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Autore: Stylinsoul    30/12/2013    1 recensioni
Soffi di parole trasportate dal vento si disperdono nell’aria, mormorare da una voce invisibile.
Ed è la sua voce.
Quella voce che iniziava a scomparire.
E in un secondo sa per certo che la conserverà nella sua testa, perché ogni volta che il vento soffierà lui sarà lì ad ascoltare.
Stando ad ascoltare l’oceano ha capito che il mondo parla con la sua voce, quella voce che ogni volta che la sentiva gli ricordava tutte le cose belle che esistevano al mondo.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo cammina lentamente, mentre le sue mani si cercano l’un l’altra dietro la schiena.
Cammina ancora, la destra stretta nella sinistra.
Si ferma, anche se manca ancora qualche metro alla fine del molo.
Il mare non gli è mai piaciuto.
Gli piace solo guardarlo da lontano, nelle foto, oppure nella quiete sicurezza della terraferma.
Le onde gli fanno paura, anche se immortalarle nel piccolo schermo di una macchina fotografica è sempre stata una delle sue cose preferite.
L’unica cosa bella del guardare il mare così da vicino è solamente la consapevolezza di poterci nuotare dentro, dentro quell’azzurro così profondo da creare dubbi esistenziali particolarmente stupidi.
Gli fa paura, si, ma deve ammettere che ha una sua magia.
Gli mette in testa ricordi che è convinto di aver dimenticato, ma che purtroppo sono conservati di nascosto nell’angolo più remoto della sua testa, come se non volessero essere dimenticati.
Sarebbe un peccato, anche perché sarebbe come buttare via frammenti della sua vita. I frammenti migliori della sua vita.
E a dire il vero, nemmeno lui in fondo vuole dimenticare.
Il rumore delle onde si insinua nella sua testa mentre qualche goccia schizza in aria, atterrando a qualche centimetro da lui.
Vorrebbe chiudere gli occhi ma continua ad avere paura, così il suo sguardo si posa sulla scogliera alla sua destra.
Le onde ci si infrangono con furia, creando uno spettacolo quasi impossibile.
Immagina di essere su quella scogliera in quel preciso momento, nel mentre che osserva il turbine di schiuma e frammenti rocciosi sotto di lui.
Fa paura anche solo nella sua mente.
I ricordi cominciano a riaffiorare, così si allontana di qualche centimetro.
Poi chiude gli occhi ignorando un’onda particolarmente alta che si avvicina, e ora davanti a lui c’è solamente il buio, il buio e il rumore dell’oceano.
Non esiste più niente.
Solo lui e il suono, e forse anche il colore dell’oceano stampato in un paio di occhi che spariscono in un secondo.
Sbatte le palpebre, perché quelli era convinto di averli dimenticati.
Lo sguardo perso ha lasciato spazio ad uno piuttosto sorpreso, mentre i due spicchi verdi dietro le palpebre semichiuse si fanno leggermente più lucidi.
Si affretta a passare il dorso della mano appena sotto la palpebra inferiore, senza dare il tempo alla lacrima di scivolare lungo la guancia e sparire.
Nessuno può vederlo piangere, ma lui si guarda comunque intorno con apprensione.
Poi guarda il cielo, e si accorge che è coperto da nuvole scure.
Sta piovendo già da un po’, ma lui non se n’è accorto.
Non gli importa se le gocce si fanno più fitte, o se il mare sta diventando più mosso.
Tiene gli occhi bene aperti, incurante dell’onda che si sta per infrangere davanti a lui, attento a non perdersi nemmeno un secondo dell’oceano.
È la cosa più vicina a un ricordo che ha, anche se non è un ricordo. È lì, presente, e lui lo sta guardando proprio in quel momento. Esiste, e non solo nella sua testa. Forse gli ricorda qualcosa, che è ben lungi dal ricordare.
Ma lui sa bene cosa gli ricorda, ed è quello che sta cercando di dimenticare: l’oceano non aiuta.
Esita, perché fingere di non aver paura lo fa stare male.
Si sente così piccolo, di fronte ad una cosa talmente misteriosa che potrebbe portarlo via anche in quel momento.
Sorride in modo macabro, perché sa già cosa sarebbe l’ultima cosa che vedrebbe.
Ma sta cercando di dimenticarlo, e sembra che l’oceano gli stia chiedendo di conservare quell’immagine nella sua testa ancora per un po’.
Il rumore di un’onda che si ritira sembra biascicare un ‘per sempre’ un po’ confuso, che rimane dentro la sua testa mentre si accorge che l’oceano non può parlare.
Non può, ma l’ha fatto.
E nonostante questo la paura stranamente si attenua, mentre lascia scivolare una lacrima senza asciugarla.
Il cielo sta piangendo insieme a lui, e l’oceano sta scatenando le onde per fare un po’ di rumore.
E la paura si attenua, forse perché sa di non essere solo.
Frammenti di pensieri che si rincorrono dentro la sua mente gli fanno ricordare il motivo per cui ha messo il piede destro sul molo con diffidenza, con l’idea fissa di guardare il mare per un po’.
Voleva solo scoprire se i ricordi c’erano ancora. La sua voce comincia a sparire, mentre i suoi occhi appaiono nitidi davanti a lui, due pozze azzurre che non moriranno mai.
E sta cercando di dimenticarli per l’ennesima volta, ma è impossibile.
Non si dimenticano due occhi così.
Occhi che ti hanno guardato per anni quasi di nascosto, occhi che avevi paura di sbattere le palpebre perché significava smettere di perdertici dentro per un attimo.

