E… alla fine ce l’ho fatta anch’io.
Non mi perderò in
inutili discorsi (anche perché doveva essere una piccola flash-fic
ed è diventata una shot), ma mi limiterò ad augurarvi
un felice Natale sperando che la mia storiella natalizia possa essere di vostro
gradimento.
La bellissima fanart
qui sotto è della mia carissima e bravissima Jawn
(tutti Qui per altri suoi disegni :3 ).
«*«
Alla mia beta lalla_4, per tutto il suo lavoro e il suo
inimitabile livello di sopportazione.
Questa è la tua statua crisoelefantina.
Buon Natale, Sherlock
24 dicembre 1981
L’aria entrava indisturbata dalla
finestra aperta, senza che il ragazzo mingherlino al centro della stanza si
prendesse la briga di fermarla in qualche modo. Le tende di un azzurro opaco
volteggiavano lentamente su se stesse, avviluppandosi, mentre alcuni fiocchi di
neve entravano nella stanza, alcuni sciogliendosi quasi subito per il calore
elevato.
Sherlock sedeva a terra col volto
all’insù, osservando i piccoli cristalli volteggiare in aria e posarsi sul suo
naso, sciogliendosi quasi subito a contatto con il calore della sua pelle. Ogni volta il bambino rabbrividiva a quel contatto e ogni tanto
chiudeva gli occhi, lasciando che la mente corresse con la fantasia: era
sdraiato in un prato, gambe e braccia aperte che agitava per lasciare impressa
nella neve la forma di un angelo; era a Trafalgar Square
e guardava dal basso il grande albero in mezzo alla piazza, sorridendo felice
alle festose decorazioni; era nel salotto di casa sua, seduto sotto all’albero
e circondato da pacchi regalo più grandi di lui. Poi però Sherlock
riapriva gli occhi, e intorno a lui c’era solo un
lucido pavimento di legno e una stanza fin troppo grande a circondarlo. E
allora il sorriso che le proprie fantasie gli avevano fatto spuntare spariva,
lasciando il posto a uno sguardo triste e sconsolato.
Il bambino si rannicchiò a terra,
stringendo le braccia intorno alle gambe e poggiando il mento sulle ginocchia,
sospirando.
Una ventata più forte delle altre gli
scompigliò i capelli e Sherlock rabbrividì, ma non chiuse la finestra.
Il Natale era il giorno che tutti i
bambini aspettavano e il piccolo Holmes non era da meno. Ma
era la vigilia di Natale, e nessuno gli aveva ancora fatto gli auguri. Sherlock
si sentiva solo in quel momento, e nessuno sembrava volergli fare compagnia.
Il
campanile della chiesa rintoccò la mezzanotte. Sherlock alzò lo sguardo verso
la finestra e sorrise debolmente. «Buon Natale, Sherlock.»
~*~
24 dicembre 1992
La
stanza d’ospedale era immersa nel buio, la sola fioca luce delle stelle ad illuminarla dall’esterno. Le tende erano state tirate ai
lati in modo da lasciar vedere il paesaggio all’esterno, ora inghiottito
dall’oscurità.
Sherlock
giaceva scomposto sul letto, le braccia e le gambe aperte e lo sguardo rivolto
al soffitto. Annoiato. Questo era il ragazzo sedicenne in quel momento. E come
si era aspettato nessuno era venuto a fargli visita,
neanche alla vigilia di Natale.
Sherlock
si rigirò nel letto e fissò la sveglia digitale posata sul comodino segnare la mezzanotte meno dieci. Suo padre non era venuto per il
lavoro, lo sapeva. Siger Holmes non era mai a casa
per Natale, figurarsi se aveva pure il tempo di andare a trovare il suo “povero
drogato” secondogenito. Per la madre, invece, Sherlock sapeva di non esistere
più, o qualcosa del genere. Ricordava perfettamente le parole della madre poco
prima che succedesse la catastrofe, ricordava perfettamente la rabbia intrisa
in quella piccola frase. Le ricordava, ma avrebbe preferito non farlo.
Il
suo sguardo vagò per la stanza, posandosi sul pacchetto di caramelle che
un’amorevole infermiera aveva lasciato come suo piccolo pensiero natalizio, e
storse le labbra in una smorfia di disappunto. Odiava le caramelle gommose.
