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Autore: L_aura_grey    25/12/2013    2 recensioni
Quattro sono i poteri ultraterreni a cui è permesso accedere agli dèi di Asgard:
il dono delle Norne
la forza naturale delle Rune
l'energia singolare del Seidr
il potere delle Incantatrici.
Loki non era l'unica serpe a scivolare non vista fra le strade della Città Eterna.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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“Veloce il vento è
a correre fra i rami di Yggdrasill,
incontra i due lupi e
gioca. Saluta il serpente,
Nihoggr sbadiglia e torna
al suo qieto riposo.
Dáinn, Dvalinn, Duneyrr, Duraþrór
lo portano sulle loro corna
saltando come i cervi fanno,
osservato dal Gallo che
l’inizio dell’ultima parola
ha il dovere di dare…”



 

La fanciulla smise di cantare e mise giù la spazzola, osservando con dolcezza quella testina bionda e perennemente scarmigliata. Cento colpi di spazzola e sarebbe stata bella come Frigga, la regina della Città eterna: era costretta a dirle questo per farla sedere composta fra le sue gambe e la lasciasse districare con infinita pazienza i mille nodi che era riuscita a creare in un solo pomeriggio. Le sarebbero serviti mille colpi di spazzola ma per sua sfortuna la sorella sapeva contare.
La piccola saltò giù dal letto per correre allo specchio dove si studiò con l’altezzosità di una vera reale e si voltò verso la giovane che stava rimettendo a posto la spazzola “Sono bella, sorella?”
“Sì, piccola principessa delle pulci. Sei bella.”
“Quanto?”
“Molto.”
“Sii più precisa!” la esortò, pestando i piedi.
“Bella come i saloni del palazzo reale, bella come il ghiaccio di Jotunhaim, bella come i sorrisi dei Vanir, bella come l’anima di Yggdrasill, bella come la tela delle Norne.”
“Sono tutte cose che non ho mai visto!” si lamentò la principessa pulce.
“Neppure io.”
“Non prenderti gioco di me!” esclamò la piccola, andando ad aggredire la sorella maggiore. Questa la acciuffò appena la ebbe a portata di mano, tirandola su con innata leggerezza. Divertita, la osservò scalciare e divincolarsi, mentre il lavoro degli ultimi minuti scompariva.
“Amora, sei cattiva!” le urlò in faccia la bambina che venne poi stretta al petto per un abbraccio che ricambiò con bisognosa voglia “Mi dici queste cose perché pensi che sia stupida.”
“Ti sbagli, Lorelei, ti sbagli. Lo faccio perché ti voglio bene e amo ridere con te.”
“Ma io non rido!”
“Beh, io ci provo!” alzò gli occhi al cielo, esasperata. Portò il naso ad altezza di quello della sorella, strofinandolo con dolcezza “Fammi un sorriso, principessa dei lamenti.”
La piccola riuscii a rimanere seria solo per qualche secondo prima di aprirsi in una calda smorfia che avrebbe dovuto assomigliare a un sorriso “Tu sei infinitamente bella, sorella.”
“Così mi fai arrossire, Lorelei” la baciò con dolcezza su una guancia Amora, mentre si stendeva sul letto.
“È la verita. Molte fanciulle ti invidiano, le sento mentre ti parlano dietro con malizia. Vorrebbero avere i tuoi occhi color del cielo e le tue labbra morbide come le nuvole, vorrebbero muoversi con la stessa sensualità che possiedi e che cattura gli sguardi di chi ti passa accanto.”
“Tu lasciale parlare. Un giorno lo faranno anche con te.”
“No, non credo.”
“Perché dici questo?”
“Perché non sarò mai bella come te.”
“Non dire idiozie, Lorelei, principessa dei pentapalmi. Un giorno sarai la creatura più bella che si aggirerà fra queste mura.”
La bambina si limitò a sorridere delicatamente, nascondendo la testa nell’incavo del collo della maggiore.



