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Autore: Darkrama    20/05/2008    1 recensioni
Cosa può spingere un uomo che ha perso tutto a tornare a vivere? Vendetta? O sete di giustizia? Forse questo e molto altro.
Genere: Romantico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo si svegliò urlando. Messosi a sedere nel letto, madido di sudore, si guardò intorno. Oltre lo sfarzoso letto ricoperto di drappi di seta non c’era nessuno. La stanza lo osservò cupamente. Lampade ad olio rischiaravano lievemente le pareti. Arazzi le ornavano riflettendo con tetre sfumature la poca luce che ricevevano. Il pavimento non nascondeva ombre pericolose se non quelle dei mobili. Neppure sul soffitto c’era niente di strano.  Eppure, nel sonno, aveva avuto la sensazione che qualcuno fosse lì, pronto ad ucciderlo. Asciugandosi con una mano il sudore dal viso si scostò i capelli neri, rivelando il pallore della pelle e gli occhi scuri pieni di paura. Si voltò e tirò il cordone di fianco al letto. Osservò la mano tremare. Uno scampanellio suonò distante e pochi attimi dopo un paggio aprì lentamente la porta e si avvicinò:
“Cosa desiderate maestà?” chiese ossequioso dopo essersi inchinato.
“Manda a chiamare mia madre, ora!”perentorio nonostante il batticuore.
Con la voce che tradiva comunque la paura.
“Subito vostra maestà”.
Il paggio si inchinò e dopo essersi voltato uscì di corsa dalla stanza. Ricordava bene cosa succedeva a chi faceva attendere il re. Dopo nemmeno dieci minuti la porta si aprì nuovamente.
Preceduta da un’ancella la regina madre entrò nella stanza. Era riccamente vestita nonostante il sole non si fosse ancora levato e alla luce delle lampade la stoffa del suo abito risplendeva dorata. Il viso conservava ancora la bellezza posseduta in gioventù anche se ormai si avvicinava ai cinquant’anni. I capelli biondi erano raccolti in una crocchia e i lineamenti del viso erano addolciti e resi belli da un sapiente trucco. Guardò il figlio in viso e congedò con un cenno l’ancella. Questa fece una riverenza e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Avvicinatasi al letto la regina vi si sedette e prese la mano del figlio tra le sue.
Osservando il turbamento che aveva negli occhi e l’agitazione che ancora possedeva il suo corpo, facendolo tremare, si chiese perché fosse così fragile. Con affetto disse:
“Hai avuto lo stesso sogno?”
Il re l’aveva fissata appena aveva varcato la soglia. Sua madre riusciva sempre a scacciare le tenebre delle sue paure. Debolmente:
“Si madre e ancora una volta mi sono svegliato con la sensazione che nella stanza ci fosse qualcuno pronto ad uccidermi. Non riesco a ricordare nulla di questa presenza e mi riempie di paura sapere che faccio lo stesso sogno da un anno senza riuscire a rammentare nemmeno un particolare del viso di quell’uomo”.
La donna cercò di rasserenarlo. Accarezzandogli il viso disse:
“Non preoccuparti. Come ti ho già detto sono le responsabilità a tormentarti. Da quando hai indossato la corona ne hai troppe”.
Nessuno dei due accennò a come aveva preso la corona, questo non era importante.
“Ripetimi ancora la profezia madre, mi rasserena sempre” disse il re appoggiandosi ai cuscini.
Con un sorriso gentile la donna recitò glieli sistemò:
“Nessuno distruggerà i tuoi progetti. Nessuno ti farà cadere e nessuno ti ferirà. Nessuno riuscirà ad ucciderti”.
Il re sorrise e tornò a chiudere gli occhi il tremito era sparito dal suo corpo. La regina gli tenne la mano e lo accarezzò ancora in viso finché dal suo respiro regolare capì che si era addormentato.
Il suo prezioso figlio era re ora e nessuno poteva toglierlo da quel posto.
Sorridendo rimase a guardarlo dormire.






