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Autore: LittlepieceofAlibi    25/12/2013    4 recensioni
Dalla cucina ascoltava Sherlock suonare Mendelssohn con estrema destrezza, un perfetto accompagnamento per la serata, se non che John fremesse dal desiderio di smuovere le carte.
Song-fic: Baby, It's Cold Outside.
Genere: Generale, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e io non scrivo a scopo di lucro.

 

Buon Natale e buon anno nuovo a tutti quelli che passeranno da questa storia. La considero un piccolo e discreto regalo per il gruppo Johnlock fans e soprattutto la mia adorata Collective. <3

Aggiungo che l’ispirazione per questa breve one shot è nata leggendo un post su Tumblr.

Siete speciali e vi auguro uno splendido 2014! E soprattutto spero sopravviviate tutti alla terza stagione. *Fingers crossed*

 

 

When It’s Cold Outside

 

 

 

Aveva perso il conto di quante volte, da quando aveva conosciuto Sherlock Holmes, gli avessero – si fosse – posto la stessa domanda: come puoi convivere con una persona così?

Non era mai stato necessario rispondere, e in tutta sincerità non possedeva una risposta, né la cercava.
Dopotutto, una volta che impari a vivere nell’incertezza dell’incessante rischio…

 

Talvolta, in alcune situazioni, spesso in quei momenti di stallo, quiete  assoluta, time out, John sembrava sentirsi in grado di rispondere a quel quesito. Quando Sherlock fronteggiava la finestra del loro salotto e le sue mani lavoravano alle melodie più memorabili, e John osservava e sentiva dalla cucina, dalla camera da letto, dalla poltrona, dalle scale.

Nella sua mente, forse a mo’ di un mind palace per uomini comuni, scorreva una lista di motivi per cui non avrebbe avuto altra scelta se non condividere e donare la sua vita a Sherlock Holmes, perché era suo amico, nemico, amante, dominatore, sottomesso, tutto e non poteva non innamorarsene ed esserne sempre un po’ più dipendente di nota in nota.

 

Nel bene o nel male, senza un particolare giuramento formale.

 

(Forse la stretta di mano di fronte al 221?)

 

Come quella sera di fine dicembre, quando John, ore prima, aveva trovato un vecchio vinile tra le macerie che stanziavano perennemente nel loro soggiorno, come reliquie, intoccabili. E non sapeva davvero cosa ci facesse un vinile del 1949 nel 221B, né come ci fosse finito. Forse come tutti gli altri oggetti bizzarri che emergevano di tanto in tanto.

Fortuna che tra di essi non mancasse un giradischi in condizioni accettabili. Lo aveva ripulito dalla polvere e restituito un aspetto dignitoso.

 

Dalla cucina ascoltava Sherlock suonare Mendelssohn con estrema destrezza, un perfetto accompagnamento per la serata, se non che John fremesse dal desiderio di smuovere le carte.

 

Versò dello Scotch in due bicchieri a pari altezza, ripose la bottiglia nel mobiletto e andò in salotto, dove posò i bicchieri per abbassare la puntina del giradischi sul vinile. Dopo un breve disturbo, della musica indiscutibilmente datata si sovrappose all’imperterrito violino di Sherlock, il quale, osservando ogni movimento di John dal riflesso della finestra buia, smise di suonare ma mantenne il mento appoggiato allo strumento ed abbassò l’archetto lungo il fianco.

 

“Cosa significa?”

 

“Cosa vuoi dire?” John recuperò i bicchieri e si fece più vicino all’altro.

 

Sherlock grugnì sommessamente, infastidito. “L’ho chiesto io.”

 

John scrollò le spalle. “Ho trovato questo vinile e ho pensato di ascoltarlo.”

 

“Mentre io suonavo,” il detective aveva abbassato anche il violino e, sempre rivolto alla finestra, aveva iniziato a sfogliare convulsamente gli spartiti.

 

“Dovresti rilassarti, Sherlock…”

 

“Lo stavo facendo-”

 

“Con me” lo interruppe John, avanzando di un altro passo ancora. Finì con l’appoggiare la punta del naso alla sua spalla tesa, mentre una mano scivolava oltre il suo fianco a porgergli il bicchiere di Scotch. “Ogni tanto. Solo… una volta ogni tanto, Sherlock.”

 

Lui si voltò, abbandonando ciò che stringeva tra le mani. Il bicchiere restò tra i loro petti in attesa di essere accettato.