 

-§§§-



 

“Più alto il braccio, Frida. Non stai facendo un minestrone! È un incantesimo quello che devi lanciare, non il sale.”
La giovane arrossì violentemente, mentre le compagne attorno a lei ridevano con cattiveria. Non era difficile sentire Frida che veniva rimproverata per qualcosa e quelle giovani dame amavano ricordarle quanto fosse un'inetta.
Karnilla la bacchettò alla schiena ma la giovane riuscì a non farsi scappare niente, si limitò a tentare nuovamente il gesto: come tutte le altre in quella stanza ancora non era ancora entrata a pieno nell’ordine delle Incantatrici e per quello non poteva disporne del potere. Quei gesti, spiegava con voce glaciale l’insegnante, sarebbero semplicemente dovuti divenire naturali, in modo tale da doversi concentrare solo sul controllo del seidr una volta ottenuto.
Se Frida non fosse riuscita almeno in quello il suo apprendistato sarebbe finito con una severa cancellazione della memoria; sarebbe stata rimandata dalla sua famiglia, che di certo l’avrebbe ripresa con delusione e non avrebbe neppure saputo spiegare il perché.
Karnilla si allontanò lasciando che la giovane si rilassasse almeno un poco. A causa della sua forte emotività si trovava spesso, come in quel momento, sul bordo delle lacrime e questo non faceva che aumentare le risa che la vedevano come protagonista.
Senza che se ne accorgesse un’altra apprendista le si era avvicinata, porgendole il proprio fazzoletto “Tieni. Ricomponiti, non vorrai dar ancora legna al fuoco di quelle vipere” Frida rialzò gli occhi, incrociando quelli della giovane che era venuta in suo soccorso. La conosceva di vista, più o meno come tutte nella scuola. Era la protetta di Karnilla, su di lei giravano molte voci: che la Norna l’avesse rapita da qualche sconosciuta e potente famiglia nobile, che arrivasse dalla strada e la donna era rimasta colpita dalla sua abilità latente, che avesse pagato per essere dov’era.
Vi erano infatti diversi decenni di differenza fra Frida e la giovane, eppure si muoveva in quei saloni con molta più naturalezza di lei.
Accettò titubante il fazzoletto, temendo in qualche scherzo. Si lasciò scappare qualche lacrima, nascondendole con la stoffa, per poi porgerlo nuovamente alla proprietaria che, soddisfatta, rispose con un ammaliante sorriso.
“Ecco, meglio. Quella vecchia e i suoi paragoni. Dovrebbe capirlo che non tutti hanno il suo cuore di ghiaccio. Probabilmente d’inverno non si avvicina ai camini per paura di sciogliersi.”
Frida non riuscì a trattenersi dal ridere, rincuorata “Sarà per questo che d’estate è sempre di così cattivo umore” rispose con voce titubante.
“Scommetto che non mangia cuori vivi semplicemente perché sarebbero ancora troppo caldi per lei” la veterana rise anche di quella macabra battuta che, nonostante tutto, la faceva sentire un poco meno a disagio.
Per la prima volta da quando i suoi genitori l’avevano costretta a entrare nell’ordine non si sentiva spersa, per la prima volta non veniva additata come l’ultima degli ultimi ma veniva coinvolta in quella sorta di cameratismo. Certo, erano solo in due a condividere quelle battute che di per sé non avevano nulla di buono, ma era pur sempre qualcosa.
“Grazie, per il fazzoletto. Sono Frida, figlia di Biger.”
“Io sono Amora” si limitò a sorridere l’altra. Ovviamente non le sfuggì il fatto che non aveva fatto rifermento alla propria provenienza, ma favorì sorvolare piuttosto che tornare sola e piangente.



 

-§§§-



 

