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Autore: Beauty    28/12/2013    5 recensioni
[Once Upon a Time in Wonderland]
Anastasia è diventata la Regina Rossa, signora del Paese delle Meraviglie. Ma questa è solo una delle sue tante identità perché, in verità, Anastasia non ha mai saputo chi fosse, in realtà...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Once Upon a December
 
Dancing bears, painted wings,
things I almost remember,
and a song someone sings.
Once upon a December…
 
Nevica.
Anastasia scosta appena le tende sdrucite che coprono la finestra della camera da letto – una camera da letto piccola e angusta, così stretta che a malapena lei e Will riescono a starci dentro, ma comunque non abbastanza da poter trattenere al suo interno un poco di calore –, e per un attimo rimane incantata a guardare quei fiocchi bianchi e ghiacciati che cadono dal cielo, coprendo il tetto di quella casupola che lei e il suo Vero Amore hanno affittato per poche monete. La neve ricopre l’erba del prato e i rami degli alberi spogli, creando una distesa immensa di bianco, un mare sì freddo, ma anche morbido e soffice. Anastasia sorride istintivamente, anche se sa che non dovrebbe farlo: la neve è un problema, ne è consapevole, con essa il freddo che alberga costantemente in casa non farà altro che aumentare, e lei e Will faticano già così tanto a trovare della legna per tenere acceso il fuoco nel camino…
Eppure, nonostante questo, non riesce a smettere di sorridere, perché in fondo la neve le è sempre piaciuta. Sempre, si ripete. Fin da quando era bambina…O almeno, immagina che sia così.
 
Una bambina dai capelli biondi proprio come i suoi, un po’ paffutella, ride mentre lei viene colpita dalla palla di neve che le ha appena scagliato. Anastasia ride, scrollandosi i fiocchi di ghiaccio dal cappotto caldo ed elegante, rosa come il colore delle sue guance in quel momento, e inizia a rincorrere la sorella maggiore, pronta a vendicarsi.
- No! Non vale!- protesta Maria, ridendo, non appena viene colpita a sua volta da una palla di neve, stavolta lanciatale a tradimento da Tatiana. Anastasia si unisce a quest’ultima, iniziando a tempestare Maria con una raffica di palle di neve. Le tre sorelle ridono, e anche la maggiore, Olga, sebbene sempre così seria e composta, si unisce alla battaglia, felice di trascorrere qualche ora lontano dalle lezioni e dalla vita di corte.
Anastasia ansima, senza fiato, ma non riesce a smettere di ridere e coglie appena le raccomandazioni preoccupate di sua madre Alessandra, che le osserva da lontano. Si volta, incrociando il volto della zarina in lontananza, ritta in piedi di fronte alla porta del Palazzo d’Inverno. Sua madre spinge lentamente una sedia a rotelle, e il sorriso di Anastasia si smorza un poco nel vedere Alessio – il loro fratellino, il piccolo di casa – così magrolino e pallido, sofferente sotto quella coperta di lana che gli copre le gambe e gli abiti pesanti, mentre le guarda con espressione amara. Le dispiace per lui, vorrebbe che potesse venire lì a giocare con lei, Maria, Tatiana e Olga; ma Anastasia sa che non può, perché la salute di suo fratello è troppo fragile.
 