 

“Ti farebbe bene, trovare un altro modo per svagarti. Il tuo cervello lavora sempre così tanto,” disse John, il tono pacato, uniforme. “Sediamoci sul divano, beviamo e ascoltiamo questo vecchio vinile,” spinse delicatamente il bicchiere contro il suo petto.

 

Sherlock sollevò discretamente un sopracciglio, composto nella sua perplessità.

C’erano cose che proprio era difficile afferrare. Spesso una carezza inconsueta scatenava dubbi atroci, e questioni futili, e una cena da Angelo che non fosse un appostamento lo confondeva, perché la finalità gli era sconosciuta. A volte la logica gli era nemica, quando John desiderava che tra di loro qualcosa andasse oltre ad uno schema sistematico.

 

“Per quale motivo dovremmo farlo, John?”

 

“Perché no?”

 

Sherlock prese con riluttanza il bicchiere pieno per un quarto; John sorrise incoraggiante.

Intanto il cellulare del detective squillò nella tasca della sua giacca. Egli lo afferrò, lesse il messaggio e subito dopo posò lo Scotch e si scansò agilmente da John per recuperare il cappotto ed indossarlo con urgenza.

 

“Dove vai?” domandò John vagamente alterato.

 

“Lestrade mi ha scritto un messaggio; vogliono un mio consulto,” si avvolse la sciarpa intorno al collo. “Ti unisci?”

 

John corrugò profondamente la fronte. “No, Sherlock, non ho intenzione- e nemmeno tu dovresti…”

 

Sherlock lo guardò duro, zittendolo con la severità dei suoi occhi. “È il mio lavoro. In nessun caso dovrei trascurarlo. Nessuno.”

 

John sospirò, lasciando che i suoi muscoli contratti cedessero alla rassegnazione, mentre il detective spariva oltre le scale.

Frustrato, scostò bruscamente la puntina del giradischi dal vinile e si lasciò cadere sulla poltrona, per infine mandar giù in un sol sorso il suo Scotch.

 

 

 

 

Nella calda incoscienza del sonno, udì un fruscio.

Aprì gli occhi nel buio e li fece vagare per la stanza qualche volta per abituarsi all’oscurità, finché non scorse una sagoma appoggiata allo stipite della porta.

 

Una musica dal suono antico, provato dal tempo, giungeva dal salotto.

 

John scostò le coperte spesse e scese dal letto, stringendosi nella sua vestaglia, gli occhi assottigliati dal sonno.

 

“Sherlock… ma sono le tre e mezza…” biascicò mentre si trascinava lungo il corridoio seguito dall’altro. “Sei appena tornato. Idiota.”

 

Sherlock sbuffò un ghigno mentre si sfilava la sciarpa e il cappotto e li gettava sulla poltrona.

 

“È tardi, spegni questo affare o la signora Hudson ci ucciderà” John stava inutilmente tentando di scorgere i componenti del giradischi per poter fermare la musica.

 

Sherlock lo allontanò afferrandolo per una mano, dopodiché accese le luci decorative con cui il dottore aveva addobbato l’appartamento.

Intanto il giradischi suonava Baby, It’s Cold Outside del 1949, un duetto di Ella Fitzgerald e Louis Jordan, dei quali Sherlock ignorava beatamente l’esistenza.

 

-         This evening has been so very nice.

-         I’ll hold your hands, they’re just like ice.

 

“Oh, Sherlock…” sussurrò John, un piccolo sorriso nascente sulle sue labbra sottili.

 

Sherlock lo condusse al centro della stanza, sgombero da qualsiasi impiccio, e portò le loro mani unite all’altezza delle loro spalle, mentre l’altra la impiegò sulla spalla dell’altro. “Non mi scuserò per quello che ho fatto.”

 

John roteò gli occhi. “Devi sempre rovinare tutto, vero?” fece scivolare la propria mano libera dietro la sua schiena.

 

“E’ una qualità che mi attribuiscono frequentemente.”

 

-         So really I’d better scurry.

-         Beautiful, please don’t hurry.

 

Il dottore lo spinse debolmente, quanto bastava per avere una buona visuale di lui e decidere che fosse troppo vestito.

 

Sbottonò agilmente la giacca e la fece scivolare lungo le sue braccia, lasciandola cadere.

 

“Meglio,” i due si riavvicinarono, ondeggiando ad un ritmo che non si addiceva particolarmente alla canzone, ma che sapeva della loro intimità.

 

Con i petti uniti e i respiri sincronizzati, si strinsero in un’impacciata danza.

 

-         I wish I knew how…

-         Your eyes are like starlight now.

