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Autore: fedenow    29/12/2013    5 recensioni
- Quanto mi ami? – La ragazza corre in mezzo a un ponte, i lampioni luccicano sui suoi occhi e sulla bottiglia che stringe fra le mani. Notti di ordinaria follia. Notti insonni. Sbanda verso la ringhiera. Ride. – Quanto cazzo mi ami, mio dolce principe? – Urla al Tamigi.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal, Steve Hewitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My sweet prince



MY SWEET PRINCE



I’m just a soul whose intentions are good
Please don’t let me be misunderstood

Nina Simone, Don’t Let Me Be Misunderstood



Londra, 1997


Stef sta pensando ai suoi polmoni sotto sforzo come a una ninfea che si apre e si chiude. Si apre e si chiude. Ritmicamente. Svolta l’angolo a piena velocità, si scontra con due ragazze a braccetto e le scansa con una mano senza nemmeno rendersene conto. La pioggia gli irrita gli occhi e gli inzuppa le scarpe da ginnastica.
Non deve smettere di correre.
Può ancora cambiare le cose. In qualche modo sente che può ancora cambiare le cose.
Non può smettere di correre.

***

- Stef! Stefan!
- Che c’è?
- È Kat, cazzo! Aiuto…
- Eh?
- … Si è ammazzata.

***

Il telefono squilla spesso nel locale di Jeremy. Un pub alla buona conficcato in un sottoscala di poche pretese. Non ha aperto da molto, e la clientela che vuole starsene tranquilla ne approfitta finché il posto non verrà notato e affollato da orde di bevitori occasionali, che vogliono spendere poco e ubriacarsi tanto per avere qualcosa da raccontare agli amici.
Solleva la cornetta, Jeremy, chiama Shiri, la nuova che ha il turno il pomeriggio successivo, prende accordi e riaggancia indaffarato.
Un nuovo ronzio lo costringe ancora all’apparecchio.
- Pronto.
- Jay, mi chiamo Cody,. È una questione urgentissima. – Una voce maschile inizia a vomitare parole accavallate nelle sue orecchie. Un ragazzo giovane, realizza. - Sono un amico di Brian Molko e di Stefan Olsdal, ho bisogno urgentissimo di parlarci. Dimmi che sono lì, ti prego.
Jeremy sfiata seccato. Stalker del cazzo. Non il primo. – Oh, i Placebo. Vuoi anche Hewitt, per caso?
- No, no! Sul serio! Sono un loro amico, te lo giuro! – Il ragazzo sembra sul punto di scoppiare in lacrime. – Ho provato a chiamare da Olsdal ma non risponde. Ti prego, se è da te passamelo, è successo un casino assurdo…
Jay tentenna. - … Come hai detto che ti chiami?
- Cody, cazzo! Cody Lockwood! Vengo spesso da te, se mi vedi mi riconosci! Non sono uno squilibrato, santo Dio! Ti supplico… - Fa una pausa, tira su col naso. – Sono lì? Mi ci fai parlare, per favore?
- … Di solito vieni qui con loro?
- Sì! Sì, ti ho detto!
- Dove vi sedete?
- Il tavolo quello lontano dall’ingresso, vicino al jukebox!
- … Resta in linea.
- Grazie! Cazzo, grazie! – Lo ringrazia troppo calorosamente. La faccenda gli piace sempre meno. – Olsdal, mi raccomando! Non passarmi Brian, ti prego…

Jay attraversa il locale circospetto. È giovedì, la clientela è ristretta. Si dirige verso il gruppetto di ragazzi rumorosi che svuotano pinte di birra e ridono sguaiati seduti intorno a un tavolaccio di legno. Brian solleva il proprio bicchiere e brinda alla stronza che può andare a farsi fottere, letteralmente. Una ragazza pettinata come Britney Spears trilla una risata così esasperata da guadagnarsi un’occhiata di disgusto seguita da un prosaico ma sei scema? dal diretto interessato.
Jay gli fa segno di abbassare la voce, Brian annuisce svogliato e torna al suo posto. Qualcuno gli si propone subito per fottere la stronza e viene mandato a quel paese.
Stef è all’angolo del tavolo, in braccio al suo ragazzo. Si stanno baciando.
- Stefan…
Il biondo si volta nella sua direzione, aspetta. Jay gli fa segno di staccarsi dalla compagnia. Adesso il ragazzo è visibilmente scocciato, sarà l’ennesima volta in cui si prende le ramanzine di Brian perché lui è il solo che riesce a farlo ragionare.
- Oh, Jay, scusa, è solo adesso che sta andando su di giri, ma non fa un cazzo di male, dai…
- No, no, non c’entra. – Nega anche con la mano. Si guarda alle spalle verso il bancone. Stef è attento. – Senti, c’è uno al telefono che vuole parlare con te, dice che vi conosce… che è urgente… - Mentre lo svedese strabuzza gli occhi, si affretta a precisare. - No, no, mi sembra sincero! È terrorizzato ma non ho capito perché. Ha detto che è un vostro amico, si chiama Cody… Tu per caso conosci…?
Stef fissa l’apparecchio lontano ed è improvvisamente altrove. – Sì che lo conosco… Ma cosa cazzo… - Muove passi decisi verso il bancone. – Pronto? Cody?
- Stef! Stefan!

