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Autore: anns    28/12/2013    2 recensioni
Una strada malfamata fuori Bradford, un ragazzo al volante con la testa piena di pensieri, una ragazza con le sue paure e insicurezze, convinta che ormai la vita non le riservi più nulla. E poi uno strano incontro, uno di di quelli che non si dimenticano più e l'infinito davanti a loro.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'll take care of you  


 
 
40 km/h. Occhi puntati su quella strada che oramai conosceva a memoria. 70 km/h. I ricordi cominciarono a riaffiorare e facevano male,bruciavano sulla pelle e sul cuore. 90 km/h. Le nocche delle mani, strette sul volante, cominciarono a sbiancare e Zayn avrebbe voluto piangere, ma non poteva farlo. Si ripeté, per l’ennesima volta oramai, che lui era forte, che se la sarebbe cavata benissimo anche senza di lei. Ma una domanda continuava a torturarlo mentre, con il piede sull’acceleratore, sfiorava i 100 km/km. Gli mancava Amanda o il ricordo di lei? Dubbi, incertezze, tristezza, paure lo fecero rabbrividire e lo convinsero ad aumentare ancora la velocità: 110 km/h. Se ci fosse stata una pattuglia della polizia lo avrebbe sicuramente fermato e, come minimo, gli avrebbero ritirato la patente. Ma chi mai avrebbe trascorso il proprio venerdì sera sul ciglio di quelle strade malfamate di Bradford? Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutta quella sofferenza? Una storia di due anni era stata spazzata via da una scappatella da parte di lei e Amanda glielo aveva confessato con le lacrime agli occhi e la voce incrinata per il pianto. “Avevo bevuto, non sapevo quello che stavo facendo. Perdonami Zayn, ti prego” ma lui non aveva sentito ragioni, ignorando la voce che dentro di lui gli intimava di farlo. Non si sarebbe più fidato di lei, lo sapeva, e non avrebbe avuto senso continuare una storia che era finita in così malo modo. Si impose mentalmente di rallentare e così la lancetta della velocità sfiorò il 60 km/h e il suo cuore tornò a battere regolarmente. A una decina di metri da lui, a lato della strada, si trovava una ragazza la quale stava discorrendo con un uomo seduto comodamente all’interno della sua auto costosa. Da così lontano non fu in grado di distinguere i tratti di lei ma, incuriosito, decise di accostare per vedere ciò che stava succedendo, sperando con tutto il cuore che i suoi presentimenti non fossero reali. Scese dalla macchina e si avvicinò alla ragazza: era alta poco meno di lui, le gambe slanciate erano messe in risalto da un tacco dodici e una gonna fin troppo corta per essere considerata tale; la scollatura dell’abito lasciava poco spazio all’immaginazione. I capelli lunghi di un color nocciola ricadevano leggeri sulle spalle esili e un paio di occhi scuri da cerbiatto erano illuminati da un ombretto bianco panna. Le occhiaie, ben visibili, conferivano un aria stanca alla ragazza senza nome che aveva dipinta sul volto un aria incuriosita e maliziosa. “Cosa ci fai in giro a queste ore ragazzino? Mammina non ti ha insegnato che bisogna andare a letto presto?” sbottò un uomo sulla cinquantina all’interno della sua auto. Zayn gli rivolse un occhiata scocciata: “E tua moglie non ti ha detto che non è cosa buona tradire?” accennò con il capo la fede che il signore portava all’anulare della mano sinistra. “Non sono fatti tuoi, moccioso. Ora lasciami concludere la mia trattativa” nascose la mano sotto la coscia. “100 sterline per un servizio completo” ammiccò verso la ragazza che fino a quel momento era rimasta zitta. “200 sterline” sbottò Zayn senza nemmeno rendersene conto. “400 sterline” sorrise l’uomo. “700!” ritrattò il moro senza nessuna esitazione. Metà del suo stipendio mensile stava per scivolargli fuori dalle tasche senza nemmeno accorgersene ma non  se ne pentì quando il tizio dentro l’auto sbuffò: “Tienitela pure. Non vale nemmeno la metà della tua offerta. Sarà anche bella ma è tutta pelle e ossa” mise in moto e, senza degnare di uno sguardo ne Zayn ne la ragazza, accelerò e se ne andò. “Stai bene?” chiese Zayn rivolgendo la propria attenzione alla ragazza che lo affiancava. “Mai stata meglio. 