-         To break this spell…

 

John alzò lo sguardo incontrando quello di Sherlock già fisso sul suo volto.

Sorrise debolmente, perdonandolo di tutto ciò per cui, in fondo, non si era mai risentito sinceramente.

 

Le dita si arricciarono alla camicia dell’altro, aderente sulla schiena, mentre allungava il volto ad incontrare il suo. Si fermò quando i loro nasi si sfiorarono.

Quello di Sherlock era freddo, ghiacciato. Aveva appena corso per mezza Londra, ne era certo.

Un brivido gli serpeggiò lungo tutto il corpo a quel contatto.

 

“Sei un pazzo. Vorrei avercela a morte con te perché metti sempre te stesso e anche me in pericolo,” respirò contro la sua bocca. “E invece…”

 

Sherlock abbozzò il suo tipicissimo sorriso vagamente incrinato, colpevole. “Ami il pericolo tanto quanto me, lo sai…” disse mentre spostava il viso e il suo naso sfiorava freddo la guancia di John, che aveva sonnecchiato nel tepore del loro letto fino a pochi minuti prima.

 

-         I ought to say no, no, no, sir.

-         Mind if I move in closer?

-         At least I’m gonna say that I tried.

-         What’s the sense of hurting my pride?

 

“Amo anche trascorrere una buona serata in compagnia dell’uomo più strano di Londra,” John premette Sherlock ancora più vicino a sé. “E ad essere miserabilmente scaricato, a quanto pare.”

 

Sherlock aprì la mano che poggiava sulla sua spalla. Era così grande, le dita così lunghe da avvolgerla quasi completamente. “Ora sono qui, no?”

 

John annuì flebilmente, e continuarono ad ondeggiare l’uno addosso all’altro, il naso di Sherlock premuto contro la guancia di John, il primo vigile, gli occhi aperti nella luce soffusa della stanza, e l’altro con le palpebre abbassate, tremanti.

 

-         My maiden aunt’s mind is vicious.

-         Oh, your lips look delicious.

 

“E stai ballando una stupidissima canzone natalizia con me.”

 

“Non definirei ciò che stiamo facendo ‘ballare’, data la mancanza di qualsiasi figura tecni-”

 

“Zitto,” John si allontanò e lo fece girare su se stesso a tradimento. Sherlock lo guardò perplesso e oltraggiato.

 

“Non farlo mai più” pronunciò perentorio, il tono grave e profondo.

 

John lo schernì e lo riprese vicino a sé per continuare quell’ondeggiamento che gli piaceva definire ballo.

Stettero quieti per un poco e il dottore fece finta di non notare che Sherlock stava osservando con molta attenzione la sua bocca.

 

-         There’s bound to be talked tomorrow.

-         Think of my life long sorrow.

-         At least there will be plenty implied.

-         If you caught pneumonia and died.

 

John si lasciò scappare un sonoro ghigno contro la spalla di Sherlock, la cui bocca si deformò in una smorfia incrinata e alla fine non poté fare altro che unirsi alla risata.

 

“Ridicolo,” sentenziò.

 

John rise ancora, tentando di non fare troppo rumore per non disturbare più del dovuto la povera signora Hudson. “Assolutamente.”

 

“John, non capisco perché tu abbia insistito tanto prima per ascoltare queste canzoni in mia compagnia, né perché avrebbe dovuto pregiudicare la mia partecipazione ad un inda-”

 

John lo strattonò per il colletto inamidato della camicia, stavolta per zittirlo con la propria bocca sulla sua.

Sherlock  fece per rispondere esitante al bacio, quando John si allontanò per scuotere la testa.

 

Idiota, certo che lo hai capito.

 

Era ormai rassegnato all’idea di dover attraversare interi deserti a piedi nudi pur di poter trasmettere a Sherlock messaggi elementari quali sei il mio compagno di vita, posso portarti a cena fuori, o ti amo, va bene se ti accoccoli nel mio grembo per tutta la sera, o ancora questa sera è così freddo, restiamo a casa a bere Scotch, Lestrade può aspettare domani; aveva tuttavia capito che, con i debiti tempi di elaborazione, alla fine Sherlock avrebbe acconsentito ad una cena da Angelo che non fosse un appostamento,  avrebbe trascorso l’intera durata del film con la testa appoggiata alle sue gambe e sarebbe tornato a casa alle tre e mezza di notte per azionare un vecchio giradischi e ondeggiare con lui in mezzo al salotto.

 

 

Where could you be going

When the wind is blowing

And it’s cold outside?

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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