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Autore: marig28_libra    31/12/2013    1 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum'
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dedico questo capitolo a banira, lady dreamer e Sara 992 perché lo hanno atteso affettuosamente per tanto tempo…

 


“ Se la vita è sventura,
perché da noi si dura ?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale. “


( G. Leopardi )

 

 

Niente strepitava nella notte elevata.
Nessuna polvere di traffico scorreva nelle tartagliate vie.
Nessuna didattica voce spiegava le storie delle signorie, dell'arte, dei versi remoti che resuscitavano e morivano in una modernità scoppiettante e antiquaria.

La città del giglio si  spianava disfatta e  malinconicamente rinascimentale sotto le occhiaie del sonno.
Firenze guadava con lentezza intorbidata nei flussi che precedevano la lontana aurora. 

Solo un fischiettio  infranse quella quiete di freddura.
Sembrava rozzamente allegro, nostalgico, scalcagnato…

Ondeggiava, ondeggiava e si accompagnava con un ritmico tamburellare ligneo.
Una piccola figura vagava nelle penombre del Ponte Vecchio.

Si muoveva  sgraziata come una lattina acciaccata mentre percorreva , con passo traballante e clownesco, la via  dei negozi serrati degli orefici.

Aveva una strana e reumatica  postura… Pareva faticasse a stare eretta così trotterellava curva con le braccia  che avvolgevano  un vaso attico dalle curvature scure e dalle anse ricciolute.

- E' giunta mezzanotte !  Si spengono i rumori…  Si spegne anche l'insegna di quell'ultimo caffè! Le strade son deserte , deserte e silenziose, un'ultima carrozza cigolando se ne và… *

L’omino  tentava di modulare una voce lirica,  simile a quella  di  un cantante  in bianco e nero,  ottenendo soltanto gracidii da clochard brillo. 
 
- Il fiume scorre lento,  frusciando sotto i ponti , la luna splende in cielo,  dorme tutta la città…

L’Arno , fortunatamente,  non aveva orecchie per ascoltare e proseguiva menefreghista il suo corso… La Luna era appollaiata su trespoli troppo alti per riuscire a captare quelle note deformi…
Solo i palazzi fiorentini tremavano nelle loro fondamenta  assieme ai sassi delle strade.

Lo strambo vagabondo alzò  il tono ragliando da ciuco:
 
SoOOOOOOOOOlo và… un uomo in frack!

Quel  piccoletto si chiamava Zellos.
Portava un cappotto eccessivamente grande che  lo rendeva ridicolo e goffo.

Ha il cilindro per cappello,  due diamanti per gemelli , un bastone di cristallo,  la gardenia nell'occhiello e sul candido gilet… un papillon…un papillon di seta blu…

Certo, costui aveva un cilindro per cappello, ma era un tubo arciconsunto che  pareva un barattolaccio    di fagioli…Sui polsi sfilacciati della giacca non c’erano due diamanti per gemelli ma due bottoni appiccicati come pongo deperito… Nessun bastone di cristallo ma in compenso un gilet marrone verdastro con un papillon slacciato di raso vecchio.

S 'avvicina lentamente , con incedere elegante , ha l'aspetto trasognato malinconico ed assente non si sa da dove vien… ne dove và… chi mai sarà… quell'uomo in frack…
    
La natura, purtroppo, si era mostrata più matrigna che madre all’allegro canterino: era molto basso, aveva un corpo magro e nervoso, una spina dorsale fonte perenne di problemi e un viso irregolare e grottesco. Chiunque restava sorpreso e un po’ disgustato da quella sorta di maschera carnevalesca: gli occhi scuri colavano giù infiacchiti e invecchiati, il naso sporgeva concavo a becco di tortora, le guance erano bollate da ceci brufolosi, la mandibola superiore era spropositatamente schizzata in avanti e  mostrava una piastrellata di giganteschi denti. Zellos non riusciva a serrare le labbra e pertanto  restava congelato in un’espressione ghignante o pateticamente comica .
Come se non bastasse, all’età di ventotto anni , era senza capelli poiché  la calvizie l’aveva iniziato a perseguitare da quattordicenne lasciandolo anno dopo anno sempre più spelato…

Bonne nuite ! Bonne nuite ! Bonne nuite !  Bonne nuite !

- Maremma maiala! Hai finito de’ rompere i cojoni ?!

Un signore di mezza età, esasperato da quella serenata spappolante, aveva spalancato la finestra di casa.

- Beh? – esclamò l’ errante tra lo stizzito e l’incredulo – vi sembra modo di rispondere questo?

- Vai a cagare! Hai visto che ore sono , idiota?!

- Porca zozza…Cosa stavo facendo di male?

- Stavi sfracellando le palle, ecco cosa!

- Possibile che  io non possa gioire tra il fiume e il cielo? Tra la terra e l’aria muta?

- Impiccati, ubriacone di merda!

- I cazzi vostri  no, eh?
 
Dopo un’altra sfilza di abbai e fantasiose imprecazioni,  i duellanti si congedarono mandandosi alla malora.

Zellos proseguì la sua strada dirigendosi,  rintronato dagli effetti del Brunello di Montalcino, verso il Palazzo degli Uffizi.
Entrò nell’androne esterno circondato da  file di porticati e pareti di finestrate neo classiche.   

- Aspetta un attimo…- ruminò spanato – ma davvero Master Oslo sono-più-intelligente –di-tutti-voi ha detto che dovevamo vederci qui?

L’omuncolo ruotò lo sguardo a levante e ponente, scrutando le colonne in pseudo stile dorico del grande edificio.

- Come cavolo entro?! E poi quante lire dovrò smollare ?! Per fortuna che a quest’ora non c’è folla…vediamo un po’ …

Prese , leggermente claudicante, una passerella di legno dove i turisti di giorno facevano la fila.

- E’ chiuso?! Non è possibile! Che organizzazione schifosa! Uno deve sempre venire qua di mattina o di pomeriggio?! Bisogna un po’ svilupparsi con gli orari…Mica le persone hanno  gli stessi ritmi! Bell’umanità…davvero…e poi quel Grifone Albino non è tanto normale…Capisco che uno ami i quadri ma andare a fare la nanna con loro è  da ricovero… 

Si lasciò sfuggire un singhiozzo segaligno.
Guardò l’anfora  di bucchero  che aveva con sé.