700 sterline in una serata non le ho mai guadagnate” e con un sorriso, che di dolce aveva ben poco, si avvicinò all’auto di Zayn, ne aprì la portiera e salì. Il ragazzo sbuffò; in che guaio si era appena cacciato? Prese posto accanto a lei e mise in moto, percorrendo la strada che l’avrebbe portato direttamente al suo appartamento, in centro Bredford. Con un gesto veloce la ragazza accese la radio sintonizzandola su BBC radio 1 e cominciando a cantare “Iris” dei go go dools e Zayn si chiese quante altre volte aveva compiuto quella mossa, in quante altre auto si era seduta e aveva cominciato a intonare un motivetto. “Come ti chiami?” staccò gli occhi dalla strada per rivolgerli alla ragazza che se ne stava comodamente con la testa appoggiata al finestrino. “Non l’ho detto a nessuno dei miei clienti, dovrei farlo con te per quale motivo?” rispose spavalda rivolgendo uno sguardo duro al moro che si limitò ad alzare le spalle. “Io sono Zayn Malik comunque” gli porse la mano destra in segno di cortesia. La ragazza guardò quelle lunghe dita sporte verso di lei in attesa della sua stretta che non sarebbe arrivata ne in quel momento, ne mai. “Quando?” domandò lei non appena il ragazzo ebbe ritratto la sua mano appoggiandola al volante. “Quando cosa?” un sopracciglio alzato, dubbioso. “Quando te l’ho chiesto” sorrise vittoriosa lei prima di alzare il volume della radio cominciando a far ondulare la testa castana a destra e sinistra. Zayn rise di cuore e cominciò a intonare qualche parola. La ragazza rivolse la propria attenzione al moro: i lineamenti marcati del volto gli conferivano un’ aria da duro che era certa gli appartenesse solo in minima parte, le sopracciglia di un nero pece, come i capelli, sovrastavano due occhi marroni, molto simili ai suoi. La voce cristallina, di cui era appena rimasta piacevolmente sconvolta, fuoriusciva dalle labbra perfette, le quali nascondevano una fila di denti bianchi come la neve. La carnagione color caramello, che la portarono con la fantasia ai grandi deserti del Sahara, le fece pensare alle possibili origini del ragazzo. Non si rese nemmeno conto di essersi soffermata a fissarlo per così tanto tempo, finche Zayn non schioccò le dita davanti ai suoi occhi. “Non guardarmi troppo, mi sciupi” scherzò lui passandosi una mano tra i capelli corvini che, grazie al gel, tornarono subito al loro posto. “Sta notte allora, mentre concludiamo l’affare, mi metto una benda” lo sfidò lei. Zayn, assorto nei suoi pensieri, non fece caso alle parole dette dalla giovane seduta accanto a lui. Amanda, sempre e solo Amanda: chiodo fisso, fotografia appesa alle pareti della sua scatola cranica, cicatrice sul cuore, gambe tremolanti, sorrisi sinceri ma anche distruzione, uragano che spazza via tutto, che scoperchia la casa che aveva costruito per loro nell’organo che aveva al centro del suo petto, fa crollare certezze, speranze, svela paura. Amanda, sei lettere che racchiudevano emozioni che lui non era ancora in grado di mettere via in uno scatolone da inschoccettare e scriverci con un pennarello nero indelebile: “bad memories, do not open”. A qualche centimetro da lui lui, Rain, meditava sulla sua vita che, pensandoci bene, non meritava nemmeno di essere definita tale. Diciassette anni nel corpo, sessanta nell’anima. Anni fatti di abbandoni, anni di adii mai proferiti ma sottintesi, mani sul suo corpo di giovane donna, catrame nel polmoni,nel cuore e nello spirito che nemmeno secoli potrebbero rendere di nuovo puliti, lacrime che sbavano il trucco ma cosa importa, “la bellezza non è tutto” le ripeteva sua nonna, che vittima di un incendio, portava sul suo corpo i segni indelebili di quell’incidente. “Sii te stessa, non perdere mai la speranza” ma