L’uomo camminava sul sentiero che attraversava il bosco. L’incedere era lento ma deciso. Dai suoi abiti si capiva come la povertà gli fosse piombata addosso da poco. Un robusto mantello nero lo copriva dalla testa ai piedi e non riusciva a celare l’insolita altezza unita all’esilità della figura. Sotto di questo una pesante maglia e dei calzoni sporchi di quello che sembrava carbone. Un paio di stivali sformati dal troppo uso ma ancora in buono stato completavano il suo vestiario. Osservando quel poco del viso che si intravedeva dal cappuccio si potevano notare lineamenti delicati e labbra sottili. I capelli biondi e la barba incolta dello stesso colore erano intrecciati con foglie e fango. Gli occhi grigi osservavano il paesaggio con fissità denotando un’insolita mancanza di interesse verso qualsiasi cosa. Erano vuoti, come se ogni gioia fosse stata sommersa da qualcosa di più denso e oscuro. Seguendo il sentiero si lasciò alle spalle gli alberi e i richiami del bosco e avanzò sulla pianura disseminata di campi coltivati. Il villaggio sorgeva pochi chilometri più avanti. Una semplice palizzata di legno lo circondava. Nella mente dell’uomo un ricordo balenò scintillando per un attimo: un paese molto simile, le fiamme e le urla di uomini che morivano.
Scrollò la testa per dimenticare e tornò a guardare davanti a se. Raggiunte le porte aperte nella recinzione entrò. Nessuno lo degnò di poco più che uno sguardo. Era un altro dei mendicanti che si aggiravano in cerca di cibo. L’uomo osservava le case di legno, i pochi cani che oziavano al sole e gli ancor meno bambini che giocavano per le strade. Raggiunto il centro del villaggio vide una costruzione in pietra, probabilmente la casa del possidente locale. Sembrava un piccolo fortino. Un muro di pietra la circondava e sul cancello di ferro che ne segnava l’entrata c’erano due uomini in armi. Il mendicante li osservò, osservò le loro spade e di nuovo quel barlume di coscienza si riaccese. Continuò il suo cammino ignorandolo.
All’angolo del muro, distante una ventina di metri dai due uomini sedeva a terra una donna con un bimbo. I vestiti laceri e i visi emaciati rivelavano la fame e la povertà di quei due esseri. L’uomo li guardò dedicando loro la sua attenzione. Avvicinatosi mise una mano nella casacca e da una tasca afferrò una delle ultime monete che vi erano dentro. La donna sentendo i passi fermarsi davanti a se non alzò nemmeno lo sguardo ma allungò la mano aperta. L’uomo le diede la moneta e tornò a camminare.
La donna chiuse la mano a pugno e la ritrasse. Avvicinatola al viso la osservò e poi alzò il capo a guardare l’uomo. Una decisione istantanea animò il suo viso. Sistemò il bimbo meglio tra le sue braccia, lentamente si alzò e gli andò dietro. Via via che camminava il sangue tornava a circolare e le gambe a muoversi agilmente. Non si era resa conto di essere rimasta seduta così a lungo. Raggiuntolo lo tirò per il mantello e lui si voltò a guardarla. Vincendo il timore osservò a lungo quel viso che, se non privo completamente di espressione e sentimenti, poteva definirsi bello.
“Signore, vi ringrazio per la moneta ma voi avete bisogno di questi soldi quanto noi” un’affermazione decisa.
“Permettete che ricambi la vostra generosità dividendola con voi”.
La donna abbassò il capo. Avrebbe preferito fosse stato lui a dire quelle parole.
L’uomo la guardò senza parlare e quando lei si allontanò indicandogli di seguirlo lo fece.
Camminarono per un paio di viuzze fino a sentire l’odore del pane. La donna entrò dentro una casetta dipinta da poco di bianco. Dal tetto il comignolo di un forno sbuffava pigramente.
La voce burbera di un uomo sovrastò la sua mentre chiedeva del pane. Dopo un paio di minuti di contrattazione uscì con due involti. Li diede all’uomo e proseguirono. Si avvicinarono alla palizzata che delimitava il villaggio e qui le case erano più sporche e malconce, una appoggiata all’altra e con un aspetto assai precario. Di fronte ad una piccola casetta diroccata la donna si fermò nuovamente.
Guardò il suo accompagnatore quasi vergognosa, sollevando appena il capo, poi con decisione spinse la porta ed entrò. L’uomo la seguì accostando la porta e notando che non chiudeva bene, probabilmente per colpa della troppa pioggia si era sformata.
