Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |       
Autore: _Princess_    23/05/2008    44 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell'Autrice: questa storia è frutto della mia fervida immaginazione e non ha alcuna pretesa di rispecchiare la realtà, quanto piuttosto di rivisitare persone ed eventi reali senza alcuno scopo di lucro. La storia ha un rating arancione per via di un ricorrente uso di parole non esattamente eleganti e futura trattazione di temi di un certo tipo. È il seguito ufficiale dell’ormai conclusa Lullaby For Emily, anche se all’inizio può non sembrarlo, ma avrete modo con lo svilupparsi della storia di capire meglio. Può essere tranquillamente letta per conto proprio, anche se non avete seguito Lullaby, perché anche se riprende da dove avevamo lasciato, è una storia tutta nuova (non so se mi sono spiegata ^^). Per ora vi auguro buona lettura. ;)
A proposito, per tutti coloro che volessero avere un'idea di come la sottoscritta ha concepito l'immagine della protagonista, ve la presento: ecco a voi Vibeke. Per gli altri che vorranno immaginarla personalmente, meglio ancora. ;)

 

--------------------------------------------------------------------

 

 

 

I wish I could sit here all alone
Thinking this is okay
Don't need anybody tonight
Just complete silence and the candle light
And I'd drink my coffee, wouldn't worry at all
I would feel fine, like I always do
I would be smiling, laughing too
Don't need anybody, least of all you
And then I would convince myself it's true

 

(It’s True, Lene Marlin)

 

 

***

 

 

“Vaffanculo!” strepitò, tirando calci furiosi all’auto con la punta dei pesanti anfibi. “Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!”

Le era successo altre volte che la sua vecchia Golf la piantasse in asso a decine di chilometri da casa, ma era la prima volta che le capitava sotto una pioggia così maledettamente insistente. Non era ancora un acquazzone, ma nemmeno pioggerellina, e per di più era l’una del mattino inoltrata, in una strada scarsamente frequentata, dove in ogni caso non bazzicavano altro che vip e ricconi snob.

Avrebbe maledetto a vita quell’idiota di suo fratello Bjørn – BJ, per lei – per averla invitata (costretta) a quella disgustosa festa tutta modelle e sbruffoni palestrati. Si sentiva ancora il rumore pulsante della musica provenire da diversi piani sopra la sua testa – e da appartamenti diversi – e, vista la mole di alcolici che aveva ingerito per aiutarsi a sopportare almeno un paio d’ore di quella noia indecente, la sua testa percepiva il tutto amplificato di diverse migliaia di volte.

Oltretutto stava congelando.

Il vestito di pizzo e cotone le aderiva zuppo al corpo e stava cominciando ad entrarle l’acqua nelle scarpe, pur nonostante la suola e i tacchi fossero decisamente alti. Era gennaio, e anche se la temperatura era non era particolarmente bassa e a lei il freddo comunque piaceva, mezza ubriaca com’era, aveva solo voglia di arrivare a casa, buttarsi sotto alla doccia e magari rimettere qualcuna delle schifezze che si era obbligata a mangiare per reggere tutti quei Martini, a loro volta scolati per reggere i simpaticissimi presenti.

Forse, in fin dei conti, era un bene che la Golf fosse in panne, non era il caso che si mettesse al volante in quello stato. Avrebbe potuto chiedere un passaggio a BJ, ma ciò avrebbe significato ritornare in quella gabbia di matti ed aspettare fino all’alba prima che lui si decidesse a scollarsi dal party.

Era fuori discussione.

Non voleva certo sottoporsi ad un incubo simile, anche al costo di farsi venti chilometri a piedi.

Certo, l’indomani mattina avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro (anche se prettamente simbolico, visto che era praticamente già stata assunta) e presentarsi in stato comatoso ai suoi futuri principali sarebbe stato azzardato, ma non aveva alternativa: o si metteva d’impegno per essere a casa a piedi in un paio d’ore (salvo imprevisti), oppure aspettava che Sua Graziosissima Maestà Bjørn Jesper Wolner si degnasse di ricordarsi di avere una sciagurata sorella allergica alle volgari festicciole da vip. Avere per fratello uno dei più famosi DJ di Amburgo poteva essere terribilmente oneroso, certe volte, e lo era particolarmente quando interferiva con la vita di Vibeke, nello specifico, quando le impediva di farsi una dormita decente in vista di un evento importante come quello che la attendeva.

Ok, non mi sono esattamente fatta un mazzo così per ottenere quel posto, rifletté, interrompendo per un attimo le percosse al paraurti, ed ero in debito con BJ per avermi gentilmente raccomandata e così tolta dall’abisso nero della disoccupazione, ma trascinarmi in quella sottospecie di orgia della techno music è stato veramente crudele.

