Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: onedeyes    25/12/2013    1 recensioni
E lui rise e io pensai che per sentire ancora quella risata, forse, avrei per una volta anche potuto trasgredire alle regole e parlarci, con quel ragazzino.
[...]
“Perché Emma? Perché?” domandai, e nel silenzio della stanza, la mia domanda sembrava fare troppo rumore. Come le granate che avevo sentito in quei giorni.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sapevo che niente sarebbe cambiato, sapevo che comunque, qualsiasi cosa avessi fatto, tutto sarebbe rimasto uguale. Giuro, lo sapevo. Eppure continuavo a sperare che forse tutto poteva cambiare, che magari quella sera il miracolo di Natale sarebbe potuto davvero accadere.

Aprii gli occhi quando un timido raggio di sole rischiarò il buio della mia stanza e quando l’interminabile suoneria del mio telefono diventava ogni minuto più fastidiosa.
“Pronto?” risposi sbadigliando e mettendomi a sedere.
“Non voglio sentire storie, è Natale e devi venire a cena da noi stasera. Chiaro?” sbottò una voce acuta, fin troppo familiare.
“Christine..” mi lamentai, uscendo dal calore delle mie coperte e guardandomi intorno finché i miei occhi non si posarono su una scatola vuota che attendeva da un po' di tempo di essere riempita.
“Em, ti prego. Lo faccio per te, dai dimmi che vieni.” piagnucolò, facendomi sospirare. Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori, Parigi non era mai stata così bella. I viali alberati erano coperti da un sottile strato di neve bianca, caduta la notte prima, l’aria frizzantina colpiva vecchi e bambini che, tutti coperti in cappelli e sciarpe, passeggiavano mano nella mano sorridendosi. L’atmosfera era meravigliosamente natalizia, ero io ad essere sbagliata.
“Emma?”
Scossi la testa e tornai alla mia amica, sorridendo anche se sapevo che non mi poteva vedere.
“Vengo, ma solo un paio d’ore.” mormorai, sentendo i suoi gridolini di gioia.
“Ci vediamo stasera alle otto, tesoro.” disse, buttando giù.
Risi e lanciai il telefono alle mie spalle, sentendolo cadere per terra. Sospirando tornai a guardare davanti a me il cielo azzurro, limpido, e mi strinsi nelle spalle, sentendo di nuovo il solito vuoto.
Harry non ci sarebbe stato, neanche quella volta. Neanche per quel Natale. Sentii una lacrima cadere lungo la mia guancia e velocemente la raccolsi: no, non potevo piangere. Non di nuovo. Presi un respiro e mi avvicinai all’armadio, tirando fuori un maglione e un paio di jeans. Dovevo uscire, distrarmi fino a quando non mi fossi recata a casa di Christine. Magari potevo prendere un regalo, sì un bel regalo le avrebbe fatto piacere.

Stringevo le buste a me, forti, come se quelle potessero tenermi ancorata al presente ed evitarmi il tuffo nei ricordi. Ma come camminavo per strada, sorridendo ai bambini che mi salutavano, i ricordi tornarono a colpirmi, come a volermi fare male, anche quel giorno.

“Emma se non esci immediatamente fuori da quel bagno, giuro che entro e faccio quello che devo fare davanti a te!” esclamò, continuando a battere un pugno sulla porta. Mi lasciai scappare una risata mentre mi sistemavo il vestitino grigio e poi mi avvicinai alla porta. La aprii e mi trovai Harry in tutto lo splendore davanti ai miei occhi.
I suoi occhi verdi scesero lungo il mio corpo, così come i miei azzurri. Portai una mano sulla sua guancia, si era rasato quel giorno.
“Non dovevi usare il bagno?” lo presi in giro e lui rise e quella risata, dio. Quella risata era il suono più bello che avessi mai sentito, mi scaldava anche se fuori c’erano meno dieci gradi. Bastava la sua risata per farmi sentire a casa.
Si avvicinò a me, il suo dolce respiro a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Potremmo fare un po’ tardi, amore. Avvisa la tua amica che questo vestito ha bisogno delle mie attenzioni.” sussurrò per poi rubarmi un bacio ed entrare in bagno, lasciandomi chiusa fuori, volendone di più e sentendo troppo caldo.


