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Autore: dilpa93    26/12/2013    14 recensioni
“Altre cose possono cambiarci ma cominciamo e finiamo con la famiglia”
Seguito di "Missing"
 
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Christopher Matthew Beckett'
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“Altre cose possono cambiarci ma cominciamo e finiamo con la famiglia”
Anthony Brandt
 

 

 
“Sai cosa stavo pensando? Potremmo andare a fare una passeggiata al parco stasera.” Prosegue senza aspettare una risposta da parte dell’uomo, finendo poi di sorseggiare ciò che rimane del vino rosso che si è versata poco prima.
“A dir la verità sono un po’ stanco. Potremmo restarcene a casa e vedere a cosa la serata ci condurrà.” Ammicca chinandosi su di lei, seduta tranquillamente sul divano, per un bacio, il quale però non viene ricambiato come lo scrittore si aspettava. Kate si allontana velocemente da lui e dalle sue labbra, ritrovandosi a scrutarlo con i suoi grandi occhi verdi. “Cosa succede Rick?”
“Di cosa parli?” Fa leva sulle braccia sollevandosi, tornando poi verso i piatti, lasciati impilati sul lavello, che aspettano di essere infilati al loro posto nella lavastoviglie . “Sono solo stanco, davvero.” Prova a convincerla una volta impostato il lavaggio.
“Allora perché ti stai agitando?” Chiede, lasciando il calice ormai vuoto sul tavolino davanti a lei, avendo notato quel suo tic nervoso di passarsi una mano alla base della nuca.
“Cos- no, io non mi sto agitando?”
Ora è venuto ad aggiungersi anche quel leggero tono in falsetto alla fine della frase. È arrivato il momento di giocarsi l’ultima carta. Aspetta che vada a sedersi accanto a lei, portando con sé la bottiglia di vino. Appena le è vicino, inclina il capo, arriccia le labbra, inspira a fondo e schiude la bocca. Non serve altro. Prima che possa aver tempo di dire qualsiasi cosa, lo sente sospirare in segno di resa.
“E va bene... semplicemente non mi va di andare al parco.”
“Perché? Adori passeggiarci, soprattutto in questo periodo.”
 
In ottobre gli alberi si riempiono di colori, caldi ma comunque vivaci, e anche di sera hanno il loro fascino. Ama portare lì Kate, intrecciare le dita con le sue o tenerla stretta nel suo abbraccio, seguendo i viottoli che si diramano tra aiuole e sequoie secolari.
“Ieri ci sono passato davanti mentre andavo a trovare Alexis. Un cartello diceva che ci sarebbero state le giostre fino alla fine della settimana. E adesso, quando mi hai chiesto di andarci, ho ripensato-”
“Hai ripensato a quello che ti ho detto...”
 
“La musica era alta, le stesse quattro note ripetute all’infinito. Ancora oggi non posso non odiare quella assurda e lagnosa melodia…”
 