La donna aveva appoggiato il figlio in una cassa di legno imbottita con alcuni stracci. Da una vecchia credenza tirò fuori una tovaglia, due piatti e due bicchieri e una brocca piena d’acqua.
Apparecchiò la tavola che insieme al letto occupava lo stanzone e fece cenno all’uomo di sedersi. La poca luce che entrava da una finestrella sopra la porta illuminava quel rettangolo di terra battuta che quella donna chiamava casa.
Lui si tolse il mantello e lo piegò appoggiandolo sullo schienale della sedia. Prese un coltello, tagliò alcune fette di pane e aprì l’altro involto. Tagliò alcune fette di carne affumicata e le mise nel piatto della donna. Poi fece altrettanto per se. La donna riprese il figlio e iniziò a imboccarlo con la carne che aveva preso dal proprio piatto dopo averla prima ammorbidita masticandola.
L’uomo prese la brocca, versò nei bicchieri l’acqua e iniziò a mangiare. La donna lo osservava mentre in silenzio e lentamente masticava il suo cibo. Non si erano detti ancora una parola e non sapeva se l’uomo era muto o semplicemente non voleva parlare. Ma gli bastava guardarlo negli occhi per capire che quell’uomo camminava solo perché il suo corpo sapeva come fare.
Finirono di mangiare in silenzio. La donna mise il bimbo a dormire e sparecchiò la tavola. Indicò all’uomo il letto che c’era in un angolo della stanza. L’uomo fece un cenno di diniego e ripreso il mantello vi si coprì e si sdraiò a terra. La donna scosse appena il capo sconsolata e presa una coperta dal letto gliela mise addosso, poi andò a dormire. Nel pomeriggio uscì ancora lasciando il mendicante col bambino. Si guardarono a lungo, uno dentro la culla e l’altro seduto a tavolo col bicchiere d’acqua. Il bimbo tornò ai suoi giochi di fantasia e l’uomo a guardare nel vuoto. La sera il rituale del pasto e del dormire si ripeté uguale. La mattina, quando la donna si svegliò perché i primi raggi di sole filtravano dalle fessure del tetto, l’uomo se n’era andato. La coperta era stata messa piegata sul tavolo e sopra di essa vi era un’altra moneta.
La donna si coprì col mantello e uscì per vedere se l’uomo era ancora in vista ma c’erano solo una leggera foschia e un cane che sonnecchiava sulla via. Rientrando si rese conto che la porta ora chiudeva perfettamente. Gurdandola da vicino vide che i cardini erano stati sistemati e il battente smussato dove prima si incastrava sullo stipite.
Ringraziando mentalmente quello strano uomo prese la moneta e decise che quel giorno suo figlio avrebbe avuto del latte.


Il mendicante si era lasciato alle spalle il villaggio. Il sentiero costeggiava il bosco da una parte e i campi dall’altra. Attraverso la foschia poteva vedere alcuni contadini intenti a lavorare nonostante l’ora. A quella scena se ne sovrappose un’altra. Non c’era la nebbia e i campi erano in pendenza, circondati da vette innevate. Una lacrima corse sulla guancia e l’asciugò col dorso della mano. Camminando lentamente si abbandonò al ritmo del suo passo e si lasciò guidare dal destino.
A mezzogiorno deviò verso il bosco e prese a cercare e raccogliere i frutti selvatici. Da un piccolo ruscello bevve dell’acqua e sazio, per quanto gli era possibile, si mise a dormire. Quando si svegliò il sole stava lentamente calando. Mentre seguiva il sentiero per uscire dal bosco trovò un lungo e dritto ramo. Lo osservò attentamente e decise di tenerlo, pulendolo dalle frasche e dalle foglie. Camminando con l’ausilio del suo nuovo bastone raggiunse una piccola cittadella. Qui le difese esterne erano in muratura. Due guardie con pantaloni e casacche di cuoio osservavano chi entrava e usciva con sguardo pigro, al fianco una spada sorretta da un cinturone. Quando videro comparire il mendicante lo osservarono attenti. Appena l’uomo varcò la porta gli si misero di fronte.
“Da dove vieni?”.