Scossi la testa, per tornare alla realtà e mi portai due dita sulle labbra come se potessi ancora sentire il suo profumo, il suo odore. Che stupida. Mi morsi un labbro e accelerai il passo, cercando di raggiungere un bar come sentii la pioggia iniziare a scendere. Batteva violentemente, batteva come a purificare l’aria, come a purificarmi.

“Bonjour” disse una ragazza come mi sedetti in un tavolino di un bar. Le sorrisi e ordinai un caffè e un dolcetto. Lei si appuntò tutto e corse dietro il bancone.
Puntai lo sguardo sulle mie unghie rosse, lucide, mentre un altro ricordo faceva capolinea nella mia mente.

Lo guardavo mentre si girava nel letto, inquieto. Gli passai una mano tra i ricci madidi di sudore e lui fece una smorfia, storcendo il suo naso piccolino.
“E’ solo un po’ di febbre, amore mio. Passerà presto, vedrai.” gli sussurrai e lui allora aprì gli occhi e puntò quelle due sfere color giada dentro i miei, facendomi stringere lo stomaco.
Soffriva.
“Fa male, Em.” disse con il suo stretto accento inglese, facendomi sorridere. “Lo so, Harry. Lo so.” dissi, stringendogli una mano mentre lui appoggiava la testa sul mio petto e respirava, affannosamente.
Alzai lo sguardo, pregando chiunque mi stesse ascoltando di non portarmi via l’unica cosa bella che avessi mai avuto.


Un pianto di un bambino mi portò alla realtà e quando guardai davanti a me, nel tavolo al mio fianco, vidi una mamma che cercava di tranquillizzare il suo piccolo. Quando si accorse di me, mi sorrise e poi tornò a parlare al piccolo.
“Andrà tutto bene, cherì. E’ solo un graffietto.” gli mormorava, ma quello strillava in preda al dolore, finché la madre non lo prese in braccio e gli diede un bacio sul dito e il bimbo sorrise, mostrando due tenere fossette, che mi ricordano le sue.
“Vedi? Ora va meglio, vero?” domandò la donna chinando lo sguardo su suo figlio, che, guardandola con occhi pieni d’amore, annuì felice.
Tornai a fissare davanti, senza accorgermi che il caffè era lì. Ne presi un sorso e chiusi gli occhi, pensando che anche io avrei voluto che qualcuno curasse le mie ferite in quel modo, con un bacio,  con una carezza o un abbraccio.

Il tempo sembrava non passare mai, era un’ingiustizia. Non vedevo l’ora che quella giornata passasse, che venisse il buio, l’ora di andare a letto e dormire. Nei sogni la realtà sembrava fare meno male. Finché non sognavo Harry, perlomeno.

“Ho una proposta da farti.” esclamò un giorno, fermandomi e prendendomi per le spalle. La gente che passava vicino ci guardava in modo strano, come se fossimo pazzi. Ma eravamo soltanto innamorati. “Del tipo?” domandai, alzando un sopracciglio. Harry mi faceva paura quando aveva della idee da proporre. “Andiamocene.” esclamò sorridendo e facendo spuntare un’adorabile fossetta sulla sua guancia. “Dove?” lo presi in giro, riprendendo a camminare. Ma lui mi fermò di nuovo e mi strinse tra le sue braccia muscolose. “Al mare.” disse, sorridendo e lì non potei fare a meno di ridere. “Tu sei pazzo, al mare? A Gennaio? Ma che ti passa per la testa?” domandai, facendolo sorridere. Mi affiancò e intrecciò la sua mano alla mia. “Si sono pazzo, è vero. Ma tu mi ami, giusto?” domandò e li lo baciai.