“Sono passati due mesi Rick, non voglio che tu smetta di fare quello che ti va per ciò che ti ho raccontato.”
“E io non voglio vederti stare male sentendo quella stupida canzoncina!”
Senza che nessuno dei due ne abbia la minima intenzione, i toni cominciano ad alzarsi. Frustrazione ed impotenza per lui che non riesce ad alleviare il dolore di quella perdita, rabbia per Kate nel non riuscire ancora a parlarne a distanza di anni, tanto da non aver dato la possibilità a Rick di poter dire qualcosa in merito dopo aver riversato su di lui parte del peso di quel segreto che da quando era solo una bambina si porta dietro.
“Hai mai pensato che magari andandoci con te potrei finalmente associare quella melodia a qualcosa di bello?”
Rimane qualche istante a guardarla, senza fiatare, abbassando poi lo sguardo sui cuscini del divano giocherellando con le cuciture e lasciando uscire in un flebile sibilo un “no…”.
“Ascolta, ho intenzione di fare un sacco di cose con te.”
“Anche io.”
“Bene, siamo d’accordo. E con un sacco di cose intendo anche passare davanti a quelle giostre abbracciata a te ascoltando quell’odioso motivetto fino a che non mi piacerà solo per il fatto che mi ricorderà qualcosa fatto insieme. Ti ricordi quell’omino che tengo nel cassetto?”
“Quello che hai fatto con tuo padre a Coney Island?”
“Mh-mh...” mormora appena in segno di assenso. “Ti ho detto che per me era sia un brutto che un bel ricordo. Ora ti chiedo di aiutarmi a far diventare il ricordo di quelle giostre come quello di quel buffo omino. Aiutami a farlo diventare bello, per favore.”
Si china ancora su di lei per un bacio che questa volta diviene subito qualcosa di più di un semplice scontro di labbra. Il simbolo di un patto, una vicinanza profonda che scalda i loro animi facendoli fondere in uno.
“Vado a prendere le giacche”, le sussurra sulle labbra una volta interrotto quel contatto.
Lo segue con lo sguardo mentre sparisce lungo il corridoio. Quando vede la sua sagoma riaffiorare si alza andandogli incontro. Lui l’aiuta ad indossare il giubbetto in pelle rossa, raccoglie tra le mani i suoi capelli ondulati facendoli uscire dal colletto della giacca e, scostandoli da un lato, le bacia il collo prolungando quel contatto più del dovuto. È allora che il telefonino di Kate comincia a squillare disperdendo per l’appartamento la melodia che ad ogni secondo si fa sempre più forte.
“Beckett”, risponde soffocando una risata dopo che le labbra di Rick, premute ancora su di lei, le solleticano piacevolmente la pelle.
“Arriviamo.” È superfluo dirgli che è appena stato rinvenuto un cadavere, ormai, per lo scrittore e la detective, è normale routine essere interrotti da un omicidio più o meno efferato.
“E la nostra passeggiata al parco?” Mugugna, come se poco prima non fosse stato proprio lui a rifiutarsi di farla.
“La rimandiamo a domani. Coraggio, andiamo.”
A forza lo trascina fuori dalla porta di casa prendendogli la mano. Si trova a tenerla intrecciata con la sua anche mentre guida verso la scena del crimine dove i colleghi li stanno aspettando. Ferma al semaforo, inevitabilmente rosso quando è in ritardo, si concede qualche secondo per guardare, al di là del parabrezza, le persone che ignare di tutto fanno proseguire la loro vita. Solo quando una goccia, presagio di un temporale imminente insieme alle pesanti e grigie nubi che sovrastavano la città, si posa con un sonoro tonfo sul vetro si riscuote, appena in tempo per veder scattare il verde che per un istante, a causa dell’alto voltaggio, le fa bruciare gli occhi.
Percorre tredici isolati prima di arrivare. Una volta scesa e mostrato il distintivo agli agenti di sorveglianza, seguita dal fidanzato, sorpassa il nastro giallo della polizia raggiungendo la dottoressa Parish già accovacciata accanto al cadavere.
“Allora Lanie, cosa abbiamo?”
“Una serata rovinata.” Risponde prontamente rialzandosi facendo leva sulle cosce. I capelli scuri le ricadono davanti al viso nascondendolo. “Avevo in programma un bel film stasera e in splendida compagnia, invece mi ritrovo sporca di terra e con l’odore di rifiuti che ha impregnato totalmente i miei vestiti. Ma sicuramente ti riferivi al nostro nuovo amico sdraiato qui, non è vero?”
“Già... allora, cosa sai dirci?”
“Colpo d’arma da fuoco al torace. È morto per dissanguamento, ma vedete questi segni?” Domanda retorica coinvolgendo entrambi in quella visita preliminare. “Sono ecchimosi. Dalla forma e dalle striature direi che chi le ha causate è sicuramente un uomo. Potrebbe darsi che a seguito dello sparo lo abbiano soffocato, ma come al solito saprò dirvi di più una volta che questo signore sarà su uno dei miei tavoli.”