- E’ qui dentro che cosa s’infilerà mai? Dobbiamo rubare il genio dalla lampada di Aladino e imprigionarlo? Forse concederà cinque desideri?

- Forse ti concederà più intelligenza.

Sorpreso, Zellos osservò i loggiati e le finestre  degli Uffizi.

- Chi è là? – esclamò stridulo.

- La fata turchina! – rispose una voce in falsetto.

Una marea improvvisa,  sfrangiata e irsuta di pipistrelli si lanciò verso il disgraziato ometto.
Un orripilante accavallamento di ultrasuoni e graffi di ali scabrose lo tormentò rinchiudendolo in un vortice nero di canini morsicanti.

- No! No! No! – urlò terrorizzato -  andate via topi volanti! Via!Via!

Una risata divertita, perfida e acida rimbombò tra le mura.
L’ometto correva avanti e indietro alla  maniera di un criceto cavia  intrappolato in un labirinto.

- Basta! Basta! – piagnucolava – sparite!

- Su, piccoli!  Tornate dal vostro papà!

I pipistrelli svolazzarono verso il padrone dileguandosi in bolle sfilaccianti di cenere.

Adagio, il nano alzò il capo…
Si voltò alle spalle, dove si apriva maestoso l’arco a tutto sesto dell'entrata della pinacoteca.
Sotto di esso stava appeso a testa in giù un tipo bizzarro.

- Allora, ranocchio ? – canzonò lui – ti sei di nuovo sbronzato?

Zellos corrugò la fronte per mettere a fuoco la sagoma scura che penzolava dall’architrave.
Solo un soggetto era in grado di assumere simili pose.

- Wimber! – proruppe irato – stronzo deficiente! Sei simpatico quanto un martello pneumatico nelle budella!

Sghignazzando, il giovane spiccò un triplo salto mortale e atterrò davanti al  piccolo interlocutore.

- Zellos zolla d’anfibio! Sei fantastico quando te la fai sotto!  Non mi stancherò mai di farti giocare coi miei bimbi! Ti adorano!

Il ragazzo rise di nuovo.
Zellos l’avrebbe voluto prendere a pugni.
Lo specter della costellazione del Pipistrello era uno degli esseri più irritanti  dell'esercito di Ade.
Il suo viso, ovale e appuntito, possedeva tratti armonici ma gli occhi obliqui e aggressivi, di una tonalità grigio-bluastra, si spalancavano in espressioni abbacinate e folli. A evidenziare tali scintille , giullaresche e macabre, contribuivano gli spessi capelli neri che fiottavano in aria come torce di folletti diabolici. Una frangia liscia e tagliata in modo scombinato copriva un paio di sopracciglia sottili e frastagliate.
Il fattore più inquietante era la dentatura bianca che lasciava sporgere due lunghi canini affilati e dei molari leggermente seghettati . Le labbra restavano dischiuse in un ghigno o in una smorfia demoniaca talmente non riuscivano a nascondere quelle zanne anomale…
Wimber sarebbe potuto risultare attraente visto che era snello, agile e abbastanza alto, tuttavia  l’estroso look , con pantaloni di pelle attillati, giubbotto viola, cinture  borchiate e  scarponi  da motociclista criminale, lo rendeva  più spaventoso che avvenente. Le sue mani nodose e lunghe, accentuate dalle unghie bordò e aguzze, non ispiravano nelle fanciulle desideri di dolci carezze. 

- Quei tuoi schifosi ratti volanti! – s’inalberava Zellos -  giuro che la prossima volta li polverizzo tutti!

- In che modo, ranuncolo? Ma ti sei visto? Sei solo capace di saltellare nelle paludi e chiacchierare con gli invertebrati!

- Le rane sanno nuotare a fondo e hanno cervello!

- Certo… un cervello di merdaccia come il tuo dato che sei il microbo più patetico e rincoglionito che sguazza nel fango.

- Wimber! Zellos! Dateci un taglio.

- Dobbiamo evitare scioccamente di perdere tempo. 

Quel tono virile, serrato e grave  seguito dalla seconda  voce , musicata e sinuosamente intimidatoria,   interruppero la schermaglia.

- Fedor. Myu – disse il Pipistrello – mi ero allontanato da voi per vedere se il rospo  stesse ricordando bene le indicazioni di Minos…A quanto pare ha fatto cilecca…

Avanzarono , da sotto l’arcata d’ingresso,  due ragazzi  di fascini singolari e differenti .
Il primo ostentava , con andatura flemmatica ed elegantemente arrogante, una corporatura asciutta, imponente e losca. Portava un abbagliamento nero blu da aviatore pirata:  una giacca a doppio petto, legata in vita da un cinturone, gli esaltava biecamente le spalle e il torace mentre dei pantaloni sbuffanti e un paio di stivali militari  lasciavano risuonare la sua andatura sicura e seducente. Il viso era abbronzato in modo lieve e rifulgeva di tratti squisitamente ombrosi: una benda copriva l’occhio destro mancante permettendo all’altro di concentrare tutto il nerbo superstite d’un verde d’acque cineree e ferrigne. I capelli mori, lisci e un po’ arruffati gli coprivano parzialmente la fronte  lambendo  il suo collo e le sue spalle.
Il secondo era dotato di una finezza ferale, dolce e fiammeggiata. Il volto riluceva roseo e cereo con vivacità spettrale: le guance, il naso e la bocca erano realizzati con una freschezza di fiori nottambuli e umidi… I lineamenti puri e festosi si alimentavano del surreale flusso nocciola degli iridi che cangiavano forma e cromatura… I capelli erano una corolla spumosa di un’effervescente  rosso plumbeo e  sembravano fronde  piumose  di tramonto scagliate in aria…
Le membra longilinee e ben modellate del ragazzo erano coperte da un gessato porpora scurissimo impreziosito da un gilet, una camicia e delle scarpe neri.

- Sei messo proprio bene, Zellos – si rivolse sarcasticamente  Fedor – quanto avrai tracannato per scambiare gli Uffizi con Piazza del Duomo? Non credevo che la fermentazione dell'alcool causasse effetti così sorprendenti…

- Dovremmo provarci anche noi! – giocò Wimber – magari potremmo confondere Palazzo Pitti con Backhingam Palace! I giardini dei Boboli  con quelli di Versailles!