Sentivo freddo mentre passeggiavo, mentre scattavo qualche foto per la rivista. Bisognava scrivere un nuovo pezzo, sulla guerra. Che cos’è la guerra in noi? Facile, la distanza. Il lavoro. L’amore. Tutto è guerra, anche quello che sembra darci pace in realtà è guerra, anche la nostra piccola isola felice è guerra, prima o poi. Ma Harry non mi credeva, diceva che era una cosa assurda.
Come può essere guerra qualcosa che ci fa bene, Emma?” mi chiese una volta, così misi via quell’idea. La accantonai perché non volevo fare guerra con lui, forse aveva ragione, forse le cose che ci fanno bene, non possono essere guerra.
Un urlo catturò la mia attenzione e alzai lo sguardo.
“Tu mi hai tradito! T-R-A-D-I-T-O!” sbottò una ragazza, in lacrime. Il ragazzo davanti a lei rimaneva in silenzio, lasciandola sfogare. Lei gli tirò pugni sul petto, facendolo tossire. “Aspetta, Sophie.” gridò ad un certo punto, quando lei si stava allontanando. La prese per un braccio e la fece voltare e la cosa venne spontanea: “E’ stato uno sbaglio, io amo te.” disse, lei gli mollò uno schiaffo e io scattai una foto.
Forse Harry si sbagliava, forse la guerra esisteva anche dove c’era l’amore, soprattutto dove c’era l’amore.

“Mi hanno chiamato.” aveva annunciato mentre si spogliava. Gli sorrisi e gli saltai addosso, felice. Non lo chiamavano da un po’, così sarebbe stato felice. Sapevo che non far nulla gli dava fastidio. Harry mi strinse, ma sentivo che non era felice come avrebbe dovuto. “Che c’è?” gli domandai staccandomi e guardandolo. I suoi occhi erano scuri, non verde brillante. Mi stava nascondendo qualcosa, ormai lo conoscevo. “Emma, siediti.” disse, la voce bassa, quasi come se stesse parlando con un animale selvatico. “Harry, cosa succede? Mi spaventi così.” ammisi. lui mi prese la mano, strinse la mia piccola e insignificante vita nella sua, e mi fece sedere per poi posizionarsi tra le mie gambe.
“Parto domani.” disse e io lo guardai confusa, senza capire. “Quindi?” chiesi. “Emma, parto domani e non so quando tornerò. E‘ una spedizione lunga e complicata..”. Harry continuava a parlare ma io non lo seguivo. Non so quando tornerò, aveva detto. Spedizione lunga e complicata. “Harry, fermo.” dissi, tornando a fissarlo. Lui abbassò lo sguardo su di me. Deglutii a lungo e gli chiesi cosa volesse dire. “Emma..” mormorò agitato. Continuai a fissarlo, aspettando una risposta. “Non potevo rinunciare.” sbottò infine, superandomi. “Harry, dannazione! Starai via per non sai quanto, rischiando la vita e non potevi rinunciare?” urlai, sentendo le lacrime pungere. Lui sbuffò e si girò verso di me. “Rischiando la vita! Esagerata!” sbottò, sospirando frustrato. Abbassai lo sguardo sui miei piedi, sentendo le lacrime scendere copiose. “Harry, col fatto che se in un esercito, potresti rischiare la vita, lo sai.” mormorai, sentendo lo stomaco stringersi al pensiero che potesse succedergli qualcosa. Lui sospirò e si avvicinò a me, stringendomi forte.
“Non mi succederà niente Em, lo giuro.” mormorò tra i miei capelli, stringendomi, eppure dentro di me sentivo che qualcosa sarebbe successo.


Mi strinsi nelle braccia mentre percorrevo la mia via verso casa della mia amica, ormai le lacrime avevano preso il sopravvento. Non potevo fermarle, così come non potevo fermare lo straziante vuoto che minacciava di uccidermi. Harry non era lì, mi aveva lasciato sola quel Natale, quando aveva promesso che mai l’avrebbe fatto. Un singhiozzo scivolò dalle mie labbra e mi fermai, iniziando a tremare.