“Dal foro sembrerebbe una calibro 38”, commenta lo scrittore accovacciandosi accanto al corpo.
“Complimenti Castle”, esclama Ryan avvicinandosi a loro a grandi passi tenendo tra l’indice e il pollice, rivestiti come il resto della mano dai guanti in lattice blu, una pistola.
“L’abbiamo trovata in un cassonetto poco lontano...”
“In compagnia di questo”, prosegue l’ispanico mostrando un silenziatore.
“Perfetto”, sbuffa la detective in tono sarcastico, passandosi una mano sul viso sentendo improvvisamente la mancanza di un caffè. “Possiamo scordarci un qualsiasi testimone.”
“Non esattamente. I poliziotti che hanno trovato il corpo hanno detto che al loro arrivo un uomo ha tentato la fuga. Fuga breve, a quanto pare. Lo hanno portato al distretto, ci sta aspettando per essere interrogato.”
“Me ne occupo io. Voi finite di raccogliere le prove prima che si scateni il diluvio, e... se scoprite qualcosa avvertitemi.”
Ed insieme a Castle lascia quel vicolo così tremendamente simile a quello in cui avevano ritrovato sua madre. Sembra che nell’ultimo periodo tutti i casi siano destinati a riportarle alla mente vicende famigliari poco piacevoli, che hanno segnato il suo carattere forgiandolo.
Arrivata al distretto, scaccia via quei pensieri, lascia la giacca sullo schienale della sedia mettendo poi la pistola nel primo cassetto.
“Che ne dici se vado a preparare un paio di caffè? Si preannuncia una nottataccia.”
Le posa una mano sulla spalla compiendo un leggero movimento circolare in attesta di una sua risposta interrotta, ancora prima che possa formularla nella sua testa, dall’arrivo della Gates avvicinatasi a loro a passo spedito.
“Beckett, il sospettato la sta aspettando nella sala interrogatori.”
“Vado immediatamente Signore.” Alzandosi, volge di sottecchi lo sguardo a Rick, con un’appena accennata aria afflitta a corrucciarle il viso.
“A quanto pare abbiamo un caso semplice tra le mani. Raccolga la confessione e compili il rapporto, lo aspetto domani in mattinata.”
“Con tutto il rispetto Signore, non sappiamo ancora se sia il colpevole.”
“Si trovava sulla scena del crimine”, comincia ad elencare sulle dita, “è fuggito all’arrivo degli agenti e per di più si rifiuta di fornirci i suoi dati. Se non è il nostro uomo quasi sicuramente potrebbe essere implicato in altro. Confido nelle sua capacità per capirci qualcosa nel minor tempo possibile. Ora la lascio andare, l’ho già trattenuta a sufficienza.”
Scrittore e musa si incamminano insieme verso la piccola stanza dove, sulla parete accanto alla porta, risalta l’asettico cartello con scritto turn off lights.
“Lei no signor Castle, per oggi si limiti ad osservare.” E dopo questo ultimo ammonimento si rinchiude nel suo ufficio, infila gli occhiali da lettura sospingendoli bene sul naso e riprende a leggere gli ultimi incartamenti prima di poter finalmente raggiungere suo marito a casa.
“Questa volta sarai da sola là dentro.”
“Non sarebbe la prima volta”, gli fa notare schernendolo.
“Lo so”, bofonchia lui quasi offeso, “ma ce la farai a resistere? Vediamo, sei senza caffeina da... tre, no, ben quattro ore.”
“Ti stupirò, tu guardami.” E, dopo aver indugiato ancora qualche istante guardandosi l’un l’atra, apre la porta entrando.
Alzando lo sguardo incontra quello dell’uomo.
Deve essere sulla quarantina, occhi nocciola terribilmente profondi e, per un istante, le pare un viso familiare. Eppure, per quanto si sforzi, non riesce a ricordare dove o quando lo abbia già visto.
Si schiarisce la voce umettandosi poi le labbra.
“Sono il detective Beckett.” Annuncia con tono fermo e deciso avvicinandosi al tavolo. “Non mi hanno comunicato il suo nome, signor...” Chiede implicitamente sedendosi ed accavallando le gambe, gesto che Castle, osservando dall’altra parte del vetro, non ha potuto fare a meno di trovare estremamente sexy.
“Sfortunatamente non saprei dirglielo.”
“Come scusi?”
“Ecco, diciamo che non sono molto sicuro della mia identità nell’ultimo periodo.”
Corruccia la fronte, maledicendo mentalmente il fatto di non aver alcun documento tra le mani su cui possa posare lo sguardo e le permetta così di prendere tempo. “Beh, lei è accusato di omicidio, sia che mi dica il suo nome o che non lo faccia. Certo, se me lo dicesse renderebbe tutto più facile.”
“Non è che non voglia dirglielo, ma ciò che le direi potrebbe non essere vero.”
Kate lo osserva con cipiglio, socchiudendo gli occhi. Due fessure sottili di un verde prato messo in risalto dalla leggera linea di eyeliner nero. In quel momento, l’uomo si trova sopraffatto da un’immagine che lentamente prende vita nella sua testa.
 