… Si è ammazzata.

***

- Oddio. Tu sei il depresso che ha fatto la troia a Top of the Pops.
- E tu chi cazzo sei?
Brian si è voltato verso la ragazza vestita di nero che lo fissa scettica.
- Brian fa la troia dappertutto, non offendermelo così. – Stef gli passa un braccio intorno alle spalle e gli scarmiglia i capelli languidamente.
- … Ma state insieme?
- Ma tu chi cazzo sei? – Si ripete nel caso la domanda non fosse giunta a destinazione. Non si stacca dall’amico.
- Kathrine. – Scrolla le spalle. - Ma tutti i miei amici mi chiamano Kat. Quindi tu chiamami Kathrine. – Si volta e torna al suo sgabello.
Brian continua a guardarla. – Ma quella cosa vuole?

***

- … È uno scherzo.
- No, Dio! No! Stavo tornando a casa e ho beccato Rachel che mi ha portato qui. È un casino, Stef! Ci sono un macello di poliziotti, non si capisce niente! Cazzo… - Cody ansima. La comunicazione è uno schifo, la voce dell’amico è metallica e continua a saltare. – Si è buttata, Stef, si è buttata dal balcone.
- Non è possibile…
Strani rumori di sottofondo, qualcuno grida arrivano, giù, tonfi ovattati nel vuoto. Stef non sente nulla.
- Stef! Devo andare, porca troia! Ti prego, dillo tu a Brian, io non so… - Scoppio di lacrime.
- … Eh?
- Stef… Non so che cazzo fare…
- Ma tu l’hai vista?
- Cosa?
- L’hai vista… dopo? – Morta no. Morta non è fra le possibilità. – Hai visto che la portavano via?
- Ma no! Sono appena arrivato! Ma non può essere… Stef, c’è tanto di quel casino, Cristo… Sarà… Aiutami… Brian cosa cazzo… Quello muore… Non ci riesco…
- Non ci credo, Cody! – Lo aggredisce inutilmente, stritola l’aria tra le dita. – Non ci credo, cazzo! Non l’hai neanche vista! Cosa devo fare?!
- … Non lo so… diglielo tu…
- Dirgli cosa?
- Che Kat… Cristo…
- No, no. È fuori discussione. – Respira più a fondo che può, strizza le palpebre fino a sentire gli occhi pulsare. Mette in ordine i pensieri. – Non così. – Si volta a guardare l’amico seduto al tavolo, sta respingendo le avances di Britney senza perderci troppo tempo. Le rivolge un gesto osceno prima che quella sgrani gli occhi allibita verso l’amica.

Non è possibile. Tutto quello a cui riesce a pensare è che non è possibile.

Altri tonfi nella cornetta, qualcuno urla ma chi cazzo sono in lontananza.
- Stef! Via, cazzo!
- Vengo lì. – Sputa fuori di getto. Spera di non pentirsene. – Levati dal casino, Cody. Dieci minuti e arrivo. Non ficcare in mezzo la polizia, ti prego. O siamo fottuti tutti.
- Davanti al bar della piazza! – Scorcia l’altro in mezzo al caos più totale. Interrompe la comunicazione.
Stef non sa cosa stia succedendo, ha paura. Ha visto Kat il giorno prima, stava bene. Poi Brian ci ha litigato e le ha dato il benservito. … Non può essersi suicidata. Non ha senso. Era stata una cazzata di litigio, contava i giorni che ci avrebbero messo per fare pace. Brian minimizzava sempre tutto nei racconti, ma davvero sembrava una cosa da nulla. Brian era perso per quella ragazza. Brian…