sono solo parole. Rain, la speranza, l’ha persa anni fa e nemmeno il più grande cercatore potrà mai scovarla e ridargliela. “Siamo arrivati” la riportarono alla crudele verità le parole di quel ragazzo che aveva capito portare il nome di Zayn. Un'altra notte, si ripeteva ogni giorno che quella sarebbe stata l’ultima, che lei non era fatta per quella vita ma irrimediabilmente eccola la, vestita di stracci a vedere il suo corpo al miglior offerente. “Passerà presto” pensò tra se e se mentre si accingeva a scendere dall’auto e a salire i pochi gradini che conducevano all’ingresso dell’appartamento al piano terra. Lui la fece entrare, non parlò e lei, veloce e esperta, si tolse il giubbotto avvicinandosi sensualmente a lui e poggiando le sue mani affusolate sulle spalle di Zayn. Lui si voltò di scattò come impaurito da quel gesto che di anormale aveva ben poco. Occhi contro occhi, marrone nel marrone, fusione perfetta, paure nelle paure, timidezza con spavalderia, inesperienza contro esperienza, mix che uccide. Rain si avvicinò lentamente alla bocca di lui mentre con le mani si accingeva a sfilare la cintura di Zayn che, inerme, la fissava timoroso. “Io..io non posso farlo; non sei un soprammobile, un gioco” si allontanò di scatto imbarazzato con le guancie che rischiavano di prendere fuoco. “Dai Zayn non fare il bambino, sono grande e vaccinata. Muoviti, prima iniziamo prima finiamo” si avvicinò velocemente al suo corpo che, nonostante fosse coperto ancora da una maglietta leggera, poteva tranquillamente essere paragonato all’ Heros di Prassitele. Lui la scansò bruscamente, perché non capiva? Lei, sorpresa per un rifiuto che non era abituata a ricevere, lo incenerì con lo sguardo. “Spero tu stia scherzando Zayn, e se così fosse dimmelo perché odio questi giochetti” “Non è uno scherzo” la contraddì il ragazzo; “Invece ti conviene che lo sia perché non ho sprecato una serata della mia vita per nulla; mi servono quei soldi cazzo” si accasciò a terrà disperata, il volto corrucciato, nessuna lacrima però a bagnarlo. Zayn le si avvicinò, le sollevò con l’indice il volto “Avrai quei soldi logicamente, solo non ho voglia di trattarti come se fossi un oggetto” le porse la mano gentile aiutandola a rialzarsi. La condusse verso la sua stanza e la invitò a sedersi sul suo letto. “Allora, me lo vuoi dire come ti chiami?” inclinò la testa a sinistra il moro, sorridendo appena. “Rain Smith”. Un nome- della lunghezza di un battito di ciglia- sussurrato in una stanza immersa nel silenzio, in contrasto con i rumori della città che vi era al di fuori di quelle quattro mura, come se fosse uno sbaglio. “Dimmi qualcosa di te” la supplicò Zayn. Lei, un sorriso amaro sulle sua labbra screpolate, alzò le spalle: “Non ho nulla da dire, se non che questa è la mia vita da un anno a questa parte, ho chiuso troppe porte per poterle riaprire, la mia famiglia mia ha abbandonato come un pacco postale a mia nonna quando ero ancora in fasce. La sua scomparsa mi ha portata a tutto ciò, devo tutto a quella donna; mi ha amato senza pretese, ha diviso la sua pensione con me, mi aspettava sveglia fino a tarde ore quando uscivo con le mie amiche; persone come lei non ne esisteranno più” una lacrima silenziosa a bagnare i ricordi. “Io invece lavoro” risposta a una domanda mai posta “Sono un pittore. Mi chiamano per dipingere i muri dei locali, delle scuole, con disegni astratti, oppure per dei ritratti” “Molto interessante” concluse lei, un sorriso sincero ad illuminarle il volto. Un brivido la fece tremare inaspettatamente. “Vieni sotto le coperte, io intanto accendo il termo. Non torno a casa da qualche giorno” si alzò dal letto mentre Rain  si tolse quelle dannate scarpe. Si guardò intorno per la prima volta, il muro davanti a lei era interamente coperto di fotografie. Incuriosita si avvicinò alla parete esaminando quei pezzi di carta colorati: Zayn piccolino che reggeva in braccio una bambina di al massimo