Una bambina, una coda di cavallo che le sfiora appena la spalla sinistra. La stessa aria inquisitoria che ha la detective in quel momento. È seduta su di un letto. Sotto il suo corpo le lenzuola arancio scuro si raggrinziscono stropicciandosi. Alle sue spalle, dalla porta lasciata aperta, si intravede il corridoio le cui pareti sono adorante da numerose cornici. Ma il riflesso sul vetro gli impedisce di vedere cosa ritraggono. “È nella mano destra.” Dice la bimba con un sorrisetto furbo. “È sempre nella mano destra.”
Non vede con chi stia parlando, solo due mani chiuse a pugno davanti a quella che all’apparenza sembra uno scricciolo indifeso di soli 5 anni. Due mani che per un istante gli paiono le sue.
 
“Cosa ne dice?”
Scuote la testa, cercando di recuperare la lucidità che gli è venuta a mancare. Le tempie gli pulsano terribilmente. Quei flash lo stanno tormentando da qualche settimana, ma mai così. Mai aveva sentito le voci così limpidamente, come se quella bambina fosse proprio davanti a lui. È quasi tentato di chiedere alla detective se anche lei avesse sentito e visto ciò che aveva sentito e visto lui. Invece non dice nulla di tutto quello, limitandosi a chiederle di ripetere la domanda. “Come scusi?”
“Cominciamo dal principio, come mai si trovava in quel vicolo ieri notte?”
“Sono da poco tornato a New York, non ho ancora trovato un lavoro e tantomeno dove stare. Cercavo un posto dove poter passare la notte.”
“Nessuno a cui chiedere ospitalità? Un amico, un parente...”
“Non sono un tipo molto socievole. Ho sempre studiato a casa, e non ho parenti, non che io sappia almeno. Sono stato adottato...”
Qualcosa la stava spingendo a dire ‘mi dispiace’, ma in fondo come può sapere che l’essere adottato non sia stato un bene per lui. Non può dire con certezza che sarebbe stato meglio vivere con la sua famiglia biologica. Certo, gli studi privati non devono essere stati un gran divertimento, ma lei non sa nient’altro della sua vita, nonostante quel senso di familiarità che ancora le suscita. Annuisce semplicemente, portandosi una ciocca di capelli appena dietro l’orecchio.
“Come mai non si è recato in un centro di assistenza?”
“Vede detective, a settembre, con ancora il caldo soffocante estivo, i centri sono tutti pieni. È difficile trovare un posto all’ultimo minuto. In questo periodo, alla sera, si sta abbastanza bene all’aperto dopotutto.”
“Cosa è accaduto?” Domanda riportando l’attenzione sul principale motivo per cui si trovano lì.
“Sono capitato in quel vicolo per caso. Mi stavo dando un’occhiata intorno. Una corpo era coperto da giornali in un angolo. Mi sono avvicinato. Era un buon posto, volevo assicurarmi che non lo infastidisse il mettermi accanto. Ho provato ad attirare la sua attenzione, solo dopo mi sono accorto che era ferito. In quel momento è arrivata una pattuglia. In questo periodo dell’anno fanno spesso ronde notturne. Mi sono spaventato e sono corso via. Il resto credo lo conosca già.”
Si sporge sul tavolo superando quella barriera invisibile tra loro, occupando così parte dello spazio vitale dell’uomo. “Lei mi vuole far credere che è scappato, per paura, nonostante non avesse fatto nulla?”
“Esatto. Sono praticamente un senzatetto. Molti, tra noi, hanno perso il lavoro e non sono riusciti a trovarne un altro, e senza soldi lei sa bene quanto me quanto sia difficile vivere. Ma la polizia non ci tiene molto in considerazione. Da per scontato che siamo criminali.”
“Io non do nulla per scontato, io mi limito a seguire le prove e finora queste portano a lei.”
“Glielo ripeto, io non centro nulla detective Beckett!”
 
E ancora una volta qualcosa prese a muoversi dentro di lui, un brivido che ha già sentito la prima volta che Kate aveva pronunciato il suo nome.
 
“Si, Johanna Beckett. Lavoro per il procuratore.” La donna, dai folti capelli corvini, si muove per la cucina. La mano tamburella sul piano in cotto alla sua sinistra. Accanto un pacchetto di cracker appena iniziato. Davanti a lei al tavola è imbandita, i raggi di sole che filtrano dalla piccola finestra sopra il lavello attraversa con un solo fascio la brocca d’acqua creando giochi di luce sulla tovaglia colorata. “Avrei bisogno di parlare con il suo assistito il prima possibile…” Messa in attesa, copre con la mano il ricevitore scostandolo di poco dall’orecchio. “Cucciolo non dar fastidio a tua sorella, lasciala mangiare in pace.” Pronuncia quell’ultima frase con un fil di voce per non farsi sentire da chi è all’altro capo del telefono.
 
Ancora una volta riaffiora da quel sogno ad occhi aperti e, come riemerso a seguito di un tuffo in piscina, sente la voce della detective farsi pian piano più forte e chiara. Si ritrova ad annuire a quel che sente, pur non avendo la minima idea di ciò che gli sia stato detto.
Quei ricordi che riaffiorano in lui... Li sente vicini, eppure si sta sempre più convincendo che non gli appartengano. Chi sia quella donna che ha visto è per lui un mistero, eppure si è sentito tremendamente bene potendo sentire la sua voce. E quel cognome... non può certo essere un caso che sia lo stesso della persona che si trova ora davanti a lui.
Il cigolio che produce la porta della sala interrogatori aprendosi attira la sua attenzione così come  quella di Kate.
“Scusami Beckett, ma Lanie ha bisogno di parlarti.” Mormora l’irlandese affacciandosi.
“D’accordo Ryan, arrivo. Se vuole scusarmi.”
“Devo restare qui?”
“È il principale sospettato, e ho ancora qualche domanda da farle.”
 