Quando
sentì il passo leggero e ritmato arrivare dal lungo corridoio seppe subito a
chi apparteneva. Non era poi così difficile capirlo dato che
Mycroft portava sempre con sé un ombrello: il ticchettio dello stesso,
intervallato ai passi tranquilli e cadenzati era una delle peculiarità più
evidenti del fratello.
Sherlock
si mosse velocemente e s’infilò sotto le coperte, girandosi su un fianco e
dando le spalle all’ingresso.
I
passi si fermarono dietro la porta e, dopo qualche secondo di silenzio
assoluto, la luce del corridoio inondò parte della stanza mentre l’uomo faceva
il suo ingresso.
Sherlock
chiuse gli occhi e rimase immobile, con la flebile speranza che Mycroft
pensasse che stesse dormendo e lo lasciasse in pace con i suoi pensieri. Ma così ovviamente non fu.
«Mamma
voleva venire ma alcune, come dire, occupazioni, glielo hanno impedito.» furono
le sue prime parole, mentre con assoluta tranquillità accendeva la luce e si
accomodava sulla sedia, osservando la nuca riccioluta del fratello minore.
«Non
dire assurdità, Mycroft.» rispose Sherlock, stringendosi nella coperta. «Falle
gli auguri anche da parte mia.»
Il
maggiore sbuffò, spostando lo sguardo sulle sue scarpe. «Avrei voluto averti a casa per Natale…»
«Avrei
voluto avere una casa per Natale.» ribatté l’altro.
Mycroft
si passò una mano sul volto. «Perché ti ostini a pensare che nessuno ti voglia
bene?»
«Perché
nessuno me lo dimostra.» Sherlock si girò verso il fratello e lo osservò con
aria triste. «Fa finta di niente e non ribattere. Non
voglio continuare oltre questa discussione. Auguri anche a te e lasciami in
pace.»
Mycroft
sospirò e guardò il fratello attentamente. «Un giorno capirai quanto sei
speciale, Sher. Un giorno troverai
qualcuno che te lo farà capire. Per quello che posso…»
si alzò e allungò una mano a spostare con un buffetto un ricciolo dal suo
volto. «…buon Natale fratellino.»
~*~
24 dicembre 2012
L’archetto
correva veloce sulle corde, impugnato con fermezza e delicatezza dalle mani del
suo musicista e producendo una dolce melodia natalizia. Sherlock, con gli occhi
chiusi, dava le spalle al salotto e ai suoi occupanti rivolgendo invece la
testa alla finestra dove, grazie alle tende scostate, si poteva vedere la neve
cadere in grossi fiocchi sulla strada di fronte, imbiancando i marciapiedi e i
piccoli giardini delle case adiacenti.
Con
un’ultima, lunga, nota, Sherlock interruppe la sua musica e con una leggera
piroetta si girò verso i suoi amici, eseguendo poi un lungo inchino. Gli
applausi della signora Hudson lo accolsero con entusiasmo, seguiti da quelli di
Lestrade e di John e della sua nuova ragazza, seduti sulla sua poltrona.
«Bellissima! Bravissimo!» esclamò la padrona di casa, sorridendo con entusiasmo.
Sherlock
sorrise grato e rimise il violino al suo posto nella custodia, sedendosi poi al
computer.
Pochi
secondi dopo il campanello suonò e Molly fece il suo ingresso nella stanza,
insieme a un sacchetto pieno di regali per i suoi amici. «Ah… non mi dite che
mi sono persa il concerto di natalizio di Sherlock!» esclamò sorridente al suo
indirizzo, sorriso che non venne accolto dal
concentrato Sherlock.
«Sì,
buon Natale anche a te Molly.» intervenne subito John. «È, diciamo,
un po’ impegnato al momento.» Sorrise di circostanza e la fece accomodare sulla
poltrona di Sherlock, allungandole un bicchiere di champagne.
«Che
ne dici di venire a festeggiare con noi, Sherlock?» lo interruppe John,
chinandosi sul computer e sbirciando lo schermo oltre la spalla del
coinquilino, per poi allontanarsi verso la sua ragazza.
