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Autore: Benio Hanamura    27/12/2013    0 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   Le mie sorelle erano partite nel periodo della fioritura dei ciliegi. Dopo che furono andate via c’era molto più silenzio in casa nostra. Non si sentiva più il dolce canto di Aiko, ed anche Miyuki, con cui io andavo particolarmente d’accordo probabilmente per via dell’età, ci mancava molto, soprattutto per quel pizzico di allegria che sapeva sempre portare a tutti noi, nonostante le nostre grandi difficoltà.
   Mio zio aveva promesso di chiedere notizie di loro quando si sarebbe recato in città: mia cugina Sakura era ormai da tempo una maiko e cercava di aiutare Aiko e Miyuki ad ambientarsi, per quanto le era possibile. Un anno dopo la loro partenza, quando si recò all’okiya in occasione del debutto di Sakura come geisha, lo zio ebbe in consegna una lettera da parte della okasan, che ci informava personalmente delle condizioni delle mie sorelle. In realtà era una lettera molto breve, dov’era scritto che entrambe godevano di buona salute e che avevano iniziato a frequentare la scuola,  ma questo bastò a rasserenare almeno un po’ i miei genitori, soprattutto mio padre che per molto tempo non si era più dato pace per ciò che era stato costretto a fare.
   Per qualche anno, a parte l’infinita tristezza per quel distacco, la vita trascorse un po’ più serenamente. Dopo quella tremenda siccità che fino a quel punto ci aveva messi in ginocchio, le cose andarono meglio per i contadini, e mia madre ebbe modo di riprendersi un po’ fisicamente, anche grazie all’infaticabile Yuriko, che oltre ad essere ormai preziosa in casa aveva trovato modo di guadagnare qualcosa con piccoli lavori di sartoria, ed ogni tanto sbrigava qualche commissione anche per i compaesani più benestanti, che non essendo nemmeno loro particolarmente ricchi, la ricompensavano a volte con qualche moneta ma più spesso con viveri, per noi altrettanto se non più preziosi. Quanto a me, anch’io, man mano che crescevo, mi impegnavo sempre di più per dare il mio contributo in famiglia, potendo sgravare almeno un po’ mia sorella dal suo enorme carico di lavoro.
   Grazie a questa mia sempre attiva collaborazione, mio padre iniziò a considerare il fatto che Yuriko, ormai sedicenne, era in età da marito; lei diceva sempre che non intendeva sposarsi ed abbandonarci come aveva fatto Hanako, che dopo aver lasciato il villaggio per sposarsi non aveva più dato notizie di sé… avrebbe trovato qualcuno che si sarebbe occupato anche della nostra famiglia o nessun altro, ma escludeva questa eventualità che considerava troppo poco realistica. Innanzitutto in un povero villaggio come il nostro nessuno avrebbe accettato una moglie con una numerosa famiglia così piena di problemi, ma forse era anche difficile che qualcuno la prendesse seriamente in considerazione, dato che pur avendo un carattere servizievole e gentile, come si richiede ad una buona moglie giapponese, fisicamente non era particolarmente carina. Effettivamente il lavoro, eccessivo fin da quando era bambina, aveva ormai segnato il suo corpo, rendendolo più robusto del normale per la sua età, e soprattutto aveva segnato il suo viso, che aveva sempre più un’espressione stanca e provata. Aveva solo 16 anni, l’età in cui Hanako, al suo massimo splendore, aveva stregato il signor Sato ed era partita con lui pochi mesi dopo averlo conosciuto per sposarlo, ma ne dimostrava diversi di più.  Yuriko era del tutto consapevole di non essere attraente quanto la nostra sorella maggiore, forse però considerandosi ancora peggiore di quanto non fosse in realtà, ma con noi cercava di non mostrare la sua sofferenza; tuttavia qualche volta, la sera, la  trovavo intenta a guardarsi a lungo con aria triste allo specchio, evidentemente certa che nessuno di noi se ne accorgesse.
   Mi dispiaceva tanto per lei, anche se non potevo sospettare che a quell’epoca mia sorella soffrisse soprattutto per un amore non corrisposto. Da un anno aveva trovato impiego a mezza giornata presso l’emporio del villaggio, e si era innamorata del figlio del proprietario, ma di recente lui si era ufficialmente fidanzato. Il che implicava, fra le altre cose, anche la prossima cessazione del suo impiego, dato che era stato stabilito che la promessa sposa avrebbe collaborato stabilmente col marito al negozio, perciò non ci sarebbe stato più bisogno di personale esterno. Come non avrei potuto mai davvero comprendere quanto grande fossero il dolore e l’angoscia che Yuriko tentava disperatamente di nasconderci per non darci ulteriori preoccupazioni, tanto meno avrei potuto sospettare che proprio quella situazione avrebbe cambiato per sempre la mia vita!