Richiude la porta alle sue spalle rivolgendosi poi al collega. “Castle?”
“Ti aspetta giù.” Risponde con semplicità e un sorriso prima di rimettersi a comporre numeri telefonici uno dietro l’altro.
Scende le scale stanca e con quella strana sensazione che la segue come un’ombra da quando ha incontrato lo sguardo di quell’uomo.
Percorre il breve corridoio arrivando davanti alle porte. Si ferma un istante ad osservare attraverso i due trafiletti in vetro la dottoressa Parish e Castle scambiarsi probabili teorie contemplando i segni sul cadavere davanti a loro. Poggia la mano sull’inserto in metallo sentendo il freddo scorrerle dal palmo lungo l’intero braccio. Spinge lievemente e, cigolando, la porta si apre.
“Scoperto qualcosa di interessante?”
“Interessante non saprei dirti, diciamo che potrebbe esserti d’aiuto.” Aspetta che le arrivi vicino prima di prendere il referto. “L’esame autoptico ha rivelato che, al contrario di come sospettavo, è stato strangolato prima che gli sparassero.”
“Prima? Perche avrebbero dovuto farlo?” Domanda più a se stessa, volgendo poi lo sguardo verso Rick.
“Se ti aspetti una mia teoria... ecco, ci sto lavorando.”
Scuote la testa alzando per un istante gli occhi al cielo. Un movimento tanto rapido che è quasi impercettibile.
“C’è altro Lanie?” Chiede con le labbra increspate in un mezzo sorriso.
“Si. Calcolando la direzione dello sparo e il fatto che il nostro amico fosse già svenuto a terra quando gli è stata puntata contro l’arma, il vostro assassino dovrebbe essere alto tra il metro e sessantotto e il metro e settanta.”
“Accidenti... Grazie Lanie. Se scopri altro-”
“Come sempre sarai la prima a saperlo. Non le è piaciuta molto come notizia, tu che dici?” Bisbiglia ironica al corpo sdraiato sul tavolo davanti a lei una volta rimasta sola.
Kate corre di sopra seguita da un Castle incuriosito da tale reazione.
“Ehi, che succede?”
“Non è lui.”
“Lui chi?”
“Non è lui il nostro uomo.” Sbuffa avvilita indicando con un cenno la stanza alla sua destra. “Sarà alto più di un metro e ottanta. È colpevole fino a prova contraria, beh, abbiamo una prova che testimonia che non può essere stato lui a sparare. Gates non ne sarà contenta.”
“Che vuoi fare adesso?”
“Torno dentro e provo a raccogliere qualche informazione utile. Chissà che non abbia visto qualcosa.”
La trattiene per un braccio, facendola voltare nuovamente verso di lui. “Va tutto bene?”
“Si, è solo...”
“Solo?”
“Ho la sensazione di conoscerlo.”
“Chi, l’uomo misterioso?”
“Già”, e sente la mano di Rick posarsi sulla sua guancia in quella delicata carezza. “Non importa, lascia stare, è solo una stupida sensazione.” Scivola lontana da lui, entrando poi ancora una volta nella sala interrogatori.
Lo trova ad aspettarla perfettamente composto, con le dita tamburella sulla liscia superficie del tavolo disperdendo per la stanza, come un’eco, un debole ticchettio. Ha permesso al cappuccio, che aveva tenuto ben calcato sulla testa per tutto il tempo, di cadere sulle spalle, lasciando finalmente liberi fitti capelli di un castano scuro. Sospira cercando di liberarsi di quella sensazione che le martella la testa senza sosta.
“Mi spiace averla fatta aspettare tanto. Però ho una buona notizia...”
 
Buona notizia…
Buona notizia…
Buona notizia…
 
La donna guarda dall’alto due bambini seduti sul divano. A terra, sul tappeto ai loro piedi, libri e giocattoli abbandonati senza un particolare ordine. Lentamente, sul viso dapprima serio compare un radioso sorriso. “La buona notizia e che domani io e vostro padre vi porteremo alle giostre.” Mentre le sue spalle vengono circondate da un braccio maschile, i piccoli saltano per la stanza felici, ridendo. Può sentirli nitidamente, come fosse presente. “Ma voi due comportatevi bene o io e la mamma non ci metteremo troppo a cambiare idea.” È stato l’uomo a parlare. Non ne ha visto il volto. La voce è leggermente roca, ma bene impostata. “E ora mettete a posto e poi a lavarvi le mani.”
 