Sherlock
annuì lentamente e spense il portatile, guardando poi la stanza intorno a lui.
Molly
e Lestrade parlavano tra loro con sorrisi incerti, una seduta e l’altro in
piedi, bevendo di tanto in tanto qualche sorso di champagne.
John
e Janette, appartati in un angolo, si scambiavano
sguardi e gesti d’affetto all’apparenza casuali: una
carezza di mano, un toccarsi di ginocchia, un bacio frettoloso al brindisi.
E
Sherlock, in piedi di fronte a tutto ciò, sorrideva tranquillamente e parlava
con la signora Hudson del panettiere di sotto, dei prezzi aumentati e di
qualche omicidio che l’indomani avrebbe sicuramente richiesto la sua
attenzione. Per una volta Sherlock aveva passato un Natale in compagnia, ma
nonostante quello continuava a sentire che mancava qualcosa.
Allo
scoccare della mezzanotte si scambiarono tutti gli auguri.
John
lasciò Janette agli abbracci e agli auguri di Molly e
gli si avvicinò, sorridendogli con quel sorriso che riservava solo e unicamente
a lui. Gli strinse le spalle in segno di affetto e in quel momento Sherlock
sentì che tutto tornava al suo posto.
«Buon
Natale, amico mio.»
~*~
24 dicembre 2026
L’albero
di Natale scintillava alla luce accesa del salotto con le luci ad intermittenza che lo illuminavano ad intervalli regolari.
Festoni
rossi e bianchi erano appesi per tutta la stanza, le calze a forma di Babbo
Natale vuote appese al camino; vicino alla finestra, sul davanzale, era appoggiata
una palla di vetro con all’interno una miniatura del
Big Ben che, se agitata, veniva avvolta da un vortice di finta neve bianca.
Sotto
all’albero erano ordinatamente posti una decina di
pacchi, piccoli e grandi, avvolti in carta regalo. Fuori dalla finestra vicina
la neve imbiancava ormai da due giorni le strade dell’isolato, impedendo il
passaggio di numerosi mezzi di trasporto.
Un
bambino di dieci anni sedeva immobile su una delle poltrone del salotto, le
mani giunte sotto al mento e i capelli riccioluti che
gli ricadevano disordinatamente sul viso. Aveva gli occhi chiusi e, se non
fosse stata per l’assoluta immobilità delle sue labbra, si sarebbe potuto anche
pensare che stesse pregando.
«Hamish?»
La
testa di John fece capolino dalla porta della cucina, cercando con gli occhi il
figlio. «Hamish!»
Il
ragazzo aprì gli occhi con uno sbuffo infastidito e si alzò. «Sono qui papà.»
John
alzò gli occhi al cielo. «Perché non mi vieni a dare una mano con la cena?»
Il
ragazzo fece una smorfia di disappunto, provocando un nodo allo stomaco di John.
«Perché devi somigliare così dannatamente tanto a tuo
padre?» Emise uno sbuffo che doveva essere arrabbiato ma che gli uscì solo
divertito. Si pulì le mani sul grembiule e guardò suo
figlio con affetto. «Qualcosa che non va?»
Hamish
si strinse nelle spalle e, mettendo le mani in tasca, si avvicinò alla
finestra. «Perché papà non è ancora tornato?»
John
rimase un attimo in silenzio, poi con un sorriso tirato si appoggiò allo
stipite della cucina. «Forse è rimasto bloccato con i mezzi…» azzardò.
Ma Hamish era la
copia esatta di Sherlock e non ci cascò. «Zio Mycroft avrebbe già provveduto
nel riportarlo a casa.»
John
sospirò e si tolse il grembiule, per poi avvicinarsi al bambino. «Sai com’è
fatto Sherlock… sarà rimasto occupato in un caso particolarmente interessante e
non ha visto che si è fatto tardi.»
Hamish
si girò verso il padre e incrociò le braccia al petto, abbassando lo sguardo al
tappeto. «Non è mai a casa per la vigilia.»
John
stava per rispondere quando la porta del 221b sbatté al
piano di sotto e dei passi frettolosi salirono i gradini.
