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Autore: neverenough    26/12/2013    4 recensioni
– Katniss... resta con me... – sussurra di nuovo, chiudendo definitivamente gli occhi.
– Perdonami... ma non posso.
Altre lacrime lasciano i miei occhi mentre dei singhiozzi iniziano a scuotermi il corpo.
Questa è davvero la fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Sae la zozza
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Escape

Metto dell’altra legna ad ardere sul fuoco. Fuori è buio da un pezzo e la notte porta con sé il gelo, oltre agli incubi che non se ne andranno mai.
Poggio l’ultimo ceppo sul fuoco, facendo attenzione a non ustionarmi. Mi è bastato avere quel nomignolo, vedere terre e pareti scosse dai bombardamenti, e vedere Prim ardere tra le lingue di fuoco che non si estingueranno mai su di lei.
Mi allontano dal camino di colpo, arretrando a terra fino a toccare il divano con le spalle. Quelle immagini le rivedo ogni notte, ogni volta che chiudo gli occhi, ma anche adesso le vedo, a occhi aperti.
Lei che urla. Lei che si dimena nel calore prodotto dal fuoco. Lei che si accascia a terra stremata. I suoi occhi senza vita.
A quello che ho visto io, si aggiunge la vista di persone che sono solo fantasmi del mio inconscio. Un gioco sadico ma masochista, poiché provocato dalla mia stessa mente.
– Katniss? – mi sento chiamare e immediatamente mi volto. Sae mi guarda preoccupata e ha una mano poggiata sulla mia spalla. Non me ne sono nemmeno resa conto. – Stai bene?
Annuisco, distogliendo lo sguardo. – Sì, è stato solo...
– Buonasera – irrompe una persona nella stanza. So già chi è e ho paura a voltarmi.
– Ciao Peeta. Oh, grazie. Il pane stava appunto finendo – Sae rivolge tutta la sua attenzione a lui e non nego che la cosa mi da’ sollievo. Ho sempre fatto fatica a esprimere i miei pensieri, figuriamoci descrivere quello che provo ogni volta che Prim muore davanti ai miei occhi.
– Lo immaginavo – ribatte Peeta con un finto tono allegro. È sempre stato bravo a far credere alle persone quello che voleva, persino che sia di nuovo lui. Sono l’unica a non dimenticare mai che il vero Peeta, il mio Peeta, non c’è più. Che Snow me l’ha portato via.
È vero. Apprezzi una cosa solo quando la perdi. Ed io me ne sono accorta quando era già troppo tardi.
– Katniss vieni a tavola, è pronto – m’invita Sae. Osservo incantata le lingue del fuoco per qualche altro secondo, poi vado a sedermi a tavola.
Peeta si siede vicino a me solo dopo aver finito di fellare il pane. Ha le dita sporche di colore e la maglia a mezze maniche che indossa è lievemente sporca di farina. Non è difficile capire cosa fa durante il giorno o la notte, ma cosa gli passa per la testa è quello che più vorrei capire e correggere. Ma persino il gioco “Vero o falso?” sembra sospeso.
Da quando tutto è finito, le cose sono cambiate molto. All’inizio gli episodi erano frequenti, soprattutto se in giro c’ero io. Adesso, invece, se si manifestano Peeta riesce a contenerli o a gestirli, almeno in parte. Ma non sempre ci riesce senza stringere tra le mani qualsiasi cosa gli capiti a tiro.
Stasera è particolarmente tranquillo ma, come me, non sembra avere fame. Gira e rigira la forchetta nel purè di patate, mandandone giù un boccone ogni tanto.
Sae ci osserva in silenzio ed io non posso fare a meno di odiarla. È come se ci fosse ancora una telecamera che ci riprende, pronta a smascherare da un momento all’altro il nostro idillio. O meglio il mio finto amore per lui. Ma è ancora così?
Il fagiolino che stavo ingoiando mi si blocca in gola quando i miei pensieri si riversano sui miei sentimenti. Amo Peeta? L’ho mai amato?
Le parole di Finnick risuonano nella mia testa:

– È che quando ti ho incontrata non capivo. Dopo i tuoi primi Giochi, pensavo che tutta la tua storia d’amore fosse una commedia. Ci aspettavamo tutti che avresti ripetuto quello stesso schema. Ma è stato quando Peeta ha colpito il campo di forza ed è quasi morto che...