“Fermatelo! Fermate il principe!” il grido disperato della balia fece voltare le due guardie, ma non in tempo; un’asta di metallo lunga più di due metri li colpì entrambi alle caviglie, mandandoli all’aria. Atterrarono col fragore causato dalle pesanti armature sul pavimento, accompagnati dalla scintillante risata del giovane erede al trono che poteva, a quel tempo, vantare i primi peli al pube.
Il principe scappò, veloce come il fulmine, deciso a far altro danno prima che qualcuno lo riacciuffasse per metterlo in punizione. Poco importava se era appena uscito da una durata un’intera stagione, la vita di corte era troppo noiosa per non essere spezzata da giochi come quello. Il tempo in prigionia sarebbe stato speso dal recidivo nell’inventare un nuovo gioco da fare una volta di nuovo libero.
Scappò fra scale, corridoi e saloni, sbaragliando chiunque non fosse stato alla portata di orecchie del chiasso causato dalla, o dalle, sue ultime vittime e gli dava le spalle. L’incredibile quantità di svolte e stanze del palazzo, inoltre, significava che, tranne per uno sfortunato caso, sarebbe passato molto tempo prima che riuscissero a prenderlo. Magari avrebbe potuto accamparsi la notte in qualche anfratto nascosto, per poi mostrarsi affamato nelle cucine, comportandosi, come lo ammoniva bonariamente la madre, al pari del figlio di un garzone. Il figlio non vi aveva mai trovato nulla di male e aveva quindi continuato.
Ma come si sa, basta pensarla, la sfortuna, per chiamarla alle proprie porte.
“Thor! Fermo!” urlò disperato il fratello minore quando lo vide svoltare armato dell’asta; troppo vicino perché riuscisse a fare qualcosa di più che dare aria alla bocca, finì con i piedi all’aria anche lui.
“Loki!” si fermò finalmente la peste, tornando sui propri passi per piegarsi sul giovane che pareva addirittura svenuto “Ehi! Pulce! Pulce, svegliati. Non posso lasciarti qui senza sensi” lo scosse preoccupato il biondo un paio di volte, prima di sbuffare; avrebbe dovuto portarlo dalla madre perché se ne prendesse cura. In questo modo non solo lo avrebbero di nuovo chiuso nelle sue stanze, ma vi avrebbero aggiunto anche l’aggravante del bernoccolo sullo scuro volto accusatore del fratello.
Gli aveva già messo un braccio sotto la schiena e l’altro sotto le gambe per trasportarlo quando si accorse del furbesco sorriso che era apparso sulle labbra di chi, apparentemente, doveva essere svenuto.
“Cosa mi darai in cambio per non farmi trovare da Madre così?” domandò sottovoce il corvino sotto lo sguardo di fuoco di Thor.
“Bugiardo!”
“Il bernoccolo c’è e ci resterà per diversi giorni…”
“Non oseresti.”
“Questa è la mia vendetta per la volta in cui mi lasciasti solo in mezzo ad Asgard.”
“Non è colpa mia se esci così poco da non conoscere neppure la topografia della città che potresti governare un giorno.”
Il giovane assottigliò gli occhi, perché non era neppure sua la colpa. Non era ancora arrivato a comprendere il motivo per cui i loro genitori lasciavano tanta libertà al maggiore quanto restringevano la sua. Era più cagionevole, vero, e d’aspetto più esile, ma i Reali genitori lo trattavano con troppa premura. Era stato quando l’aveva sentito da due ancelle che si era accorto di quanto anormale fosse la sua situazione.
“Allora portami tu a vedere Asgard” ordinò risoluto, mentre porgeva la mano così che l’altro potesse tirarlo su. Questi si limitò invece ad alzare un sopracciglio, scettico “Mi metteresti nei guai.”
“Sei già nei guai.”
“Ancora di più."
“E non vi è divertimento in questo?”
Il biondo parve riflettere qualche secondo prima di aprirsi in un sorriso “Invero, c’è. Andrò a chiamare…”
“No!” lo bloccò il fratello “Andremo solo noi due. Ci rallenterebbero e in ogni caso non voglio ripetere l’errore dell’altra volta. Se qualcuno dovrà sbeffeggiarmi, non sopporterei più che una sola voce.”
“Come vuoi tu” cedette infine Thor.

 

-§§§-



 