“Siamo in possesso di prove che la scagionano.”
“Mi scusi, come ha detto?”
“Si sente bene, vuole un bicchier d’acqua?”
Con le mani si tortura il viso all’altezza degli occhi, rilasciando un debole sospiro. “No, è tutto a posto, solo un flashback.”
“E gli capitano spesso?”
“Si... oggi.” Completa con quella parola che non può non lasciare una traccia di inquietudine nella detective. “In ogni caso, diceva?”
“È libero di andare, abbiamo prove che accertano la sua innocenza. Tuttavia, vorrei potergli chiedere un’ultima cosa.”
“Ma certo.”
“C’è qualche dettaglio, odore, suono che ricorda di aver sentito? Qualsiasi cosa potrebbe esserci estremamente utile.”
L’uomo inspira congiungendo le mani, arrivando poi a stringere tra gli indici il labbro superiore.
“Non saprei... ma ora che ci penso c’era un’ombra. È stato un attimo, troppo poco per riuscire a vederne il viso. Purtroppo non saprei dirle se fosse un uomo ho una donna. E... c’era uno starno odore, un odore molto forte, direi verde scuro, con una punta di grigio.”
“È un sinesteta?” Chiede colpita.
“Si. Scusi, a volte dimentico che non tutti lo sono. Lo è anche lei?”
“No, lo era qualcuno che conoscevo. Mio fratello Christopher.”
 
Castle, al di là del vetro, passeggiando avanti e indietro per lo stretto spazio a lui riservato, si sorprende della naturalità con cui Kate ha nominato il fratello. Fratello di cui lui stesso, nonostante il loro elevato livello di intimità e confidenza, è venuto a conoscenza solo qualche mese prima.
 
Nella sala lo sconosciuto sente nuovamente girar la testa ed è come se avesse appena premuto il tasto play per proseguire la visione di un film.
 
“Chris, Kate, non allontanatevi troppo.” Grida la stessa donna vista prima mentre cammina per il viale alberato impreziosito dalle luminarie. “Piano bambini, non correte. Jim, dì qualcosa.”
“Ragazzi, ascoltate vostra madre e aspettateci.”
 
Dai suoi occhi quasi vitrei e la bocca appena schiusa, Kate si rende conto che sta accadendo qualcosa. Prova più volte a richiamarlo, ma lui non accenna a rispondere, lo sguardo perso nel vuoto, come sotto ipnosi.
 
“Ma papà...”
“Christopher Matthew Beckett, ho detto che dovete aspettarci.” In mezzo alla fronte gli viene a formarsi una ruga abbastanza profonda, che sparisce non appena rilassa i tratti del viso e in tono più dolce sussurra, “Coraggio, prendi  tua sorella per mano, vi prometto che saliremo su tutte le giostre.”
“Anche sui cavalli?”
“Si Katie, anche sui cavalli.”
 
Decide di non far movimenti bruschi agitandolo. Sa quanto questo sia pericoloso per chi soffre di sonnambulismo e, anche se questo non è il caso, non vuole correre il rischio. Si avvicina a gran velocità verso la porta, intenzionata a chiedere aiuto. È in quel momento che, per l’ennesima volta in quelle poche ore, lui torna in sé ed è come se i primi anni della sua vita divenissero nitidi in un istante. Gli torna alla mente il ricordo di chi era, di chi fossero quelle persone che continuavano a riaffiorare nei suoi sogni e in quei flash che lo hanno tormentato fino ad ora.
Si sente completo e allo stesso tempo vuoto.
Privato di quella che sarebbe potuta essere la sua vita, dei bei momenti che avrebbe potuto trascorre nella sua famiglia, con i suoi genitori e con quella bambina dai grandi occhi verdi che ha visto improvvisamente adulta davanti a sé fino a poco prima.
Sua sorella.
E così quella frase si compone da sola, e le parole escono senza consenso e la possibilità di arrestarle dalle sue labbra.
 
“Sei il rosso, lo sei sempre stata. Anche se ora hai una sfumatura in più che non sono ancora riuscito ad identificare.”
 