– Che... cosa?
– Che ho capito di averti giudicato male. E che lo ami davvero. Non so dire in che modo. Forse non lo sai nemmeno tu. Ma chiunque vi faccia attenzione, si accorgerebbe di quanto ti importa di lui.


E se aveva ragione? Se in realtà mi sono già innamorata di Peeta ma ero troppo presa a salvarmi la pelle?
Il suono di una posata che cade a terra mi fa risvegliare dal mio stato di trans.
Sae spunta da sotto il tavolo e si alza per lavare il cucchiaio che ha fatto cadere. Presto mi rendo conto che è lievemente agitata: i suoi movimenti sono veloci, mentre il suo sguardo continua a puntarsi sull’orologio che ha al polso.
– Se hai qualche impegno non preoccuparti – dico attirando l’attenzione su di me.
Sae mi guarda interdetta, poi scuote la testa. – No, non ho nessun impegno. Temo che con questo tempo possa venire a nevicare e non voglio che mia nipote resti da sola a casa. C’è sua madre ma è sempre stanca quando torna nel tardo pomeriggio.
– Beh, è sicuro che presto verrà a nevicare. Le nuvole non promettevano niente di buono già questa mattina – dice Peeta.
Annuisco. – Se devi andare non ti trattenere. A lavare i piatti ci penso io.
Sae sposta lo sguardo da me a Peeta perplessa. Alla fine sospira. – Posso fidarmi di voi? – chiede, ma so qual è la vera domanda che sta rivolgendo a me.
Muovo impercettibilmente la testa su e giù e lei capisce. – E va bene. Ci vediamo domani, ciao ragazzi – sorride appena e mi lancia un’ultima occhiata, prima di andare via.
Capisco la preoccupazione che Peeta possa avere un episodio violento e credo che Haymitch l’abbia messa in guardia dal lasciarmi sola con lui. Effettivamente, questa è la prima volta che siamo davvero da soli da quando è finita la guerra.
Passiamo diversi minuti in silenzio e, quando capisco che il mio corpo non vuole calorie, mi alzo e porto il piatto nel lavello, svuotandolo prima nel secchio in cui ci sono gli avanzi. Poco dopo, Peeta mi affianca con il suo piatto e me lo porge.
Evitando i suoi occhi come faccio sempre, lo prendo e faccio gli stessi movimenti meccanici, mentre sento il suo sguardo bucare la mia schiena. Apro l’acqua del lavandino e sento i suoi passi, ancora irregolari, allontanarsi.
Vado verso il tavolo e metto tutte le posate e i bicchieri nel lavello. Peeta si è fermato vicino al tavolo e continua a fissare i miei movimenti.
Prendo l’ultimo oggetto che è sul tavolo distrattamente. Sto per girarmi quando la sua voce mi blocca. – Cosa c’era nel cibo? – chiede.
Stringo l’oggetto e lo guardo. Tiene fisso il suo sguardo verso la mia mano. I muscoli delle braccia sono tesi come un arco, mentre le unghie affondano nei suoi palmi.
E adesso mi rendo conto di un particolare che ho ignorato: lo stesso Peeta non è mai voluto rimanere da solo con me, ma oggi ha convinto Sae ad andarsene. Ingoiava anche faticosamente quello che portava alla bocca, e poi restava immobile a lungo prima di tornare a girare la forchetta nel cibo. E si è seduto accanto a me, cosa che non ha mai fatto. Ho ignorato i suoi segnali e ciò mi lascia pensare che già prima di arrivare qua ha avuto un episodio che non è terminato. Vuole solo uccidermi.
– Peeta... – sussurro avvicinandomi di poco a lui, con la sola conclusione di spaventarlo. Quasi mi salta addosso e mi spinge violentemente contro il muro, afferrando i miei polsi.
– Me la pagherai, maledetto ibrido – dice digrignando i denti. Lo guardo negli occhi e mi pento di aver evitato il suo sguardo per tutta la sera. Avrei sicuramente notato le sue pupille dilatate.
Fa scivolare un mio polso verso l’altro sulla mia testa, afferrandoli con una mano sola. Sento che le sue dita scivolano sul palmo di una delle mie mani e sfila qualcosa da essa.