Come l’oceano.

Lo scruta di nuovo con paura, perché il vento sta soffiando più forte e l’acqua ha cambiato colore.
È più scura, più profonda.
Come se solo guardandola potessi caderci dentro e trasformarti in schiuma, in onde che si infrangono contro la scogliera e muoiono.
Ma invece che indietreggiare avanza di qualche metro, azzerando la distanza fra lui e l’acqua.
Arrotola i pantaloni e si toglie le scarpe, come in un delirio che forse è basato.
Sta solo cercando di ricordare.
Si siede sull’orlo del molo, e in qualche secondo i piedi sguazzano nell’acqua ghiacciata.
Soffi di parole trasportate dal vento si disperdono nell’aria, mormorare da una voce invisibile.
Ed è la sua voce.
Quella voce che iniziava a scomparire.
E in un secondo sa per certo che la conserverà nella sua testa, perché ogni volta che il vento soffierà lui sarà lì ad ascoltare.
Stando ad ascoltare l’oceano ha capito che il mondo parla con la sua voce, quella voce che ogni volta che la sentiva gli ricordava tutte le cose belle che esistevano al mondo.
Come la cioccolata, o le giornate di pioggia. O i libri.
O meglio ancora, le giornate di pioggia passate a sorseggiare la cioccolata, con un libro incastrato fra le ginocchia e uno sguardo che aveva il colore dell’oceano puntato addosso.
L’oceano ha smesso definitivamente di fargli paura.
Adesso potrebbe nuotarci dentro per sempre, morire in mezzo a due onde.
Gli basterà pensare che quelli sono i suoi occhi, occhi come l’oceano, e che lui ci sta solo morendo dentro.
Non sarebbe molto diverso da quello che ricorda.
Perché adesso ricorda, e i frammenti di pensieri che prima voleva buttare via si stanno unendo, creando quella che può definire la storia della sua vita.
C’è una specie di guerra dentro di lui: vorrebbe dimenticare, ma sa che ormai è impossibile.
Il mare lo sta aiutando solo a ricordare ogni più piccolo particolare, e per dimenticare tutto sa che dovrebbe stare lontano dall’oceano per molto tempo.
Ma per qualche motivo lui adesso ha bisogno dell’oceano.
È come uno sguardo ricambiato, dello stesso colore e intensità di quello che manca da troppo tempo.
È autunno, qualche foglia svolazza intorno a lui.
Poi vola via e cade nell’acqua, posandosi con leggiadria sopra un velo di schiuma.
Fa freddo, ma vuole che la consapevolezza di poter essere parte dell’oceano si concretizzi.
Avanza di qualche centimetro, mentre la punta del suo piede destro poggia sul nulla.
Dopo un sospiro, anche quella del sinistro.
A tenerlo ancorato a terra c’è solo qualche centimetro di legno bagnato, in cui potrebbe scivolare da un momento all’altro.
È confuso, perché è consapevole di quello che sta facendo.
Vuole solo stare con lui, perché ora che ha recuperato i ricordi si accorge che non gli bastano.
Nonostante sappia che potrebbe non tornare indietro, non ha paura.
Nessuno sa cosa c’è dopo la vita, e di sicuro nemmeno lui.
Ma vuole rischiare lo stesso.
Le onde continuano a mormorare, ma adesso il ‘per sempre’ è molto più chiaro.
Adesso che sa cosa significa, capisce che l’oceano vuole solo portarselo via.
I pensieri più lucidi della sua vita si materializzano nella sua testa.

Tutti se ne vanno.

Per la prima volta capisce cosa significa, perché ora è lui che sta per farlo.

L’unico che resta è il dolore.

