Film > Don Camillo e Peppone
Ricorda la storia  |      
Autore: telesette    25/12/2013    4 recensioni
L'amore del Padre Onnipotente verso i propri figli, per quanto questi fossero indisciplinati, seguiva strade un po' troppo complicate da comprendere. Anche nella disperazione, quando tutto sembra precipitare in un abisso senza alcuna via d'uscita, non è tanto la Legge umana a concedere all'uomo la possibilità di salvarsi...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

***

 

Don Camillo è un personaggio letterario creato dallo scrittore e giornalista italiano Giovannino Guareschi, come protagonista ( opposto all'antagonista amico-nemico Peppone ) in una serie di racconti nei quali è il parroco di un piccolo paese in riva al Po ( nelle riduzioni cinematografiche identificato poi con Brescello, e il vicino comune di Boretto, nel quale son girate diverse scene, sebbene Don Camillo sia presentato dall'autore nella prima storia come "l'arciprete di Ponteratto" ), un ambiente che Guareschi definisce Mondo Piccolo, idealmente paradigmatico della realtà rurale italiana del dopoguerra.

 

Foto

 

Dio ama l'uomo non la sua Legge 
( immagini tratte da internet )

Palmiro Tobetti faceva il bracciante da più di quarant'anni.
Suo padre lo aveva educato a lavorare sodo, assieme ai fratelli e alle sorelle, quando questi non aveva ancora finito di mettere i denti. Tutti in paese lo conoscevano: uomo onesto, povero, serio e lavoratore, con una moglie e due figli da mantenere. Pure con una gamba zoppa, e le dita deformate dagli anni di fatica nei campi, Tobetti non si era mai preso né un giorno di malattia né lo si era mai visto girare la notte a commettere stravizi di qualsivoglia genere.
E quel mattino umido di novembre del 1947, quando lo videro entrare paonazzo e stravolto nella trattoria di Gigino Belussa, nessuno poteva anche solo lontanamente immaginare che il Tobetti avrebbe spianato un grosso fucile da caccia dinanzi ai presenti.
Il Tobetti era chiaramente fuori di sé.
Intimò il Belussa e i clienti del locale di non muoversi e di non dire una sola parola.
Belussa rovesciò accidentalmente il vino che stava versando ad un cliente, sbarrando gli occhi e sollevando le braccia, e tutti si accinsero ad imitarlo per la paura di beccarsi un colpo in fronte. Il fucile del Tobetti non era certamente un giocattolo, così come erano autentiche le cartucce che gli sporgevano dalla tasca, e dallo sguardo si capiva che l'uomo era in uno stato di tensione tale da poter commettere una strage senza neppure rendersene conto.
Nessuno sapeva ancora cosa avesse potuto scatenare un simile comportamento in un uomo mite ed irreprensibile come il Tobetti.
Meno di un mese addietro, quando il proprietario della tenuta Ermete Prosperi lo aveva cacciato dal podere perché ( a suo dire! ) "troppo vecchio e storpio per lavorare", il Tobetti si era ritrovato completamente sul lastrico e nell'impossibilità anche solo di cercarsi un'altra occupazione. Suo figlio più piccolo, di sette anni appena, si era beccato di recente una tosse coi fiocchi; il medico che lo aveva visitato pretendeva ben cinquecento lire che, allo stato attuale, il Tobetti non sapeva assolutamente come procurarsi; nessuno era disposto a fargli credito e, alla sua richiesta di un prestito per poter curare suo figlio, il direttore della banca gli aveva sputato sul volto dandogli del pezzente e dell'accattone...
Non avendo coraggio a tornare a casa, né tantomeno di guardare in faccia la moglie e i bambini, il Tobetti era penetrato di nascosto nel retrobottega del Belussa. Qui si era procurato fucile e munizioni e adesso, senza neanche rendersi conto di cosa stava facendo, minacciava di uccidere a sangue freddo dieci suoi compaesani.
Da fuori del locale, intravedendo la scena attraverso i vetri, Faustino il garzone rimontò lesto in sella alla bicicletta per correre a dare l'allarme. Circa mezz'ora dopo, davanti alla trattoria, si era radunato ben mezzo paese assieme ai carabinieri che circondavano l'edificio. Il maresciallo intimò a gran voce che il Tobetti gettasse le armi e si consegnasse spontaneamente nelle mani delle autorità.

- Andate al diavolo - ruggì l'uomo in risposta, tenendo le spalle al muro di fianco all'ingresso. - Maresciallo, mi stia bene a sentire: ora che quel porco di Prosperi mi ha licenziato, non ho più niente da perdere; se volete, potete arrestarmi... ma se provate a muovere un passo, quant'è vero Iddìo, giuro che ammazzo qualcuno!