“Non lo so” disse laconicamente l’uomo senza alzare il capo. La sua voce era inespressiva come il suo volto.
“Dove stai andando?” disse la guardia già spazientita.
“Non lo so” rispose l’uomo.
La guardia stava per colpirlo quando l’altra gli disse piano:
“Lascia perdere”.
La prima guardia osservò la postura e gli indumenti e fece un passo indietro disgustato.
“Ora ti perquisiamo, non opporre resistenza” disse pacatamente la prima.
Il mendicante sollevò le braccia e la guardia cercò se aveva armi addosso. Non trovandone gli disse solo:
“Puoi andare”.
L’uomo non rispose e riprese a camminare, un passo dopo l’altro.
Superò alcuni negozi, incrociò alcuni abitanti ma non sollevò mai il capo. Oltrepassò una taverna da cui provenivano il rumore di risa ubriache.
Li, seduti ad un tavolo con una fila di boccali davanti, stavano tre uomini. Indossavano delle armature sporche come loro. Gli elmi e le spade poggiati sul tavolo. Quello di loro che dava le spalle alla taverna e osservava la strada lo vide e fece cenno ai suoi compari. Gli altri due si voltarono e presero a deriderlo e fargli battute. L’oste sentendo quei nuovi schiamazzi si avvicinò al tavolo ma non osò dire nulla a quegli avventori: temeva gli avrebbero distrutto il locale. Il primo intanto si era alzato e si era messo sulla strada. Quando il mendicante lo oltrepassò senza dire una parola gli diede un calcio e lo buttò a terra. Il bastone rotolò via. Si appoggiò sulle ginocchia e stava per alzarsi quando l’uomo gli diede un calcio nello stomaco.
“Dovresti inchinarti quando ci vedi, pezzente” gli disse schiacciandogli il viso a terra con lo stivale. Gli altri due suoi compari erano scoppiati a ridere. Si erano alzati e ondeggiando li avevano raggiunti:
“Ha ragione pezzente. Dovresti farci un inchino ogni volta che ci vedi” e gli diedero altri calci. Vedendo che non reagiva il primo soldato che lo aveva colpito prese il bastone, lo osservò, e facendo leva col ginocchio lo spaccò a metà. Gli altri due gli rovesciarono i loro boccali addosso e ridendo tornarono a sedersi urlando all’oste di portare da bere. L’uomo si alzò lentamente. Raccolse i due pezzi del bastone e messili nel mantello riprese a camminare. Gli dolevano le costole dove lo avevano colpito ma non c’era ne rabbia ne disperazione nel suo sguardo solo il vuoto. Ignorato dai suoi aggressori, che ora volevano dall’oste tre boccali pieni senza pagarli, proseguì. Era quasi mezzogiorno quando arrivò davanti ad un mulino.
Il mugnaio era seduto fuori con la testa tra le mani. Sembrava che una grande disgrazia si fosse abbattuta su quell’uomo robusto. Il mendicante osservò la ruota immersa nel canale che girava pigramente e si chiese perché il mugnaio non fosse dentro a lavorare. Il silenzio nel mulino gli fece indovinare che la macina non girava. Senza degnare di altra attenzione l’uomo seduto davanti l’uscio entrò. Guardando il meccanismo che azionava le macine vide che uno dei tronchi era uscito dalla staffa di metallo e si era bloccato. Si slacciò il mantello e lo poggiò a terra gemendo per il dolore al costato. Guardandosi attorno cercò e trovò un robusto palo e un martello. Col palo fece leva finché il tronco non rientrò nella sua sede, poi prese a martellare con forza e decisione la staffa. Con pochi colpi era di nuovo dritta. Tolse il palo che aveva usato come puntello e diede un altro paio di colpi finché non fu soddisfatto. Azionò la leva e le macine presero a girare. Il mugnaio che ai colpi di martello era entrato di corsa, vedendo il suo mulino che funzionava di nuovo abbracciò con gioia il mendicante.
“Non so come ringraziarti. Sarei dovuto andare a chiamare il fabbro ed ero disperato perché non sapevo come lo avrei pagato”disse felice.
“Come posso ricompensarti? Vuoi del denaro?”.
Il mendicante fece un cenno di diniego col capo.