Anastasia sente che il respiro le è rimasto bloccato nel petto. Ansima, mentre le mani iniziano a tremare, e si allontana precipitosamente dalla finestra, lasciando andare le tendine. Annaspa alla ricerca di un sostegno, qualcosa a cui aggrapparsi per non cadere miseramente a terra. Si abbandona su una seggiola scricchiolante e malridotta poco più in là, portandosi una mano all’altezza del cuore e cercando di calmarsi. Chiude gli occhi e respira a fondo, uno, due, tre, piano, come le ha insegnato Will. Lui si preoccupa sempre quando le capitano queste cose, e Anastasia spera solo che non la veda in questo stato: hanno già tanti problemi, loro due, il lavoro scarseggia e più di una volta hanno dovuto rinunciare alla carne in tavola o a una minestra calda, Will non ha bisogno che le sue preoccupazioni aumentino per colpa di quella matta della sua fidanzata.
Già, matta. Anastasia a volte davvero pensa di essere matta, e matta da legare anche!, soprattutto quando le succedono cose simili. Non è la prima volta che accade, eppure sono sempre in grado di coglierla di sorpresa, di trovarla impreparata, di farla spaventare come non mai.
Visioni. Anastasia non trova altro modo per definire quei sogni a occhi aperti che di tanto in tanto le capita di fare. Visioni. Immagini a volte allegre e a volte tristi, a volte malinconiche e altre tremendamente inquietanti, da far gelare il sangue. Scene di qualcosa che non è mai esistito e di cui Anastasia non ha mai neppure sentito parlare, eppure così familiari.
Perché, per quanto possa sembrare assurdo, Anastasia non crede che quelle che vede siano solo il frutto della sua immaginazione, sia essa anche un poco distorta. In qualche modo, sa di aver già vissuto quelle scene, sa che esse non possono essere come piccole magie nate dal nulla.
Sono piccoli stralci di qualcosa che è stato e che ora non esiste più…Come piccole memorie di un tempo passato. Come ricordi.
 
Someone holds me safe and warm,
horses prance through a silver storm,
figures dancing gracefully
across my memory.
 
Già, ricordi.
Anastasia sospira, posandosi le mani in grembo, e chiude gli occhi, ora di nuovo calma. Ricordi, dice lei, e anche Will la pensa così…ma non è sicura di voler sapere se entrambi hanno ragione oppure no.
Anastasia non ha ricordi, e l’unica memoria che ha mai posseduto è quella del suo nome. Un nome elegante, nobile, regale, troppo per un’orfanella come te!, gracchiava sempre Compagna Tossekov, la direttrice dello squallido istituto in cui un passante pietoso l’aveva condotta, dopo averla trovata a vagare senza meta in un inverno come quello, persa nella folla e nel caos di San Pietroburgo. La direttrice insinuava sempre che se quel nome se lo fosse dato da sola, e presto anche gli altri orfani avevano cominciato a credere che fosse così. Per tutto il tempo in cui era stata lì, l’avevano chiamata con nomignoli come Anijoshka, Anna o Anja, ma non appena era riuscita a varcare i cancelli di quella prigione, aveva ripreso a farsi chiamare Anastasia. Perché, lo sente, quel nome è suo; qualcuno – forse una madre, chi può saperlo! – gliel’aveva dato il giorno in cui era nata, e qualcuno l’aveva urlato disperatamente il giorno in cui l’aveva lasciata per sempre.
 
Un treno che corre nella notte nevosa. Folla, confusione, persone arrabbiate, disperate, gente che urla e spintona, urla che inneggiano ai soviet e alla morte dello zar.
E una corsa. Una corsa a perdifiato nel buio, una speranza che si allontana sempre di più insieme a quel treno. E una stretta alla mano.
Una stretta forte, calda e vigorosa; una stretta protettiva, una stretta dolce e rassicurante allo stesso tempo; una stretta che significa “non preoccuparti, sono qui vicino a te, non ti lascio”.
- Nonna!
- Forza, prendi la mia mano! Tieniti alla mia mano!
- Non mi lasciare!
Ma, alla fine, l’aveva lasciata, e il buio aveva preso il sopravvento, accompagnato solo da quell’ultimo, disperato grido.
- Anastasia!
 