- Suvvia ragazzi – soggiunse Myu – la nostra povera  rana è rimasta scombussolata dall’energia d’attrazione che emana l’arte…Ce ne è così tanta in questa città che alla fine non si capisce dove si ha voglia di andare a sbattere. La sindrome di Stendhal colpisce anche la fauna fluviale, lo sapevate?

I tre giovani scoppiarono a ridere.   
Zellos non la finiva mai di maledire se stesso, la sorte infame e gli atteggiamenti dei compagni di battaglia.
Compagni…, a dire il vero lui era solo un subordinato, l’essere iettato che aveva ricevuto in dono la  costellazione della Rana. Era semplicemente un servo. Il servo dell'armata di Ade, sinonimo di pezza da piedi e  insetto da burle.

- Ridete, scemi, ridete – s’adirava l’ometto – il postino che si fa un culo tanto  per viaggiare da una parte all’altra del globo terrestre sono io!

- Mi pare logico – appurò Myu – scusa, in quanto specie appartenente agli anfibi, non sei in grado di saltare eccelsamente meglio di qualunque altro animale?

- Infatti – sogghignò Fedor – guarda, come balza bene!

Diede un calcio a Zellos che ballonzolò sul pavimento come una palla di cenci e cartacce.

- Questa la portiamo noi – fece il ragazzo raccogliendo l’anfora che era caduta – non sia mai il ranocchio vomiti dentro la sua sbornia.

- Aspettate bastardelli…- brontolò Zellos stracolmo di bollicine etiliche – oh…aspettate…dove andate?

- Sarebbe meglio che riposassi un po’…Non sei in condizioni di formulare discorsi ragionevoli – lo irrise Myu.

- Vai all’inferno, falena molesta!

Il ragazzo dalla capigliatura fiammea, lasciò sbocciare un sorrisetto paffuto e sinistro.
Gli iridi marroni  estesero , demoniaci, un’ oscurità scarlatta su tutto lo sguardo… Divennero due globi d’insetto luccicanti che non si comprendeva in che direzione guardassero.

- Spero che un po’ di pallido e setoso fresco ti possa essere d’aiuto – ridacchiò l’adolescente protendendo la mano destra in avanti. 

La Rana si trovò travolta da una rete sottilissima, fitta, bianca di fili levigati e appiccicaticci che gli si avvolsero attorno al  corpo.

- Dannato insetto! – imprecò – liberami! Levami sta’ schifezza di dosso!

- Credimi Zellos – musicò il rosso specter -  le crisalidi  non sono così male…Avvolgono in un sonno che giova al  fisico… Lo  dico io , Myu di Papillon, quale garanzia migliore?

L’omarino si trasformò in un baco lanuginoso, poroso, spettinato…
Tentare di sciogliersi da quel turbine di crini dolciastri era scontatamente  impossibile.

- Ehi – se la spassava il Pipistrello – non sembra una matassa di zucchero filato?

- Sì…-  scherzò Fedor – dello zucchero che si trasformerà in una bellissima farfalla!

- Come no! Secondo me il ranuncolo attende il bacio della principessa  che lo faccia diventare  principe ! Bleah…Ma chi è la tipa che ha il coraggio di slinguazzarselo?

- Signori – li riprese serio Myu – sarà meglio andare al Duomo…Il generale Minos sarà lì a minuti. Ci siamo divertiti abbastanza.   

I tre ragazzi si diressero verso Santa Maria del Fiore.
La disgraziata rana , intanto,  miagolava  ingiurie  che restavano tramortite sotto i tessuti della gabbia bozzolo.

Soltanto la solitudine aveva modo di dilettarsi con risate singhiozzanti alla vista di quella marmitta che  non riusciva a sprizzare gas punitivi.


 

L’antica e sgualcita calce di quel massiccio rifugio sigillava desideri d’evasione…
Gli affreschi di animali selvatici, che decoravano le pareti,  non scagliavano ruggiti o  guaiti ma si limitavano a sfrecciare mortuari in una caccia sacrificale e cieca…
  
Nel costato allampanato di quel buio raschiato, una giovane era affacciata a una finestra dalle colonne crepate…
 Ella udiva il silenzio ossificato della luna, una calma insicura che come tisico nevischio inumidiva le sporgenze degli oggetti che sfuggivano alla tenebra.
Ella riverberava in una condensa di friabile e invernale pallore mentre pareva scaldarsi in lembi di dune nere.


Pandora scrutava le selve brune, tumide e raggrumate della Tracia che soffocavano il rollio degli occhi verso visioni di pelaghi blu.

Un giovane guerriero, seduto su un vecchio sedile di noce, la sorvegliava con devota ansia e fervente tristezza.
La fissava, tentando di scuoterle, col solo palpito del respiro, la tunica funerea.
La fissava avvicinandosi con il fuoco delle sue silenziose domande ai segmenti della sua chioma. 

Desiderava con tutto se stesso, catturare le lunghissime, lisce, nere lacrime di quei capelli…Intonavano, tra un’orma di luce e l’altra , screziature porpora ,  pozze di sangue e amare prugne che si discioglievano tra le graticole  dell'etere notturno.
Egli indugiava,  con dita invisibili, sul viso di gesso e cotone della fanciulla…Quale soffice gelo traspariva dalla sua pelle immacolata?  In quali scannellature ci si poteva perdere, guardando i drappi violacei e cremisi dei suoi  occhi grandi e allungati ? Il naso s’innalzava delicato e fiero dai piccoli zigomi mentre le labbra vellutate si macchiavano della liquidità di un rosso cupo.

Più di una volta l’ armigero aveva percepito, dentro i lombi e l’addome, il  tormento della bramosia carnale. Il corpo sinuoso della ragazza ,  plasmato di languore illividito,  restava immerso sotto gli affluenti austeri del lungo peplo.
I seni sporgevano , quali  morbide e fertili colline,  dai flussi della veste ;  il ventre  pianeggiante respirava timidamente sotto la tundra dell'oscurità, le curvature eleganti dei fianchi e i fusti danzanti e  sottili delle gambe sottolineavano e dileguavano  le  sagome tra le acque delle sottane grevi.

Il ragazzo tentava di non ustionarsi a quelle eccitanti picconate, ma era impossibile denigrare le ferite di Eros quando erano congiunte alla più sublime e incommensurabile delle dee: Psiche.
 
Se fosse stato indigente e ferino istinto sessuale le cose sarebbero state più elementari.

No. Nulla era felice semplicità.

Il guerriero provava collera, soggezione, angoscia.
Non sapeva davvero come barcamenarsi nella ruota  del caos.
 
