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Autore: Erbacea    28/12/2013    0 recensioni
Ed ecco che la vidi, da lontano, attraverso le piantine in crescita del mio giardino che stavo annaffiando delicatamente. Posai i guanti da giardiniere, la paletta, l’annaffiatoio e il cappellino. “Cosa c’è, qualche brutto ricordo?” Sentì alle sue spalle.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Nuovi arrivi nel quartiere
Texas, 7.00 a.m.

 
Il raggi scintillanti del sole di quell’estate che sembrava non avesse una fine premevano contro le tapparelle nuove di legno di casa Wesley. La poca luce che riusciva ad infilarsi tra i buchi delle persiane si posava direttamente sulla chioma bionda di Avril. Stringeva a se le coperte bianche con i polpastrelli delle dita consapevole di doversi svegliare. La giornata era appena cominciata ed i lavori da svolgere ce n’erano tanti. L’unica cosa che le dava coraggio era  sicuramente la colazione. Non sembra ma le offriva l’energia giusta per combattere lo stress.  Forse è troppo presto per mettersi a lavoro. Pensò Avril titubante. Si scoprì le gambe e poi poggiò i piedi sul pavimento freddo. La camicia da notte le scivolò lungo tutto il corpo fino a toccarle le caviglie. Peccato che lei non potesse ancora percepire tutto ciò. I suoi piedi, infatti erano ancora sotto anestesia.  Aiutandosi con le mani avvicinò a sé l’ammasso di metallo all’angolo della camera e si poggiò con il braccio. Le sue gambe erano rimaste paralizzate già da un bel po’ per cause da tutti sconosciute. Nessuno conosce il motivo perché la ragazza dalle iridi color cielo non aveva tanti amici. Dopo aver raccontato l’accaduto a qualcuno aveva il timore che le persone attorno a lei si sentissero obbligate ad aiutarla. Ciò che non riusciva a mandare giù era infatti il cambiamento del carattere delle persone che imparavano a conoscerla.  Fortunatamente quello stesso giorno aveva la possibilità di rimuovere (finalmente)  il gesso dalla gamba destra e cominciare i corsi per riportare i suoi arti inferiori in movimento come un tempo. Scatole da svuotare, mobili da riempire e  stanze da arredare. Era contornata di pacchi imballati e non sapeva da dove cominciare, ma senza due piedi e tanta volontà non sarebbe arrivata così lontano.
Orfana di padre e madre Avril si trovò da sola, all’interno di quattro mura a lei non conosciute, la sua nuova casa. Ma anche se fossi stata in compagnia di qualcuno non avrei chiesto l’aiuto di nessuno. Cercava di tirarsi su il morale da sola pensando qualsiasi cosa le permettesse di fare un buon lavoro.
 Nel bel mezzo del suo monotono “svuotare e riempire” riuscì ad udire uno strano botto. Qualcosa s’era schiantato sul grande finestrone in salotto. Pensò si trattasse di un uccello che durante l’atterraggio aveva perso il controllo delle proprie ali ma non fu affatto così. Uscita in giardino si addentrò dietro i folti cespugli che incorniciavano la sua villa e vi trovò un giornale immerso nel terreno umido. Inizialmente comparve sul suo volto una smorfia arrabbiata ma appena scorse con il pelo dell’occhio chi aveva quella mira da principiante le  scappò un sorrisetto. Un bambino di circa dieci anni – diagnosticò avvicinandosi alla strada – si occupava di portare i quotidiani fuori ogni casa guidando contemporaneamente una bici. Si chinò sulle ginocchia per afferrare il giornale e si alzò lamentandosi silenziosamente dal dolore fitto alla gamba che sembrava aumentasse sempre di più. Il bambino da lontano la salutò e lei ricambiò il saluto con gentilezza. Si era fermata precisamente di fronte la sua cassetta delle lettere, perciò non esitò ad aprirla. Non l’avesse mai fatto. Tirò fuori la lettera del ragazzo che le andava dietro dal college, Joy. Senza nemmeno leggerla gli chiese scusa a bassa voce e la trasformò in mille pezzettini di carta che ormai avevano invaso il prato attorno a lei.
Ed ecco che la vidi, da lontano, attraverso le piantine in crescita del mio giardino che stavo annaffiando delicatamente. Posai i guanti da giardiniere, la paletta, l’annaffiatoio e il cappellino. “Cosa c’è, qualche brutto ricordo?” Sentì alle sue spalle. Una specie di sussurro che si stava ormai disperdendo nell’aria. Si voltò tentennando trovandosi di fronte me stessa, una ragazza più o meno alta quanto lei, bruna e liscia. “Piacere, Maya.” Mi presentai porgendole la mano, non prima di essermi pulita le due sulla salopette di jeans sporca di polvere.

“Purtroppo sì.” Rispose fredda. Anche io mi accorsi del suo atteggiamento. Quasi tratteneva le parole tra le labbra prima di parlare. Per un attimo mi passò per la mente addirittura d’aver detto qualcosa di sgarbato. Invece le cose stavano così: Avril preferiva tenere il passato più lontano possibile dal presente e pochi amici significavano pochi momenti da ricordare in futuro. Mi chiese se mi andasse di entrare incrociando le braccia.  Mi guardai in torno e feci cenno di sì con il capo. Ondeggiando, data la scarsa conoscenza del cammino da percorrere mi voltavo spesso per cercare il corpo di Avril che mi avrebbe guidato in casa sua.
Appena penetrai all’interno della sua dimora il mio sguardo brillante cadde direttamente sull’arredamento della casa.
“Sembra tutto così fresco” Respirai quell’aria frizzantina. “All’antica.”    
“Tutto ciò che vedi quì dentro è opera mia.” Soddisfatta del suo lavoro si mise a braccia conserte.  La guardai stranita. Le mie iridi scure si tuffarono in  quelle color mare della talentuosa Avril e le chiesi se aveva fatto davvero tutto da sola. “Wow, sei una ragazza da stimare.” Sostenni dopo aver ricevuto come risposta un colmo e appagato si.
La sua era una villa stupenda. I mobili di legno contornavano le pareti e rendevano casa sua più vecchia e vissuta. Vi erano piante ovunque e queste donavano ottime fragranze all’ambiente. Profumavano di lavanda le sue stoviglie, e con le posate fatte di legno si poteva assaporare una buonissima minestra.  Pensai mentre impugnavo una tazza di the decorata a mano. Sorseggiando  intenta ad ascoltare il modo in cui Avril aveva lavorato quel legno mi passò per la mente il ricordo di mezz’ora prima. Volevo domandarle da molto perché usava quel bastone e forse quello era il momento giusto, visto che ormai tra me e lei vi era confidenza.
“E’ una storia lunga e molto triste.” Avril tirava la corda a sé cercando di farmi capire che se ne avesse parlato avrebbe tirato fuori troppe lacrime e non voleva, anche perché  in Texas stava riacquistando la voglia di vivere che aveva nel suo corpo tempo prima. 
“Sono qui per te. Per ascoltarti, Avril. Parlarne con qualcuno ti farà sentire meglio, credimi.”  
 “Lo spero Maya. Lo spero.” Le accarezzai la spalla ed lei non riuscì  a trattenere i brividi.
Ma quelle parole erano tremendamente vere. Da quel giorno feci parte di ogni attimo della sua vita. La ascoltavo quando ne aveva bisogno e le consigliavo qualsiasi cosa cercando di farle percorrere sempre la strada giusta. Da quel giorno ci appartenemmo ma purtroppo non nel modo in cui voleva lei.
 
 
  
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