Quel giorno che era iniziato per loro in modo non indifferente da molti altri si formò fra loro un tacito patto: sempre assieme, nessuna avrebbe mai saputo dall’altra nulla di più di quello che avrebbe intuito. Frida era un libro aperto ma non sapeva leggere altrettanto bene e, per quanto fosse una delle poche che poteva dire di aver stretto un reale legame con Amora, l’altra rimaneva per lei un mistero. Piccoli e stupidi sbagli le dicevano però più di quanto avrebbe mai potuto fare una puntigliosa biografia sulla compagna.
Erano cose insignificanti, noiose e solite come la quotidianità, ma lasciavano nella mente d Frida punti di domanda sempre più urgenti.
Non presentarsi come si era solito fare era stato semplicemente la prima briciola che l’avrebbe condotta, passo dopo passo, nell’inquietante maniero che l’apprendista incantatrice aveva dentro sé.
Apprezzava, però, quella diversità. Era la definitiva prova che non avevano nulla da spartire con quelle altezzose ultimogenite di nobili, che erano diverse di retaggio e pensiero. Frida osava addirittura, ogni tanto, sussurrarsi che erano anche migliori. Lei e Amora, Amora e lei.
In breve tempo ne rimase affascinata; così forte, sicura di sè. Per non parlare di tutte le altre qualità che ogni asynia, compresa lei, avrebbe desiderato possedere; il sorriso incantatore, quei fianchi che gridavano alla fertilità e quei fili d’oro che spacciava per semplici capelli.
Quando poi l’aveva vista fronteggiare da sola tre studentesse più anziane con la forza di un lupo e la pericolosità del serpente aveva cominciato ad adorarla, e come ogni adepto alla religione era divenuta ancora più cieca.
Non si accorgeva della profonda linea di confine che stava scavando assieme all’altra giovane, perché vi era qualcosa di profondamente sbagliato negli occhi azzurri di Amora, qualcosa di troppo calcolato nei suoi gesti e nelle sue parole. Qualcosa che pareva addirittura ultraterreno. Lei non riusciva a vederlo ma le altre sì. Amora era diversa, forestiera in una terra che invece avrebbe dovuto averla come utopia, e forse era proprio quell’apparente perfezione a renderla un'emarginata. Questo fattore sconosciuto portava paura, e la paura generava una conseguente reazione di difesa.
Frida era sola quando subì il primo attacco.
“Novizia! Novizia!”
La giovane si bloccò di colpo, così velocemente che la pila di libri che portava oscillò pericolosamente. La giovane che l’aveva chiamata posò una mano per impedire che gli antichi tomi su cui erano costrette a studiare cadessero rovinosamente a terra per poi sporgersi verso di lei con un sorriso che sapeva di canzonatorio “Frida, figlia di Biger, giusto?”
L’interpellata annuì, dando uno sguardo preoccupato alle altre tre giovani che nel frattempo l’avevano circondata.
“Io sono Kari, figlia di Sigur. Loro sono Aase, Linn e Ragna” presentò amichevolmente ognuna delle sue compagne portando una mano a indicarle, Frida si chiese se per caso non volesse che ricordasse poi i nomi delle sue assalitrici.
“Come posso esservi utile?” domandò, cercando di mantenere il tono il più sicuro possibile, cosa difficile, dato che in lei già agiva l’istinto dell’animale in trappola. Un tempo era abituata ad attacchi del genere perché era facile che la individuassero come elemento debole e facile da sottomettere, per quanto alla fine non si rivelava utile neppure per quello. Da quando però Amora l’aveva presa sotto la sua ala protettrice si era rilassata, si era sentita al sicuro. La paura era divenuta dun tratto lontana perché la sua dea avrebbe impedito che si avvicinasse a loro.