“Allora sarai mio ospite per il pranzo”e così dicendo lo indirizzò spingendolo verso il retro della macina dove una porta si apriva sulla sua abitazione.
A gran voce chiamò la moglie e le disse che il mulino era stato riparato e che avevano un ospite. La donna quando arrivò osservò il mendicante e lo ringraziò, vedendo la gioia sul viso del marito, ma rimase perplessa nell’osservare il viso sporco e l’odore di alcool che l’uomo emanava. Preparò la tavola per tre e quando fu pronto chiamò il marito e il loro ospite. Quando i primi tentativi di fare discorso caddero nel vuoto il mugnaio fece un cenno alla moglie di lasciare stare. Il mendicante guardava solo il piatto. Dopo che ebbero finito di mangiare la donna lo  accompagnò  nel granaio e gli indicò un giaciglio. Il mendicante vi si mise a dormire. Quando si alzò il mugnaio insistette perché mangiasse con loro anche a cena e si fermasse per la notte. Acconsentì col capo ma scese a valle del mulino e si lavò via l’odore di alcool. A cena la padrona di casa apprezzò la cortesia dell’ospite. Al sorgere del sole si alzò dolorante. I lividi dei calci erano ora evidenti e gli facevano più male del giorno prima. Messosi il mantello passò dal mulino per andarsene. Il mugnaio stava già lavorando. Gli strinse la mano con un gran sorriso e gli diede un involto che la moglie aveva preparato la sera prima. Il mendicante accettò con appena l’ombra di un sorriso sul volto e se ne andò. L’uomo lo osservò per alcuni attimi poi tornò al suo lavoro. Aveva già perso una giornata di lavoro il giorno prima. Ripresa la strada oltrepassò un paio di abitazioni diretto verso le porte della città. Sollevò il capo quando vide la croce di una chiesa, come rammentando qualcosa, ma tornò a camminare. Un duplice urlo di donna lo scosse dal suo torpore. Si fermò e alzò il capo. Da lontano scorgeva degli uomini lottare e a tratti delle vesti femminili. Si avvicinò e vide tre soldati che avevano chiuso il un angolo due donne. Sentì le richieste che questi rivolgevano alle due e i loro tentativi di strappare loro i vestiti mentre ridevano della loro paura. Appoggiò l’involto datogli dal mugnaio a terra. Prese i due pezzi di bastone dal mantello e con uno di essi diede un colpo ad una colonna. Il rumore fece voltare i tre.
“Ma guarda il mendicante che abbiamo picchiato ieri” disse il primo.
“Non ti sono bastati i calci? Oggi assaggerai le nostre spade”.
Estrassero le spade dal fodero e si aprirono a ventaglio. Il mendicante osservò le lame e un barlume di ricordo gli si accese negli occhi. Disgustato dalla sporcizia che vi vide e da quella che incrostava le armature alzò le braccia serrando la presa sui due pezzi di bastone. Le due donne si strinsero l’una all’altra troppo impaurite per sfruttare quell’occasione per scappare. Certo della vittoria quello che il giorno prima gli aveva fatto lo sgambetto lo attaccò. Il mendicante parò il primo attacco e diede un calcio all’inguine al primo dei tre. Col bastone gli diede una botta in testa. L’elmo suonò come una campana e l’uomo cadde a terra. Stupiti gli altri due attaccarono insieme. Stupiti guardarono le loro spade incastrarsi sui bastoni del mendicante che con una torsione dei polsi gliele fece cadere a terra. Con decisione li colpì allo stomaco con la punta dei bastoni, caddero a terra con un “Uff” mentre l’aria usciva dai loro polmoni di botto.
Il mendicante ripose i due pezzi del bastone nel mantello e si avvicinò alle due donne. Allungando le braccia fece cenno loro di aggrapparvisi e di alzarsi. Le due capirono finalmente di essere in salvo e accettarono il suo aiuto.
“Accompagnateci a casa” disse gentilmente quella delle due che era vestita più riccamente “mia madre vorrà ricompensarvi per il vostro aiuto”. L’uomo fece cenno di precederlo e dopo aver raccolto il suo pacco si incamminò dietro di loro. Voltarono un paio di vie e raggiunsero una casa in pietra molto grande. Un paio di uomini in arme le videro e corsero loro incontro:
“Damigella Rossana non dovevate uscire da sola”.