***

- Non è vero.
- Certo che è vero!
- Il tuo gruppo preferito sono davvero gli Oasis? Ma sei a posto?
Spalanca gli occhi più di lui. – Ma tu hai presente chi sono gli Oasis, sì?
- Due drogati. No, sono di più.
- Wonderwall?
- Per favore.
- Senti, alcoholic kind of mood, voglio vedere fra dieci anni dove sarai tu.
- Ma sei antipatica! – Glielo dice sinceramente, la guarda sorseggiare distratta la sua vodka. Si volta verso di lui.
- … Quindi devo andarmene?
- No!
Quella ragazza è pazza. Completamente.
- ... Anche Leonard Cohen mi fa piangere un sacco. È una meraviglia di uomo.
E bellissima.
Inizia a canticchiare Dance me to the end of love un po’ a caso, touch me with your glove, la la la la la. Si alza all’improvviso. – Adesso devo andare perché se bevo ancora comincio a vomitare.
- Andare?
- Ciao, Molko.
Allunga in fretta delle banconote al barista e la insegue fuori dal locale. Si butta il giaccone addosso alla meglio. Lei cammina con le mani in tasca e lo sguardo per terra. Lui sorride come un cretino.
- E dov’è che staresti andando, Kathrine?
Si blocca, si volta a fronteggiarlo e gli permette di raggiungerla. – Faccio irruzione in un pub, metto su What’s the story (Morning glory)? e perdo la ragione attaccata a una striscia di coca.
- Se levi i Gallagher vengo anch’io.
- ...
- No, davvero… - Ha uno sguardo fin troppo protettivo, lo vede riflesso nel dubbio degli occhi di lei. – Dove stai andando?
- A casa. Dove vuoi che vada a quest’ora?
- Da nessuna parte. Tu stanotte devi stare con me.

***

Stefan si volta verso Jeremy, che lo fissa preoccupato. Scuote la testa, gli chiede di inventarsi una balla e di dire a Molko di aspettarlo lì, se gli chiedesse dove è sparito. Jay non parla e vale come una resa. Stef si precipita sulla scala antincendio e sale due gradini alla volta.
Non può dire a Brian che Kat è morta. Kat non può essere morta. Non così.

***

- Brian! BRIAN!
- Eh!
- Quanto mi ami? – La ragazza corre in mezzo a un ponte, i lampioni luccicano sui suoi occhi e sulla bottiglia che stringe fra le mani. Notti di ordinaria follia. Notti insonni. Sbanda verso la ringhiera. Ride. – Quanto cazzo mi ami, mio dolce principe? – Urla al Tamigi.
Il ragazzo la afferra perché si sporge troppo. Sta sorridendo. La guarda come se fosse la cosa più preziosa sulla Terra.
- … Allora?
- Tanto…
Si stacca da lui offesa, oscilla indietro. Brian la deve riacciuffare. – Non va proprio bene.
- Come non va bene?
- È un po’ poco.
- Ma no!
- Sì! Almeno… - Ci pensa un attimo, mentre trascina il ragazzo di nuovo addosso al parapetto. Si perde nelle luci di Londra capovolte nell’acqua sotto di loro. Carta stagnola imbrattata di zafferano.
Il ragazzo le tiene la mano e si serve generosamente dal collo della bottiglia. La lancia sul marciapiede lontano da loro, stringe fortissimo la fidanzata. Lei sta ancora pensando, guarda lontano.
- … Almeno fino alla fine dei giorni. Così è okay.
Ride, Brian. – FINO ALLA FINE DEI GIORNI! – Urla alla città che quella notte sembra ridargli tutto quello che gli ha portato via interi anni. – E anche oltre! E dopo ancora! E vaffanculo!
Kat ha una voce gravissima, ride come un uomo. – Sarà meglio! Se no io mi uccido. – Chiosa semplicemente. Poi lo bacia.

***

Arriva nella piazza vicino a casa di Kathrine. Piccola, un cinema, un bar e poche panchine. Non fa in tempo a percorrerne un lato che si sente afferrare per un gomito.
- Non è morta!
Non ha il tempo di spaventarsi. Cody è di fronte a lui e parla a raffica. Qualcuno ha visto qualcosa… una signora ha visto tutto… una ragazza ha detto…
- Era viva, era viva! – Si straccia i capelli fra le mani. – Era collassata sul marciapiede. L’ha trovata subito, ha detto che era incosciente. È arrivata un’ambulanza sparata e ha sentito che era in coma e che le davano il rosso. L’hanno portata via subito. Al Royal, pare. Oh, cazzo! È viva, Stef!
Gli gira la testa. Si siede su un gradino. - Aiuto.
- Oh! – Cody gli tira una ginocchiata, si abbassa accanto a lui. – Ma mi hai sentito? Non è morta, Stef!
- Cody. Era in coma sdraiata su un marciapiede. Fatta di chissà cosa. – Sente gli occhi pungere, vede l’entusiasmo freddato sul volto dell’amico.
- Però era ancora viva…
Scuote la testa, spazza via una lacrima. Morirà adesso. Morirà in ospedale. Morirà ogni giorno, se si risveglierà. Eravate in due a non sapere dove andare. Due con quegli aghi nelle braccia. Due a finire in coma. Uno ancora non lo sa.

- …Come glielo dico?

... Perché non te ne sei accorta, Kat?

