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Autore: Wild_Demigods    27/12/2013    3 recensioni
I trentesimi Hunger games sono arrivati. I tributi si prepareranno, combatteranno e moriranno. Ma come sopravviveranno coloro che ne sono usciti vivi già una volta, e sono costretti ad addestrare quelli che vanno a morire?
Em, distretto due. Claire, distretto quattro. Thanatos, distretto sette. Ryan, distretto dieci. Partono per un viaggio, verso capitol city, da cui faranno ritorno distrutti dentro. Come ogni volta. Perché agli Hunger Games perdi anche se vinci.
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Buonsalve! Questa storia è nata dall'idea congiunta di quattro amici, amanti della saga. Ognuno di noi ha creato il proprio personaggi e i suoi due tributi, insieme con l'accompagnatore capitolino. Ovviamente, è sorta spontanea una domanda: Chi vincerà? Ci siamo scervellati, poi abbiamo deciso: “faremo come se fossimo davvero agli Hunger Games”. Ciò vuol dire che sarete voi, i lettori, ad essere gli sponsor, a decidere cosa inviare, se mandare messaggi ai vostri tributi preferiti, e sarete anche voi a decidere chi morirà, con un voto. (che cosa crudele D: ).
Spero vivamente che deciderete di fare un salto a leggere e a votare ;)
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Come una macchia sull'anima

 

-Distretto 2; Giorno della mietitura-

“Ci siamo.” Pensò Em, lasciandosi scivolare dentro i pantaloni larghi, di stoffa militare. Indossò la casacca intonata, sopra la canottiera bianca. Allacciò stretta al cintura, osservandosi allo specchio della stanza. Em era una ragazza bassa, pur avendo già vent'anni. Aveva i tratti del viso alti, duri. Gli occhi freddi, intonati ai capelli neri stretti rigidamente in una coda alta. Semplice. Il suo più grande vanto erano i muscoli tonici, imbattibili, che le avevano permesso di spezzare le ossa ai suoi avversari.

Scosse lentamente il capo. Non ne andava fiera, ma aveva fatto tutto quello per sopravvivere. Si era imbevuta del sangue d'altri, aveva fatto a pezzi corpi, in modo spettacolare e unico, solamente per sopravvivere e per tornare a casa.

Ce l'aveva fatta, ma a volte, di notte, da sola, si chiedeva se il gioco valeva la candela, se il prezzo non era stato troppo alto. Ogni anno continuava a pagare.

“È inutile rimuginare. Nessuno di noi può fare nulla. E devo solo ritenermi fortunata per essere ancora viva.” Si disse. Poi uscì di casa, diretta al luogo della mietitura, da altri due innocenti ragazzi che si credevano pronti a combattere, a vincere.

Invidiava, quasi, i mentori degli altri distretti, dal sei in giù. Loro si mettevano da subito il cuore in pace, tanto sapevano che i loro ragazzi sarebbero morti. Al novanta per cento, almeno. Ma non c'era peggior sorte di aver tributi favoriti, sperare che almeno uno torni a casa, e poi vederli morire nell'arena.

«Salve.» La voce calda di Talitha la sorprese. Em si girò, serrando di istinto un pugno. Ma a vedere il volto pallido, coperto di brillantini viola e argento, con quegli occhi azzurri incastonati come pietre preziose, si rilassò.

«Talitha, ciao. La mietitura?»

«Oh, Em! Sei sempre la solita! Accompagno i tributi del distretto due da tre anni, assieme a te, e non sei mai cambiata! La Mietitura si è appena conclusa.» Ridacchiò lei, ma aveva una leggera aria di rimprovero.

«Cos-? Oh, accidenti, ho sbagliato di nuovo l'orario.» Borbottò Em, passandosi una mano sulla nuca.

«Non preoccuparti. Allora: la ragazza ha quindici anni. È molto carina, e penso che piacerà agli sponsor. Il ragazzo è molto silenzioso e tranquillo, ma c'è qualcosa di particolare in lui che... non so, lo definirei un animale da palcoscenico.» La informò Talitha, soprappensiero. La sua mano fresca incontrò il braccio di Em, tirandola subito a se. La ragazza sospirò. Perché diamine Talitha insisteva per tenerla a braccetto?

«Sì, li conoscerò sul treno. Andiamo, non voglio fare tardi di nuovo.»

«Figuriamoci se ti faccio fare tardi di nuovo.»

