Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: QueenRhaella    26/12/2013    1 recensioni
Un piccolo squarcio dei pensieri di Tyrion dopo il rifiuto di Tywin di concedergli Castel Granito ambientato nella 3x01.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tyrion Lannister, Tywin Lannister
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Little lion man
 
Tyrion Lannister: I want what is mine by right. Jaime is your eldest son, heir to your lands and titles. But he is a Kingsguard, forbidden from marriage or inheritance. The day Jaime put on the white cloak, he gave up his claim to Casterly Rock. I am your son and lawful heir.
Tywin Lannister: You want Casterly Rock?
Tyrion Lannister: It is mine by right.
Tywin Lannister: We'll find you accommodations more suited to your name and as a reward for your accomplishments during the battle of Blackwater Bay. And when the time is right, you will be given a position fit for your talents so that you can serve your family and protect our legacy. And if you serve faithfully, you will be rewarded with a suitable wife. And I would let myself be consumed by maggots before mocking the family name and making you heir to Casterly Rock.

 

Le parole di suo padre gli rimbombavano ancora nelle orecchie mentre si appresta a tornare nelle sue stanze. Parole d’odio. Inflessibili. Glaciali. Proprio com’era il Lord più ricco e potente dei Sette Regni. Tyrion strinse i denti e scacciò le lacrime di rabbia che malefiche gli velavano gli occhi chiari. Camminava, arrancava per meglio dire, verso la sua meta, ma nella mente pensieri infausti si susseguivano con la forza di un ciclone. Avrebbe voluto ucciderlo, quel dannato bastardo. Lo trattava come se fosse polvere sotto i suoi stivali da quand’era nato. Non aveva mai apprezzato nessuna delle sue qualità. Tyrion era astuto quanto lui. Intelligente, capace e dotto. Ma a nessuno sembrava importare alcunché. Era solo il nano, il Folletto, il demone scimmia. Mai Tyrion Lannister. Mai Lord Tyrion. E allora era stato necessario forgiare una maschera di sagacia e sarcasmo, quel ghigno di divertimento velato rivolto a tutto e a tutti. Una maschera di ferro, irriducibile e indistruttibile. Tyrion con quella maschera era divenuto un giocatore, un membro attivo del gioco dei troni. Ne era stato il protagonista soltanto poche settimane prima. La nomina a Primo Cavaliere, inaspettata quanto beneaccetta, gli aveva quasi fatto intravedere un’illusione. Prontamente delusa dalle parole dure di Tywin. Il potere era sempre stato suo. Tyrion ne aveva avuto soltanto un piccolo assaggio, ma non gli era concesso gustarne altro. E quella maschera si era sgretolata dinanzi a Lord Tywin Lannister che aveva sempre avuto tutto sotto il proprio controllo, sotto il proprio comando. E Tyrion aveva ceduto per un attimo alla sua debolezza più grande. Era caduto come il più sciocco degli infanti, come il più ingenuo e stupido ragazzino sempre voglioso di stupire e incantare il proprio genitore. Ma il suo non era un genitore qualsiasi. No. Era Tywin Lannister. E Tywin lo odiava. Era sempre stato così. Aveva ucciso Joanna, la leonessa di Castel Granito, la lady più bella, gentile e astuta che avesse mai governato la rocca. Venendo al mondo aveva disintegrato l’unica vera gioia di suo padre. E da quel giorno gli occhi verdi del Lord di Castel Granito si erano spenti per sempre. In quelle iridi chiare e screziate d’oro regnavano il gelo, l’asettico senso del potere, la più alta strategia militare. Nient’altro. Non c’era amore, non c’era passione, non c’era nulla per cui Tyrion avrebbe mai vissuto.
Ma non gli importava. Non poteva curarsi di meno degli interessi di suo padre, del suo odio insensato, di quella vendetta perpetrata per anni contro di lui.
A Tyrion oramai importava soltanto di Castel Granito. Aveva perso ogni speranza di essere accettato, di essere davvero voluto da quella famiglia ricca quanto fredda e distaccata.
Tyrion era ben consapevole di essere un leoncino monco e miserabile che vagava senza meta per un mondo che lo scherniva.
Si sentiva in gabbia, come la più abietta tra le creature.
E un animale in gabbia diveniva incontrollabile con il tempo.
Se avesse potuto, se avesse avuto meno autocontrollo, se la maschera si fosse dissolta del tutto, Tyrion sarebbe tornato a reclamare con più forza ciò che era suo e non avrebbe accettato alcuna sconfitta.
Castel Granito.
La rocca di Lann l’Astuto, di Tommen della Spada Perduta.
Casa.
 A chi l’avrebbe lasciata? A chi sarebbe andato ciò che era suo di diritto? A qualche suo cugino idiota? A quel Lancel che aveva avuto la fortuna di nascere alto, bello e biondo? Tyrion avrebbe volentieri mandato qualcuno a bruciare nel più prefondo dei Sette Inferi in quel momento. E non un qualcuno qualsiasi. No. Non si sarebbe accontentato. Non questa volta. Avrebbe voluto fare il percorso a ritroso, entrare in quelle sale che sino a pochi giorni prima era sue e sputare tutto il suo disprezzo contro il grande Leone di Lannister.
Dirgli quanto era stato sciocco nel pensare di poter davvero credere che si sarebbe nascosto come uno struzzo sotto la sabbia per la vergogna di non essere guardato.
Dirgli che meritava quel titolo più di Jaime, che l’aveva abbandonato per divenire il cavaliere delle favole, più di Cersei, che non aveva buonsenso e che si lasciava catturare dall’ira e dalla gelosia, più di chiunque altro.
Ruggire di rabbia come il leone che era davvero.
Ma Tyrion non tornò mai indietro.
La vendetta, si disse, andava servita fredda. 
  
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