due anni, Bredford dall’alto, un tramonto timido all’orizzonte, foto di quelli che probabilmente erano i suoi nonni, il moro fotografato di lato, con la faccia dubbiosa davanti alla tela che stava dipingendo e poi decine di foto di lui in compagnia di una ragazza più o meno della sua età: loro al mare, in montagna, in mezzo a un prato fiorito. Ne staccò una dal muro per esaminarla meglio e se la rigirò tra le meni. Nel retro scorse una frase scritta con una calligrafia tipicamente maschile: Io e Amanda, 20 settembre 2011. La ragazza sorrideva verso l’obbiettivo, due occhi azzurri come fari e un sorriso smagliante mentre il suo ragazzo le posava un bacio leggero tra i capelli. “Cosa stai facendo?” una voce priva di sentimento, quasi arrabbiata. “Scusa non volevo farmi i fatti tuoi” lei, intimorita e imbarazzata perché colta in fragrante. “Beh, guarda un po’ l’hai appena fatto. Riattacca quella foto e allontanati da questa parete, dai miei ricordi, da lei” occhi spenti a scrutarla con cattiveria, la linea della mascella particolarmente accentuata. “Scusa, non volevo davvero” cominciò a raccogliere il suo giubbotto e i tacchi che aveva abbandonato sul pavimento. “Dove stai andando ora?” le domandò lui stupito. “Me ne vado: da te, da lei, dai tuoi ricordi che sembrano perseguitarti” l’aveva già capito, dopo neanche un’ora lo aveva inquadrato: il tipico ragazzo che rimane aggrappato a una storia finita, chiuso in se stesso; era meglio tagliare la corda prima di rischiare di affezionarsi a qualcosa che l’avrebbe inevitabilmente fatta soffrire. “Scusa” un sussurro “non andartene, rimani con me. So che non ci conosciamo ma qualcosa mi dice che non devo lasciarti andare quindi.. non uscire da quella porta Rain” un passo e si trovò davanti a lei. Le posò un leggero bacio sulla guancia, gesto che la convinse a non prendere la strada che l’avrebbe condotta all’uscita. Passarono le successive cinque ore a parlare di loro stessi, lui le raccontò di Amanda, lei di James, quello stronzo di James. Riportarono in vita ricordi che pensavano non appartenergli più fino a che, sfiniti, non si addormentarono mentre fuori le primi luci del giorno cominciavano ad illuminare la città.
 

Una lettera, un addio non voluto, non cercato, non desiderato. Lasciata li, sul comodino di legno di castagno vicino a una foto di una coppia fallita, come a sottolineare la consapevolezza che mai nessuno l’avrebbe voluto nel mondo. Aveva aperto, senza rendersene conto, il suo cuore a una sconosciuta la quale se ne era andata con un “sii felice” e sarebbe stato troppo affrettato dire a voce alta “senza di te non lo sarò mai” perciò lo sussurrò al suo cuore, alle sue palpebre che andavano chiudendosi per lasciar cadere quella goccia solitaria. Era sbagliato, lo sapeva e come poteva essersi fatto prendere così tanto da un sorriso timido, della gambe slanciate e degli occhi che racchiudevano dentro di se il mondo? Ma poi, rigirandosi quel pezzo di carta tra le dita sottili, una serie di cifre scritte in piccolo, visibili a mala pena come se colei che le aveva scritte non fosse totalmente certa di ciò che stava per fare e un indirizzo scritto con una calligrafia da bambina. “4, Main Street” e l’aggrapparsi a quelle poche lettere come se fossero una mano quando stai affogando nell’oceano della vita. E furono pochi secondi: l’afferrare il giubbetto di pelle situato sulla sedia all’entrata e le chiavi dell’auto, lo sbattere la porta dietro di sé, l’infilare la chiave nel rocchetto e schiacciare il piede nell’acceleratore. Poi solo lo sfrecciare tra le strade come la sera precedente come se fosse questione di vita o di morte, e forse per lui lo era davvero. E poi finalmente la scoperta del tesoro, dopo l’aver stretto così tanto a se la mappa da sbiadire l’inchiostro. Una casetta a un solo piano mal ridotta si ergeva a fatica davanti a lui, il giardino trascurato era ricoperto da erbacce alte che coprivano il vialetto