 

-Distretto 7; giorno della mietitura-

«Prima le signore, giusto?» Chiese scherzosamente Cora, dirigendosi verso la ciotola con i nomi delle ragazze. Thanatos non sopportava quel sorrisetto allegro, quell’aria gioiosa, i suoi vestiti allegri. Lui si era vestito come al solito, con i pantaloni marrone chiaro e la camicia, con sopra una giacca scura da lavoro, ma in realtà avrebbe voluto vestirsi a lutto.

Alzò gli occhi verso il cielo azzurro. Anche da lassù c’era qualcuno che li sbeffeggiava?! Una giornata così bella e frizzante per un evento come quello. Serrò violentemente i pugni.

«E la fortunata che parteciperà agli Hunger Games è...» Fortunata!? Fortunata?! Per poco Thanatos non salì sul palco e non tirò un pugno in faccia a Cora. Non ce l’aveva con lei, per carità. Ce l’aveva con il fatto che tutti gli abitanti di Capitol pensassero cose come quella: che era una fortuna partecipare agli Hunger Games. Una cosa bella.

«Rhimm Karstair!» Terminò Cora, con un sorriso e uno svolazzio della mano. Per un minuto ci fu il silenzio totale. il sorriso della donna sul palco sbiadì. Alla fine, qualcuno appaludì. Thanatos si girò, aggrottando le sopracciglia.
Era stata la stessa Rhimm, con un sorriso feroce. Cora si rianimò, invitandola a salire sul palco.
Thanotos era rimasto talmente scioccato, che visse il resto della mietitura come in sogno. O un incubo, che dir si voglia.
Per gli uomini venne chiamato Pitt Charson, un ragazzo robusto, ma decisamente impacciato.

Thanatos scosse il capo, per schiarirsi la mente. Doveva darsi da fare. Era un mentore, ora. Si incamminò, lentamente, verso l’edificio che avrebbe ospitato gli addii dei tributi.
Lui, in quel palazzo, aveva salutato sua madre, sicuro di non rivederla mai più. Sua madre, Syl, era una donna forte, dura. Ma quel giorno aveva pianto. E le lacrime che scendevano dai suoi occhi erano stati il motivo per cui Thanatos aveva combattuto come una furia, sfruttando tutto ciò che poteva, tradendo e morendo dentro.
Però aveva vinto, ed era tornato dalla sua famiglia. Strinse gli occhi, ricordando il tour della vittoria. Dopo ogni visita ai distretti, tornava al treno e vomitava anche l’anima, piangendo come un bambino. Si era meritato di vincere? Gli altri non avevano il suo stesso diritto di tornare a casa e riabbracciare i genitori o i fratelli?

 

-Distretto 4; giorno della mietitura-

«Ti prego! Ti prego Claire! Non azzardarti a fare tardi! Non mi importa della mietitura, ma devi essere su quel treno! Hai capito?!» La voce acuta di Leon era fastidiosa. Non che Claire stesse dormendo. Non voleva andare alla mietitura, non voleva salire sul treno, non voleva tornare a Capitol City, non voleva veder morire tutta quella gente.

Lei era la vincitrice dell’anno precedente. Perché non c’era una regola che vietasse ai vincitroi troppo recenti di fare i mentori?! Per preservare la sanità mentale.

Oh, giusto, a Capitol City non interessava affatto della loro sanità mentale. Bastava che vincessero. Anzi no, che dessero spettacolo.

Un singhiozzo le uscì dalle labbra, incontrollato. Aveva pianto tutta la notte. Gli abbracci di suo fratello erano stati inutili, le carezze amorevoli di sua madre avevano peggiorato le cose.
Em, una mentore del distretto due, glielo aveva detto: nessuno poteva vincere, agli Hunger Games. Mai. Tutti i mentori, cioè tutti i vincitori, vivevano con ri rimorsi e i sensi di colpa.

Però quella ragazza, Em, era forte. Una roccia. Claire l’aveva ammirata, sia come mentore che come donna, anche se sapeva che probabilmente i suoi tributi l’avrebbero uccisa.

Invece aveva vinto. Che incredibile gioia.

tirò su con in naso, stringendosi su se stessa. Doveva alzarsi, doveva cercare di aiutare dei poveri ragazzi  a sopravvivere.

Praticamente, si buttò giù dal letto a calci, strisciando, quasi, fino ai vestiti che sua madre le aveva preparato la sera prima. lei non aveva forza. Infilò i pantaloni blu, sopra indossò la casacca e la legò con un cinta. Aprì la porta chiusa a chiave e strascicò i piedi fino al bagno, dove si lavò la faccia con l’acqua gelida e si diede una sistemata ai ricci neri, così strani per gli abitanti del suo distretto.

