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Autore: psychoE    26/12/2013    3 recensioni
Cercava la soluzione per essere felice, ma le sue speranze per lei erano quasi nulle.
Tutto ciò la rendeva triste, una ragazza triste e sola.
Lei era Ellie.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A sad and lonely girl.
Lei voleva solamente essere come gli altri, o meglio, trovare qualcuno come lei.
Ci provava cercando di socializzare con i suoi coetanei, ma loro continuavano a respingerla.
Non era una brutta ragazza, anzi. Era mora e aveva gli occhi verdi: caratteristiche speciali per una ragazza americana. Aveva i tratti mediterranei, i suoi genitori erano italiani. Era sempre pallida, non amava immergere la faccia nella cipria, fard o terra che fosse. Si limitava ad un velo di trucco sugli occhi, adorava metterli in risalto.
Era di Coopersburg, in Pennsylvania. Una cittadina piccola, ma con abbastanza persone talmente maligne da aver iniziato a logorarla dentro fin dai dodici anni, quindi da ben otto anni.
La sua migliore amica continuava a dirle di non dare troppo peso al giudizio delle persone, ma lei proprio non ci riusciva.
Invece si sentiva male quando era insieme alle sue 'amiche', si sentiva diversa. A lei sarebbe piaciuto poter andare in skateboard, avrebbe voluto tingersi i capelli di mille colori diversi, andare in giro con calze strappate. Per non parlare dei suoi gusti musicali. Non li aveva mai rivelati a nessuno, se non alla sua migliore amica, con cui li condivideva. Metal, punk, rock. Tutti generi strambi per gli altri.
Invece, era davanti ad un vicolo cieco che la costringeva a vestirsi con jeans strettissimi e maglie scollate tanto da rischiare di prendere una polmonite. Questo solamente per non essere giudicata.
Ma era arrivata ormai al punto di non riuscire più a sopportare quella vita, lei voleva cambiare, voleva essere sé stessa.
Ci provò, un giorno, ma fallì. Uscì di casa con un maglione pesante, shorts e calze rovinate da buchi, converse basse e il suo skateboard, ma tutto ciò che ottenne furono risate da parte di chi la vedeva passare. E lei stette molto male per quello, voleva essere sé stessa ma allo stesso tempo essere accettata da tutti, o almeno da qualcuno. Solo la sua migliore amica riusciva a capirla, ma a lei non importava del giudizio altrui.
Molti ragazzi l'avevano voluta, finché non si accorsero di cos'era veramente. Dopo qualche mese di relazione pensava di potersi aprire con il proprio ragazzo, che allora considerava serio, ma lui la rifiutò per quel che era.
I suoi genitori non si erano accorti di questo malessere, non riuscivano a vedere oltre il loro naso.
Lei gli dava molte soddisfazioni andando bene a scuola, a loro bastava questo per pensare che la propria figlia stesse bene.
Cercava la soluzione per essere felice, ma le sue speranze per lei erano quasi nulle.
Tutto ciò la rendeva triste, una ragazza triste e sola.
Lei era Ellie.