“Mi manchi, Harry. Quando torni?” chiesi, fissandolo davanti il computer. Era dimagrito, la sua mascella era più squadrata, i suoi occhi più cattivi. La barba era leggera, non se la faceva da qualche giorno.
“Presto piccola, presto.” mi diceva, guardandosi intorno. Entrambi sapevamo che lui non poteva stare lì con me, avrebbe dovuto essere di guardia.
“Presto tipo?” chiesi, mordendomi il labbro inferiore. C’erano così tante cose che volevo dirgli, ma non potevo.
“Prima di Natale, non ti lascerò sola.” disse, alzandosi di scatto. I pantaloni militari mettevano in risalto i suoi occhi.
“Harry, c’è una cosa che devo dirti.. io..” dissi, ma lui mi mandò un bacio e chiuse la comunicazione. Lasciandomi sconvolta.
“..ho un ritardo.” mormorai, davanti lo schermo ormai nero.


Automaticamente, mentre aspettavo la metro, portai le mani sul mio ventre e le strinsi, come se potessi sentirla. Quella piccola creatura dentro di me, suo figlio. L’unica cosa che ancora mi tenesse viva, che ancora mi faceva credere che lui c’era stato e ci sarebbe stato.

La metro era affollata, piena di gente. Quasi non respiravo. Una ragazza mi lasciò il suo posto e mi misi a sedere, ringraziandola con un sorriso. Riportai lo sguardo sulla mia pancia e pensai a come chiamare quella creatura. Magari sarebbe stata la fotocopia di Harry, oppure sarebbe stata uguale a me. Magari avrebbe avuto i suoi ricci e le mie mani pallide, oppure il suo sorriso e i miei fianchi grossi. Magari sarebbe stata generosa, come suo padre. Oppure egoista, come la madre.
Un colpo secco, un urlo.
Alzai lo sguardo, spaventata, mentre stringevo la pancia. Ti prego, fa che non sia niente, pensavo. I miei occhi però mi dimostrarono il contrario: un uomo a terra, ferito. Un uomo che stava minacciando una persona, una pistola puntata alla tempia. Tutti tremavano, io fui solo capace di portare le mani davanti la bocca terrorizzata.
“I soldi, cazzo, dateci i soldi.” sbottò un secondo tipo, incappucciato. I suoi occhi si scontrarono con i miei e con rabbia mi venne a prendere, stringendomi e puntando un’arma alla mia tempia.
Una lacrima, un’altra ancora e un’altra finché non sentii le ginocchia cedere.
“Zitta puttana.” minacciava quello, mentre tutti gridavano, impauriti. “Zitti o l’ammazzo.” urlò, aumentando la presa su di me.
Fallo, pensai in lacrime. Fallo così non dovrò crescere questa bambina, fallo così sia io che lei potremmo trovare la pace, fallo ti prego, uccidimi. Ma dalla mia bocca non venne fuori alcun suono.

“Harry!” urlai al telefono, pregando che mi dicesse che era atterrato, sano e salvo. “Emh, lei è Emma?”.
Una voce nuova, maschile. Una strana sensazione allo stomaco.
“E lei è?” domandai, incerta.
“Tenente Merak, amico di Styles, signorina.” disse l’uomo, incrinando la voce su ‘Styles’. Mi sedetti sul pavimento, portando una mano sulla pancia, spaventata. “Cosa è successo, tenente?” sussurrai, incapace di alzare la voce, come se facendolo fosse accaduto qualcosa di orribile.
“Harry..” disse e la voce gli tremò e io non potei sentire altro.
Lanciai il telefono, urlando, maledicendo tutto e maledicendo tutti. Mi presi la testa tra le mani, non poteva essere vero.
Harry non poteva essere morto.
No.
No.