Sto per guardare in alto e capire che oggetto avevo ancora con me, quando qualcosa di freddo tocca la mia gola. Il coltello con cui ha tagliato il pane, ecco cosa avevo preso distrattamente e cosa ha scatenato la sua furia omicida.
Lo preme dolorosamente contro il mio collo. – Hai ucciso la mia famiglia! Tu e il tuo ragazzo!
Il ricordo di Gale mi fa contorcere lo stomaco e m’irrita, ma ribattere non servirebbe a nulla. – Non è reale... – sussurro sperando che ci sia ancora un minimo di razionalità in lui.
– E invece lo è! – urla. – Hai fatto bombardare il distretto e loro sono morti! Sono tutti morti!
Chiudo gli occhi. Non posso dire che ha torto. Hanno bombardato il distretto a causa mia, hanno ucciso a causa mia. – Vero – sussurro anche se non ha fatto alcuna domanda. – È stata colpa mia e della mia freccia.
La presa sui miei polsi si stringe in una morsa dolorosa.
Sono stanca di lottare per poi perdere tutto. Sono stanca di sperare in un qualcosa che non avverrà mai. Sono stanca di vivere.
– Tutti morti, tutti! Per colpa tua non ho più nessuno! – urla di nuovo.
Chiudo gli occhi e un piccolo e triste sorriso mi si forma sulle labbra. A quanto pare, io per lui non valgo più niente. Non sono più nessuno da quando è stato depistato. Finalmente ha avuto il coraggio di dirmelo in faccia, anche se è vittima di un episodio.
Il suo respiro pesante aleggia nella stanza insieme allo scoppiettio del fuoco, che si fa sentire ogni tanto. Sembra che aspetti una mia risposta ma non voglio aprire gli occhi. Li sento bruciare e piangere non aiuterebbe. Non voglio mostrarmi debole... voglio solo che lui ponga fine a tutto questo per sempre. Forse nel riposo eterno avrò un po’ di quella pace auspicata dalla prima mietitura.
Le sue mani iniziano a tremare mentre il ferro contro il mio collo inizia ad allontanarsi di poco. Fa meno male adesso ma non è quello che volevo.
Apro gli occhi e lo guardo. Si sta mordendo a sangue il labbro inferiore mentre i suoi occhi sono puntati sul mio collo, ancora sfiorato dal coltello.
Sta combattendo contro se stesso, contro chissà quale visione in cui uccido qualcuno.
Muovo le braccia nel tentativo di liberarmi dalla sua morsa ma se ne accorge e riavvicina dolorosamente il coltello contro il mio collo.
Aspetto qualche secondo ma ancora niente. Ancora non si decide a porre fine alla mia vita e a quegli incubi che continuano a perseguitarlo a causa mia.
– Che cosa aspetti? – chiedo infine. Aspetta forse il mio consenso?
Mi guarda negli occhi spaesato, prima di urlarmi contro di stare zitta.
– Fallo – dico senza distogliere lo sguardo. Le sue pupille di allargano e si restringono velocemente mentre un piccolo rivolo di sangue inizia a uscire dal suo labbro. – Fallo! – urlo.
– Tu... Tu vuoi morire. Vero o falso? – La sua voce trema e sembra aver perso tutta la sicurezza.
Abbasso la testa, sfiorando la lama anche con il mento. – Vero – sussurro mentre sento la guancia bagnarsi lievemente. Si tratta solo di avere coraggio, ed io non sono riuscita a trovarlo per finirmi con le mie stesse mani.
Il suono del metallo che cade sul pavimento rimbomba nella cucina. Lo guardo con gli occhi ormai gonfi di lacrime.
Tremante, lascia andare i miei polsi e si allontana. Le sue pupille continuano a dilatarsi e restringersi. Sta lottando. Sta lottando per salvarmi da se stesso, ma io non voglio. Non voglio essere salvata.
Muovo un passo verso di lui, con la sola conclusione di allontanarlo di più.
–Stammi lontana. Katniss stammi lontana! – urla e indietreggia ancora. Sbatte la gamba buona contro una sedia e cade a terra.
Mi avvicino e m’inginocchio vicino a lui. Vorrei afferrargli la mano e tranquillizzarlo, ma non ha un episodio così violento da quando eravamo in missione.