Moriva.
Moriva d’elevata lussuria, d’incomprensibile passione.
Moriva poiché  lo spirito di Pandora era intimorito gelidamente da lui.

- Dovresti riposare – disse con rude premura alla fanciulla – è inutile che ti avveleni…Per ora dobbiamo muoverci in questo modo. Non abbiamo alternative.

- Certo – rispose fredda lei – non abbiamo alternative e continueremo a non averne.

- Dobbiamo crearci delle strade, Pandora.  La terra non è nata con  vie già belle e pronte.

- Mi sembra che i pochi sentieri che ci potevano essere d’aiuto tu li abbia distrutti.

- Sei così ingenua da fidarti degli dei?

- Può darsi di no,  Rhadamantis figlio di Zeus e di Europa.

Il giovane si alzò in piedi, sorridendo con irritata aria di sfida.

- Sì…- ammise – sono il figlio del Re dell'Olimpo…e dunque? E’ da tempo che ho capito come funziona la testa di mio padre…Ho capito che il Cielo può grondare lerciume come la terra.

Pandora squadrò indagatrice il ragazzo…
Non sapeva che pensare di lui, di  come gestire quella sua controversa mente di stratega e rozzo militare.
La sua  bellezza esprimeva in modo chiaro quell’agglomerato di schegge di metallo e cruda argilla.
Rhadamantis era notevolmente alto, con  muscoli che parevano fucinati in una lega metallica sfregiata da  cicatrici marmoree. Le tenebre e la luce freddolose ballavano sulle braccia, esaltando la struttura dei deltoidi e dei bicipiti… I pettorali e il ventre brillanti e ruvidi  erano impressi in un sudore roccioso... Le gambe,  robuste e slanciate come fibre di belva, si muovevano sotto il corto e sbrindellato chitone da soldato. Dei sandali di cuoio, dal gambale allungato, avvolgevano gli stinchi costellati di lividi e bruciature bronzee.
Il viso era dotato di selvaggia raffinatezza: tratti poderosi di una regalità cupa, naso regolare lisciato di gravezza, sopracciglia cespugliose che parevano aliti infuocati di draghi, occhi arancioni che fulminavano asce gialle o sanguinavano  zanne di diavoli.
Un’esplosione di capelli dorati e scombinati graffiavano l’aria con le loro guglie spinate…Erano una boscaglia saettante di alberi frustanti: dei rami si protendevano in alto mentre  altri ciuffi nascondevano la fronte e la nuca.

- Cosa vuoi, Rhadamantis?

- Dimenticare i miei sigilli, dove sono nato…Portarti via.

- Tu…tu ancora non capisci che sono colei che ha aperto il vaso delle disgrazie? Che ha versato il veleno delle tempeste nell’animo degli uomini? Ho distrutto l’armonia che avrebbe continuato a rendere felice la terra!

- Armonia?! Felicità? Che idiozie vai dicendo?

- Non avremo nulla, Rhadamantis! Ti rendi conto che girovaghiamo senza seguire tracce? Senza uno straccio di senso?

- Ho abbandonato i miei fratelli, ho bruciato la corona di mio padre, ho sputato sui cancelli dell'Olimpo, ho massacrato come porci chiunque avesse osato fermarmi! Tutto questo per te! Per te, sciocca!

Complimenti. Hai trovato un tesoro magnifico. Ammira come siamo ridotti: non ci possiamo muovere né di giorno, né di notte. Nessuna grotta o foresta è sicura. Gli dei ci hanno in pugno.

- Dobbiamo fermarci?! Dobbiamo crepare?!

- Stiamo andando da qualche parte? È una via vivere come orbi derelitti ?!

Il giovane, impestato d’esausta e sensuale collera, aggredì Pandora.
La afferrò per i polsi trascinandola su un  vecchio letto di legno scheggiato.

- Lasciami! Lasciami!

La ragazza urlò terrorizzata, scuotendo violentemente la testa, cercando di dare calci, morsi ma fu fermata  con prese d’acciaio dal guerriero .
Egli la scaraventò sul materasso di lana attanagliandole gli avambracci e sdraiandosi sopra con tutto il bollore del corpo.  

- Hai ragione maledetta! – esclamò- non abbiamo traiettorie! Non abbiamo nulla! Nulla!

La afferrò brutalmente per i capelli avvicinandosi al suo viso.
Pandora venne demolita da quegli  occhi che si struggevano di fiele solare…Ebbe la sensazione di essere compressa dentro un sarcofago  artigliato di chiodi.

- Zeus ti ha fatta creare da Efesto per punire gli uomini – ridacchiò dolente lui – ogni divinità ti ha infuso virtù e spine di furbizia per disintegrare ciò che Prometeo, povero illuso, voleva edificare….Sei una piaga…una piaga troppo bella…troppo strana …

Rhadamantis accostò le  labbra , indurite e febbricitanti,  al collo della fanciulla.

- Sì…- mormorò inquietato – Prometeo aveva raccomandato al fratello Epimeteo di non accettare doni dagli dei…

Si sollevò leggermente dal corpo della ragazza.
Lei si stava mordendo le labbra deglutendo nervosa, trafitta, affannata.

- Ti ha sposata comunque lo sciocco…- punse  il ragazzo – sei diventata la splendida consorte di Epimeteo…dimmi…ti piaceva stare tra le sue braccia? Essere toccata dalle sue mani?!

Rhadamantis accarezzava inviperito i fianchi della preda  facendo scivolare le dita sulle gambe e verso gli orli della tunica.
Si stava consumando di vendetta e gelosia…

- Allora? – insisté lui – cos’è Pandora? Non fai anche con me la ninfa ammaliatrice?

La giovane lo trivellò con sguardo furibondo e schiumato di tristezza.

- Idiota!

Ella si svincolò aggressivamente dal combattente  che tentava di tenerla ferma.

- Io sono solo un regalo! – gridò – un giocattolo con cui  gli uomini devono  distruggersi!

Scoppiò a piangere con l’aria che le si spennava tra la viscere e la gola.
Rhadamantis, incenerito da quella depressa e autentica disperazione, si staccò da lei…
Sospirò sprovvisto di parole d’espiazione…Sospirò con ira ferita, incatenata, vergognata.

- Ho aperto il vaso nel quale Prometeo ed Epimeteo avevano rinchiuso i mali che avrebbero recato torture agli umani…

Pandora si levò a sedere sul letto prendendosi il capo tra le mani come per sorreggere il peso dei lamenti dell'anima.