Il maresciallo si scostò appena il berretto, per passarsi la mano sulla fronte.
Certo, potevano irrompere ed arrestarlo con un'azione di forza... ma non potevano rischiare la vita degli ostaggi.
Mentre ancora le autorità discutevano sul da farsi, dalla folla che si faceva sempre più rumorosa, improvvisamente apparve Don Camillo.
Il viso serissimo e le mani serrate sui fianchi,
il robusto parroco oltrepassò dunque la linea di sbarramento dei carabinieri, per avanzare verso il pericolo a passo deciso.

- Reverendo - esclamò il maresciallo agitato. - Non faccia sciocchezze, torni qui...

Ma Don Camillo ignorò l'avvertimento.
Giunto dinanzi alla porta della trattoria, esattamente davanti alla linea di tiro dei carabinieri pronti a sparare a vista contro il Tobetti, il prete chiamò a gran voce quello sciagurato nel tentativo estremo di farlo ragionare.

- Tobetti - esclamò. - Sono io, Don Camillo: adesso vengo lì dentro, e tu mi darai quel fucile... Bada che non accetto un "no" come risposta, ci conosciamo troppo bene!
- Don Camillo, non s'intrometta - gridò il Tobetti, stringendo ancor più saldamente l'arma, sudando abbondantemente per la paura e l'agitazione. - Io sono un uomo finito, ormai... Se esco di qui, mi ammazzano!
- Tu sei un uomo sconvolto e disperato - sottolineò il parroco. - In questo momento, puoi ancora salvare te stesso, finché le tue mani non sono sporche di sangue innocente; se premi quel grilletto contro qualcuno, diventerai un assassino e sarà davvero finita, perché verrai giudicato da Dio e non dall'uomo!
- Lei non sa niente, Reverendo - gridò ancora il Tobetti.
- So tutto quello che mi ha detto tua moglie - proseguì Don Camillo. - So della porcherìa che ti ha fatto Prosperi, così come della malattia di tuo figlio e delle cinquecento lire che t'ha chiesto quel farabutto d'un medico... E ora, cosa vorresti fare, ammazzare chi non c'entra e finire il resto della tua vita in carcere?
- Io non lo so cosa voglio - urlò il Tobetti a squarciagola, facendo rabbrividire persino il maresciallo e i carabinieri all'esterno. - Stia fermo, Don Camillo, dico sul serio!

Ormai era chiaro, il Tobetti non era consapevole delle sue azioni.
Probabilmente gli avrebbero dato delle attenuanti, sempre ammesso di riuscire prima ad impedirgli di sparare a qualcuno.

- Tobetti, ascoltami: sono solo io, i carabinieri circondano tutto il locale, non fare sciocchezze e posa per terra quel fucile!

Dal momento che non riceveva risposta, Don Camillo oltrepassò la soglia e si ritrovò davanti la canna del fucile proprio di fronte al muso. Nonostante il freddo metallo a un centimetro dalla faccia, Don Camillo non fece alcuna piega e si parò dinanzi al Tobetti col suo severo cipìglio.

- Se vuoi spararmi, fallo - mormorò. - Io posso dirti cosa puoi fare per salvarti, finché ti è ancora possibile, ma sono solo un prete... decidi tu!

Don Camillo non temeva per la propria vita, quanto piuttosto per la salvezza dell'anima tormentata del povero Tobetti. La disperazione lo aveva spinto ad impugnare quel fucile e, senza neppure conoscerne il motivo, costui stava ora rischiando una sorte ben peggiore della morte: rischiava di perdere sua moglie, i suoi figli e sé stesso... tutto nello spazio tra il cane alzato del fucile e il colpo in canna.
Improvvisamente il senno gli tornò in corpo e, con gli occhi lucidi di pianto, il Tobetti lasciò cadere a terra il fucile.
Don Camillo sollevò dunque la grossa mano robusta per stampargli una poderosa cinquina sulla guancia, così da assicurarsi che questi prendesse atto dell'idiozìa che stava per commettere, e a quel punto il Tobetti scoppiò letteralmente a piangere come un bambino.
Lo schiaffo di Don Camillo non era un gesto di violenza, bensì un atto di amore paterno verso un figlio disgraziato, e il Tobetti lo accettò senza ribellarsi. Nonostante i suoi cinquantacinque anni, e i pochi capelli grigi sulla testa scurìta dal sole, Tobetti affondò il volto in lacrime contro il petto del sacerdote. Don Camillo lo strinse dunque a sé, sentendo come proprio il suo dolore, carezzandogli la nuca con affetto. Il corpo del rude bracciante era scosso dai singhiozzi, tanto si vergognava di ciò che aveva fatto e che stava per fare, e nel pianto non faceva che chiedere sommessamente perdono a Dio dei suoi peccati.

- Dio ti ha già perdonato, figliolo - sussurrò Don Camillo convinto. - Se così non fosse, non avrebbe tolto la tua mano dal fucile... E' la prova che non ti ha mai abbandonato e che ti ama, proprio quando tu senti di non amare abbastanza te stesso!

