Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Hitchris    25/12/2013    1 recensioni
Dunque era così che doveva finire?
Cosa sarebbe rimasto di loro?
Cosa sarebbe rimasto di /lei/?
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carla Jaeger, Eren Jaeger
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Era come quando prima di morire ti vedi scorrere tutta la vita davanti in pochi secondi, solo che in quel momento non aveva intenzione di lasciarsi andare a simili romanticismi. Eren correva, correva da così tanto tempo che il petto si alzava e si abbassava dolorosamente, ogni respiro era una tortura; niente toccava la sua mente, quell'orizzonte di morte e devastazione non era diverso da quelli in cui tante volte si era ritrovato immerso nei suoi sogni: astratto, impalpabile, non suo.

Semplicemente quella non era la realtà. Non poteva esserlo. Correva, correva ignorando tutto e tutti: combatteva contro la stanchezza del suo corpo e l'inquietudine che gli si insediava nelle membra come un cancro. Correva e mentre lo faceva solo un nome gli risuonava chiaramente nella testa, come una cantilena ripetuta mille e mille volte, senza mai comprenderne il vero significato: Carla.
Fu proprio quando svoltò l'angolo e la vide, le macerie della sua casa, fumo nero che si alzava a pochi metri di distanza, fu allora che per la prima volta capì il vero significato della parola Terrore.
Tutto quanto sfumò, non sentì neanche il suo cuore perdere un battito o le sue gambe farsi molli e deboli: non sentì niente se non una fredda ed agghiacciante consapevolezza. Gemiti e mugolii provenivano da quella che una volta era stata casa sua, come una melodia dissonante lo confondevano ed inibivano.
Sua madre.
Sua madre era tra le macerie di quella casa. In un secondo, senza neanche fermarsi a riflettere - non c'era niente da riflettere - il suo piccolo corpicino raggiunse l'ingresso semi-distrutto.
- Eren. -
Era sdraiata a terra, il volto che cercava di nascondere le continue fitte di dolore che provenivano dalla parte inferiore del suo corpo, quella incastrata fra le due assi di legno, piangeva.
Perché piangeva?
- Vattene di qui, Eren. 
Perché piangeva?
- Eren, basta, prendi Mikasa e vattene!
No, non se ne sarebbe affatto andato di lì. Si sarebbe scorticato le mani pur di sollevare quella trave, si sarebbe fatto mangiare vivo e sarebbe morto senza onore pur di salvare sua madre. Le sue mani si ferivano, si tagliavano, ignorava il dolore. Digrignava i denti così forte da sentirne il sinistro crepitio, il suo corpo si sollevava, si tendeva, faticava. La trave rimaneva sempre lì.
- Eren, vatt.. -
- No! -
Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, come se quel l'urlo potesse farlo diventare invincibile.
- Non me ne andrò senza di te! - 
Passi, quei passi facevamo tremare la terra, si avvicinavano con lentezza inquietante, quasi volessero condannarli a morte. Eren non si preoccupava di niente, nel suo campo visivo c'erano solo gli occhi di Carla, tanto simili ai suoi, mentre si incontravano. E gli stessi suoi occhi si fissarono nella mente come un marchio indelebile che non sarebbe mutato negli anni, e in quegli stessi occhi vide tutta la paura e il sollievo di sua madre quando fu sollevato di peso ed allontanato da lei.
- No, no no no no! -
Le sue grida risuonarono isteriche, non dovevano, non /potevano/ andarsene. Allungò la mano cosi tanto che pensò stupidamente questa volesse staccarsi e raggiungerla, afferrare quel Titano che ora la ghermiva e la stringeva fra le sue mani.
- Mamma! -
Stavolta il suo urlo sembrò risuonare in ogni singolo angolo della città, cosi disperato, così concreto e reale che riusciva a riassumere perfettamente tutta la devastazione che li circondava, ci cibava di loro, li consumava. Persino l'essere si girò a guardarlo, parve deridere lui e sua madre, la quale combatteva, si ribellava.
Dunque era così che doveva finire?
Eren non avrebbe più sentito la voce dolce di sua madre che gli augurava la buonanotte, non sarebbe affogato lentamente tra le sue braccia, cullato da quel calore, non avrebbe più percepito il suo profumo ogni volta che lo accarezzava , lo baciava, gli sussurrava che 'andava tutto bene'.
Quello, solo quello gli rimaneva di sua madre e lui lasciò scorrere tutto, tutti i ricordi gli attraversarono la mente come un fiume in piena, li lasciò scivolare in lui e permise di fargli male, un male così profondo che lo percepì in tutto il corpo. 
Un suono, i suoi occhi si dilagarono così tanto da far sfavillare le sue iridi smeraldine, il suo corpo si protese fino allo spasmo. I suoi vestiti, il suo viso si macchiò del /suo/ sangue.
Dunque era quella la sensazione - quella di aver perduto tutto. Il titano si volse ancora a guardarlo, a fissare quel corpo che provava solo un cocente dolore. Poi si girò e si allontanò.
Per la prima e non unica volta in vita sua Eren desiderò che tutto si fermasse, che il nastro si riavvolgesse, che si destasse da quell'incubo assurdo. 
Non ci fu niente, tuttavia, di falso quel giorno; lo stesso giorno in cui morì sua madre e con lei anche una parte dell'anima del ragazzo.
E in quel giorno Eren ricordò l'umiliazione di vivere nel loro terrore.
  
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