Era esausta.

Si controllò nel riflesso del finestrino: il suo viso latteo era rigato da rivoli di kajal sciolto e gli occhi erano rossi e gonfi, per non parlare dei capelli, che si appiccicavano alle guance e alla fronte, fradici d’acqua.

Uno starnuto la costrinse a distogliere lo sguardo, facendola piegare su se stessa, le tempie pulsanti e doloranti. Le veniva anche un po’ da vomitare.

Non mi posso ammalare. Assolutamente vietato. È solo la bevuta, nient’altro. Deve per forza essere solo la bevuta.

Una coppia starnazzante uscì dal palazzo a passo decisamente brillo, ondeggiando di qua e di là mentre scendevano i pochi gradini tra un bacio e l’altro, toccandosi ovunque.

Li guardò con disgusto, e loro ricambiarono senza problemi, facendo commenti a voce alta sul suo trucco sciolto e le sue calze smagliate (peraltro volutamente).

Lei li mandò a quel paese e sferrò l’ennesimo calcio alla macchina, incavolata nera.

Vibeke V. Wolner, nata nella ridente cittadina di Stavanger, Norvegia, ed attualmente residente ad Amburgo con il proprio fratello gemello, non era una ragazza comune, per tre semplici motivi fondamentali: primo, la genetica le aveva giocato uno strano scherzo, facendola nascere con un paio di peculiarità anatomiche, tra cui un cuore che le batteva a destra anziché a sinistra e gli occhi di due colori diversi, uno grigio e uno verde; secondo, il suo look era caratterizzato da uno stile gotico decisamente estremo, un look che prevedeva un nero quasi totale e quintali di borchie ed argento che ai benpensanti andavano facilmente di traverso. Il terzo ed ultimo motivo era, incredibile ma vero, il più fastidioso per la gente: mancava quasi totalmente di fiducia verso il prossimo, e di conseguenza il suo atteggiamento era quasi sempre freddo e scontroso, cosa che dava sui nervi a chiunque al di fuori di BJ, che la sopportava da sempre ed era quindi ormai assuefatto al suo cinismo, e di Rogue, un approssimativo modello di gatto, bianco, grasso e tozzo, che possedeva le due sole, elementari funzioni di dormire e richiedere cibo, ma che lei amava al di sopra di chiunque altro.

Aveva tantissimi conoscenti, molti dei quali la trovavano una ragazza sveglia e ironica, anche se decisamente originale, ma pochissimi amici: uno di questi, il suo migliore amico di sempre, era il gemello BJ, con cui condivideva praticamente tutto, compresi la bicromia degli occhi e i folti capelli biondi, che erano il vanto di lui e la vergogna di lei. Erano ormai quasi undici anni, infatti, che Vibeke aveva tinto la propria chioma di nero, aggiungendovi poco dopo qualche irriverente striatura bianca.

Tutto poteva dirsi di lei, tranne che fosse ansiosa di integrarsi alla massa.

Sospirò, rinunciando definitivamente al massacro dell’auto. A questo punto non aveva scelta: doveva tornare a casa a piedi.

Raccolse la propria borsa da terra e se la buttò su una spalla, in un tintinnio sommesso di cinghie di metallo, poi cercò di fare mente locale sulla direzione da cui era arrivata. Si guardò intorno: una fila di alberi e lampioni dalla luce giallastra da una parte, fila di alberi e lampioni dalla luce giallastra dall’altra, macchine di lusso parcheggiate su entrambi i lati.

Grandioso.

Si portò una mano alla fronte, la testa che le stava per scoppiare.

BJ, questa me la paghi!

Riuscì a muovere appena un paio di passi, senza neppure curarsi di dove stesse andando, ma dopo pochi metri si dovette fermare ed appoggiare ad una delle auto parcheggiate lungo il marciapiede, in preda alle vertigini. La sbornia stava facendosi seria.

Altroché se me la paghi, fratellino.

“Hey, tu, giù le mani dalla mia macchina!” esclamò la voce alterata di un ragazzo.

Vibeke si voltò e vide una figura alta ed imponente dirigersi verso di lei, stagliandosi scura contro la luce del lampione che aveva alle spalle.

Man mano che lui si avvicinava, diventava sempre più chiaro che anche lui doveva aver bevuto parecchio, perché la sua andatura era lenta ed instabile. Fu solo quando lui entrò nel cono di luce del lampione successivo che lei capì che non era l’energumeno che era sembrato all’inizio: era sicuramente alto, ma la stazza era un inganno dei vestiti e della notevole massa di capelli.

“Non te la rovino mica,” blaterò Vibeke, la mente un po’ annebbiata. “Mi ci sono solo appoggiata un attimo.”