- Ho fatto evadere la Vecchiaia, la Gelosia, la Malattia, la Pazzia, il Vizio…il mondo è diventato un deserto di calore e freddura inospitali…

La luna invase di bianca e aspra dolcezza il viso di Rhadamantis.

- Avrai liberato le tenebre – proferì polveroso egli – ma sei sempre stata tu a consentire alla speranza di volare dal fondo del vaso e riportare la vegetazione sulla terra.

Pandora si alzò in piedi con le labbra e le gote brillantiate di  rancore.

- Ho riportato la speranza – ammise ghiacciata – il male, però,  non se ne andrà più da questa dimensione…Epimeteo mi ha ripudiata imprigionandomi nel limbo perché una profezia afferma che io servirò i flagelli della Morte recando rovina al creato…

Spiccò un immaginario volo  dalla finestra con gli occhi svuotati.

- Mi chiedo se…se devo continuare a camminare in questo mondo…Ogni cosa mi pare inutile…

Il guerriero si ravvicinò lentamente alla fanciulla senza  folgori o manichi d’ascia.
Il suo sguardo s’addentrava aldilà delle oscurità e delle luci salassate di mobilità .

- Prometeo ed Epimeteo sono stati degli incoscienti – osservò – hanno preso la coltre del male e l’hanno nascosta cercando di salvare l’integrità degli uomini…Non pensavano che tutto fosse stato programmato prima della nascita dei cieli…Tu hai scoperchiato la verità. Luce e buio erano masse indistinte che appartenevano ad un’unica e grande nube d’acqua, aria, roccia, fuoco: il Caos. In fin dei conti siamo figli degli uragani…Equilibrio e confusione sono in realtà sinonimi perché rappresentano un’identità a due teste…Tenere segregata la notte è come far morire il giorno. La carne non è fatta di terra celeste.

Non la guardava come un dio, né come un uomo.
Era uno spirito amante, puro, primitivo. Non voleva ascriversi in nessuna categoria.
Voleva costruirsi in quella passione e basta.

- Il suono della tua arpa è arrivato dalla voragine del Limbo alle mie orecchie perché la materia della tua melodia è scivolata sull’assurdità del nulla. Io non avrei mai potuto abbandonare una fonte d’acqua così preziosa in un deserto inconcludente.

Pandora si afferrò il cuore che non poteva veramente stringere.
Quell’essere era  l’unico a garantirgli disinteressatamente l’anima, il corpo, i sogni che ancora non nascevano.

- Non dire sciocchezze , Rhadamantis…- balbettò lei - hai visto cosa…

- Io me ne infischio dei precetti divini. Credo solo alle mie leggi. Troveremo dei cancelli da cui fuggire.  Hai distrutto una parte di me, la parte che non capiva la musica, le dita che usano corde per espandere incantesimi smisurati…Sei un dono maledetto ma ora sei il mio dono. Sei la mia donna. Voglio morire nel tuo abisso perché è nel buio che la luce si addormenta per risvegliarsi più splendente di prima.


Pandora, traboccante di desiderio d’intesa e annegamento, si addossò al petto del semidio.
Lui  la baciò con impeto sacrale e voluttuoso ed ella  non manifestò la minima voglia di sfuggire alla morsa dell'abbraccio.
Era spaventata dal calore intenso di quelle membra che la serravano, di quel torace compatto che premeva contro la sottigliezza del suo.
Sentiva tra le labbra il sapore del suo custode riversarsi con brutale tenerezza nella gola dell'animo…Era un fiume di sincerità sanguinaria che cospargeva i brividi di carbone e sale, che giurava follemente l’immensità inarrivabile dei venti.





- Pandora…

- Pandora…

“ Mamma? …Papà? “

- Pandora…

- Pandora…

Aveva ancora gli occhi chiusi, il sangue che scorreva nelle vene ripide, i pezzi dell’anima che fumigavano in una vuotezza ebbra e traumatizzata.
La ragazzina non riusciva a inquadrare quelle voci che le entravano nella mente assieme alle debolissime frequenze  della realtà esterna…
Erano accadute un mucchio di cose nelle ore antecedenti che però non ricordava…

Nitido era soltanto quel sogno. Quel sogno in cui era la Pandora maledetta dei tempi del mito.
Quella proiezione in cui vi era, feroce e leale, Rhadamantis.
 
Rhadamantis…Non era la prima volta che lo sognava…Ultimamente si materializzava spesso oltre i portali  del sonno…
Era divenuto un allarmante  leit motive, un disco che girava e girava emettendo strani ritornelli che non potevano essere solamente una franabile e temporanea creazione del cervello…
Perché compariva quel giovane con il suo amore grezzo e scarnificante?
Che cosa rappresentava?
Che cosa mai indicava?

- Nobile Pandora…

Due dita freddissime  sfiorarono  con luttuosa delicatezza i capelli neri della fanciulla.
Quel tocco era simile alle carezze materne ma era orribilmente sotterraneo e lapideo come il bacio  d’una croce d’argento consunta.

- Ti senti ancora debole?

Una mano più spessa e grande carezzò una gota alla piccola adolescente…
Effondeva un particolare odore: sapeva dell’acidula freddura del metallo ma profumava di piante sempreverdi…

- Ti conviene svegliarti – incalzò la stessa voce con tono fine e ombroso – o non riuscirai più a vedere nulla.

Pandora aprì cautamente lo sguardo col cuore smarrito.
Il cielo era nero e sfinito…
Si scorgevano le guglie policromatiche del Duomo e le luci sformate dei lampioni…

Due volti la stavano osservando… Una coppia di stravaganti e funebri individui che le sedevano ai lati:  una giovane e un ragazzo.

La quattordicenne si rese conto di essere sorretta dalla donna che non seppe se reputare bellissima o mostruosa.
Possedeva una carnagione bianca, malata eppure tenera e rigogliosa…La parte destra del viso pareva fosforescente a un punto tale che addolorava e sbriciolava la vista…La parte sinistra, invece,  era velata da una maschera lugubre che riproduceva, in modo tribale e baroccheggiante , i tratti stilizzati di un teschio. Due occhi vetrosi, che fendevano l’ossigeno puerili e satanici, lampeggiavano di un argento chiarissimo che spasimava in un truce azzurro. Le ciglia nere contornavano quella glaciazione da bambola come miriadi di sfavillanti zampe di ragno. Una voluminosa chioma liscia , d’un mortifero grigio-ceruleo,  rendeva stole invernali  le brillantezze delle luci: una ciocca di capelli era legata in una crocchia mentre la restante cascata veleggiava liberamente sulla schiena in un gioco di riflessi perlacei  e brinati.
 