***

- Ma quante stronzate! - Brian ride e la bacia di nuovo.
- No! È vero! Senza di te mi… mi butto nel Tamigi!
- Ma che stronza! … E io senza di te che cosa faccio?
- Fai Baudelaire che rompe i coglioni a tutti con il suo dolore. Ora e per sempre.
- Amen!
- …
- Oh.
- Mh?
- Giurami che era una cazzata.
- Nah… - Allunga la sillaba mentre si struscia sulla sua guancia. C’è un velo di barba che spunta che le piace tantissimo.
- Dai. Giuralo.
Lo guarda. A fondo. Vorrebbe baciarlo. – ... Ah, ‘fanculo! Hai quegli occhi lì che scopano con qualunque cosa guardi, uno ti giura tutto quello che vuoi!
- Cosa fanno i miei occhi?
- Ti fottono il cervello! Boom!
- ... A me i tuoi occhi piacciono tanto. Neri come la pece.
- Ma che schifo!
- Ma sono bellissimi!
- Ma non puoi dire a una ragazza che ha gli occhi neri come la pece! Si dice nero profondo! Ebano!
Ci pensa un momento, ricominciano a camminare. - … No, i tuoi sono proprio nero pece.

***

Avrebbe voluto entrare in pronto soccorso di persona. Vuole capire cosa sta succedendo una volta per tutte. Cody l’ha convinto ad aspettare lì davanti, non è il caso che uno di loro venga connesso così platealmente a un tentato suicidio. Se la polizia vorrà indagare l’inindagabile, Brian sarà il primo a essere interrogato, ma forse non è il caso di imboccarli e portarli da lui.
Cammina avanti e indietro alla fermata del bus, tutte le volte che ne transita uno fa segno di no con la testa. Il guidatore fa spallucce e tira dritto. Ha un po’ di roba avanzata dalla serata e si rolla una canna quando le sigarette non bastano più. Si calma appena, le dita tremano di meno.
Non riesce neanche più a sperare che stia bene. Fa’ che sia via fa’ che sia viva fa’ che sia viva. Se l’è ripetuto come un mantra la prima mezz’ora lì fuori. Adesso il nastro si è rotto. Fa’ che finisca in fretta, in qualunque modo. Fammi andare via di qui. Fammi scappare. Fa’ che arrivi subito domani, e poi dopodomani, e poi il giorno dopo, e il giorno dopo ancora…

Cody lo raggiunge a passo strascicato. È stanco morto, glielo legge nelle mani con cui continua a frizionarsi le palpebre. Vai a letto, Cody. Hai già fatto tanto.
- È ancora in coma. Si è fatta così tanta eroina che ha il sangue da buttare. Dovevi vedere quanta roba aveva in tasca. – Scuote la testa, distoglie lo sguardo. – Hanno anche detto che le funzioni vitali ci sono tutte. Il problema è che non sai che cazzo trovi quando ti svegli. Se ti svegli... - Guarda per terra. - C'è un'altra cosa... Sul muro... Ha lasciato un messaggio. My sweet prince, you are the one... L'ha scritto col rossetto.
Stef non sente più nulla.

Hanno cominciato a camminare quando non era più possibile posticipare. Stefan si trascina dietro all’amico che si accende una sigaretta mentre ha ripreso la sua raffica di parole. 

- … Cristo santo, ma ha capito cosa stava facendo?! Lì non è che giochi con la tua vita e speri che ti vada bene, lì te la vuoi proprio fottere, la cazzo di vita! Ma mi spieghi perché ti viene in mente di fare una cosa simile?
Il problema è proprio quello. Che forse non c’è una risposta comprensibile agli altri, e forse non c’è una risposta in assoluto. Però nella testa di tutti si stanno affollando due parole soltanto, per cercare di capire, per mettere ordine.

Per Brian.

E se non è vero, non importa.
E se nessuno lo riterrà mai oggettivamente responsabile, non importa.
Perché tutti lo penseranno e accantoneranno presto il pensiero, ma Brian no. Brian sta per finire in un buco schifoso da cui uscirà con la costante consapevolezza di aver quasi ucciso una persona. Senza rendersene conto. Senza poter decidere.
E lui sta per aprirglielo sotto i piedi, quel buco.