Ora invece era tornata e lei non ricordava quanto fosse fredda, quanto le mani fossero umide al suo arrivo e la lingua tremolante.
“Informazioni, amica mia. Come quelle contenute in questi libri, ma io sono interessata più a ciò che potrei sentire uscire dalla tua bocca.
“Non capisco di che genere di notizia potrei possedere da potervi essere utile.”
“Non proprio su di te, ma piuttosto sulla novizia a cui sei sempre appressa. È divertente vedere come le scodinzoli dietro, sempre fedele, ma ci interessava sapere anche del padrone.”
Frida sorvolò sul vergognoso paragone, distogliendo lo sguardo. Ovvio che avrebbero aspettato fosse sola. Si chiese come avrebbero potuto lenirla in quel frangente e quando non trovò modo si decise a rispondere “Non vi dirò nulla di più di ciò che Amora non direbbe voi. Se volete sapere qualcosa andate da lei.”
“Suvvia, non fare un discorso così complicato. Ti stiamo solo chiedendo qualche innocuo pettegolezzo. La vita in questa specie di monastero di clausura è noiosa e le lingue sono le uniche cose che possiamo muovere con cattive intenzioni” le altre tre giovani risero di quella che a Frida non pareva assolutamente una battuta.
“No… non mi sembra il caso…”
“Avanti, Frida. Poche cose: il nome del suo casato, da dove viene, perché è qui.”
“Chiedetelo a lei…”
“Frida, non farmi arrabbiare. Dimmi quello che voglio e potrai a tornare a studiare per un esame che in ogni caso non supererai."
“Ma…”
“Niente ma. Dimmi quello che voglio su Amora o ne pagherai le conseguenze.”
“Cosa volete sapere su mia sorella?”
Tutte e quattro le giovani si voltarono nella direzione di quella voce squillante e apparentemente amichevole. Se quella bambina era realmente la sorella di Amora, doveva essere stata ideata dalle Norne come suo opposto. Non tanto esteriormente dato che già mostrava i semi della bellezza che stavano germogliando con vigore nella maggiore, ma piuttosto interiormente. Se Amora era l’apoteosi della compostezza e a volte anche maestra calcolatrice, la piccola che si trovavano davanti trasudava caos e improvvisazione.
Senza curarsi della differenza di statura si addentrò nella fossa dei leoni, raggiungendo il fianco di una stupita Frida, che mai aveva sentito parlare di un qualsiasi parente, cosa che aveva elevato la compagna ancora di più, sciolta come pareva da qualsiasi legame comune come quello familiare. L’esistenza di una sorella non la sconvolse come avrebbe dovuto immaginare, ma piuttosto le diede l’ennesima prova di quanto raggiungesse la perfezione tutto ciò che era a contatto con lei. Magari, ma solo magari, la stessa sorte sarebbe toccata a lei.
Le altre giovani videro solo l’ennesimo nemico giunto a rimpolpare le file avversarie, per quanto si trattasse solo di un’innocua bambina.
“Tutto ciò di cui avete bisogno di sapere potete chiederlo a me, che di certo posso rispondervi con più accuratezza. Vi avverto, però. Da me avrete solo che questo” Lorelei si voltò, alzando la gonna mostrando a tutte le mutande a mongolfiera, su cui battè una mano “Baciatemi le chiappe.”
Afferrò poi una mano di Frida, per strattonarla in una corsa che chiuse, sotto lo sgaurdo sbigottito delle tre apprendiste, con una ben folle risata e lo schianto di qualcosa di metallico; probabilmente un’armatura messa in esposizione e contro cui dovevano essersi scontrate per sbaglio.
Senza parlare dei libri che si erano trovati d’improvviso senza una base d’appoggio.