- Ci hai fatto impensierire, venerabile Pandora – pronunciò rugginosa quella creatura – abbiamo temuto che non desiderassi destarti dopo che il nostro Re ti ha rivelato la tua sacra via.

La ragazzetta avvertì  una corrosiva nausea colpirla in petto.
Si girò indolenzita verso l’ interlocutrice…Rabbrividì fino alla punta dei piedi nello studiarle le  membra che richiamavano una cadaverica maestria da Modigliani.

- Io – farfugliò la piccola – io…non capisco…Chi è questo re?

Il giovane uomo, avvolto nella penombra,  rise somigliante  al fiato di una fornace.

- Pandora – rimproverò tenero – possibile che il tuo cuore non ricordi dove tu sia nata? Non hai mai conosciuto gli occhi del Sonno e della Morte, i divini gemelli servitori di Ade?

Una foresta fitta d’arti secolari e  intrecciati nelle tenebre…
Un castello di pietre e marmo colmo di stanze e remoti affetti…
Una loggia obliata che custodiva nello sterile ventre uno scrigno proibito…

Visioni abbandonate. Visioni incancellabili.
Visioni di verità innegabili.

Pandora, presa dal panico,  scattò in piedi. Con il suo maglioncino indaco sgualcito e la gonna di jeans  rovinata era uguale ad una clandestina che doveva essere gettata in mare. 

- No…no…- esclamò terrea – io…abito qui. Qui! Dove sono i miei genitori?! Dov’è mio fratello?!

I due giovani la guardarono con spietata  compassione.

- Riportatemi a casa! – ordinò la ragazzina – a casa! Voglio tornare a casa!

- Noi ti riporteremo a casa, nobile Pandora – la rassicurò tetramente il ragazzo- farai ritorno alla tua vera e sublime dimora: il Castello Frankenstein, in Germania.

La fanciulla venne  pugnalata da lacrime isteriche e spaventate.

- Chi diamine siete?! Che volete?!

Il giovane si avvicinò a lei sorridendo:

- Io e te , Pandora ci conosciamo da moltissimo tempo…si potrebbe dire da secoli…Non è facile rimembrare con chiarezza immediata ma credo che qualcosa possa iniziare a venirti in mente…

L’adolescente osservò il misterioso uomo che si espose al chiarore dei lampioni…
Possedeva una magnificenza di losca e platinata  nebbia... Il suo viso splendeva di grazia e sensuale perspicacia : bocca elegante e asciutta , naso accuratamente disegnato, occhi gialli abbaglianti d’oro crudo e inariditi più della sabbia africana ….A contrastare con quei  bracieri freddanti , la lunga e scartavetrata capigliatura che rifulgeva  di un’ inasprita tonalità nevosa…Sembravano i capelli di un anziano stregone o di un funesto  spirito norreno…Vi era una vecchiezza fresca e fluente d’evaporanti fruscii.
Il ragazzo indossava una giacca  nera, simile a un lungo impermeabile, che non si capiva se fosse fatta di pelle o di seta. Un paio di pantaloni d’inchiostro gli avvolgeva le gambe lunghe  mentre delle lucide a appuntite scarpe scure gli facevano risuonare,  principeschi  e letali,  i passi nella notte…Tutta quella buia raffinatezza gli poneva in rilievo la figura prestante : spalle ampie e signorili, busto snello e forte, cosce agili e forgiate di vigore.

Un particolare attirò l’attenzione di Pandora.
Una spilla di pallido acciaio cesellata come un regale stemma: la figura di un grifone dal becco acuminato e dalle piume scanalate.

Lo splendido albino s’inchinò con deferenza.

- Il mio nome è Minos…- si presentò – vengo dalle terre della Norvegia. La mia costellazione è il Grifone della Nobiltà Celeste. Sono uno dei tre Generali dell’Armata Santa di Ade…L’armata che ti appartiene e di cui detieni lo scettro. Tu sei il comandante supremo degli specter. I soldati che combattono per il Regno degli Inferi.

Anche la giovane dalla maschera di teschio s’inchinò melliflua e cortese…Sollevò i lembi della sua veste blu violacea orlata d’antichi merletti.

- Io sono  Hel, Pandora… porto il nome della mia dea protettrice norrena, Signora degli Inferi…nei secoli remoti mi hanno conosciuta come la Maga di Eljounir* , poiché nel mio palazzo fondevo i misteri della morte con la linfa brillante della vita… Ho indagato su qualunque sapere, su qualunque alchimia pur di ottenere la perfezione di un animo completo…Per tale motivo, ahimè, sono stata punita.  Gli dei e gli uomini non comprendono che quella che chiamano “ tracotanza” non è che lo stadio salvifico di un’evoluzione.

Minos si affiancò alla maga cingendole,  leggero e voluttuoso, le spalle.

- Ipnos e Thanatos hanno però intuito che saresti stata importantissima per trovare un nuovo equilibrio al futuro dominio di Ade – esplicitò – nessuna lingua morta o viva ti è sconosciuta…Nessun enigma può restare irrisolto se è sottoposto al tuo scrutino.

Hel lo guardò con passione e con sottile aria refrattaria.

- Vedi nobile Pandora – spiegò alla ragazzina – questo Generale è giunto…a liberarmi dal castigo affinché  io possa aiutarvi nel decifrare la chiave per riordinare… i cieli.

La ragazzina capì meno di prima…Solo il nome “ Ade” le doleva nell’inconscio…
Sì…prima della sua tranquilla esistenza in Italia erano successi alcuni avvenimenti gravi…
Avvenimenti che risalivano a quando era una bimba di cinque anni e di cui ancora non riusciva a focalizzare qualcosa di chiaro…

- Che cosa c'entro io, con Ade? – domandò ansiosa e spazientita – che cosa c'entro io con tutto questo?!

Hel si avvicinò a lei prendendole le mani.

- Pandora! Tu sei la Sacra Vestale di Ade, sua sorella putativa. Hai risvegliato Ipnos e Thanatos dal loro letargo punitivo, hai custodito il cosmo del nostro Re!