Riapre gli occhi, e subito si affretta ad asciugarsi quelle poche lacrime sfuggitele dalle ciglia, ringraziando ancora una volta che Will sia nell’altra stanza e non possa vederla. I suoi ricordi sono confusi, immagini sfocate e prive di senso, ma non riesce a spiegarsi perché allora le facciano sempre così male.
Le fanno paura, la spaventano, e se a volte Anastasia non desidera altro se non ricordare chi era prima di diventare un’orfana accolta in casa per carità, come non mancava mai di ribadire la sua madre adottiva, in altri momenti vorrebbe soltanto chiudere gli occhi e dimenticare anche quei pochi barlumi di memoria che le sono rimasti.
Aveva cercato di esorcizzarli, di dimenticare ogni cosa, quando ancora era in quell’orfanotrofio, e Compagna Tossekov le dava una mano ogni giorno, in quel senso. Le poche volte in cui si era azzardata a parlare con lei o con uno dei pochi amici che aveva di quelle visioni, la direttrice non aveva perso un attimo e l’aveva immediatamente trascinata da un dottore, dichiarando che questo piccolo scarafaggio ha qualche tara mentale!. Fortunatamente il medico non le aveva creduto e lei non era stata rinchiusa in qualche manicomio, ma da allora Compagna Tossekov non aveva fatto altro se non sbatterle continuamente in faccia la sua mancanza d’identità e di ricordi, facendola sentire un peso fino al giorno in cui non aveva lasciato l’orfanotrofio. Anche quel mattino non si era risparmiata di rinfacciarle tutto…
 
- Sei stata la mia spina nel fianco, da quando sei arrivata qui! Con tutte quelle arie da Regina di Saba, quando invece sei soltanto una povera orfana senza nome! Se penso che in tutti questi anni ti ho nutrita, ti ho vestita, ti ho messo un tetto sopra…
- …ti ho messo un tetto sopra la testa!- aveva sbottato lei, stufa di quella cantilena che si trascinava da dieci anni e che ormai conosceva a memoria. Compagna Tossekov l’aveva guardata indispettita e irritata, puntandole addosso quel suo grugno da mastino.
- Come mai non ti ricordi un fico secco di quello che eri, e invece queste cose te le ricordi tutte?!
 
Anastasia ricorda che, quando aveva varcato quel cancello, salutando un’ultima volta i suoi amici dell’orfanotrofio, si era finalmente sentita bene. Si era sentita libera, come mai in vita sua, avrebbe anche potuto voltarsi e sputare in faccia a Compagna Tossekov se solo l’avesse voluto, ma desiderava ardentemente non fare brutta figura di fronte a quella signora vestita con un elegante mantello e un manicotto di pelliccia che l’attendeva in piedi di fronte alla carrozza.
La direttrice le aveva detto che quella era una donna pia e caritatevole che aveva deciso di accoglierla in casa propria. Anastasia si era sentita euforica all’idea. Non aveva memoria di chi fosse, e dunque non poteva sapere se avesse mai avuto una famiglia o no. Certo, qualcuno doveva necessariamente averla messa al mondo, ma lei non ricordava di aver mai chiamato qualcuno mamma e papà.
Ma ascoltava le storie che gli altri orfani avevano da raccontare sulle loro famiglie e, sebbene tutte queste fossero tristi e malinconiche, Anastasia si era sempre domandata come fosse averne una, di famiglia. Cosa si provasse a essere abbracciati, a volersi bene, a condividere momenti belli e brutti…Aveva sperato di scoprirlo quando quella donna dai capelli neri le aveva teso entrambe le mani e le aveva sorriso, dicendole di chiamarla madre, da quel momento in avanti.
Ma non era andata come aveva previsto, e le sue speranze erano state presto infrante.
 
Someone holds me safe and warm,
horses prance through a silver storm,
figures dancing gracefully
across my memory.
 