Lui le venne di fronte, permettendole così di poter approssimativamente mettere a fuoco il suo viso.

Era bello – sorprendentemente bello, in effetti – con dei lineamenti dolci e morbidi, quasi femminili, e due occhi nocciola che toglievano il respiro. A coronare il tutto, un atteggiamento spavaldo e sicuro di sé che denotava un autocompiacimento traboccante, anche se forse – forse – giustificato.

Vibeke decise subito che non le piaceva. Per niente.

“Le macchine come questa si rovinano solo a guardarle,” berciò lui, piantandosi davanti a lei arcigno. “Quindi levati dai piedi, devo salire.”

Il suo alito sapeva di alcol, segno definitivo che aveva bevuto, e anche parecchio.

“La mamma non te l’ha detto che non si guida in stato di ebbrezza?” gli fece. “Fai male a te stesso e agli altri.”

Lui tentò di scansarla e spingerla da parte, ma lei si artigliò alla maniglia della portiera.

“Senti carina, sono quasi le due, domani ho una levataccia all’alba e una giornata infernale, quindi, scusami, ma ti devi proprio togliere dai coglioni.”

Era anche più arrogante di quel che si fosse immaginata. Cosa credeva, di avere una vita solo lui?

“Allora?” insisté lo sbruffone, in tono impaziente, ma lei non si spostò di una virgola, nemmeno quando lui la prese praticamente in braccio per spostarla.

“Sei una ragazzina dannatamente cocciuta!” ringhiò il ragazzo, mentre lei non ne voleva sapere di mollare la maniglia. La stava stringendo così forte che quasi non la faceva respirare.

L’aveva chiamata ‘ragazzina’. Lui, che doveva avere ad occhio e croce non più di diciotto anni, dava a lei, ventitre anni da compiere a breve, della ‘ragazzina’.

Normalmente Vibeke non si sarebbe nemmeno data la pena di rivolgergli la parola, ma i vari Martini avevano inibito la sua solita insofferenza verso le persone, sguinzagliando così la sua meno esibita indole provocativa.

“Non ti lascio andare a seminare dolore e morte per le strade,” farfugliò lei, con una parte del suo cervello, rimasta miracolosamente sobria, che le dava dell’emerita cretina. “Io sono brava e responsabile e non guido, quindi te ne resti a piedi pure tu!”

Il ragazzo, che ancora la teneva stretta tra le proprie braccia, esili ma incredibilmente forti, strattonandola, assunse un’espressione feroce e contrariata.

“Va bene, non guido,” sibilò a denti stretti. “Ma tu molla la mia portiera.”

Bastò mezzo secondo di esitazione da parte di Vibeke perché lui ne approfittasse per scardinarla dalla sua posizione e spingerla di lato, affrettandosi ad aprire l’auto e tentare di fiondarcisi dentro. Ma lei, con un rapido scatto, riuscì a recuperarlo prima che lui potesse chiudersi dentro, finendogli distesa addosso dentro l’abitacolo.

Il ragazzo lottò, e lei anche, accapigliandosi come due gatti arrabbiati.

“Ma che cazzo vuoi da me, strega?” grugnì lui, quando riuscì a rialzarsi un po’, bloccandole i polsi a pochi centimetri dal proprio viso.

Vibeke rise isterica, ritrovatasi a cavalcioni su di lui in una posa più che compromettente.

“Prima volevo impedirti di uccidere qualcuno. Adesso voglio solo darti fastidio, perché mi stai antipatico.”

Erano entrambi fradici di pioggia e completamente sbronzi, semi sdraiati l’uno sull’altra dentro una macchina. Lui doveva addirittura sentirsi particolarmente scomodo, dato che la sua schiena poggiava su due diversi sedili, ma la sua espressione mutò rapidamente mentre lei si sentiva trascinare giù, verso di lui.

Provava un’avversione istintiva verso questo presunto figlio di papà con una macchina da milionari e l’atteggiamento da padrone del mondo, ma i suoi occhi erano così magnetici da impedirle di dar retta all’impulso di opporsi, e infatti, con un ultimo strattone decisivo, lui se la accostò al viso e la baciò.

“Che cazzo stai facendo?” mormorò lei, assecondandolo senza una volontà precisa.

Lo sentì sorridere, le labbra ancora impegnate con le sue.

“Se non vuoi che me ne vada a casa, almeno degnati di offrimi un intrattenimento alternativo.”

La sua voce si era fatta roca, sensuale. Non sembrava più quella di un ragazzino, ma di un uomo, un uomo molto sicuro di sé.

E che bacia da dio…

La parte sobria del cervello di Vibeke, intanto, si stava rimpicciolendo sempre di più, obliata dagli effetti che la lingua del ragazzo stava avendo su di lei.