“Non ero sola ero con Floriana” disse indicando la sua compagna “siamo andate alla funzione”.
“Non dovevate lo stesso, chissà cosa poteva succedervi. Vostro padre ha dato ordini precisi perché veniate accompagnata ogniqualvolta lasciate la casa” disse preoccupato la guardia.
“Papà esagera sempre e poi non preoccuparti Dolfo. Quest’uomo ci ha liberato di tre ammiratori un poco pressanti” rispose la donna che ormai aveva recuperato la tranquillità indicando il mendicante.
La guardia lo osservò non capacitandosi di come, col suo aspetto misero, avesse potuto difendere due donne da tre assalitori, ma non disse nulla.
“Mia madre è già in piedi? Vorrei che ringraziasse per il suo aiuto quest’uomo”.
“Si, si è alzata e chiedeva di voi. Andatela a chiamare, io terrò compagnia al vostro ospite”.
La ragazza stava per replicare ma vide la decisione sul volto della guardia e lasciò perdere. I due uomini osservarono il mendicante attentamente ma non vi trovarono nulla di particolare se non l’assenza di qualsiasi emozione dal suo volto. Sembrava uno dei soliti straccioni che chiedono l’elemosina per le strade. Certo era giovane ma cosa lo aveva spinto ad aiutare le due donne? Rossana seguita dalla sua ancella entrò in casa. Si notava come il proprietario fosse benestante. Le divise delle guardie erano pulite e ben tenute. La casa stessa era massiccia e anche abbastanza grande per il paese in cui si trovava. Un piccolo giardino si scorgeva sulla destra.
Passarono circa dieci minuti prima che tornasse dalla casa seguita da una donna che vista la somiglianza e l’età non poteva che essere la madre.
Senza porre tempo agli indugi disse:
“Mia figlia mi ha raccontato tutto. Devo ringraziarvi per il vostro aiuto e sgridare la mia scapestrata ragazza per il suo comportamento. Posso fare qualcosa per voi?
Volete del cibo? Indumenti? Qualsiasi cosa chiediate vi aiuterò”.
Il mendicante indicò la sacca col cibo e i propri vestiti e fece cenno di no col capo.
La donna lo osservò attenta.
“Almeno ditemi come vi chiamate in modo che possa ringraziare il signore per il vostro aiuto”.
A quella domanda sincera aprì finalmente uno squarcio nella sua mente.
L’uomo la osservò per la prima volta vedendola veramente.
Aprì la bocca e disse laconicamente:
“Io sono nessuno”.
La donna e la figlia lo guardarono colpite dalla tristezza della sua voce.
Dopo una pausa che sembrò interminabile la madre continuò:
“Vi ringrazio nessuno e visto che non volete nulla come ricompensa prendete almeno questa”. Prese dalla sua tasca una vecchia moneta di rame e la mise nella mano dell’uomo. Questi la osservò, vide il volto che vi era stampato e la mise in una tasca della casacca.
“Non vi sfamerà ma vi farà ricordare che siamo in debito con voi. Quando vi troverete nella necessità non esitate a venire da noi, sarete sempre il benvenuto”.
Con un inchino il mendicante si voltò e se ne andò seguito dallo sguardo di tutti finché, varcata la soglia delle mura e voltato l’angolo, sparì alla loro vista.
Le guardie tornarono al loro compito e Rossana seguì la madre che tornò a rimproverarla. Ognuno di loro, prima di tornare alle proprie incombenze, ripensò a quello strano uomo e alla tristezza che lo circondava. Il mendicante intanto aveva varcato le porte della città e continuava il suo viaggio senza meta. Le guardie non lo degnarono nemmeno di un’occhiata. Non gli interessava chi usciva ma solo chi entrava. Quando vide il sole raggiungere lo zenith si inoltrò nel bosco e trovata una piccola radura aprì l’involto che gli aveva dato il mugnaio e cominciò a mangiare carne arrosto e pane. Saziato quel poco appetito che aveva seguì il rumore dell’acqua e raggiunse un ruscello. Bevve un po’ e rimase meravigliato a osservare un cervo che abbeverandosi lo guardava senza timore.
  
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