Belussa e gli avventori, approfittando del fatto che Tobetti pareva essersi calmato, uscirono in silenzio dal locale e il maresciallo diede ordine ai suoi uomini di arrestare il reo Palmiro Tobetti per tentato omicidio plùrimo. Tuttavia, quando l'appuntato si avvicinò per mettere le manette all'uomo in lacrime, Don Camilo fulminò lui e gli altri carabinieri con un'occhiataccia.
Era un prete ma i suoi occhi erano pieni di fuoco e di collera, come se avesse raccolto su di sé la rabbia e la sofferenza del Tobetti assieme a quella di chissà quanti altri poveri disgraziati.

- Le manette non servono - sentenziò. - Quest'uomo non ha sparato, il fucile è freddo, e nessuno può mettere in galera un padre di famiglia che ha già perso tutto!
- Mi scusi, Reverendo - provò a ribattere l'appuntato. - Dobbiamo seguire la procedura, è la Legge...
- C'è forse una denuncia a suo carico?
- Reverendo, si tolga di mezzo - intervenne dunque il maresciallo stizzìto. - Quest'uomo teneva dieci persone sotto minaccia d'arma da fuoco, e ha messo in allarme l'intero paese!
- E allora ditemi CHI, tra queste dieci persone, intende sporgere denuncia contro quest'uomo ?!?

Silenzio.
La notizia dell'ingiusto licenziamento di Tobetti, così come il grave stato di salute del figlio, si era appena diffusa per tutto il paese. Belussa chinò il capo dall'altra parte, e così fecero anche gli altri "ostaggi" dello sventurato Tobetti, ma nessuno osò dire una parola per accusarlo o men che meno per condannarlo. La disperazione era motivo di fratellanza e solidarietà reciproca, tra quelle teste dure e cotte al sole che picchiava incessantemente come un martello, perciò nessuno se la sentiva di infierire oltremodo su quel poveretto e sulle sue molteplici disgrazie. L'indomani avrebbero anzi sottoscritto ciascuno una quota per aiutare il Tobetti a sostenere le spese dell'ospedale per il figlio, mettendo da parte generi alimentari per la famiglia, e dargli modo di rientrare a servizio presso qualcuno più onesto del vecchio Prosperi.
Il Tobetti si allontanò assieme al suo parroco, lasciandosi sorreggere dalle forti braccia di quest'ultimo, e al maresciallo non restò altro da fare che dimenticare l'intera faccenda come se nulla fosse successo.

***

Più tardi, riaccompagnato il Tobetti a casa propria, Don Camillo rientrò in sagrestìa e si fermò a salutare il Cristo del piccolo crocefisso accanto alla porta.

- Hai corso un bel rischio oggi, Don Camillo - lo salutò l'Onnipotente, con una nota di rimprovero nella voce. - Non hai pensato che Tobetti poteva sparare a qualcuno nel locale, ma hai preferito buttarti avanti come un toro!
- Gesù - mormorò Don Camillo, segnandosi umilmente. - Se non avessi fatto qualcosa, lo sa Iddìo quello che avrebbe fatto Tobetti con quel fucile...
- E dunque, mi stai dicendo, non ti sei sentito un po' troppo sicuro di te stesso... vero, Don Camillo?

Don Camillo tacque.
Certo non poteva negare di avere agito con una certa superbia, dando per scontato che Tobetti non premesse il grilletto, e tuttavia non sapeva davvero in quale altro modo avrebbe potuto comportarsi.

- Se Voi avete trattenuto la sua mano, Signore, come poteva il vostro umile servo fare di più?
- Chi pensi di prendere in giro, Don Camillo? Tu non hai pensato, così come non ti sei preoccupato degli altri ma solo di Tobetti; se ti fossi fermato a riflettere, ti saresti ricordato che c'erano altre dieci persone in pericolo!
- Ma Voi non lo avreste mai permesso - obiettò l'altro. - Un brav'uomo non uccide a sangue freddo, neppure per disperazione, Tobetti si sarebbe sparato un colpo in bocca piuttosto!
- Oppure sparare a te, già che c'era - osservò Gesù con sarcasmo.

Don Camillo sollevò entrambe le mani, cogliendo al volo l'ironìa.

- Se è la Vostra volontà, sempre sia fatta!
- Povero Don Camillo, sei sempre il solito sconsiderato!
- Perdonatemi Signore!

Gesù non aggiunse altro.
L'amore del Padre Onnipotente verso i propri figli, per quanto questi fossero indisciplinati, seguiva strade un po' troppo complicate da comprendere. Anche nella disperazione, quando tutto sembra precipitare in un abisso senza alcuna via d'uscita, non è tanto la Legge umana a concedere all'uomo la possibilità di salvarsi... quanto l'amore divino che, infondendo il proprio calore nell'animo afflitto, ricorda al debole la gioia e la grandezza di non essere soli al mondo.
Questo perché Dio guarda sempre oltre la Legge, secondo la Sua Giustizia, ed è questa consapevolezza di amore universale a muovere il mondo!

FINE

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Don Camillo e Peppone / Vai alla pagina dell'autore: telesette