“Cos’è quest’odore acre?” le domandò lui ad un tratto, vagamente più lucido.

Lei non capì subito di cosa stesse parlando, ma poi avvertì anche lei quell’odore pungente e lo connesse subito all’inchiostro.

Aveva rimosso di avere la sua preziosa stilografica nel taschino della giacca che aveva addosso.

“Cazzo!” imprecò, notando che l’inchiostro era fuoriuscito ed aveva macchiato sia lei che lui su tutto il petto.

Merda, ho rovinato la sua felpa da migliaia di euro!

Chissà quando e se sarebbe andato via. E, soprattutto, chissà se gliel’avrebbe fatta pagare.

“Perché cazzo te ne vai in giro con una stilografica in tasca?” le chiese il ragazzo, ma senza troppo interesse, sfilandosi rapidamente felpa e maglietta in un colpo solo. Nel buio, Vibeke vide che la sua pelle chiara era chiazzata di inchiostro blu, così come il proprio decolleté, ma a lui non sembrava importare. Doveva essere talmente bevuto da essersene a stento accorto.

“È una lunga storia,” rispose, le labbra gonfie e bollenti. “Vedi, è che questa penna per me rappresenta una parte fondamentale della mia vita, anche se –”

“Chiudi il becco.” Le intimò lui, catturando nuovamente le sue labbra.

Riprese a baciarla, con più foga, levandole la giacca quasi bruscamente.

Per Vibeke fu impossibile non avvertire una certa e ben nota pressione tra le proprie gambe, e non poteva negare che la cosa la stimolasse non poco.

Non era una che soffriva di solitudine – anzi, cercava spesso e volentieri l’isolamento totale – e di ragazzi fissi non ne aveva mai avuti, quindi l’idea di un’avventura di una notte non le dava particolari pensieri, purché adeguatamente gestita. Era squallido votarsi al sesso occasionale, ma non era quello il suo caso. Era più corretto dire che le piaceva approfittare delle buone occasioni, quando si presentavano, e quella sembrava un’ottima occasione. Non sapeva chi fosse, né come si chiamasse, ma era meglio così.

Ma sì, perché no?, si disse, abbandonata quasi totalmente dalla ragione, sfiorando con la lingua il metallo del piercing del ragazzo, le cui mani avevano cominciato a trafficare con i lacci del suo corsetto, disfacendoli con un’abilità che nemmeno lei stessa possedeva, dopo anni che aveva a che fare con quella roba. E mentre il suo corsetto finiva gettato chissà dove per lasciare via libera ad un paio di grandi mani esperte, Vibeke non poté fare a meno di pensare che forse la serata non era stata un disastro proprio completo.

Tanto chi lo rivedrà mai più?

 

 

---------------------------------------------------------------

 

Note: Eccoci qui, in seguito a svariate minacce, ricatti e coercizioni vari, mi trovo costretta a postare prima del tempo questa nuova storia, con la speranza che sarà accolta con lo stesso entusiasmo della precedente. ^^ Come avrete visto, questo capitolo è relativamente breve. Trattandosi di un’introduzione alla storia, ho preferito che fosse così, ma i prossimi saranno più lunghi. Come avevo già annunciato alla fine di Lullaby, il titolo di questa nuova storia è tratto da una canzone dei Within Temptation (ascoltateli, non smetterò mai di consigliarveli, ne vale assolutamente la pena) e ha un significato ben preciso, che la storia svelerà, più avanti. Ultima noticina: il nome della ragazza, Vibeke, è stato preso in prestito dalla cara Lady Vibeke, che mi ha gentilmente concesso di usarlo per questo personaggio (ma che, sia chiaro, nulla ha a che spartire con la Lady, né come aspetto, né come carattere, nè il altri sensi), visto che è un nome che sembra fatto apposta per lei. ^^

Ringrazio anticipatamente chiunque abbia letto fin qui e, in particolare, chi recensirà (lo ripeto sempre, ma mai abbastanza: i commenti, soprattutto quelli costruttivi - positivi o negativi che siano - sono sempre molto ben accetti ed importanti). Siete stati un pubblico fantastico per Lullaby, spero lo sarete altrettanto per questa mia nuova creatura. ^^

Al prossimo capitolo!

P.S. grazie alle mie pusher personali di citazioni musicali da inserire nelle storie, questa in particolare, ossia Lady Vibeke e CowgirlSara, che hanno sempre l'orecchio pronto a cogliere i parallelismi tra quello che ascoltano e quello che io scrivo. Preciso che la maggior parte delle citazioni sono state scovate dal mio umile cervellino, quindi qualcosa da sola la so fare, ma grazie comunque!

   
 
Leggi le 44 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Princess_