#1
 
Era un caldo e afoso pomeriggio d'estate, il 25 di Agosto del 2003.
Me ne stavo sulla terrazza, ascoltando Fade To Black dei Metallica sullo stereo. Il vento mi scompigliava i capelli, il sole picchiava abbastanza forte e stranamente lo stavo sopportando nonostante la mia pelle chiara non ci riuscisse più di tanto.
Stavo con gli occhi chiusi, facendo attenzione a non addormentarmi altrimenti mi sarei svegliata con una bella scottatura.
“Tesoro, puoi venire giù?”
Era la voce di mio padre, mi affrettai a spegnere lo stereo e a scendere le scale.
C'era anche mia madre e la loro faccia non prometteva nulla di buono.
Qualche mese fa mi parlarono di un possibile trasferimento per colpa del lavoro di mio padre, infatti iniziai subito a pensare al peggio.
Avevo una teoria sul mio pessimismo.
Se avessi pensato al peggio e in seguito sarebbe accaduto veramente, sarei stata meno male rispetto a se avessi pensato al meglio.
Un ragionamento un po' contorto, ma ormai vivevo così, non avevo ragione per essere ottimista.
Dopo essermi fatta questo veloce ragionamento, i miei aprirono finalmente bocca.
“Siediti, dobbiamo parlare.”
Annuii e non tardai a farlo, l'ansia mi stava praticamente divorando.
“Tua madre ed io abbiamo deciso di trasferirci a Tijuana, ma dato che è troppo pericolosa e tu devi iscriverti ad una buona università, resterai dalla nonna che abita ad Huntington Beach, in California.”
“Ma ho venti fottutissimi anni!”
“Quando sarai maggiorenne potrai venire con noi”
Ero scioccata. Trasferirmi sarebbe voluto lasciare tutto, o meglio, niente se non Denise, la mia migliore amica.
“Ellie, so che sarà difficile per te ma tuo padre deve lavorare laggiù, non possiamo fare altrimenti. Forza, vai a preparare la tua roba, partiamo domani”
“Quando avevate intenzione di dirmelo? Direttamente un'ora prima di partire?! Dannazione a voi!” imprecai, salendo in camera mia.
Mandai velocemente un messaggio a Denise con scritto dell'accaduto e chiedendole di raggiungermi il prima possibile.
Proprio quando stavo mettendo i vestiti dentro delle enormi scatole di cartone, la sentii entrare dalla finestra.
Non ci pensai due volte a farmi abbracciare.
Quanto mi sarebbe mancata. Quella era una vera e propria ingiustizia.
Lei era l'unica al mondo che mi capiva, mi sosteneva e mi faceva sentire bene anche nelle peggiori situazioni. Non ci conoscevamo da tanto, solamente due anni e mezzo, ma fin dal primo giorno in cui ci siamo viste sentii che di lei potevo fidarmi ciecamente.
C'eravamo innamorate della stessa band, i Pantera, una volta andammo ad un loro concerto insieme. Fu il giorno più bello della mia vita, ci rimanemmo veramente male quando si sciolsero l'anno stesso.
Quasi ogni giorno uscivamo per Coopersburg, adoravo stare con lei. Era tutta una risata, ma sapevamo anche fare le serie. Se qualcosa mi andava male, sapevo che da lei avrei potuto trovare conforto.
Stavo morendo dentro al solo pensiero di lasciarla lì, scoppiai in lacrime appena la strinsi maggiormente.
“El, non piangere, altrimenti piango anche io” mi mormorò con voce tremante.
Ma alla fine era impossibile non farlo, non volevo abbandonarla.
“Appena trovo i soldi giuro che vengo a trovarti e passeremo le giornate a fare cazzate nello stile californiano” continuò tirando su col naso.
Una volta c'eravamo promesse che saremmo state sempre insieme, ma questi eventi ti spezzavano il cuore in men che non si dica.
Il vuoto dentro di me stava aumentando, senza di lei avevo paura che non sarei più riuscita a controllarlo.
“Non voglio rimanere sola” piagnucolai.
“Infatti non succederà, sono sicura che là c'è gente diversa e ti farai un sacco di amici strafighi, ti troverai il ragazzo e ovviamente lo troverai anche a me!”
Lei era perfetta, era riuscita a farmi ridere un'altra volta, nonostante quello che stesse succedendo.
“Andiamo, ti aiuto” disse asciugandosi qualche lacrima ed iniziando a prendere le mie cose.
Quando la stanza fu vuota, mi sentii peggio di prima.
Lì c'ero vissuta, ben diciotto anni dentro quella camera, ne avevo passate di tutti i colori.
Quella notte dormii con lei al mio fianco, chissà quando l'avrei rivista.
La mattina dopo passò troppo velocemente, la dovetti salutare con le lacrime agli occhi.
 