in ciottoli. Bussò, producendo un rumore sordo che gli fece intuire quanto il legno fosse marcio; sentì il rumore dei passi farsi sempre più vicino. Poi una faccia stanca, gli occhi spenti e il trucco sbavato agli angoli di questi, un sorriso appena accennato e un paio di braccia a circondarci la vita sottile. Si chiuse la porta alle sue spalle rabbrividendo a causa del vento gelido dei primi di gennaio. “Che ci fai qui?” semplice, diretta ma con l’insicurezza a farle tremare la voce. “Avevo voglia di vederti” semplice, diretto, sicuro della sua affermazione. In antitesi, come sempre d’altronde. E poi furono solo lacrime, le certezze di una vita crollate come muri di cinta sotto il colpo di una bomba, ginocchia che si sfracellano a terra ma mani pronte a risollevare un corpo ridotto allo stremo delle forze. Mani salde, quelle di Zayn, mani che accolgono e accarezzano le ferite, mani che uniscono lembi di pelle distanti, mani che arrivano al cuore e lo chiudono dentro i palmi per tenerlo al sicuro, mani che distruggono muraglie per poi ricostruirle con mattoni colorati e non più in bianco e nero. “Sono qui” ed fu una certezza, non una frase dettata dal momento e lei sorrise vedendo in lui un angelo custode e lo disse “Sei un angelo” o forse era una domanda e “Sarò il tuo di angelo, se me lo permetterai” e dio, erano passate solo poche ore dal loro incontro ed erano già così in sintonia, sinceri, aperti al dialogo, amici-o forse qualcosa di più?- che si conoscono da una vita. “Posso entrare?” accennò con il mento alla casa Zayn, e il no secco come risposta gli fece sbarrare gli occhi. “Mi vergogno” e i piedi scalzi erano improvvisamente più interessanti dei pozzi che il moro si trovava al posto delle iridi. E lui, con un gesto secco, la prese in braccio e aprì la porta come se non avesse udito nulla. La casa, come immaginava, non era ridotta molto bene: alle finestre, al posto delle tende, vi erano delle coperte consunte e la porta cigolò al loro passaggio come ad intimargli che si, era ancora in tempo per andarsene. La polvere ricopriva i mobili e quella fotografia posta all’interno di una cornice di legno: il moro se la rigirò tra le mani e passò le dita lunghe sul vetro, scoprendo una Rain bambina stretta tra le braccia possenti di un uomo, probabilmente suo padre, il quale era affiancato da una donna giovane e da un ragazzo di circa dieci anni. “Lui è Mike, è venuto a mancare qualche mese fa. Tumore al pancreas, questa la causa del decesso” e una mano veloce e scacciare l’unica lacrima sfuggita al controllo della ragazza. Un abbraccio di quelli che fanno mancare il respiro, quello che Zayn le donò. Nessuna parola, solo il rumore dei respiri fattisi sempre più veloci a causa della vicinanza improvvisa tra i due corpi. L’allontanarsi lentamente, occhi negli occhi, tristezze che si scontrano, certezze a cui aggrapparsi. “Rain” un sussurro e poi due soffi vitali che si scontrano, labbra che si incontrano a metà strada. “Un bacio diverso” pensò Rain, lei che baci in vita sua ne aveva dati tanti, così tanti da non riuscire nemmeno a contarli, figurarsi a ricordarsi i destinatari di quel suo gesto. Perché Zayn non aveva fretta, Zayn non era affamato di lei, non metteva le mani sul suo seno e sul suo fondoschiena. Il moro accarezzava le guancie color porpora della giovane come se fosse fatta di porcellana e chiedeva gentilmente accesso alla sua bocca per mescolare i loro sapori, le loro anime, così da fonderle insieme e renderle un tutt’uno come fanno i bambini con due pezzi di pongo di colore differente. Rosso amore Zayn, giallo pericolo Rain: giallo, come il colore intermedio del semaforo che intima al guidatore di usare prudenza, o come il codice giallo in campo ospedaliero che avvisa che le condizioni del paziente sono gravi ma non così tanto da compromettere la sua vita. Rosso e giallo per creare un rosso ancora più acceso. Rosso passione, rosso sangue, rosso vita.