La donna che l’aveva adottata si faceva chiamare Madame Tremaine.
Anastasia apprese che si trattava di una vedova, e che aveva una figlia di nome Genoveffa. Si era risposata, ma anche il suo secondo marito era morto, lasciandole in eredità una figliastra di nome Ella, una vecchia magione di famiglia malandata e una montagna di debiti.
All’inizio, Anastasia aveva davvero creduto che Madame Tremaine avesse voluto accoglierla nella sua famiglia, ma ben presto aveva compreso quali fossero le sue vere intenzioni. Certo, aveva a sua disposizione bei vestiti e gioielli, bastava che lei chiedesse e subito la madre adottiva provvedeva – certamente era trattata meglio della povera Ella, che veniva ogni giorno costretta a lavorare come una sguattera e a cui era stato affibbiato il nomignolo di Cenerentola –, ma…niente era come sembrava.
Genoveffa la evitava, la chiamava sempre orfanella, e non la trattava mai come una sorella, bensì come un’ospite tollerata in casa propria. Madame Tremaine era fredda e distaccata, non le concedeva mai una carezza o un bacio, e neppure una parola più del dovuto.
Non voleva mai sentire parlare della sua vita all’orfanotrofio, e la guardava come una pazza ogni volta che lei diceva di non ricordare chi fosse o accennava alle sue visioni. Madame Tremaine avrebbe anche voluto che gettasse via l’unica cosa che le ricordasse in qualche modo il suo passato: un ciondolo dorato con incisa sopra una dedica e un carillon che, se caricato, suonava una melodia che ad Anastasia sembrava così familiare e dolce, ma che Genoveffa non poteva soffrire.
 
- Ti avverto, orfanella: o spegni subito quel dannato carillon, o giuro che lo getto nel pozzo!
- Non ti sta dando alcun fastidio, Genoveffa!
- E tu che ne sai?! Bada bene che lo racconto alla mamma e ti faccio ritornare nel fango, dov’è il tuo posto!
 
Quella era solo una delle tante cattiverie che aveva dovuto subire.
Dapprincipio, Anastasia aveva attribuito tutta la colpa a sé stessa, cercando di capire cosa ci fosse di sbagliato, in lei, fino a che, una sera, la verità le era stata sbattuta in faccia, e aveva compreso ogni cosa.
Madame Tremaine e le sue figlie erano state invitate a un ballo al castello, in onore del compleanno del principe dove, si vociferava, egli avrebbe scelto la sua futura sposa. Anastasia vi era andata più per far contenta la madre adottiva che per vero interesse, mentre la povera Ella era stata lasciata a casa a pulire, in lacrime. Per tutta la sera, Madame Tremaine non aveva fatto altro se non cercare di fare in modo che il principe Thomas posasse gli occhi su Genoveffa o su di lei, senza successo: infatti, egli non aveva fatto altro che ballare tutta la sera con una misteriosa dama dalle scarpette di cristallo che, allo scoccare della mezzanotte, era fuggita via senza una spiegazione, e senza lasciare alcuna traccia.
La vicenda aveva fatto scalpore, ma a Madame Tremaine non sarebbe potuto importare meno.
Non appena rimisero nuovamente piede a casa, iniziò a urlare loro contro, a insultarle, prendendosela soprattutto con Anastasia. A quel punto, aveva compreso quale fosse il vero motivo per cui aveva deciso di adottarla.
Il suo secondo marito era morto lasciandole solo debiti, debiti che avrebbe potuto pagare solo se avesse avuto due figlie maritate a dei partiti più che ottimi. Era quello l’unico motivo per cui si era abbassata ad accogliere in casa sua un’orfana cenciosa, le aveva gridato. E, ora che aveva constatato che non era buona neppure a quello, la sua presenza lì era inutile.
Anastasia si era sciolta in lacrime ma, non appena aveva riacquistato un barlume di lucidità, aveva raccolto le sue cose e annunciato fieramente che se ne andava. Madame Tremaine l’aveva lasciata fare, ma la sua aura non l’aveva mai abbandonata, seguendola ovunque andasse e ricordandole ogni volta che, per la legge, lei ora era sua figlia e, che lo volesse o no, un giorno avrebbe sposato un uomo ricco e l’avrebbe tolta dai guai. Lei non le aveva mai dato ascolto, e aveva continuato con la sua vita.
Anastasia aveva fatto diversi lavori, dalla sguattera, alla serva in una bottega del fornaio, all’aiutante di una pescivendola fino a vendere fiammiferi in mezzo a una strada.
Era stato allora, in una notte nevosa proprio come quella, che aveva incontrato Will.
 