- Hai trovato anche colui che sarà la sua reincarnazione – aggiunse Minos – gli hai lasciato un medaglione per incatenarlo alle tenebre…C’era scritto sopra “ yours forever” …

Pandora fu folgorata da una violenta e improvvisa emicrania.
Si prese le tempie tra le mani…
Comparve nella sua mente una visione veloce: l’immagine di un combattivo bambino dai capelli blu che proteggeva tra le braccia un grazioso neonato dal capo smeraldino.

- Ikki…- balbettò la ragazzina – Shun…i…due fratelli che vidi…in…in…Giappone?!

Il Grifone sorrise:

- Vedo che stai cominciando a ricordare…Stai tranquilla…piano piano riacquisterai il vero senso della tua esistenza.

Pandora indietreggiò dallo specter e dalla maga.

- No…- strepitò – io…voglio tornare a casa…lasciatemi andare…

- Non hai nulla da temere, venerabile Pandora.

La fanciulla si girò alle spalle.
Aveva parlato un ragazzo dai capelli rossi e dagli occhi di farfalla.  Ai suoi lati altri due giovani, uno coi denti aguzzi e l’altro con una benda nera sull’occhio destro.

- Permetti di presentarci…Io sono Myu della costellazione di Papillon.

- Io, Wimber del Pipistrello.

- Fedor della Mandragola.

I tre s’inchinarono davanti la dodicenne.

- Fatemi tornare a casa! – supplicò rabbiosa lei – non so chi siate e non voglio saperlo! Voglio andarmene!

Minos l’afferrò autoritario per un polso:

- Pandora…lo vedi l’anello che porti al dito?

L’adolescente fissò il piccolo cerchio nero che le ornava la mano…era stato un regalo dei genitori, che cosa poteva mai contenere?

- Portate l’anfora, qui – ordinò Hel.

Fedor obbedì aprendo il prezioso vaso.

- Sovrano dell'Erebo profondo – pronunciò la maga – manifesta il tuo fiume d’eterno e invincibile oblio affinché noi, guerrieri servitori, potremo proteggerlo in nome delle nostre infiammate stelle nere.  

Dall’anello di Pandora fuoriuscì prima un esile alito di cenere e poi una colonna di fumo che troneggiò scarificata  da venature di  lampi viola e rossi.
Ad un tratto mutò in un tornado di tenebre telluriche, fluidificate e tumefatte che si riversò in un ululato ghiacciato e lavico all’interno della grande anfora.

La ragazzetta si sentì strappare la pelle dai muscoli al tocco imprendibile e devastante di quella corrente divina…

- Il cosmo del nostro Signore si era rifugiato in te – chiarì  Minos -  ora dovremo aspettare che la sua energia maturi in tutta potenza per possedere il corpo del prescelto.

Pandora barcollò sul punto di svenire.
Hel la sorresse protettiva.

- Generale Minos – si rivolse Myu – abbiamo portato a compimento la nostra missione…possediamo uno dei  frammenti dei Libri Acherontici : la terza sezione dei sigilli della vita.

Lo specter chiamò una moltitudine di aloni svolazzanti verde arancio…
Una nube leggiadra e cristallizzata di tacite farfalle si concentrò sulle sue mani  lasciando comparire un fodero rettangolare di pelle nel quale era protetta un’ antichissima pergamena.
 
- Ottimo lavoro – si compiacque il Grifone – la nostra maledetta ricerca sta per giungere al termine…Questi sono testi etruschi ritenuti perduti per sempre dagli archeologi…Sono redatti in  una lingua che è rimasta oscura proprio per la mancanza di fonti letterarie dirette.

- Infatti – constatò Fedor – ci siamo dovuti aiutare tramite le bibliografie di autori romani e greci…che tuttavia neanche ci sono state di totale ausilio…

Wimber, al ricordo delle dure giornate trascorse in polverose biblioteche universitarie, sbuffò con una smorfia irritata.

- Sì – brontolò -  alla fine lo dico sempre che il latino e il greco sono lingue morte e stramorte… cibo scaduto per i professoroni zombi.

- Ti rammento – puntualizzò Myu – che se io e Fedor non avessimo conosciuto un minimo di greco antico non avremmo capito le uniche quattro righe che siamo riusciti a interpretare per identificare il testo…

- Già solo quattro righe…praticamente i tre quarti restanti sono un mucchio di spiringuacchi incomprensibili…Sono le azioni che ci hanno permesso di fregare quella lercia pergamena!

- Sono io che ho fornito a voi e agli altri vostri compagni le indicazioni per trovare i frammenti dei Libri Acherontici.

Le parole di Hel risuonarono congelate,  veritiere e dominatrici.
I tre ragazzi sapevano di non poter ribattere.

- Questi testi sacri – illustrò  la maga – rappresentano la defunta testimonianza dei rituali e delle magie etrusche…I Libri Haruspicini, i Libri fulgurales e i Libri Rituales sono i tre principali nuclei letterari andati per la maggior parte distrutti. Gli studiosi credono che nessuna di queste tracce sia tuttora esistente…Si da il caso invece , che dopo lunghe indagini , io sia riuscita ad individuare una delle principali materie dei Libri Rituales: la parte acherontica, la parte proibita che non descriveva solo l’oltretomba e i riti di salvazione…ma qualcosa di più grande…la salvezza assoluta e impossibile.

- La strada per accedere all’Iperuranio – rivelò Minos .

- Esatto – sorrise Hel – i Libri Acherontici,  assieme agli altri testi,  si riteneva avessero origini tanto antiche da essere stati scritti dalle divinità stesse…Già…divinità…Qualcosa di celeste effettivamente vi fu ma non di derivato dagli dei...

Pandora,  indebolita,  ascoltava quelle parole che presero a turbinarle nel cervello come tante vespe nere.
Hel continuò a narrare:

- Creature più elevate, inafferrabili, illibate da ogni qualsivoglia corruzione stesero tali codici che trasmisero a  ristrettissime elite di sacerdoti…Si tratta degli Alchimisti di Eu Topos*. Spiriti perfetti, privi di sesso e turbamenti istintuali che intervengono nelle guerre sacre solo in casi gravi. Rarissime sono le volte in cui sono discesi qui sulla terra e sta volta ci potremmo trovare in guai molto seri.

Inarcando le sopracciglia Myu chiese:

- Significa che…questi Alchimisti già sono arrivati nel nostro mondo?!