“Vieni, ti porto in un posto” e poi mani che si cercarono, si trovarono, si intrecciarono. E la porta che si chiuse con un colpo sordo dietro loro, fiati corti per la corsa. Si fermarono di fronte a un cancello in ferro battuto arrugginito, chiuso con una catena. Il cartello vicino all’entrata diceva: “Parco comunale”  ma Zayn fu più che sicuro di non essere a conoscenza di quel luogo. “Sicura che possiamo entrare? L’entrata è bloccata!” sussurrò il moro e lei sorrise “E chi ha detto che dobbiamo usare quella di entrata?” chiese innocente e lui alzò le spalle, incurante ma quando la vide arrampicarsi sull’albero e poi sporgersi per salire sopra il muro di cinta indietreggiò impercettibilmente scuotendo la testa. “Oh no, non se ne parla nemmeno!” la voce incrinata. “Che c’è Malik, hai paura?” una provocazione bella e buona. “Ma cosa dici, io non ho paura delle altezze, proprio no! Io le odio Rain, ti prego scendi da là che ti fai male!” il viso bianco come un lenzuolo e le mani tremanti. Lei scese e lui si illuse di essere riuscito nel suo intento ma, quando lei afferrò saldamente la sua mano e lo trascinò con se vicino al grande castagno, si diede mentalmente dello stupido perché dai, come aveva potuto credere che una ragazza testarda come lei avrebbe rinunciato tanto facilmente a perseguire il suo obbiettivo? “Ti aiuto io” e un bacio a fior di labbra per far cedere del tutto i suoi timori. “Questo è scorretto” affermò Zayn passandosi l’indice sulla bocca. “Sarà” la mano tesa verso di lui per aiutarlo. Dieci minuti abbondanti dopo finalmente si trovavano all’interno del parco e davanti a Zayn si ergeva un castello per bambini e alcune giostre rovinate dal tempo. “Andiamo” decisa, risoluta Rain. Salirono le scalette in legno e si sedettero sul castello, della parte coperta dal tetto dello stesso materiale dell’attrazione. Il moro estrasse velocemente dalla tasca posteriore dei jeans il pacchetto di sigarette infilandosene una tra le labbra sottili mentre cercava l’accendino, senza trovarlo. Ma fu un secondo che Rain gliela rubò, la infilò tra le sue di labbra e la accese con il suo. Zayn, dopo aver emesso uno sbuffo e averle regalato un sorriso sincero, prese un'altra sigaretta e se la fece accendere da lei. La mano le tremava, se fosse per l’emozione o per il freddo non era dato saperlo. Non servirono parole, a quei due bastavano degli sguardi per capirsi. Cominciò a piovere e “aspetteremo che smetta prima di tornare a casa” disse Zayn ma, contrariamente alle sue aspettative, la ragazza gli strinse il polso e lo condusse al centro della pista da skateboard. “Ci stiamo bagnando tutti” si passò una mano tra i capelli corvini lui, preoccupato. “E allora? Ho sempre amato stare sotto la pioggia e, come ogni sogno adolescenziale che si rispetti, di essere baciata sotto di essa” fece una piroetta su se stessa sorridendo serena ma lui la bloccò, la strinse a sé e “a questo rimediamo subito!” sussurrò per poi baciarla ancora e ancora, insaziabile di quelle labbra che sapevano di cioccolata e tabacco.