– Katniss ti prego. Stammi lontana... – sussurra senza smettere di tremare.
– Non posso starti lontano. Sei tutto ciò che mi resta – dico.
Sta per dire qualcosa, quando le pupille si dilatano di nuovo completamente. Urla e si porta le mani alle orecchie, rannicchiandosi contro se stesso. – Va via! – urla.
Sta ancora tentando di proteggermi, nonostante tutto. Ma Haymitch aveva ragione: non lo merito.
Altre lacrime scendono lungo le mie guance. Perché? Perché sono ancora qui?
Peeta m’implora ancora di andarmene, di lasciarlo solo a calmarsi. Non riesco a vederlo ancora in questo stato.
Vado nel mobile delle medicine e prendo una siringa con del liquido trasparente dentro. È un potente sonnifero che Haymitch mi ha dato quando Peeta è tornato. Per tirarmi fuori da episodi come questo. Ma in realtà voglio che Peeta abbia un sonno tranquillo.
Mi avvicino di nuovo a lui e gli conficco l’ago nel braccio, iniettando velocemente il liquido.
Peeta urla e poi mi spinge via, facendomi sbattere la testa contro il tavolo. – Che cos’hai fatto!? – urla ma si capisce che le forze lo stanno già abbandonando. – Che cos’era!?
– Un sonnifero – rispondo. – Hai bisogno di dormire.
– Era veleno! Sei un lurido ibrido! – urla di nuovo e tenta di colpirmi, senza successo. Si accascia al suolo, vicino alle mie gambe.
Cerca di tenere gli occhi aperti e li punta su di me. Le pupille sono tornate normali e quel blu brillante, in cui rischio di perdermi, sembra quello di una volta.
Mi avvicino e gli alzo la testa, poggiandola sulle mie gambe. Inizio ad accarezzargli la fronte e a giocare con i riccioli biondi, mentre tutti i suoi muscoli tesi iniziano a rilassarsi.
I suoi occhi sono ancora puntati su di me quando sussurra: – Tu volevi che io ti uccidessi. Vero o falso?
Non rispondo inizialmente. Dirgli la verità potrebbe farlo stare peggio. – Voglio porre fine alla mia vita. Tutto finirà per sempre e tu potrai andare avanti con la tua vita. Non ti ho mai voluto fare del male, eppure te l’hanno fatto per distruggere me.
– Non è stata colpa tua...
– Si invece. Se non avessi accettato quell’incarico, probabilmente tu saresti te stesso.
– Katniss... – sussurra riuscendo a stento a tenere gli occhi aperti. – Non ho più nessuno se non te. Ti prego...
– Andrai avanti – sorrido mentre un’altra lacrima percorre la mia guancia. Non faccio in tempo ad asciugarla che cade sulla sua guancia.
– Katniss... resta con me... – sussurra di nuovo, chiudendo definitivamente gli occhi.
– Perdonami... ma non posso.
Altre lacrime lasciano i miei occhi mentre dei singhiozzi iniziano a scuotermi il corpo. Questa è davvero la fine.

Ho accarezzato per ore il viso di Peeta. Alla fine, gli ho poggiato la testa su un cuscino e gli ho messo una coperta sul corpo per fargli sentire meno freddo. È così tranquillo in questo momento, e probabilmente era da tempo che non dormiva così profondamente.
Mi meraviglio che Haymitch non sia corso qui dopo le urla, ma forse era troppo ubriaco per sentirle.
È da diverso tempo che io, invece, sto giocando con il coltello che mi è stato puntato alla gola. Sto pensando al modo più veloce per andarmene da questo mondo, ma non credo ci sia molta scelta.
Il taglio secco sulla gola potrebbe crearmi problemi, soprattutto se le mie mani iniziano a tremare come le mie gambe in questo momento.
Potrei affogarmi nella vasca da bagno al piano di sopra, ma non si può dimenticare del mio istinto di sopravvivenza, che mi porterebbe a risalire a galla non appena la riserva di ossigeno termina.
Potrei lasciarmi cadere nel vuoto, ma le case e gli alberi non sono abbastanza alti perché sia sicuro che io muoia sul colpo.
Non ho armi, a parte il mio arco (non riuscirei mai a scoccare una freccia contro me stessa) e i coltelli della cucina.