Si sente cadere nel vuoto.
“Chris” sussurra tremante più a se stessa che a lui.
Improvvisamente la forza delle gambe comincia a venirle meno. Serra la mascella bloccandosi all’istante.
Lascia la maniglia, la mano trema riavvicinandola al corpo portandola quasi a contatto con la coscia. Si volta lentamente sentendo la sedia strisciare sul pavimento, ma il brivido che le percorre la schiena non dipende certo dall’acuto stridore. Gli si avvicina a piccoli passi trovandolo già in piedi davanti a lei, senza avere il coraggio di dire nulla.
Senza sapere cosa potrebbe dire.
Rick, dall’esterno, è tentato di entrare. Reprime quell’impulso che gli sta annodando lo stomaco e rimane immobile, in silenzio, trattenendo il respiro. Non ha idea di cosa poter fare, se non restare in disparte e non interrompere quel momento che Kate aspetta da tutta la vita e che lui, neanche con la sua fervida immaginazione, avrebbe potuto prevedere.
Li vede avanzare piano l’uno verso l’altra. Finalmente vicini come per anni non lo erano stati, i loro occhi si incontrano come due calamite attratte irresistibilmente da una forza incorporea. Paralizzati, come separati da un’invisibile barriera d’aria, aspettando che l’altro faccia la prima mossa. Immobili per paura che compiendo un altro passo quella che sembra un’illusione sarebbe svanita. Fermi e titubanti per l’imbarazzo.
Poi un gesto. Un solo sincero e luminoso sorriso di Christopher, che lui stesso definirebbe giallo come un limone maturato in estate, è sufficiente a sciogliere ogni dubbio. Gli butta le braccia al collo stringendolo per sentirlo vivo e reale contro il suo corpo. Anche Rick riprende improvvisamente a respirare, dando poi le spalle a quello specchio fasullo così che i suoi occhi indiscreti non disturbino quell’intimo istante. Ma non esce dalla stanza, così che lei, nel caso avesse bisogno, sappia subito dove trovarlo.
Kate, stringendo a sé il fratello con forza tale che si sarebbero potuti fondere in una persona sola, ha l’impressione di vederlo ancora bambino, e nella testa le sembra di risentire la sua voce innocente in quelle ultime parole che le aveva rivolto quel fatidico giorno.
 
“Corri Katie, i cavalli ci aspettano!”
 
In un secondo, come un fulmine in un giorno soleggiato, arriva quello scatto inaspettato. Si allontana con brutalità da lei, che ora lo guarda con spavento e respiro affannato.
Immediatamente Rick appare sulla soglia. È come se nella sua testa si ripetesse un unico e meccanico messaggio ‘proteggere Kate’, come un robot con la sua missione. Avviene tutto velocemente. Uno sguardo su di lei, per assicurarsi che stia bene, e uno su Chris. Uno sguardo di dubbio e di perplessitudine, di compassione e di minaccia. L’uomo si allontana a grandi passi dall’angolo in cui si era rintanato come un cucciolo spaurito, come se fosse tornato davvero ad avere otto anni. Corre verso l’uscita sbattendo distrattamente contro il corpo dello scrittore e lasciando che nella stanza si disperda un sola parola “scusami”.
Le si avvicina stringendola. La sente tirar su col naso, rigida sotto il suo tocco, quell’abbraccio caldo, avvolgente e confortante.
“Kate...” Sussurra con la testa poggiata sulla sua spalla, soffiando sul suo collo bianco e liscio.
“Sto bene.” È risoluta e frema la sua voce, nulla tradisce ciò che prova veramente, nulla se non quella lacrima che però neanche Rick riesce a scorgere.
“Ma lui-”
“Non è il nostro uomo. Lasciamolo andare e portiamo a termine il caso.” Si divincola andando verso l’uscita.
Vicino alle loro scrivanie gli agenti volgono ancora con stupore lo sguardo verso le scale dopo aver assistito a quell’imprevista fuga. Anche la Gates ha lasciato cadere gli occhiali sul petto. Dondolano, assicurati al suo collo da una catenina a piccole maglie argentate, lasciando che l’ombra si rifletta sui fogli davanti a lei. Con le braccia incrociate al petto si rilassa sulla poltrona. Sa che Beckett entrerà da un momento all’altro per darle spiegazioni.
“Sicura di non voler andare a casa o fare una pausa?” Tende il braccio verso di lei, le dita le sfiorano appena la camicia cadendo poi nel vuoto.
“Ho detto che sto bene! Davvero, credimi...” Cerca di rimediare con tono più pacato e gentile dopo la sfuriata di quelle dure parole iniziali.
 