John
fece appena in tempo a sorridere ad Hamish che la
porta dell’appartamento si spalancò e un trafelato Sherlock comparve sulla
soglia. Il suo sguardo cristallino si posò prima sul viso imbronciato del
figlio e poi su quello sorridente e accondiscende del marito.
«Io…
scusate… per il ritardo.» disse, il fiato che gli mancava per la corsa. «Lestrade
era…» provò a dire, ma Hamish si era girato ed era corso su per le scale verso
la sua stanza.
Sherlock
guardò il figlio sparire dietro la porta e si girò affranto verso John che nel
frattempo si era avvicinato con fare sconsolato al compagno. «Ti aspettavamo
per tre ore fa…» spiegò.
Il
moro si tolse la sciarpa con forza e la gettò sulla poltrona con rabbia. «Perché…
perché non riesco…» prese un lungo respiro e si tolse il cappotto.
«Non
riesci cosa?» chiese John addolcito.
Sherlock
allacciò il suo sguardo a quello dell’altro. «Ad
essere un buon padre…» John gli si avvicinò e gli prese il volto tra le mani. «…ed un buon marito.» concluse, prima che le labbra di John si
unissero alle sue in un lungo bacio.
«Perché
sei Sherlock Holmes.» disse John, staccandosi di poco. «E
ti amo per questo. Noi ti amiamo per questo.» Gli
diede un buffetto sulla guancia e fece un gesto in direzione del salotto. «Che
ne dici di rimettere le cose a posto?»
Quando
Hamish si svegliò dalla sua breve dormita la prima cosa che sentì
fu il suono lento e melodioso del violino del padre intonare una splendida
canzone di Natale. Si rizzò di colpo a sedere sul letto, dove si era sdraiato,
e balzò in piedi, avvicinandosi alla porta. La socchiuse
di poco e accostò l’orecchio alla fessura, come ad assicurarsi che non fosse
solo una sua fantasia. Quando appurò che suo padre stava realmente suonando,
uscì dalla stanza e scese le scale verso il salotto.
La
scena che gli si presentò davanti era la migliore che avesse visto in diversi
mesi.
Sherlock
suonava ad occhi chiusi davanti alla finestra mentre John
lo osservava come estasiato seduto sulla sua poltrona e con in mano una tazza
di the caldo.
Hamish
si avvicinò titubante e, all’invito di John, si sedette sulle sue gambe,
stringendosi a lui.
John
accarezzò i capelli del figlio mentre la melodia di Sherlock giungeva al
termine e gli posò un bacio leggero sulla fronte.
L’ultima
nota risuonò nell’aria e Sherlock riaprì gli occhi, staccandosi dallo strumento
e riponendolo nella sua custodia. Si girò verso la sua famiglia e fece un
leggero inchino con il capo all’applauso entusiasta di Hamish, il quale balzò
poi giù dalle gambe del padre e corse ad abbracciare Sherlock.
«E
tuo padre non è arrivato in ritardo per niente…» annunciò John, mentre Hamish
si districava dall’abbraccio e si girava verso di lui. «…aveva una cosa da fare
prima di tornare a casa.»
Gli
occhi del bambino s’illuminarono di entusiasmo quando si posarono sul grande Smaug che John teneva in mano. Con un balzo gli fu subito
addosso per osservare uno dei suoi personaggi preferiti in assoluto dei
racconti di John. Un gigantesco pupazzo del suo drago preferito era tra le sue
braccia ora, e Hamish non poteva essere più felice di così.
«Buon
Natale, Hamish.» sorrise Sherlock.
E
mentre John intrecciava le loro dita con la felicità dipinta in viso, Sherlock si
ritrovò a pensare a tutte le vigilie di Natale passate, a quella presente e a
tutte quelle che ci sarebbero state in futuro. E non poteva essere più felice
di così.
C’erano
John, Hamish, e un sacco di altre persone che col tempo aveva imparato a
chiamare amici, là fuori. C’era anche un fratello da qualche parte in Inghilterra,
un fratello che avrebbe chiamato in seguito. C’erano tante persone a formare la
sua famiglia, tante che, forse, non ci sarebbero state neanche nel salotto del 221b.
Il
rintocco della mezzanotte arrivò lontano, coperto dalle parole di Hamish. «Buon
Natale papà.»