Far away, long ago,
glowing dim as an ember,
Things my heart used to know,
things it yearns to remember.
 
Anastasia sente un paio di leggeri colpi bussare contro il legno della porta, e istintivamente si alza in piedi mentre scricchiolando questa si apre. Spera che le tracce del pianto non siano evidenti, ma non può trattenersi dall’accogliere con un sorriso caloroso l’uomo che ama e che è appena entrato nella stanza.
- Credevo fossi scomparsa…- mormora Will, dolcemente.- Va tutto bene?
Anastasia annuisce forse con troppo vigore, facendo finta di nulla di fronte allo sguardo inquisitorio del fidanzato che, è evidente, si è accorto che ha pianto. Si sistema meglio la vestaglia sopra la camicia da notte, rendendosi conto che è quasi mezzanotte. Sospira, cercando di non pensare al domani: quella sera sono riusciti ad avere una cena decente, Anastasia ha preparato una minestra calda con un po’ di pesce e verdure, ma sa che, forse, per almeno una settimana non saranno così fortunati.
Quando Madame Tremaine aveva appreso che la sua figlia adottiva era andata a vivere con un povero taglialegna, era andata su tutte le furie, ma Anastasia si era rifiutata di tornare a casa con lei ed essere nuovamente una pedina sulla sua scacchiera.
- Andiamo a letto?- propone Will. - Mi sembri stanca…
- E’ stata una giornata dura…- soffia Anastasia. Will sorride e si lascia cadere pesantemente sul letto: sbadiglia, e lei ridacchia intenerita, ma anche un po’ amareggiata. Il suo amore è sempre stanco, lavora tutto il giorno per loro due, e lei non può fare altro se non sentirsi in colpa. Da quando ha scelto di stare con lui, non può fare altro se non la sarta occasionale per alcune famiglie benestanti, ma i soldi che guadagna non bastano mai, e Will deve provvedere a tutti e due.
Ma è sempre dolce e gentile con lei, e sempre allegro; non è cambiato, da quella notte di Capodanno in cui l’ha incontrato.
Anastasia si slaccia la cintura della vestaglia, ripensando a quel giorno. Lei era stata cacciata via dal padrone della pescheria in cui lavorava come sguattera su ordine di Madame Tremaine, e si era ridotta a vendere alcuni fiammiferi per le strade della città. Era notte, faceva freddo, nevicava e tutti le passavano accanto senza degnarla di uno sguardo, oppure fulminandola con occhiate piene di disprezzo. Lei offriva a chiunque un fiammifero o due, ma la voce le tremava per il gelo, gli abiti e la mantella erano troppo leggeri per proteggerla, aveva i capelli bagnati per la neve e i piedi intirizziti negli stivali lisi.
Credeva che sarebbe morta per il freddo, quando lui le si era avvicinato. Will era avvolto in un mantello marrone scuro di fattura mediocre, anch’egli infreddolito e stanco. Ma le aveva sorriso, e aveva comprato un intero pacchetto di fiammiferi. Dopodiché le aveva teso una mano e l’aveva invitata a venire con lui – era Capodanno, il minimo che potesse fare era offrirle qualcosa di caldo da bere, le aveva detto. Anastasia non sapeva perché, dopo tante delusioni che aveva ricevuto dalla vita, avesse deciso di fidarsi di un perfetto sconosciuto: forse perché Will era stato il primo a essere gentile con lei dopo tanto tempo, forse perché temeva che, se non avesse accettato, allora sarebbe veramente morta di freddo, o forse semplicemente perché lui aveva uno sguardo così buono e rassicurante che lei si era fidata senza esitazioni.
Le aveva offerto una cioccolata in una locanda – Il brutto anatroccolo, quando ci ripensa Anastasia ancora ride –, e avevano trascorso insieme la sera di Capodanno. Da allora, non si erano più lasciati.
Anastasia rimane in camicia da notte, e si siede sul bordo del letto, stendendosi accanto a Will. Lo sguardo le cade sul carillon che aveva in tasca la notte in cui era stata condotta in orfanotrofio. Rimane a fissarlo, pensosa, quindi si volta verso il fidanzato.
- Ti…ti dispiace se lo carico un po’, prima di addormentarci?- gli domanda, sempre timorosa che possa esserne infastidito come lo era Genoveffa, sebbene lui le abbia già assicurato mille volte che non è così.
- No che non mi dispiace. Quella melodia è molto bella…- sorride Will; Anastasia si sfila il ciondolo dal collo, gettando una breve occhiata alla dedica – Insieme a Parigi, chi le aveva regalato quel ciondolo doveva volerle molto bene… – e con esso carica il carillon. Subito questo si apre, scoprendo una miniatura di una coppia danzante – ad Anastasia piace immaginare che quelli siano lei e Will – e inizia a suonare quella dolce melodia che sa di qualcosa di vicino e lontano allo stesso tempo.
Anastasia si volta verso Will, abbracciandolo e poggiando il capo contro il suo petto. Nella stanza fa sempre così freddo, e il letto è tanto stretto, che sono costretti a dormire abbracciati, ma in fondo questo a nessuno dei due è mai dispiaciuto.
Chiude gli occhi, perdendosi nel calore dell’abbraccio di Will e in quella melodia del passato, e si addormenta.
 