Tre fottutissime ore in aereo e già mi trovavo in California, più precisamente all'aeroporto di Los Angeles. Quaranta minuti in auto e fummo davanti a casa di mia nonna, che mi aspettava sull'uscio.
Non parlai durante tutto il viaggio, nonostante i miei cercavano invano di tirarmi su il morale.
Scesi dal veicolo e l'andai a salutare, era veramente felice di vedermi, ma la cosa non poteva essere ricambiata.
Mio padre scaricò tutti i miei scatoloni in casa, poi andò verso di me con mia madre.
“Vedrai che andrà tutto bene, ti verremmo a trovare appena potremmo.”
Non gli risposi, loro mi abbracciarono ma io non ricambiai, mi limitai a fare un cenno e a tornare in casa, accompagnata da mia nonna.
“La mia bellissima nipotina, com'è cresciuta!” esordì pizzicandomi le guance.
Mi sforzai a fare un sorriso, per poi portare le mie cose al piano di sopra.
Chiesi indicazioni per la mia camera e dopo averla trovata iniziai a disfare le valige.
Le pareti erano verde pastello, non male come colore. Il pavimento, invece, era ricoperto da una morbida moquette bordeaux.
Era successo tutto troppo in fretta, mi mancava Denise, non potevo negarlo. Magari, però, sarebbe stata un'occasione per cambiare, o comunque per provarci.
Però, ancora non accettavo che i miei avessero preso una decisione così importante senza neanche chiedermi un minimo di parere.
Tirai fuori alcuni dei miei preziosi vinili e cd, e li sistemai su alcuni scaffali, per ordine di uscita.
Dato che però vi era uno strato di polvere immenso, scesi le scale per chiedere a nonna uno straccio bagnato, ma invece di lei trovai due ragazzi.
“E voi due chi cazzo siete?” dissi allarmata.
Loro si voltarono, alzando le mani in segno d'innocenza e in quel momento entrò mia nonna.
“Ellie, tesoro, qualcosa non va?”
“V-Volevo qualcosa per pulire la mia camera” risposi scrutando i due che ricambiavano lo sguardo.
La differenza di altezza nei due era la prima cosa che avevo notato. Uno sarà stato sul metro e novanta, capelli neri con una strana pettinatura, un ciuffo cadeva visibilmente sul suo viso, mi chiesi come facesse a non dargli fastidio. Subito dopo notai i suoi occhi azzurri, mi sorrise.
L'altro aveva un fisico da paura, anche lui capelli neri ma un poco più lunghi rispetto a quelli dell'amico e dannatamente spettinati, e occhi castani. Entrambi erano ricoperti di tatuaggi.
Avrei giurato di averli già visti da qualche parte.
“Prendi questo” continuò porgendomi uno straccio.
“Grazie”
Mentre stavo per girare i tacchi, la sua voce mi fermò.
“Tesoro, perché non vieni a fare merenda con questi due bei ragazzotti? Avete molte cose in comune!”
Non risposi e andai nella mia camera, chiudendo la porta, che venne però riaperta dopo pochi minuti.
“Hey!”
“Non ti hanno insegnato a bussare?”
“Volevo solamente chiederti se ti va di uscire per Huntington Beach, tua nonna mi ha detto che sei nuova di qui e-”
“Non mi interessa, grazie.” risposi, voltandomi per guardarlo.
La sua faccia era lievemente dispiaciuta, ma comunque iniziò a vagare per la stanza notando tutti gli scatoloni.
“Vuoi una mano?”
“Ne ho già due”
“Che acidume” fece, non ascoltandomi e sollevando uno dei cartoni contenenti il resto dei cd. Ne estrasse uno, “Project 1950” dei Misfits – regalatomi da Denise -.
“Jimmy!” urlò, chiamando supposi il suo amico che arrivò in un attimo.
“Guarda! I Misfits!”
L'altro spalancò gli occhi e fece un sorriso a trentadue denti.
“Attento a non sbavare” sputai acida, alzandomi dal letto per riprendere il mio cd.
Nonostante fossi felice che qualcuno lì ascoltasse quella fantastica band, mi irritava che due sconosciuti toccassero i miei oggetti.
Ma il tipo dai capelli spettinati probabilmente non ci arrivò, infatti continuò ad estrarne uno ad uno, ma si bloccò davanti al vinile di “Piece of mind” degli Iron Maiden, iniziando ad indicarlo e fissandomi sconcertato.
“Dimmi dove l'hai trovato, ti prego, lo cerco da un sacco!”
“Me l'ha mandato mio zio dall'Inghilterra”
Lui lo ripose accuratamente, probabilmente ascoltava quella band.
“Bene, adesso potete andarvene, nessuno ha chiesto aiuto a nessuno” dissi spingendoli entrambi verso l'uscio.
“Oh andiamo, sei appena arrivata! Ti portiamo a visitare Huntington Beach”
“Ho detto di no.”
“Come vuoi. Oh cazzo!” fece indicando uno degli scatoloni.
Mi voltai per vedere quale fosse il problema, ma presto mi ritrovai capovolta messa a mo' di sacco di patate sulla schiena del tipo più basso dei due.
“Lasciami subito giù o mi metto a gridare”
“Grida quanto ti pare, tua nonna è d'accordo con noi e l'unico che potrebbe sentirti è il mio culo.
“Vaffanculo!”
Mi portò in cucina, davanti a mia nonna.
“Signora, la portiamo a fare un giretto, spero non le dispiaccia!”
“Ma figuratevi! Buona giornata, ciao Brian! E salutami Jimmy, che a quanto pare è già andato in macchina. Ciao anche a te Ellie!”
Ormai avevo perso le speranze, così la salutai guardandola sempre al contrario – vista la mia posizione – e mi ritrovai presto dentro l'auto dei due.
“Questo è un sequestro” mugugnai, cercando di uscire. Porte bloccate.
“Nah, è incitamento ad uscire di una ragazza acida e frustrata!” intervenne quello che identificai come Jimmy.
“Io non sono acida, né tantomeno frustrata” risposi decisa.
“Beh, non si direbbe dal tuo comportamento...Ellie”
“Ascolta, solamente ieri i miei mi hanno detto che ci saremo trasferiti qui e non ho avuto libertà di scelta, ho dovuto lasciare tutto a Coopersburg. Con che fottutissima voglia dovrei voler uscire per questa città del cazzo?”
“Hey, hey, hey. Ragazzina frustrata, questa è tutt'altro che una città del cazzo. E te lo dimostreremo.” fece deciso l'altro, Brian.






//Questa è la mia prima fanfiction sui Sevenfold. Spero che almeno questo prologo vi piaccia, fatemi sapere con una recensione! :)
  
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