 
Per la seconda volta in pochi mesi, al rientro dal distretto, dopo che le poche prove sul caso non erano riuscite a portarli né a un nome, né a una possibile pista, a nulla se non ad altro dolore per Kate e al riaprirsi di quella ferita evidentemente non del tutto rimarginata, si è visto consegnare le chiavi della macchina trovandosi a guidare sotto il cielo opaco della città.
Stando in silenzio, Kate guarda fuori dal finestrino come sempre quando è turbata. Un silenzio che ormai lui ha imparato ad interpretare, che riesce a dire molto di più di quanto non farebbero futili parole. È il suo modo per dirgli di aspettare se può, di darle tempo e, se avrà pazienza, poi si aprirà a lui. Una tacita richiesta di rispettare i suoi spazi, di rispettare il fatto che fino a poco più di un anno prima non era abituata a vivere con qualcuno, a dover condividere ogni aspetto della sua vita con un uomo, di sentire il bisogno e la necessità di condividere la sua vita. Perché ormai non riesce a non parlare, a tenersi tutto dentro e nascondergli le cose. Parlare con lui è bello, piacevole, è una parte fondamentale e indispensabile di sé. Lui è il suo migliore amico, la persona che meglio di tutte la capisce anche solo con uno sguardo, che non la sente ma la ascolta anche quando intraprende monologhi infiniti, perché tante sono le cose che lui ancora non sa di lei e che vuole dargli modo di scoprire giorno per giorno.
 
La mano destra, salda sul volante, si apre come a ventaglio deciso a mettere la freccia. Mano che viene fermata con insolita velocità da Kate.
“Non mi va di tornare a casa. Voglio passare prima in un posto.”
Indugia un solo istante a guardarla negli occhi, lei che li ha abbassati rapita dal contorno delle sue labbra. Non serve domandarle dove vuole che vada, non servirebbe una risposta a quella possibile domanda. Lui sa cosa fare.
Lui sa dove andare.
 
Nel parco, tra le chiome mosse dal vento, l’aria è frizzante e aspra, ma non pungente. Camminano mano nella mano, come avrebbero voluto fare qualche ora prima. Tra il fruscio delle foglie ormai secche possono sentire già in lontananza lo scampanellio della giostra, le risate dei bambini che vista l’ora tarda si staranno concedendo un ultimo giro. Possono vedere lo sfarfallio delle lampadine colorate, i primi cavalli prendere forma davanti ai loro occhi che riflettono il riverbero delle luci artificiali.
“Vai a fare tu i biglietti, io comincio a salire.”
“D’accordo.”
Kate si alza in punta di piedi lasciandogli un bacio sulle labbra. Riaprendo gli occhi gli sembra quasi di scorgere un sorriso sul suo volto stanco. Le lascia un’ultima carezza sul braccio dandole poi le spalle.
L’anziana signora alla biglietteria si sistema gli occhiali da vista.
“Due per favore”, chiede cortese facendo scivolare la mano nella tasca dei pantaloni alla ricerca del portafogli.
La donna strappa i biglietti dalla piccola macchinetta accanto a lei. Consegnandoglieli lo guarda in quei suoi due zaffiri blu, e non può che leggerci amore per quella ragazza con cui lo ha visto poco prima, da lontano, attraverso le spesse lenti. Amore che gli illumina gli occhi di una luce speciale.
 
Kate, nel frattempo, sale incerta sulla predella, le gambe le tremano passando tra i posti rimasti liberi. Fa il giro, con calma, non sentendo niente se non il suo stesso respiro. Poi lo vede, a qualche passo da lei. Un cavallo bianco dalla criniera corvina, accanto un destriero dal manto scuro, perfetto per Rick, si dice mentalmente preparandosi a cavalcarlo.
 
Lo scrittore soddisfatto ripone i biglietti nella giacca ed è quando sta per raggiungere Kate che una mano sulla spalla gli impedisce di proseguire. Si gira trovando gli occhi scuri di Christopher davanti ai suoi. Anche adesso parlare non serve. Si volta verso di lei, felice su quel cavallo in legno dipinto a mano e, tornando a guardare l’uomo che lo aveva sorpreso qualche istante prima, annuisce sapendo, in cuor suo, che ora le cosa potranno cominciare ad aggiustarsi un pezzo alla volta.
Così, è Chris a salire sulla giostra, è lui a sedersi accanto a Kate che lo osserva con stupore e sbigottimento.
Sale un po’ impacciato, troppo grande forse, ma non importa. Non importa a nessuno dei due. E mentre la giostra parte, le prende la mano stringendola nella sua.
Kate ride, una risata cristallina che Rick non aveva il piacere di sentire ormai da tanto e che riesce ad udire anche da lontano.
Lei è finalmente serena e quella melodia, un tempo fonte di incubi, ora non fa più paura, perché alla fine di quel giro, questa volta, lui sarà ancora accanto a lei.
 




Diletta's coroner:

Chiedo perdono per la lunghezza di questa shot!
Spero di essere riusicta a "soddisfare" almeno in parte chi mi aveva chiesto un seguito.
Grazie per essere arrivate fino qui a leggere.
Buone feste!
P.s. Quasi dimenticavo, che smemorata! Grazie dell'aiuto Fania <3 altrimenti questa shot non sarebbe mai finita!
  
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