In tutta la sua vita non è mai stato più propenso a capire.
Sta per andarsene, e con lui porta solo la speranza che facendolo il dolore lo abbandoni. Anche gli altri lo fanno per quel motivo?
Domande diverse da quelle che si è posto prima d’ora lo risvegliano.
Sta per buttarsi da un molo, nel cuore dell’autunno, in mezzo a quell’oceano che l’ha sempre spaventato.
Mentre pensava ha messo distrattamente un piede nel vuoto, e se spostasse l’altro cadrebbe nell’acqua così velocemente da non accorgersene.
Indietreggia di scatto, e dopo quella lucidità improvvisa ora è più confuso che mai.
Non sa cosa sta facendo, non sa cosa farà.
Sa solo che ha paura della vita, ma anche della morte, e che buttarsi in mare non lo aiuterà.
È solo che quegli occhi hanno il colore dell’oceano e lui vuole viverli fino alla fine.
Il sole sta sparendo dietro la linea confusa di onde, e in pochi secondi è buio.


È giovane ed inesperto sopra la scogliera, ed il sole è già sparito da un pezzo. È seduto sopra l’erba che, non riesce a capire come, è cresciuta sopra le rocce. Sta pensando, perché è indeciso.
Non sa se buttarsi oppure vivere, perché cadendo da lì morirebbe di sicuro.
Ha deciso, e si alza. Con riluttanza smette di stringere i fili d’erba, con quelle mani che sono come due ancore, poi si avvicina allo strapiombo.
Continua a camminare senza guardare giù, perché anche se è buio e non potrebbe vederlo comunque, non gli interessa sapere in che punto arriva il vuoto.
Esita, perché si sente osservato. In un attimo qualcuno lo prende dai fianchi e lo tira via. È steso sull’erba, e l’odore della terra bagnata e tutt’intorno a lui. È soffocante.
Ha passato tutto il pomeriggio fermo in quel punto della scogliera, respirando profondamente perché quello è il suo odore preferito. Ha deciso che sarà l’ultimo odore che sentirà, e ora non ne può più.
Si gira, per vedere chi – o cosa – gli ha salvato la vita.
Due occhi ricambiano lo sguardo, ed è talmente confuso da pensare che l’oceano l’ha salvato da sé stesso.
Perché quello sguardo ha davvero il colore dell’oceano.
Il ragazzo sembra più spaventato di lui, e forse lo è. Potrebbe anche mettersi a piangere, ma non lo fa. Si inginocchia accanto a lui e gli chiede qualcosa.
“Stai bene?”
 Non capisce subito. Solleva la testa, poi cerca di mettersi seduto.
“Chi sei?”
Forse il ragazzo dagli occhi color oceano pensa di avergli fatto prendere un colpo troppo forte, perché lo guarda in un modo strano prima di tendergli una mano.
“Sono Louis.”
“Harry.”
Harry afferra la mano, e Louis lo aiuta ad alzarsi.
“Perché l’hai fatto?”
Non aspetta una risposta, perché sospira e poi rinuncia ad aiutarlo. Deve davvero aver preso un colpo troppo forte, dato che non riesce a camminare.
Harry alza le spalle e poi lo guarda.
“Grazie.”
Louis scuote la testa.
“Non importa. Quanti anni hai?”
“Sedici.”
Louis sgrana gli occhi, come chiedendosi perché un ragazzo di sedici anni debba porre fine alla sua vita così presto.
“Sedici anni?”
“Si. Tu?”
“Diciannove.”
Louis si scosta i capelli dagli occhi, perché piove e il suo taglio di capelli non aiuta.
“Vuoi sapere perché stavo per buttarmi. Vero?”
Louis esita, perché ha paura che sapere il motivo lo carichi di troppe responsabilità. Dopo si sentirebbe come in dovere di aiutarlo, e sarebbe troppo impegnativo.
“Si.”
Non gli importa se dopo deve cercare di salvarlo. Quel ragazzo lo incuriosisce, e aiutarlo potrebbe anche aiutare lui.
“Non ho più nessuno.”
“Solo per questo?”
“Tu non sai cosa significhi essere soli.”
Louis lo squadra, pensando che un ragazzo di tre anni più giovane di lui è decisamente più maturo.
“Non lo so.”
Harry sospira, mentre l’altro non gli toglie gli occhi di dosso.
Forse ha paura di non riuscire a salvarlo di nuovo se non lo guarda negli occhi.
 