Nella sala da ballo cade improvvisamente l’oscurità. Le luci si spengono, e un lampadario si stacca dal soffitto fracassandosi sul pavimento e suscitando lo spavento fra gli ospiti. Anastasia si stringe istintivamente a sua nonna, mentre osserva senza fiato quell’uomo incappucciato avvolto in un mantello nero che avanza tranquillamente verso il trono da cui suo padre, lo zar Nicola II, si è appena alzato, guardingo e irritato.
- Voi!- tuona lo zar. - Voi siete stato bandito da questo Paese anni fa! Andatevene!
- Io?- la voce dell’uomo è fintamente sorpresa, ed è una risatina acuta e agghiacciante. L’uomo abbassa il cappuccio, rivelando un volto dalla pelle grigio-verde e dai tratti affilati, capelli castani ondulati e uno sguardo demoniaco.- Io sono il vostro fedele confidente!
- Confidente! Ha! Tu sei un traditore! Fuori dal mio regno!
- E’ così che mi ripaghi, dopo averti donato l’erede che tanto bramavi, dopo ben quattro figlie?- ringhia l’uomo, accennando ad Alessio.- Tu credi di poter ingannare e bandire Tremotino, ma sono io che bandisco te…e ti maledico!
Dei mormorii e dei gridolini di spavento e sgomento serpeggiano fra i presenti. Anastasia si stringe ancora di più a sua nonna.
- Ascolta le mie parole - sibila Tremotino.- Tu e tutta la tua famiglia morirete, entro quindici giorni! Io non mi darò pace finché la stirpe dei Romanov non sarà estinta, per sempre!
Poi…tutto diventa confuso. Grida, urla, persone nel panico, gente che scappa e che cerca amici cari. Di nuovo quella stretta, e una corsa sul ghiaccio; una voce che la incita a non fermarsi.
- Forza, Anastasia! Forza! Corri, corri tesoro!
Una presa a una caviglia, forte, salda, la trascina a terra. Anastasia grida, cercando di divincolarsi. Lo sguardo le si riempie di orrore quando vede che a trattenerla è lo stesso uomo che ha scagliato il maleficio.
- Tu non scapperai, ragazzina! Mai!- ride Tremotino, ma poi lei si divincola dalla presa.
E continua a correre…
 