 
“Ti fermi qui a dormire?” le chiese. Erano ormai passate sette settimane dal loro primo incontro e dire che le cose tra loro andavano bene era davvero riduttivo. Zayn si sentiva in dovere di proteggerla, di farla sentire amata come mai prima d’ora e lei voleva semplicemente che succedesse perché mai avrebbe immaginato che tutto ciò potesse accadere, che incontrasse un ragazzo disposto ad accettarla per quello che era, difetti in primis. Difetti che aveva messo in bella mostra quando qualche giorno prima il moro le aveva presentato la sua famiglia. Si era recata al pranzo con una felpa e un paio di jeans semplici e nonostante il suo ragazzo- poteva essere considerato tale?- le avesse assicurato di essere perfetta, lei era certa che per fare bella figura avrebbe dovuto indossare un vestito, preferibilmente di marca. Si era stretta nel suo cappotto abituale, ai piedi un paio di vans e aveva stretto calorosamente le mani di tutti i componenti della famiglia Malik. Non erano mancati i complimenti che lei, naturalmente, aveva accettato con un sorriso timido e un rossore indesiderato sulle guancie. Ma a tavola proprio non sapeva come comportarsi, quelle delle tre forchette utilizzare per prima o dove mettere il tovagliolo bianco. Così si limitò a spiare i movimenti di tutti e a imitarli ma, nel momento in cui si stava sporgendo per prendere il pane dalla cesta in vimini posta al centro della tavola, la tovaglia venne tirata leggermente e il bicchiere di vino rosso si era rovesciato macchiando il tessuto azzurro. Un “o mio dio, mi dispiace davvero molto Trisha” uscì dalle labbra sottili di lei e la mano di Zayn ad accarezzarle la gamba per rassicurarla e tranquillizzarla. “Non è niente tesoro, basta metterla in lavatrice” la consolò infatti lei ma nulla: per la restante durata del pranzo, Rain non spiaccicò parola se non per rispondere a monosillabi alle domande che le venivano poste. “Va bene Zayn, grazie mille della disponibilità” appoggiò la borsa sul divano e si avvicinò a lui, abbracciandolo con tutta la dolcezza di cui era in possesso. Si baciarono con quella calma che apparteneva solo a loro e, quando le mani del moro si infilarono sotto il maglione di lei accarezzandole i fianchi, Rain sussultò presa alla sprovvista. Il ragazzo, mortificato, si allontanò maledicendosi mentalmente per aver corso troppo. “Zayn, hai frainteso tutto” si avvicinò a lui la giovane e per risultare per convincente lo avvicino a se e passò le sue mani piccole tra i capelli corvini. Cominciò lentamente a sbottonare la camicia del ragazzo e, dopo aver terminato con questa e aver fatto passare le dita sui contorni dei vari tatuaggi che il ragazzo si trovava sul petto, passò ai jeans abbassandone la cerniera, jeans che vennero lanciati da qualche parte della stanza nel momento in cui la bocca del moro andava a succhiare un lembo di pelle del collo di Rain facendola sospirare appena. Il vestito leggero che indossava cadde a terra nella frazione di un secondo rivelando un corpo magro e snello coperto solo dall’intimo. E non appena si ritrovarono nudi non se ne vergognarono perché si erano più volte spogliati: delle loro debolezze, delle loro insicurezze, delle loro paure e in fin dei conti un pezzo di stoffa non era niente in confronto a tutto ciò che avevano avuto il coraggio di condividere. Nonostante ciò però Zayn ebbe modo di notare come gli occhi della ragazza evitassero il contatto con  i suoi e di come le sue guancie avessero improvvisamente acquisito colorazione. Si preoccupò di farla sentire a suo agio, protetta tra quelle braccia muscolose, risultato di ore e ore di palestre e quanto Rain disse “non so fare l’amore” la strinse a se nel migliore degli abbracci posandole un bacio dolce sulla clavicola “piccola, tu sai fare l’amore solo che fino ad ora non hai avuto modo di dimostrarlo. Sei stata l’oggetto di molti uomini e al solo pensiero mi prudono le mani e un’immensa voglia di spaccare la faccia a tutti loro per come ti hanno trattato si fa spazio dentro di me ma ora è tutto diverso, tu sei diversa e pure io lo sono perché, stenterai a crederci, già lo so, ma tu mi hai stravolto la vita e l’hai resa un capolavoro, il dipinto migliore del più rinomato artista: ero solo una tela bianca, ma poi sei apparsa tu con un basco in testa e la tavolozza piena di colori tra le mani e hai dipinto me, la mia anima e i miei pensieri in ogni minimo dettaglio e ci hai messo la firma, in basso a destra come ad assicurarti che quell’opera fosse tua e di nessun altro. Quindi ora ama Rain, amami forte, amami tanto e amami come solo tu sai fare e se ancora non sai da che parte prendere la situazione non demoralizzarti perché siamo sulla stessa barca, impareremo insieme tenendo ben presenti i nostri sbagli perché la vita non ha un libretto d’istruzioni ma la mia, di vita, ora ha te e non ha bisogno più di nulla perché tu sei il porto sicuro per la barca dispersa che ero, sei il faro che indica la via nella tempesta, sei casa per gli sfollati e camino acceso vicino a cui scaldarsi nelle fredde notti d’inverno” e dei milioni di “ti amo” che si scambiarono quella notte ne sono testimoni solo le quattro mura di quella stanza.
