cercando con gli occhi il figlio. «Hamish!»

Il ragazzo aprì gli occhi con uno sbuffo infastidito e si alzò. «Sono qui papà.»

John alzò gli occhi al cielo. «Perché non mi vieni a dare una mano con la cena?»

Il ragazzo fece una smorfia di disappunto, provocando un nodo allo stomaco di John. «Perché devi somigliare così dannatamente tanto a tuo padre?» Emise uno sbuffo che doveva essere arrabbiato ma che gli uscì solo divertito. Si pulì le mani sul grembiule e guardò suo figlio con affetto. «Qualcosa che non va?»

Hamish si strinse nelle spalle e, mettendo le mani in tasca, si avvicinò alla finestra. «Perché papà non è ancora tornato?»

John rimase un attimo in silenzio, poi con un sorriso tirato si appoggiò allo stipite della cucina. «Forse è rimasto bloccato con i mezzi…» azzardò.

Ma Hamish era la copia esatta di Sherlock e non ci cascò. «Zio Mycroft avrebbe già provveduto nel riportarlo a casa.»

John sospirò e si tolse il grembiule, per poi avvicinarsi al bambino. «Sai com’è fatto Sherlock… sarà rimasto occupato in un caso particolarmente interessante e non ha visto che si è fatto tardi.»

Hamish si girò verso il padre e incrociò le braccia al petto, abbassando lo sguardo al tappeto. «Non è mai a casa per la vigilia.»

John stava per rispondere quando la porta del 221b sbatté al piano di sotto e dei passi frettolosi salirono i gradini.

John fece appena in tempo a sorridere ad Hamish che la porta dell’appartamento si spalancò e un trafelato Sherlock comparve sulla soglia. Il suo sguardo cristallino si posò prima sul viso imbronciato del figlio e poi su quello sorridente e accondiscende del marito.

«Io… scusate… per il ritardo.» disse, il fiato che gli mancava per la corsa. «Lestrade era…» provò a dire, ma Hamish si era girato ed era corso su per le scale verso la sua stanza.

Sherlock guardò il figlio sparire dietro la porta e si girò affranto verso John che nel frattempo si era avvicinato con fare sconsolato al compagno. «Ti aspettavamo per tre ore fa…» spiegò.

Il moro si tolse la sciarpa con forza e la gettò sulla poltrona con rabbia. «Perché… perché non riesco…» prese un lungo respiro e si tolse il cappotto.

«Non riesci cosa?» chiese John addolcito.

Sherlock allacciò il suo sguardo a quello dell’altro. «Ad essere un buon padre…» John gli si avvicinò e gli prese il volto tra le mani. «…ed un buon marito.» concluse, prima che le labbra di John si unissero alle sue in un lungo bacio.

«Perché sei Sherlock Holmes.» disse John, staccandosi di poco. «E ti amo per questo. Noi ti amiamo per questo.» Gli diede un buffetto sulla guancia e fece un gesto in direzione del salotto. «Che ne dici di rimettere le cose a posto?»

 

 

Quando Hamish si svegliò dalla sua breve dormita la prima cosa che sentì fu il suono lento e melodioso del violino del padre intonare una splendida canzone di Natale. Si rizzò di colpo a sedere sul letto, dove si era sdraiato, e balzò in piedi, avvicinandosi alla porta. La socchiuse di poco e accostò l’orecchio alla fessura, come ad assicurarsi che non fosse solo una sua fantasia. Quando appurò che suo padre stava realmente suonando, uscì dalla stanza e scese le scale verso il salotto.

La scena che gli si presentò davanti era la migliore che avesse visto in diversi mesi.

Sherlock suonava ad occhi chiusi davanti alla finestra mentre John lo osservava come estasiato seduto sulla sua poltrona e con in mano una tazza di the caldo.

Hamish si avvicinò titubante e, all’invito di John, si sedette sulle sue gambe, stringendosi a lui.

John accarezzò i capelli del figlio mentre la melodia di Sherlock giungeva al termine e gli posò un bacio leggero sulla fronte.

L’ultima nota risuonò nell’aria e Sherlock riaprì gli occhi, staccandosi dallo strumento e riponendolo nella sua custodia. Si girò verso la sua famiglia e fece un leggero inchino con il capo all’applauso entusiasta di Hamish, il quale balzò poi giù dalle gambe del padre e corse ad abbracciare Sherlock.

«E tuo padre non è arrivato in ritardo per niente…» annunciò John, mentre Hamish si districava dall’abbraccio e si girava verso di lui. «…aveva una cosa da fare prima di tornare a casa.»

Gli occhi del bambino s’illuminarono di entusiasmo quando si posarono sul grande Smaug che John teneva in mano. Con un balzo gli fu subito addosso per osservare uno dei suoi personaggi preferiti in assoluto dei racconti di John. Un gigantesco pupazzo del suo drago preferito era tra le sue braccia ora, e Hamish non poteva essere più felice di così.

«Buon Natale, Hamish.» sorrise Sherlock.

E mentre John intrecciava le loro dita con la felicità dipinta in viso, Sherlock si ritrovò a pensare a tutte le vigilie di Natale passate, a quella presente e a tutte quelle che ci sarebbero state in futuro. E non poteva essere più felice di così.

C’erano John, Hamish, e un sacco di altre persone che col tempo aveva imparato a chiamare amici, là fuori. C’era anche un fratello da qualche parte in Inghilterra, un fratello che avrebbe chiamato in seguito. C’erano tante persone a formare la sua famiglia, tante che, forse, non ci sarebbero state neanche nel salotto del 221b.

Il rintocco della mezzanotte arrivò lontano, coperto dalle parole di Hamish. «Buon Natale papà.»

   
 
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