Anastasia si sveglia di soprassalto, drizzandosi a sedere sul letto. Ansima, la fronte è imperlata di sudore e il cuore le batte a mille. Will si alza insieme a lei, e le avvolge un braccio intorno alle spalle mentre lei comincia a singhiozzare.
- Amore! Che cosa c’è?- sussurra Will, abbracciandola.- Un altro incubo?
Anastasia annuisce contro la sua spalla, cercando di calmarsi, quindi lo guarda negli occhi.
- Scusami…- soffia.- Forse…forse sto diventando matta…
Will esita un attimo, quindi sfodera un sorrisetto sornione e le prende il volto fra le mani.
- Sì, hai proprio ragione: sei matta. Sei completamente svitata - ridacchia; poi, lentamente, avvicina il proprio volto al suo.- Ma ti svelo un segreto - sussurra.- I matti sono le persone migliori di questo mondo.
Anastasia sospira di sollievo, ridacchiando con liberazione, prima di perdersi nuovamente nell’abbraccio di Will, l’unico luogo in cui si sente veramente al sicuro.
 
And a song
someone sings.
Once upon a December.
 
In lontananza, al di fuori della casupola, Tremotino osserva la scena di due giovani innamorati che si abbracciano. Per un attimo, il cuore gli si stringe nel petto al ricordo di quella donna che anche lui avrebbe voluto tenere fra le braccia, ma ora è troppo tardi anche solo per poterle dire ti amo; ma subito scaccia via quel ricordo doloroso dalla sua mente, e sogghigna alla vista di quella fanciulla.
- Finalmente ti ho trovata, Anastasia…- ridacchia.- E ora, dopo tanto tempo, anche l’ultima dei Romanov morirà…!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Questa è in assoluto la più grande kitschata che io abbia mai scritto, motivo per il quale è meglio che mi sbrighi a pubblicarla prima che me ne penta amaramente. Come sempre, due paroline per spiegare il perché delle mie azioni di dubbia moralità. Innanzitutto, c’è da dire che adoro Will Scarlett/Fante di Cuori e Anastasia/La Regina Rossa…il che significa conseguentemente che li shippo in una maniera vergognosa *_*. Ora, il nome Anastasia mi ha revocato il film omonimo che adoro alla follia, ma anche – e questa è una versione di gran lunga più accreditata vista la presenza della madre – la sorellastra semi-buona di Cenerentola. Qui ho mischiato le due cose, aggiungendoci anche la favola della piccola fiammiferaia che sennò non avevo già sparato abbastanza cretinate e anche un riferimento a un’altra – e, a questo proposito…dieci punti a chi mi dice da quale film Disney ho preso il nome per la locanda Il brutto anatroccolo :P.
Passiamo ora a Rumple *Rumple…no…*occhioni luccicanti e labbro tremulo**. Dunque, io di quest’uomo preferisco di gran lunga la versione tenera e pucciosa, e infatti all’inizio non lo avevo previsto come Rasputin, ma…essendo che questo meraviglioso esemplare umano è dappertutto come il prezzemolo…perché non mettercelo anche qui. Questo, nella mia testolina, implica che il motivo per cui Anastasia e Will se ne sono dovuti andare è lui.
So che Anastasia non è un personaggio delle favole, ma mi sono detta: se ci sono Frankenstein, Lancillotto e Robin Hood…perché non Anastasia?
Dunque, dopo questa cosa…buon Capodanno a tutti!
Un bacio,
Beauty

P. S. Alcune delle parti in corsivo sono tratte dal classico Anastasia, mentre l'ultima frase che dice Will è una citazione da Alice in Wonderland.
  
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