    Accadde un giorno d’inverno, in cui mia sorella non tornò all’ora prevista. La mamma aveva preparato la cena, io avevo terminato alcune faccende in casa ed avevo apparecchiato la tavola.
   “Stai diventando davvero brava, Tsuki-chan, sono certo che quando sarai grande troverai un buon marito” aveva commentato allegramente mio padre. Quel giorno era rimasto a casa, reduce da una malattia fortunatamente non grave, un banale raffreddore che gli aveva portato nei giorni precedenti un po’ di febbre, ma era già praticamente guarito; inoltre era particolarmente felice perché era giunta una lettera di Aiko, che gli dava buone notizie su di lei e su Miyuki, e che ormai per lei era prossimo il debutto come maiko. L’atmosfera era allegra, e la mamma si era data un po’ più da fare in cucina anche per festeggiare l’evento.
   In realtà non era la prima volta che Yuriko tardava, magari per qualche ora di straordinario, ma quella sera, appena mi resi conto del suo ritardo, io iniziai a provare un profondo senso di inquietudine, come un terribile presentimento: appena l’inverno precedente la nipote di un nostro vicino, che non era rientrata a casa dopo il lavoro ed era stata cercata invano per tutta una notte, era poi stata trovata annegata  nel lago  due giorni dopo e si scoprì che si era suicidata perché respinta dall’uomo di cui era innamorata…
   Tuttavia non me la sentivo di mettere al corrente di questi miei timori i miei genitori, per una volta un po’ più sereni dopo tanto tempo, ed incapace di parlare non potevo evitare di camminare nervosamente avanti ed indietro, guardando spesso fuori dalla finestra. Loro non ci badarono, presi com’erano a parlare della lettera di Aiko, ma Keita lo notò.
   “Tsuki-chan, non è la prima volta Yuriko fa tardi” tentò di rincuorarmi “In questo periodo poi c’è molto lavoro al negozio!”
   “Lo so, Keita, però voglio andarle incontro!”
   “No, Tsuki-chan, fra poco farà buio e poi… e se dovesse nevicare ancora? Sì, temo che nevicherà, e magari Yuriko si sarà fermata a casa di qualche amica… che so, da Akemi oppure da Mamiya…”
   Povero Keita, se solo avesse potuto sarebbe andato lui a cercare nostra sorella, ma nelle sue condizioni non poteva fare altro che questo, parlare… Era sempre tanto dolce e gentile con me e si sforzava di sopportare la sua sofferenza, ma era ovvio quanto la sua invalidità gli pesasse come non mai in certe situazioni: non poteva fare a meno di pensare che se lui non avesse avuto quel maledetto incidente avrebbe potuto continuare a lavorare nei campi con nostro padre, o anche trovarsi qualche lavoro altrettanto o più redditizio, a costo di dover lasciare il paese; le nostre sorelline non ci avrebbero lasciati in quel modo, e nemmeno Yuriko si sarebbe dovuta affaticare tanto, magari avrebbe trovato più facilmente marito, e magari ora saremmo ancora tutti insieme! Ci sarebbe voluto ancora un bel po’ prima che i gemelli avrebbero potuto contribuire al bilancio familiare e quando anche loro come me sarebbero diventati più attivi ed indipendenti lui si sarebbe sentito ancora più inutile e frustrato…
   Silenziosamente uscii dalla stanza, e per un attimo guardai di nuovo mio fratello, che tentava di non farmi capire come anche in quel momento si stava assurdamente colpevolizzando per la nostra situazione mettendo il naso in un vecchio libro, e  feci una grossa sciocchezza, la peggiore possibile: decisi di andare io a cercare Yuriko come non poteva fare lui! Ormai stavo diventando grande, dovevo assumermi anch’io delle responsabilità importanti, rendermi davvero utile alla mia famiglia che nonostante tutto mi aveva garantito un’infanzia relativamente felice e serena e ricolmata di tanto affetto e protezione!
   “Keita, mamma, papà, vado prendere Yuriko e torno, non preoccupatevi, farò presto” pensai mentre furtiva sgattaiolavo fuori casa, incoscientemente troppo sicura delle mie capacità e scettica per le preoccupazioni espresse da Keita, che mi erano parse eccessive.
   Volli salvare mia sorella, come un’eroina, ma la mia idea si rivelò un grosso errore, che rischiò di essere fatale per me, perché mio fratello aveva proprio ragione, ed anche se io non lo notai, o forse non volli notarlo, il tempo stava cambiando velocemente… 
  
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