***

Entra accostando delicatamente la porta. Non vuole farsi sentire. Non vuole essere lì. Il locale è pressoché deserto, sono quasi le quattro. Jeremy sta parlottando con Steve, si volta di scatto quando lo sente arrivare e si sbraccia con dei gesti poco curati che, sì, vogliono dire di non fare rumore perché Brian si è addormentato, ma anche che può iniziare a pensare a due scuse decenti per averlo fatto stare in piedi tutta la notte.
- Dove cazzo ti eri cacciato?! – Gli sibila minaccioso.
Steve lo conosce troppo bene. Steve si morde le labbra. – Stef.
Lo guarda, guarda Brian, guarda di nuovo lui e vorrebbe sussurrargli una richiesta d’aiuto, perché davvero non sa come fare.
- … Cos’è successo?
Si siede accanto a loro, beve un sorso di birra. Ha ripreso a tremare e Steve gli dà delle pacche sulle spalle quasi fossero un massaggio. Tira un respiro profondo, distende le mani sul tavolo. Racconta tutto.
Steve ammutolisce, Jay ci capisce meno di prima ma continua a guardare Brian, il nodo vero è tutto lì. Stef è immobile.
- Cosa gli dico.
- Dio mio…
- Questo dà di matto…
- Ma perché l’ha fatto…
- È debole…
- È fuori di testa…
- Ma cosa c’entra lui…
- Niente.
- Senti, non dirglielo.
Si voltano entrambi verso Jay, che li fissa di rimando. – Non è colpa sua. Digli che è partita. Che nessuno sa che fine ha fatto. Che stava male per aver rotto con lui e non ce la faceva a restare in giro. Perché gli devi dare una sberla così…? Non è mica uno scherzo…
Steve è il primo a reagire. – Ma sei pazzo?
- No, aspetta. – Stef si intromette. Guarda il compagno di band e annuisce, si rivolge all’altro amico. – Jay, no. Lo so che è difficile da capire, ma no. Non possiamo raccontare a Brian una cazzata. Questo non esiste.
- Ma è una cazzata come un’altra! Non ci può fare niente comunque, lui! Gli togli solo il peso merdoso di c’entrare qualcosa con questa situazione!
Non è uno stronzo, Jay. Stef lo guarda e capisce benissimo che vuole solo che Brian non si faccia troppo male, lì dentro. Si conoscono da poco ma è una persona d’oro, su cui sanno di poter contare.
Però noi non siamo te, Jay. Non provare a capirci troppo. Non ci riesce nessuno.

- Non posso. Davvero. – Si sta quasi scusando. Quasi. – Se vuoi perdere Brian c’è un solo modo, ed è quello di tradire la sua fiducia. Sì, sì, suoniamo insieme, ma l’unica cosa che abbiamo davvero, noi, – Triangola una figura fra sé, Steve e Brian. – è che ci siamo pescati nel mezzo di chissà dove, chissà perché. Uno, due e tre. Questo non lo possiamo mandare a puttane. Questo è fuori.
Jay allarga le braccia. – Caro mio, a questo punto non hai molte alternative.
- Non serve un’alternativa. – Steve ha gli occhi lucidi, fissa il ragazzino appallottolato sul divano. Sembra sospeso a mezz’aria. – Serve un modo per evitare che si schianti quando si sveglia.

***

Lo lasciano dormire un’altra mezz’ora. Tutti sanno che è inutile. Nessuno vuole svegliarlo. Stef non dice nulla, si alza e va da lui.
- Brian.
- …
- Brian.
Il corpo gracile davanti a lui sbuffa, inizia a stiracchiarsi. Apre gli occhi su di lui e sta per sorridere vedendoselo davanti. Poi si ricorda qualcosa. – Dove eri finito, stronzo?
Quel suo modo di insultarlo come se le parole fossero miele. Brian a lui non sa fare male.
Si tira a sedere, si ripassa i capelli mentre mette a fuoco il posto in cui si trova. Vede Steve e Jay che lo fissano, stranamente silenziosi. Torna con lo sguardo sull’amico biondo. Anche lui lo fissa, la bocca semiaperta.
- Ahhhh. – Accantona la domanda con la mano. Si gratta il mento. – Ho pensato una cosa.
... Uno strappo.
- Volevo andare da Kat ma ormai mi manda a cagare. Passo domani, che dici? … Ma secondo te non mi sto un po’ rincoglionendo a correrle dietro così? Ma cazzo…
Due lacrime. Due fili che si srotolano fino a raggiungere il suolo.
Brian scatta istintivamente a guardarlo. – Stef?
Altre due lacrime. Tante lacrime.
- Che cazzo c’è?
- Kat è in coma in ospedale. Un’overdose. Non sanno neanche se si sveglierà.

Flash.
La faccia di Brian.
Flash.
Le domande di Brian. Tante, tutte inutili.
Flash.
Bisogna dirglielo. Brian, una scritta sul muro...
Flash.

Brian urla troppo. Non si riesce a calmarlo. Steve cerca di tenerlo fermo.
Flash.
Una pista bianca sul tavolo scuro.
Flash.
Brian piange come un bambino. Brian non ha fatto niente ma tutto porta a lui. Brian piange per questo. Perché nessuno ha pensato a lui.
Perde i sensi di continuo. Ha bevuto troppo. Ha fumato troppo. Ha inalato troppo. Non l’hanno portato in ospedale. Non hanno voluto. Domani mattina, adesso devi calmarti. Chi cazzo sono. Crolla stremato addosso a qualcuno che non capisce chi è. Dorme, finalmente. Non pensa più. Così ce la può fare.

Steve lo prende in braccio e lo portano a casa. Non pesa niente. Decidono di dormire lì, Steve si sistema due coperte sul divano e fa per coricarsi. Allunga un cuscino a Stef, che fa segno di no. È accucciato ai piedi del letto di Brian, fissa il muro davanti a sé. Ha uno sguardo feroce. Non ha aperto bocca da quando hanno lasciato il locale. Steve gli va vicino ma non osa toccarlo. Sta piangendo in silenzio.
- Siamo troppo piccoli. Troppo piccoli.