Quando riesco a trovare un buon modo per andarmene da questo mondo, il sole si sta alzando nel cielo e illumina i riccioli biondi di Peeta. Probabilmente mancherei a lui e a una manciata di persone, ma tutti possono andare avanti senza di me. Forse vivranno anche meglio.
Accarezzo un’ultima volta il viso di Peeta, poi mi avvicino a lui, lasciandogli un bacio sulle labbra. – Perdonami – sussurro.
Mi alzo e inizio a salire le scale, intonando la canzone dell’albero degli impiccati. Ricordo mio padre, Prim e tutte le persone che sono morte. Tutte quelle che ho ucciso o che sono morte per colpa mia.
Mi dirigo nel bagno della mia camera e chiudo a chiave la porta, il coltello ancora stretto nella mia mano. Con il manico, rompo lo specchio sopra al lavandino prima che possa avere la possibilità di vedere il mio riflesso, poi mi sdraio nella vasca.
Il momento è arrivato e spero che prima dell’arrivo di Sae tutto sia già finito. Peeta dovrebbe dormire almeno fino a mezzogiorno e Haymitch... beh, di lui non c’è da preoccuparsi.
Mi scopro le braccia, osservando le cicatrici che non se ne andranno mai e quella pelle che non è mia, quella che mi ha reso un ibrido. Non si è ancora confusa completamente con la mia di pelle.
Traccio con la lama del coltello una lunga linea che copre metà braccio, facendo attenzione a prendere le vene più visibili. Il sangue scorga immediatamente, sporcandomi. Fa male ma non importa. Ripeto lo stesso gesto sull’altro braccio e sento molto più dolore. La presa sul coltello è stranamente difficile. La testa inizia a girarmi poco dopo. Appoggio la testa contro un bordo della vasca, stringendomi le braccia al petto.
Questa è la fine. I rimorsi, i risentimenti, il dolore per le perdite subite. Tutto questo forse potrà essere risanato grazie alla morte e, forse, mi sentirò finalmente sollevata da quel macigno che mi porto sul petto.
Chiudo gli occhi mentre altre e altre lacrime mi attraversano il viso. Ho sempre cercato di essere forte e sono cresciuta in fretta per dare sostegno a mia madre e a Prim. Le emozioni le avevo già allora messe da parte. Con gli Hunger Games e poi la guerra, mi sono trovata a calpestare qualsiasi tipo di sentimento che non riguardasse la mia vendetta verso Snow. E dove sono arrivata?
Non mi è rimasto più nessuno, se non gli ibridi che invadono i miei sogni e i fantasmi che popolano casa mia quando sono sola.
Odio tutto questo. Odio me stessa. Odio chi mi ha utilizzato come pedina dei suoi giochi.
Non ha senso continuare.
E mentre nella mia mente affiorano i mille motivi per cui non merito di vivere, le mie forze diminuiscono sempre di più, fino a che anche i miei occhi non vedono che l’oscurità.
Me ne sto andando.
– Katniss! – sento delle urla sbiadite, in lontananza. Dei colpi accompagnano quella voce, che pronuncia il mio nome.
No... voglio il vuoto, il nulla. Nessuno può intromettersi con questo. Nessuno deve privarmi dell’ignoto.
Sento qualcosa sfiorarmi le guancie e scuotermi.
Non voglio aprire gli occhi, non voglio vedere.
Sento qualcosa toccare il mio collo. È un liquido che arriva a sfiorarmi la spalla e che mi fa rabbrividire.
Tre parole iniziano a invadere la mia mente: – Resta con me.
Poi il vuoto.

Lentamente, apro gli occhi. La testa mi gira lievemente e sento uno strano peso sulla mia mano sinistra. Nella stanza aleggia un continuo e fastidioso ticchettio che mi sta rompendo i timpani. Tutto ciò che vedo, è un soffitto bianco. Dove sono?
Sposto lievemente la testa, lì dove sento il peso sulla mia mano. Presto mi rendo conto che non è un peso, ma è un’altra mano che ha le dita intrecciate con le mie.
Peeta sta dormendo in una posizione alquanto scomoda, ma la sua mano è stretta alla mia. Questo implica solo una cosa.
Sono ancora viva.
Ripunto lo sguardo sul soffitto e una lacrima mi varca la guancia.