“Che stai facendo?” domandò dubbiosa Rain mentre la mano di Zayn si infilava dentro la tasca del giubbotto e estraeva un coltellino svizzero. Si trovavano nel castello di legno, come erano soliti fare da qualche giorno a quella parte alle sei del pomeriggio. Il parco era sempre deserto, come lo era stata la vita di Rain prima dell’arrivo di Zayn che era diventato la sua oasi in cui fermarsi per risposare, per essere se stessa in tutto e per tutto. “Qual è l’iniziale del tuo secondo nome?” e forse, pensò la ragazza, non gli hanno insegnato che non si risponde mai con una domanda a una posta in precedenza ma scrollò le spalle con disinteresse “J, di Juliet” sorrise timida. “Oddio ma che casualità, il mio è Romeo.” Credergli o non credergli? Perché dovrebbe mentire? E poi la sua faccia non lasciava trasparire nessuna incertezza, solo un sorriso emozionato. “Davvero?” domandò sognante. Sarebbe stata la casualità più bella del mondo, e avrebbero potuto fantasticare su questa stranezza per tutta la vita se lui non fosse scoppiato a ridere e non avesse detto “certo che no, credulona” e averle scompigliato i capelli in modo giocoso. Lei mise su un broncio tenero che scomparse quando lui poggiò delicatamente le sue labbra sulle sue. “Jawaad” disse all’improvviso e, notando la faccia perplessa di lei, continuò “il mio secondo nome, intendo” e lei annuì sovrappensiero. Poi si alzò e si catapultò su di lui mettendosi a cavalcioni e strusciando il naso su quello del moro e poi sul suo collo. “Ma che..?” ma le parole vennero interrotte da un ruggito finto. “Il tuo secondo nome mi fa venire in mente una tigre” e di nuovo agrrr. Si distesero uno accanto all’altro in quello spazio angusto e piccolo ma si sa, basta stringersi un po’ di più e a loro non sembrava dispiacere poi così tanto. Occhi puntati verso l’alto, verso quel tetto con le loro iniziali intagliate al centro, accorgendosi che i loro secondi nomi iniziavano con la stessa lettera. “ZJM & RJS” posti all’interno di un cerchio formato dalla frase “only us from here to eternity. “Mi ami?” una domanda inutile ma essenziale per Rain. “Come potrei non farlo? E tu, mi ami?” “Come potrei non farlo?” sorrisi timidi, nasi che si strofinano, labbra su labbra e promesse marchiate sulla pelle con un carbone ardente. Niente più lancette della velocità che sfiorano numeri impensabili, niente più vestiti succinti –che vennero sostituiti da comode tute sformate, ma che le donavano ugualmente- niente più strade malfamate, ma solo nottate trascorse a casa di Zayn- che si ritrovarono a condividere dimenticandosi di quella catapecchia venduta all’asta per ricavarne qualche spicciolo- davanti alla televisione con una ciotola di popcorn che dovevano essere mangiati ma che, irrimediabilmente, venivano lanciati addosso all’altro scatenando fiumi di risate, niente più sesso: “Solo amore” avevano promesso facendo il gesto della croce sul cuore proprio come avevano visto fare nel cartone animato “Up”- guardato insieme, naturalmente.-  Solo loro- e magari, nel prossimo futuro, qualche bambino a scorrazzare per casa- da qui all’eternità.


 
Hi boys and girls  

Se siete arrivati fino in fondo, complimenti! Questa os è stata un parto, scritta e pensata in due mesi con fatica e a volta lacrime perchè dentro di me volevo scrivere ma non sapevo come andare avanti, forse per la tematica forte della prostituzione, forse per tutti gli impegni che mi assillavano. Un ringraziamento particolare va, in primis, a Ju -si proprio tu- che mi hai sopportato, incoraggiato e corretto pazientemente questo mio scritto ripetendomi in continuazione quanto fosse fantastico (ti ho creduto solo qualche volta, lo ammetto) e in secondo luogo a Martina che ha letto solo l'inizio e ne è rimasta incantata; spero che il finale sia di tuo gradimento. E un grazie anche a voi lettori che mi sostenete sempre, siete uno dei motivi per cui scrivo ancora. Se volete farmi sapere cosa ne pensate c'è un pulsante in cima che attende solo di essere premuto da voi. Un bacio enorme

anns
 
   
 
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