Durante tutta l’operazione, si rifiutò di guardare il mare, la cosa che le dava gioia e conforto. Non se lo meritava.

«Sei sveglia, allora! Andiamo! Andiamo!» Strillò Leon, entrando nel bagno. Claire non gli badò, continuando a spazzolarsi i capelli. Appena ebbe finito, però, non poté fare altro, se non seguire l’uomo, salutare sua madre e suo fratello, e dirigersi alla stazione.

“Salve, pene dell’inferno.” Pensò, funerea, tenendo il capo chino.

 

-Distretto 10; Giorno della mietitura-

Ryan salì sul treno. Seguì alcuni corridoi fino ad arrivare alla sala da pranzo, dove già lo aspettavano i due tributi e Jessyca. Si massaggiò le tempie.

“Deve essere una maledizione. Sicuramente lo sanno! Sanno che odio profondamente questa donna, e me l’affibbiano ogni volta che possono.”

«Caaa-rooo! Sei arrivato, finaaa-lmeeee-nte!» Disse lei, facendo saltare subito i nervi del ragazzo. Strano, lui aveva i nervi saldi.

“Tu non la strangoli, Ryan. Non la strangoli…” Purtroppo l’immagine di jessyca impiccata era troppo allettante..

«Ciao, Jessyca. Ragazzi, salve.» Disse, lasciandosi scivolare in una sedia, il più lontano possibile dalla donna, vestita completamente di rosa. Sembrava uno stupido maiale, altro che.

«Come vi chiamate?» Chiese, incrociando le mani sul tavolo, di fronte a se.

«Io sono Chilla.» Disse la femmina. Ryan la osservò: era esile, quasi anoressica. Anzi, senza quasi. Il viso era carino, ma non bellissimo. Se non fosse stata uccisa alla cornucopia, sarebbe morta poco dopo.

«Io sono Frost.» Disse il ragazzo. Ryan squadrò anche lui. Capelli biondi, lunghi fino alle spalle. Fisico atletico, scattante. Occhi vispi e intelligenti. Lui poteva farcela.

«Bene. Sappiate che solo uno di voi tornerà viv-»

«Ryan! Non mi pare il caso di demoralizzarli cos-»

«Ti ricordo che qua il mentore sono io.» Ryan interruppe Jessyca. «Decido io come parlare, addestrare e condurre i tributi. Ora, fammi il favore di lasciarmi finire, altrimenti sparisci.» Terminò, sibilando. Jessyca serrò le labbra, sdegnata. Ryan sospirò.

«Solo uno di voi tornerà vivo, e forse nemmeno. Per quello non posso farci nulla. Posso darvi consigli, sì. Ma nell’arena siete soli. Le alleanze possono durare, ma mai troppo. Solo uno resta in piedi, ricordatevelo.»

I due ragazzi annuirono. Mentre il pranzo veniva servito, Ryan si alzò e andò nella sua cabina, isolandosi.

Odiava dire quelle parole. odiava vedere gli occhi spenti dei ragazzi. ma doveva restare concentrato. Forse quell’anno ne poteva salvare uno.

 


N.d.A

Salve! Non so se avete letto la presentazione della storia, comunque ripeto, che fa sempre bene xD

L’idea è nata da quattro menti (*coffcoff* malate *coffcoff*), che hanno partorito quattro personaggi, Em, Claire, Thanatos e Ryan, con annessi e connessi. Ovviamente, ognuno voleva che a vincere fosse il proprio tributo (uno dei due, non siamo mica tanti Katniss e Peeta xD), quindi abbiamo deciso per un sistema equo e divertente: sarete voi, attraverso il voto, a decidere chi deve morire, capitolo per capitolo.

Inoltre, potete anche diventare sponsor dei vostri personaggi preferiti! Ciò lega la scrittura dei capitoli alle vostre recensioni, quindi speriamo bene *incrocia le dita*

Come vedete, ancora i tributi non sono nell’arena, quindi ancora niente voti o altro, e inoltre, dato che questo è il prologo, ho presentato solo i pg principali, cioè i quattro mentori :3

Quando gli Hunger Games inizieranno, metterò nelle note, in fondo al capitolo, il modulo per la votazione e l’invio di messaggi/aiuti :3

Grazie mille per essere arrivati a leggere fino a qua xD Se vi va, lasciate una recensione per dire che ne pensate dell’idea, o per una critica <3

a presto

Isides.
 

  
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