“No.” sussurrai, mentre sentivo il freddo della canna premere più a fondo nella mia pelle. Non potevo morire, l’avevo promesso a Christine, l’avevo promesso a me stessa, a suo figlio.
Dovevo vivere per dirgli di come era bello il padre, di come era solare, allegro, di come sapeva vivere.
Altre lacrime, altro dolore. Ti prego, non io, non adesso.

“Fermo.” una voce familiare mi riscosse dai pensieri e allora fui sicura di essere morta.
I suoi occhi verdi si incastrarono con i miei e fu come se tutto ricominciasse da capo, come se avessimo avuto una secondo possibilità.

“Ciao.” una voce maschile mi fece sobbalzare e quando mi girai, un ragazzo dagli occhi verdi e una massa riccia di capelli mi stava sorridendo.
“Non posso parlare con gli estranei.” dissi, sorridendogli a mia volta. Era contagioso il suo sorriso.
“Harry.” disse allungando una mano, era grande per un ragazzo. La fissai confusa e poi riportai l’attenzione su di lui, che si lasciò andare a una risata. Sentii lo stomaco contorcersi e fare diecimila capriole a quel suono.
“Così non siamo più estranei.” spiegò un accenno di malizia in quei pozzi verdi.
Gliela strinsi e mi presentai, spigandogli che saremmo comunque stati estranei. E lui rise e io pensai che per sentire ancora quella risata, forse, avrei per una volta anche potuto trasgredire alle regole e parlarci, con quel ragazzino.


Un colpo e Harry scattò verso di me, mentre le mani di quel tipo sparirono dal mio corpo.
“Qualcuno chiami un’ambulanza, vi prego.” urlò, cercando aiuto e poi i miei occhi. “Em, Em, mi senti? Em, rimani con me, amore. Rimani con me.” disse piangendo. Sorrisi, ma sentivo che tutto faceva male, che la testa scoppiava. “Sono morta?” chiesi, mentre lui mi stringeva la mano. Spalancò i suoi meravigliosi occhi e scosse la testa, le lacrime offuscavano la vista.
“Non morirai, Em. Ti salverò. Sono tornato per te.” disse e in quel momento mi ricordai di una cosa importante.
Gli presi una mano e la lasciai sulla mia pancia e poi, e poi più niente.

 

Harry’s POV.

Emma era morta alle 19.30 del 25 Dicembre 2013, ma la cosa che letteralmente mi distrusse fu un’altra.
“La sua compagna era incinta, ci dispiace.” disse il medico, per poi lasciarmi solo.
Rimasi con la testa tra le mani per non so quanto tempo, finché non sentii una mano leggera posarsi sulla mia spalla e riconobbi Christine davanti a me.
Era in lacrime.
“Mi dispiace così tanto, Harry. Mi dispiace.” disse, mentre mi stringeva e piangeva. Sfogava il suo dolore, diceva che non sarebbe dovuta andare così. Che era tutto un bruttissimo scherzo. E io speravo davvero che fosse così, ma non lo era. Era la realtà. E faceva male, troppo male. 

Christine rimase con me per un altro po’ e poi mi costrinse ad andare a casa sua.
“E’ pur sempre Natale.” aveva detto, ma io avevo scosso la testa. Non volevo lasciare Emma.
“Harry, non penso sia una buona idea.. dai vieni con me.” disse, ma io scossi la testa. Non mi interessava che fosse Natale, ormai niente aveva più senso. Christine sospirò e mi lasciò un bacio sulla guancia, dicendo che sarebbe tornata più tardi.
Non la salutai, lasciai che che i miei occhi rimanessero incollati alla figura morta della mia ragazza. Mi avvicinai e le lasciai un bacio sulla fronte, sentendo come fosse fredda, morta.
Perché Emma? Perché?” domandai, e nel silenzio della stanza, la mia domanda sembrava fare troppo rumore. Come le granate che avevo sentito in quei giorni.
Ma sapevo che Emma non poteva rispondermi, che lei non sentiva e neanche io riuscivo più a sentire nulla se non la stretta di Emma sulla mia mano e la sua pancia tesa, il nostro bambino, sotto le nostre mani.
 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: onedeyes