Dentro l’acqua non fa così freddo. Alla fine si è buttato, e l’ha fatto senza pensare.
Tutto è confuso, ma allo stesso tempo tranquillo.
Si aspettava di sentirsi come intrappolato in mezzo ad un cubetto di ghiaccio, invece immerso nel nulla si accorge che sta bene.
Sott’acqua non ci sono le onde, non c’è il vento, non c’è la pioggia.
Potrebbe essere a testa in giù proprio in quel momento, ma non se ne renderebbe conto.
Lentamente tutto diventa stranamente lento, come messo a rallentatore.
Gli occhi gli si chiudono, e il bisogno di respirare sta passando.
Quella che sembra un’onda lo travolge, ed improvvisamente sente di nuovo il vento, la pioggia e il rumore della pioggia.
E respira.
È steso su qualcosa di duro, forse il molo.
E qualcuno lo guarda.
Ha paura di aprire gli occhi e scoprire che sta sognando, ma lo fa lo stesso.
Ormai la paura non è più niente.
L’oceano lo sta guardando negli occhi, e allora capisce che quella non era un’onda.
“Perché sei tornato?” vorrebbe chiedergli. Vorrebbe anche abbracciarlo fino a non respirare, ma è troppo arrabbiato per farlo.
L’oceano sta piangendo, perché per colpa della sua paura ha rischiato di perdere la persona a cui teneva di più.
Lo aiuta a sollevarsi e lo avvolge, lo stringe come se fosse la cosa più fragile e preziosa al mondo.
“Scusa.”
Harry lo sente, anche se tra il fischio del vento e lo scroscio delle onde e il fatto che l’ha sussurrato è piuttosto difficile.
Scuote la testa, gesto che vorrebbe far equivalere a ‘non fa niente’. Perché davvero non fa niente. Lui è lì, ora, ed è stretto talmente forte tra le sue braccia che potrebbe soffrire per sempre solo per essere così felice per un’altra volta ancora.
Non gli interessa sapere come ha fatto Louis ad essere lì in quel momento, giusto in tempo per salvargli la vita per la seconda volta.
“Perché sei qui?” sussurra, e fa più fatica di quanto credeva.
In quel momento nei suoi polmoni c’è più acqua che ossigeno.
“Perché mi mancavi.”
Harry riesce ad alzare la testa, e trova la forza di districarsi dall’abbraccio.
“Volevi vedere l’oceano?”
“Ci siamo conosciuti qui.”
“Sei uno stronzo.”
“Lo so. Di più.”
“Perché te ne sei andato?”
“Perché avevo paura.”
“”Di cosa?”
Louis sospira, e in quel sospiro mette tutta la sua buona volontà.
Sta cercando di non piangere.
“Non lo so.”
Le loro mani sono strette in un complicato intrico di dita e bisogno di non lasciarsi andare.
Louis lascia scivolare una lacrima, mentre il suo corpo è scosso dai singhiozzi.
Non sa cosa l’ha spinto ad abbandonare l’altro in una vita che non poteva affrontare da solo. È andato a vedere l’oceano dopo tanto tempo, al buio, sicuro di essere solo.
Non si aspettava di ritrovarlo dentro l’acqua, aspettando che qualcuno lo salvasse. È sicuro che resterà con lui per sempre, perché la sua paura – sa di cosa si tratta ma non lo dirà mai – è la comune paura di chiunque. Lui ha solo esagerato.
“Avevi paura dell’amore?”
Louis lo guarda negli occhi, chiedendosi come ha fatto ad indovinare.
“Si.”
Il suo tono è sorpreso, e forse anche un po’ malinconico.
È deluso da sé stesso, e non capisce come può meritare quel groviglio innocente di ricci e fossette e occhi verdi e ingenuità che giace sfinito davanti a lui.
“Non andartene.” supplica appoggiandosi alla sua spalla. E in quel momento Louis potrebbe giurare di morire insieme a lui, anche se il destino avesse predisposto la sua morte prima delle aspettative. Lui resisterebbe solo per non lasciarlo da solo.
“Resto.”
Potrebbero stare così per sempre, sotto la luce delle stelle.








Partendo dal fatto che ho scritto questa cosa di notte, non ho idea di cosa mi sia fatta prima di mettermi a scrivere.
Di solito ci metto tipo giorni per scrivere una one shot, questa invece l'ho scritta in un paio d'ore nel cuore della notte.
Boh.
Comunque, è una cosa piuttosto depressa (come al solito) anche se non muore nessuno. Anzi, all'inizio Louis doveva essere morto in cause sconosciute (che non avevo voglia di inventarmi) per cui non è morto. Se n'è solo andato.
E tra l'altro siamo tutti più felici per questo :-)
Perchè ho la mania di far morire i personaggi senza motivo, la Rowling mi ha contagiato.
Comunque, Harry poverino mi fa troppa pena, è tristissimo :(

Volevo solo ringraziare Jason Walker perchè ogni volta che devo scrivere mi basta ascoltare le sue canzoni e mi vengono un sacco di idee.

GRAZIE JASON WALKER, CIAO.

Adesso la smetto, giuro.

Quindi, niente. Ho detto tutto.

Grazie per aver letto questa one shot (?) e se siete arrivati fino a qui avete letto anche lo spazio autrice, quindi il grazie è doppio ♥

Bye  




 
  
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