***

Gli lasciano tre giorni di tregua. Alex si assicura che nulla di quella storia trapeli associata ai suoi ragazzi, anche se non ce n’è davvero bisogno. La droga è un argomento sempre di moda, i drogati mai. La faccenda viene rimossa in fretta.
Brian passa tre giorni a fianco di quel letto in uno stato di mutismo pressoché totale. Non risponde a Pete, il fratello di Kat, che lo accusa di essere la causa di tutto. Non risponde ai loro genitori che lo supplicano di sparire e di non farsi più vedere. Vive delle frasi che riesce a estorcere ai medici. Prognosi riservata. Stazionaria. In miglioramento. Un dottore giovane gli spiega che la sua ragazza reagisce bene agli stimoli, non dovrebbero esserci lesioni permanenti. Ringrazia e riprende il suo posto accanto a Kat.

Quella mattina Stef è in anticipo. Sta prenotando l’ascensore quando vede la sagoma di Brian dirigersi ai distributori automatici. A passo spedito, senza tentennamenti. È l’emblema dell’efficienza in quei giorni. Preciso. Nessuna incrinatura.
Lo raggiunge e l’amico gli sorride sinceramente, lo abbraccia.
- Stef.
- Come va?
- Normale. Fra un paio di giorni dovrebbero sospendere il coma farmacologico. Speriamo che non ci sia niente.
Stef annuisce. – Tu come stai?
- Bene. – Mente rapido. O forse non è neanche una bugia. Forse bene è davvero quel limbo dove è incastrato. Forse oltre quello non c’è niente. – Ho pensato… Forse è meglio che non rivedo Kat quando si sveglia.

Brian è fatto così. Brian ti presenta la decisione finale come se fosse la più naturale. L’unica possibile. Non ti parla delle notti che ha passato a piangere per arrivare a quella conclusione. Non ti racconta quanto ha urlato contro Steve, che è sempre troppo pragmatico. Non ti spiega che è convinto che Kat sia la cosa più bella che gli sia mai capitata, e che non ha la più vaga idea di come vivere senza di lei. Non ammette quanto saranno un inferno i mesi successivi. Brian ti dice solo che, no, non la vuole più rivedere. E tu per qualche istante credi davvero a quella maschera d’indifferenza.
Stef guarda le mani dell’amico abbandonate lungo i fianchi, il sorriso morto che torna a fare capolino sul suo volto. E per lui quegli istanti sono già finiti.

***

Pete ha litigato con Steve perché il batterista ha cercato di mettergli le mani addosso dopo l’ennesima sparata contro Brian. Si studiano a distanza ravvicinata, i volti quasi a contatto. Respirano. Steve gli dice di tenere chiusa quella cazzo di bocca una volta per tutte, altrimenti lo rispedisce a calci nel paese da cui sono venuti. Lo lascia in mezzo al corridoio e se ne va sbattendo l'antipanico dell’uscita d’emergenza.
Stefan si è fermato poco lontano, Pete lo raggiunge. Gli spiega che hanno deciso di dire a Kat la verità, che Brian è stato lì i primi giorni dopo l’incidente e poi ha deciso che era meglio per entrambi non vedersi più. Stef pensa che è una bugia talmente banale da sembrare davvero una verità. Si sente ringraziare per aver convinto Brian a farsi da parte. Fissa l’interlocutore senza alcuna emozione.
– Io non ho fatto nulla. Spero che Kat stia bene. Che sia felice. Ma forse tu non hai idea di cosa vuol dire vivere con la convinzione di essere un veleno per le persone che ti stanno intorno.


***

Entra nella stanza assicurandosi che lei stia dormendo. Sono settimane, ormai. Poche ore e verrà dimessa. Nessun danno permanente. Nessuna complicazione. Solo tanti antidepressivi. E la riabilitazione. Tutto sommato è stata fortunata.
Le si avvicina piano. È bellissima nonostante tutto. In pigiama, i capelli sporchi, due lividi che si stanno riassorbendo. Vorrebbe farla guarire subito. Vorrebbe essere Dio. Lui non ci crede, in Dio, perché se Dio esistesse non li avrebbe mai fatti incontrare. Studia ogni suo particolare come se ancora non lo conoscesse, si stampa nella memoria il suo respiro. Le sfiora una mano con i polpastrelli ruvidi.
All’improvviso sente il bisogno di lasciarle qualcosa. Una risposta. Un segno. Siamo esistiti. Fuori da quella stanza non c’è niente. Ci sono le decisioni che ha preso che di punto in bianco non valgono nulla. Pensa di svegliarla e di dirle tutto. Kat, secondo me ce la facciamo. Scappiamo. È un’eresia qualunque cosa non ci preveda insieme.
Gli gira la testa. Ha bisogno di aria. Deve uscire da lì. Arriva alla porta con una mano sulla bocca, si volta. Prende una penna e scrive qualcosa su una barra del letto, poi se ne va. Sono lettere sghembe, spera che non le legga.

