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Autore: Carioca    30/12/2013    2 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima storia, in cui racconto di un viaggio di Paperone (si, uso i nomi italiani, ci sono troppo abituato), anche se stavolta è un viaggio un po' diverso. Chi conosce la famosa $aga troverà parecchi riferimenti a questa. So che ci sono grandi racconti qui, come quelli di Spheater a cui faccio i complimenti, quindi cercherò di non deludervi!
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4: divenire

Cosa c'è oltre l'infinito presente Disney?

 

 

Avete presente quel momento in cui ciò che hai dentro sovrasta del tutto l'esterno, prende possesso di tutti i sensi e ti fa percepire in modo vivido ciò che davvero provi? Avete presente quel momento in cui provate un'emozione talmente forte da influire su ciò che vedete e sentite? Avete presente quel momento in cui vi sentite sopraffatti da voi stessi?

 

Grossomodo, era questo ciò che Paperone stava pensando, subito dopo aver saputo che l'avversario di una vita lo aveva abbandonato, dopo aver percorso un tratto di strada con lui. Perchè, nel bene e nel male, quando hai qualcuno al tuo fianco finisci per abituarti alla sua presenza, diventa un particolare fisso della tua normalità, è come se ci facessi conto. Adesso, non più. Era un altro pezzo del suo mondo che crollava come i pezzi di intonaco di una casa ormai fatiscente: prima i genitori, poi gli zii, Quackmore, Elvira, la sorella... Il tempo scorreva.

 

Il viaggio di ritorno a Paperopoli era intriso di silenzio e di consuetudine. I soliti giornalisti all'aeroporto, il solito Battista, tutto uguale. Non valeva nemmeno la pena farci caso. Dopo aver passato una vita in divenire, ora era diventato lui stesso monotono. Lentamente chiuse gli occhi e il viaggio intercontinentale passò in un attimo.

 

A Paperopoli lo attendeva qualcosa di difficile: sarebbe dovuto tornare, per la prima volta dopo tanti anni, alla fattoria di Elvira. Decise però di volerci andare da solo, senza nessuno, guidando per conto proprio.

La strada la conosceva a memoria, non valeva nemmeno la pena accendere il cervello, cosa che non faceva da quando era a Glasgow. Quasi non ricordava cosa era successo dopo. Solo quando fu arrivato iniziò a riconoscere le familiari forme della fattoria: l'albero di platani, il frutteto ancora carico di mele, e... Il cimitero.

Il cimitero.

IL CIMITERO

 

Era passato qualche anno dal funerale, nulla era cambiato. C'ea una sorta di epòs in qul giorno, nell'adagiare la tomba di Elvira nella terra a cui tanto aveva dato, mentre il Sole batteva fortissimo come a voler rendere grazie ad una donna che tanto aveva dato al Creato. In quel giorno, per la prima volta dopo anni, aveva pensato a Dio.

Credeva? Col passare degli anni, sapendo che ci si avvicina alla morte, si fa sempre un pensiero a cosa c'è "dopo"

 

Che pena la fattoria. Ormai i tempi d'oro erano finiti, e senza le mani (altrettanto d'oro) di Elvira tutto stava andando in rovina. Il meleto era ormai insediato dalle erbacce, e lo stato generale era di abbandono.

Mentre pensava vide da lontano una figura familiare: era Donald, che lo stava aspettando.

"Ciao zio" gli disse con tono inespressivo. Non voleva neanche aprire la bocca.

"Potresti almeno rispondermi" "Si, certo"

"A Donald evidentemente girava male qualcosa, perchè perse subito la pazienza: "SVEGLIA! Ci sei? Ho mollato tutto quello che avevo da far per venire qui, da te, dopo che sono anni che non ci vediamo quasi, solo perchè mi ahi chiamato mentre eri ad un Oceano di distanza senza nemmeno darmi una ragione, e poi non dici niente? Sono cinque anni che ci vediamo solo durante le feste, senza quasi rivolgerci la parola, sei sempre in mezzo ai tuoi affari!" Donald aveva perso il controllo. Da anni aveva covato verso lo zio risentimento e rabbia, che sempre più avevano cancellato la pietà verso quello che prima considerava solo un vecchio solo." "Davvero il tuo denaro vlae più della tua famiglia, degli altri, di tutto? GUARDATI! Sei felice?"

Donald si sfogò ancora, Paperone neanche lo ascoltava. Alla fine, con poche stringate parole, gli disse della sorella, della lettera e di tutto il resto. Donald, ancora nervoso, si limitò ad un "Non ne so niente" sbrigativo.

 

Paperone si sentiva totalmente apatico. A stento percepiva ormai ciò che era esterno a lui: il viaggio in aereo, la macchina, il paesaggio; appena abozzava un pensiero, subito si spegneva, come un pittore che disegnasse i quadri per poi buttarli via, come uno scrittore che si ferma al canovaccio perchè non ha voglia di particolareggiare le descrizioni. Non aiutava poi il contesto. La leggendaria fattoria era un cumulo di erbacce, c'era poco da dire, non era certo il luogo idilliaco che tante volte tornava in mente a chi lo aveva potuto vivere. In parole povere:"Sai che ti dico? Non ho più voglia di cercare. Sono stanco. Mi arrendo."

  
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