 

-§§§-



 

“Pulce! Attento!”
Thor acciuffò il fratello un attimo prima che finisse schiacciato da un carro. Il biondo sospirò sconsolato da quel suo nuovo ruolo di balia che sopportava ben poco “Possibile che tu non sappia neppure attraversare la strada.”
Loki si limitò ad alzare il mento, altezzoso, prima di riprendere a camminare.
“Ohi! Dove stai andando?” lo raggiunse il fratello, in qualche modo divertito dall’alienità del ragazzino in quel loco. Per i saloni di Asgard, per non parlare della biblioteca, si orientava come fosse parte anche lui di quelle stesse mura. Lì, invece, pareva un cieco e del cieco aveva la grazia. Quella posizione svantaggiata non gli faceva piacere, per non parlare dell’evidente bisogno che aveva della guida di Thor.
Forse quella gita non era stata la geniale idea che gli era parsa all’inizio.
Prese due vicoli a caso nel tentativo di mostrarsi almeno un minimo indipendente, per poi ritrovarsi davanti a un parco.
Thor lo raggiunge per fermarsi al suo fianco a contemplare quegli alberi più antichi della stessa Asgard “Quindi era qui che volevi venire?” domandò, stupito.
“Ovvio” mentì il fatello, prima di incamminarsi verso i primi cespugli. Non era abituato all’incredibile via vai presente fra le vie della città, la stupefacente quantità di persone che si aggirava con più o meno fretta, con o senza una meta precisa, un po’ come lui. Anche l’aria era differente, anche lei di fretta, quasi più viva, se si poteva dirlo.
Gli piacque e si chiese perché tutto quello gli fosse stato precluso fino a quel momento.
Era inverno e un lieve strato di neve ricopriva il parco. I due principi si erano muniti di pelliccia prima di lasciare il palazzo e quindi non avevano apparenti problemi di freddo; bastava tenere le mani ben nascoste sotto le ascelle e i nasi rossi nel collo del mantello.
Passeggiarono per un po’, rispondendo ai cenni di saluti della gente che per quel giorno non pareva indaffarata e preferiva fare due passi nella natura; ass anziani e giovani, coppie e non. Vi era chi portava in giro l’animale da compagnia e chi i bambini.
Vi era un’aria di quiete e allo stesso tempo di festa, fra quegli alberi. Chi non sorrideva aveva un'espressione di pace, e la cosa contagiò anche il più cupo degli Odinson quando vide uno scoiattolo volante sorvolare la loro testa.
“Seguiamolo!”
“Cosa?!” domandò confuso Thor che aveva invece studiato con interesse il fondoschiena di una giovane asynia che era passata loro di fianco da poco “Perché?!”
“Perché sì” fu la secca risposta, prima che lo prendesse per una mano e cominciassero a correre fuori dal sentiero. Inizialmente il biondo incespicò, ma poi divenne una vera propria gara. Mai il giovane e vincente Thor si tirava indietro da una sfida. Seguirono lo scoiattolo dandosi spintoni a vicenda, cercando di mandarsi fuori strata; Loki non finì contro un albero per puro miracolo, saltando rami e arbusti. La cosa divenne divertente, risero e, una volta tanto, lo fecero insieme.
“Dov’è?!” esclamò il biondo, fermandosi in un piccolo spazio pubblico con panchine e tavoli in legno “Lo vedi?”
Loki in risposta gli saltò addosso, facendolo rotolare dietro a un grosso tronco che poteva essere usato per sedersi “Aiho! Che diamine fai?!”
“Sssshhh” lo zittì il corvino, puntando poi l’indice verso uno dei sentieri che arrivava nello spiazzo; un giovane alto, biondo e vestito in verde stava chiaccherando amorevolmente con una sua coetanea. Era uno compagno d’arena dei due principi, per quanto più grande di loro di quasi mezzo secolo, e portava il nome di Fandral.
“Ma è..!” fece per saltare su Thor, soddisfatto di quell’imprevisto incontro. Loki però lo tenne fermo per il mantello “Che fai? Lasciami.”
“No. Avevi detto che saremmo stati solo noi due e hai appena iniziato a mostrarmi Asgard” gli rispose con sguardo truce il più giovane, facendogli cenno di abbassare la voce. Il biondo si morse le labbra, indeciso fra lo stare col suo petulante fratellino o andare a divertirsi con un amico.
“Hai promesso” sussurrò il cadetto, ottenendo il risultato sperato.
Thor si lasciò cadere al suo fianco e, insieme, osservarono lo spadaccino andare via con una mano posata in modo poco cavalleresco sul sedere della sua accompagnatrice.
L’erede al trono fece per iniziare un piccante dibattito su quanto fosse stato infantile e stupido quel suo gesto quando il corvino saltò in piedi: “Eccolo!”
E, di nuovo, presero a inseguire il povero scoiattolo che peccati non aveva oltre quello di essere finito nel mirino di quel giovane dagli occhi di smeraldo.
Il roditore fece lo slalom fra rami e rametti, cercando di seminarli, ma i due non demorsero, continuando a seguirlo fino a quando non si trovarono in un'enorme radura “Ah!” esclamò trionfante il corvino “Qui non avrà alberi a cui appoggiarsi per prolungare la planata” lo scoiattolo avrebbe toccato terra da lì a poco ma il fatto non sarebbe interessato a nessuno dei due fratelli.
Questo perché quell’enorme spiazzo d’estate non era una pianura, ma un lago, e il ghiaccio che si era formato era troppo sottile per sorreggere del tutto il loro peso.
 

 

“Thor!” gridò disperato il principe cadetto, mentre si inginocchiava e si sporgeva dove il ghiaccio era ceduto e aveva visto suo fratello scomparire, come risucchiato.





 




 

Note: Tutti i personaggi di questa fanfiction, a parte Frida e altri di sfondo, appartengono alla Marvel. La stessa Amora è un personaggio importante nel fumetto. Questa storia accade prima degli eventi di Thor e non avrà conseguenze su nessuno dei film.
Si ringrazia di cuore la mia prima lettrice nonché beta 
Nemainn.
Grazie per essere arrivati fin qui, vostra, L'aura Grey
   
 
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