CIAO, PECE.

***

Pensava che l’unica nota positiva fosse che non sono in promozione. Nessuna intervista. Nessuna telecamera. Nessuna scadenza a breve termine. L’oblio, per quanto possibile. I giorni tutti uguali in quell’autunno di pausa. Alex che ogni tanto telefona per chiedere se stanno scrivendo qualcosa, perché l’anno nuovo si avvicina. Stef che mente, sì, due o tre idee le hanno avute. Alex che non gli crede ma ha la forza di non chiedere nulla.
La verità è che si stanno sfasciando.
Stefan ha un fidanzato a Madrid che vede troppo poco e quando lo vede ci litiga. Steve non sa più come trascorrere una giornata senza un concerto in mezzo, dopo due anni sballottati da un lato all’altro dell’Europa. Brian non esiste. Sta in casa, non esce. Dorme fino a quando gli riesce fisicamente possibile. Quando il suo corpo è troppo sveglio lo seda come può. Mangia il minimo indispensabile, ha le occhiaie scavate. Si trovano spesso tutti e tre da lui senza sapere cosa fare, perché ognuno sta sbandando a modo suo. Lui non parla. Stef non sa neanche cos’è l’ultima cosa che ha scritto.

Entra nell’appartamento. Steve non c’è. Brian è a letto, gli occhi aperti sul nulla. Ha un tavolo davanti a sé che sembra quello del più squallido pusher di Londra. Sente la rabbia montare. Gli rovescia tutto per terra, prende un sacco di plastica e ci butta dentro tutto. Esce a liberarsi di quella merda. Torna e Brian non si è mosso di un centimetro.
- Non puoi andare avanti così.
- …
- Devi fare qualcosa, Brian.
- …
- Così non ce la fai.
Ruota gli occhi verso di lui. Non è sicuro che lo veda. – Siamo io, lei e i crampi alla pancia... Non ci sta tutto in una sola persona. - Lo sussurra al soffitto. - Io non voglio farcela.

Steve perde la pazienza per primo. Gli urla addosso che non manda a puttane tutto per colpa sua, che deve rimettersi in piedi, che, cazzo, almeno per loro questo può farlo. Gli ripete ancora una volta quello che i medici gli hanno ripetuto dal primo giorno. Kat quella sera era così fatta che non si è nemmeno accorta di cosa stava facendo.
- È la fottuta eroina, Brian.
Non sei tu.
Stef non dice niente. Non c’è niente da dire. Vorrebbe bastare all’amico, ma evidentemente non è così. Non è lui che gli serve in quel momento. Non è nessuno di loro. Gli strappa dalla mano le pasticche che ha tirato fuori dal cassetto. Lo guarda. Se ne va. Se le caccia in gola appena Brian non lo può vedere. Forse non ha capito che non è da solo.

***

C'è Steve davanti a lui. Digli che non me ne vado finché non si alza da quel letto, dovessi invecchiare qui. Digli che non l'ha abbandonato nessuno. L'ho aspettato fino adesso, non sono fisicamente capace di smettere. Digli che ci sono.
- Io... sto qui.


***

Segnali minuscoli. Tasselli di puzzle che credevano persi.
Un giorno sulla bacheca di sughero in camera compare Io non vorrei crepare di Vian. Brian ha evidenziato che non può crepare prima che sia stata inventata la fine del dolore.
Un giorno ha rifatto il letto.
Un giorno ha preso in mano un libro.
Un giorno la chitarra non è dove l’ha lasciata la sera prima.
Stef se ne accorge, gliela indica con una spallata. Brian fissa il tappeto. Si sorregge la testa con entrambe le mani.
- Non so da dove cominciare.
- … Vuoi una mano?

Gli porta un giro di piano due giorni dopo. Steve ci ha aggiunto delle percussioni debolissime che sembrano un cuore che sta per spegnersi. Hanno tolto tutte le chitarre da cui erano partiti. Non hanno molto di più. Non sa se è il caso di fargliela sentire ma il desiderio di tirarlo fuori di casa è forte, così si danno appuntamento da lui. È già una vittoria vederlo lì.
La melodia gli piace, gli chiede se gli dà un po’ di tempo per pensare al testo. Gli risponde per forza ma vorrebbe solo abbracciarlo.

È sparito per qualche giorno, ha lasciato detto quindi la preoccupazione non è stata eccessiva. È ricomparso una settimana dopo a casa di Stef con un fogliaccio scarabocchiato.
- Ce l’ho.
Stef legge il titolo. Si guardano. Si siede al piano e inizia a suonare quel motivo che gli sembra di aver composto da sempre. Brian ci canta sopra. Le uniche parole che poteva scrivere.