– Spero tu abbia avuto un bel risveglio. – La voce di Haymitch suona irritata. Mi volto alla mia destra, trovandolo seduto comodamente su una poltrona con le braccia incrociate sul petto. – Hai intenzione di dirmi cosa ti è preso o continuerai a fissarmi?
– Non si erano capite le mie intenzioni? – chiedo con un filo di voce, sentendo la gola raschiare.
– Si erano capite perfettamente – dice gesticolando con le mani. Non è ubriaco e capisco velocemente che non beve da qualche giorno.
Annuisco voltando di nuovo lo sguardo al soffitto.
– Ma come il solito, hai pensato solo a te stessa. Se questo non è egoismo – continua.
– Haymitch...
– Non ti azzardare a dire niente! – dice tenendo il tono della voce bassa. Penso che non voglia svegliare Peeta, ma il suo respiro non è più regolare come quando dorme. È sveglio e non vuole darlo a vedere. – Il ragazzo ha passato tre interi giorni vicino a te aspettando che ti svegliassi! Non ha dormito e non ha mangiato! Ti è stato accanto nonostante ci troviamo di nuovo a Capitol City per colpa tua!
Mi volto verso di lui. – Il sonnifero che mi hai dato non era così potente come credevo allora – ribatto.
– Smettila di fare così! – questa volta urla. – Peeta è corso da me con te piena di sangue tra le braccia! Tremava e continuava a dire di averti ucciso! Si è incolpato perché tu eri in quello stato! Per via del tuo egoismo!
Quelle parole sono come un colpo al cuore. Non avevo pensato a quello che sarebbe potuto accadere dopo o a cosa avrebbe provato Peeta. Pensavo che sarebbe semplicemente andato avanti e invece... non si è mosso da vicino il mio letto d’ospedale.
– Haymitch, basta così – la sua voce rimbomba nella stanza. Sembra rassegnata e sofferente.
Sento le lacrime bruciarmi di nuovo gli occhi. Da quando sono così emotiva?
Haymitch sospira rassegnato. – Vado a prendermi un caffè – dice e si alza, dirigendosi verso la porta. Sta per uscire, quando mi lancia un’occhiataccia. – Non te lo sei mai meritato – conclude e poi scompare.
Quando anche i suoi passi sono lontani, Peeta rivolge tutta la sua attenzione a me. – Come ti senti? – chiede spostandomi una ciocca da davanti al viso.
– Non lo so – rispondo evitando il suo sguardo.
– Quei tagli sulle braccia... te li sei provocati da sola. Vero o falso?
– Vero.
– Perché?
Perché nella mia vita non è rimasto più niente se non terra bruciata. Perché non ho più un motivo per andare avanti. Perché ho perso anche l’ultima persona che mi ha davvero amato. Ma non gli dico niente. Non deve sapere.
– Volevi lasciarmi da solo. Perché? – chiede di nuovo. Mi volta il viso verso il suo e il mio cuore riceve un colpo. Ha gli occhi lucidi ed è sul punto di scoppiare a piangere. – Katniss, ti prego... rispondimi...
– Haymitch ha ragione. Non mi sono mai meritata te e il tuo amore.
– Non dire così. Io... io ho bisogno di te. Non ho più nessun altro. Non farlo mai più.
– Perdonami... – sussurro e delle lacrime iniziano a scorrermi sulle guance.
Peeta mi abbraccia e mi stringe al suo petto. – Resta con me.
– Sempre – ribatto mentre il battito del suo cuore m’infonde sicurezza e mi fa comprendere una cosa.
Vale ancora la pena vivere. Vale ancora la pena lottare contro i mostri che invadono i miei incubi. Devo essere ancora forte, per Peeta.
Lui è tutto ciò che ho e non posso abbandonarlo. L’ho già fatto in passato, ma non ricapiterà più.
Io... lo amo.




Commenti autore:
Salve c:
Ho scritto questa OS tra la notte della Vigilia e durante il giorno di Natale. Ce l’avevo in testa da tempo e, considerando che sono in un periodo di crisi (chi mi conosce lo sa), ho deciso di scriverla per tentare di sbloccarmi. Penso che in parte ci sia riuscita e spero che a voi piaccia.
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
Un bacio e buone feste :*

-Yogurt
   
 
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