- … Sei sicuro?
Sorride. – Davvero ti aspettavi qualcos’altro?
Sono abbandonati sul divano, Stef ha fissato gli accordi e ora si concede una sigaretta. Offre all’amico.
- Domani la sistemiamo con Steve.
- Mh. Abbiamo buttato giù anche un’altra cosa. Solo un abbozzo.
- Okay.
- Tu… - Tira un sospiro. Scuote la testa. – Ce la fai a cantarla?
- Sì.
- …
- … Non lo so.
- …
- Glielo voglio dire che l’ho scritta. È importante.
- Va bene.
- Non di persona. Facciamo le cose per bene, non la voglio incasinare di più.
- Va bene.


***

Londra, 1998


Quando porti negli uffici della Virgin dodici tracce che seguono l’oro e il platino del tuo album d’esordio, non ricevi molte critiche. Se le dodici tracce sono vagamente buone, non ne ricevi nessuna. Ricevi suggerimenti. Qualche naso storto davanti a tutto il dolore sparpagliato nei testi, ma se vende non crea problemi.
Brian ride alla proposta di sfoltire i riferimenti alla droga che ci sono nell’album, nega con semplicità. Riprende un chiacchiericcio inconcludente.
- No, piuttosto. Questa qua… - Un uomo di quarant’anni prende la parola dall’altra parte del tavolo, solleva un demo davanti agli occhi. - … My Sweet Prince. Questa non è la ragazza finita sul giornale? Quella che voleva suicidarsi? – Li guarda uno a uno ma non ottiene risposta. Finge un’aria avvilita. – … Ma è il caso? Si vede lontano un miglio che parla di lei.
- No. – Brian è imperturbabile. – Parla di me.

***

Le ha scritto una lettera tramite l’etichetta discografica, voleva evitare a entrambi l’idea di una comunicazione troppo personale. Le ha spiegato come è nato il pezzo, l’idea che c’era nella sua testa. Le ha detto che non verrà mai coinvolta per nessuna ragione. Legalmente non sarebbe stato necessario niente di tutto questo, ma per Brian era importante.
Riceve un foglio di risposta che contiene una sola parola: grazie. Lo stritola tra le dita e se lo tiene vicino. Lo perderà il giorno dopo, ma se lo ricorderà tutta la vita.

***

Ti raggiungo davanti agli studi. Stai finendo una sigaretta mentre ti perdi come al solito nelle nuvole di fumo sopra la tua testa.
- Ehi.
- Ciao.
Non c’è molto altro da fare. Abbiamo inciso, mixato e rivisto tutto fino allo sfinimento. Dobbiamo stampare. Dobbiamo ricaricarci per i prossimi mesi che, lo so, saranno il meraviglioso delirio che ci siamo scelti per lavoro.

- … Non pensavo di uscirne vivo.

Mi spiazzi così. Sei uno che parla poco, tutto sommato. Per lo meno di quello che pensi davvero. Mi tiri scemo per ore con cose di cui non ti frega un cazzo ma quello che senti è off limits. Ti sorrido. Punto i pollici verso l’alto con un’espressione deficiente e tu scoppi in una risata da ragazzina petulante.
Come ci sopportiamo, mi è ignoto. Ti guardavo, in mezzo a tutto questo casino, e pensavo perché tu. Perché, fra tutti, dovevi passarci proprio tu. Chi lo decide. Io non ti ci avrei mai messo. Sono quelle storie stupide, da cui esci con lo sguardo per terra, che non insegnano niente se non a mettersi addosso una corazza di più. E anni dopo tu sei ancora lì a venire a patti col fatto che c'eri anche tu, in quella storia che vorresti cancellare. Ma lei tornerà fuori sempre.
Ma siamo forti, Brian. Siamo dei piccoli bastardi ma siamo fortissimi. E ce la faremo. E se non ce la faremo, mi ricorderò di questo momento in cui tu ti guardi i piedi e poi all’improvviso alzi la faccia e guardi dritto davanti a te. Secondo me la vita è tutta qui.

***

- Cosa facciamo?
- Festeggiamo!
- Che cosa, Steve?
- Ma l’album, coglioni!
- … Birra?
- Tantissima.






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Due spiegazioni conclusive.
La vicenda drammatica alla base di My Sweet Prince è reale, tutto il resto è mia invenzione. Non so, non mi è del tutto sparita la sensazione di aver ravanato nel torbido un po’ gratuitamente, e di averci messo troppo di originale, però questo è. Primo tentativo di scrivere sugli old!Placebo, effettivamente una cosetta meno impegnativa sarebbe stata più sicura.
Don’t Let Me Be Misunderstood è una delle preferite ever green del Molko, e mi sembra indicata per la situazione.
Grazie a chiunque abbia letto :*


   
 
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