- Sfortunatamente sì…- dichiarò la donna – ho percepito che ne sono comparsi due  in Asia e in Africa…Precisamente in India e in Egitto…E’ necessario che ci riuniamo al più presto al Castello Frankenstein con i frammenti dei Libri Acherontici…Questi lembi di indizi si sono sparpagliati per l’Europa perché diversi maghi e druidi hanno cercato d’impossessarsene… fallendo nella missione di decifrarli.

- Per costruire la mappa che conduce al Quinto Punto Cardinale – continuò Minos - il cosiddetto Quinto Cielo, l’universo perfetto che governa tutti gli altri universi , avremmo bisogno dei quattro sigilli della vita. Il primo brandello che abbiamo trovato  Hel e io era nascosto nel nord della Norvegia.

Sarà stata una missione eccitante “ pensò Wimber maliziosamente “ che bello interpretare testi astrusi tra una scopata e l’altra…”

Tutti sapevano che i due norreni erano amanti.
All’inizio serpeggiava un’accesa invidia per il privilegiato Grifone, tuttavia si erano poi andate affermandosi paura e ribrezzo. La maga era una donna che esercitava sugli uomini un’attrazione malarica e succulenta celando strani sintomi di putrefazione e istinti sadici e omicidi.
Si diceva che consentisse al disgraziato di turno di trastullarsi  per poi ucciderlo nel gran finale. I cadaveri dall’aspetto mediocre diventavano combustibile per calderoni, i più belli ricevevano un raffinato trattamento d’imbalsamazione.
Minos era stato l’unico maschio astuto e intelligente in grado di plagiare la mantide e incatenarla a sé. Wimber e gli altri dovevano, quindi,  ringraziare anche le sue capacità amatorie per la buona riuscita delle missioni… 

- Ci arrivano buone notizie dalla Francia – rivelò Papillon – le mie farfalle messaggere hanno riferito che Valentine, Queen, Shielfield e Gordon hanno trovato il secondo frammento e ci raggiungeranno in Germania tra due giorni…Rune e Pharao lasceranno la Grecia domani pomeriggio…Ci porteranno  preziosissime  informazioni sui …nostri nuovi cavalieri d’oro.

- Quelle ci saranno indispensabili – ridacchiò Hel – occorre l’energia delle anime zodiacali per mettere in moto la nostra conquista.

- Rune e Pharao *  sono abili nel carpire l’essenza delle vite – sogghignò il Grifone – scommetto che avranno svolto un lavoro eccellente. Nelle lettere e nelle note catturano la materia delle storie umane…e le storie dei neo eletti servitori di Atena dovranno liberare una bella potenza…

- Generale Minos – fece notare Fedor – non sappiamo se in Croazia Violate e Calipso*  siano riuscite ad ottenere l’ultimo frammento…

- E’ vero – disse accigliato Wimber – che quella dannata Calipso abbia combinato qualche casino? Abbiamo visto che ha fatto al Grande Tempio e come abbia mandato in fumo il piano…Saremmo ancora più avanti di così…

- Calipso ha commesso errori – appurò asciutta Hel – ma è anche grazie a lei che conosciamo i luoghi più reconditi del Santuario che custodiscono codici e testimonianze dimenticate…Quindi tranquillizzatevi…Lei rimane una validissima guerriera e  non sarà così  folle da far crollare tutto…Violate non le permette di compiere passi falsi e tra l’altro ci sono in gioco la sua isola…Non scordiamoci che Don Avido e i Cavalieri Neri hanno in pugno il Reame delle Pleiadi.

- Don Avido -  strinse i  denti Fedor – basta lavorare per lui un solo anno e finisci col cervello e il corpo massacrati…Speri ogni giorno di morire da qualche parte pur di non vedere la sua faccia di cazzo.

- Quello è uno stronzo figlio di puttana – ringhiò Wimber col fegato che s’ingrossava – ci siamo sbattuti come coglioni per salvarci il culo per ben otto anni…Non c’era da starsene quieti con …

- Don Avido  è un autentico bastardo – interruppe seccamente Minos – sappiamo come ha contrattato con ognuno di noi…Purtroppo dobbiamo andare oltre, ingoiare bile e tenerci stretta la sua alleanza…E’ un pilastro indispensabile, ahimè…Dovrà anche lui soggiornare nel Castello Frankenstein…

- Per entrare nella Foresta Nera – disse Hel – avrà bisogno di un sigillo…Lui e i suoi seguaci sono cavalieri neri non specter…La barriera protettiva tessuta dal Sonno e dalla Morte è letale per chiunque non appartenga alle stelle malefiche.

- Che potesse crepare – sbottò il Pipistrello- ce la possiamo fare benissimo anche da soli!

- Per come si mostra la situazione ora – valutò Myu – noi specter non rappresentiamo l’esercito al completo e neppure siamo sufficienti per condurre un’efficace battaglia…Per tale ragione dobbiamo contare su validi supporti.

- Per quanto concerne i validi supporti – sibilò ironico Minos – dov’è finita la Rana?

Wimber, Fedor e Myu sghignazzarono piano.

- Giusto – esaminò crucciata Hel – non doveva essere Zellos a portare l’anfora per custodire il cosmo di Ade?

- Il nostro servo non era in condizioni di…effettuare questo servizio – rispose lo specter della Mandragola – non era propriamente lucido.

- Fatemi indovinare – sbuffò Minos – avrà speso di nuovo tutti i suoi risparmi per sbronzarsi con qualche pregiato vino italiano?

- Esattamente – sorrise Myu – ma non c’è nulla di cui preoccuparsi…tra pochissimo ci raggiungerà…me lo stento.

Qualche minuto dopo una piccola sagoma comparve da dietro il Battistero……Invocava pietà, insultava nemici invisibili e si muoveva come uno spaventa passeri scassato…
Era uguale a un pupazzetto avvolto in stracci di carta igienica perché dai suoi arti penzolavano filamenti di crisalide lanosa…

- Zellos! – urlò il Grifone- pezzo di cretino! Vieni subito qui!

- E va bene va bene…- sbiascicò l’ometto – non c’è bisogno di arrabbiarsi così …e poi non sono un cagnetto che deve andare a prendere il bastoncino.

Nell’attimo in cui la Rana vacillò verso il Generale, Hel evocò dalla tenebra una carrozza ottocentesca blu che si mimetizzava sulla carta della notte.
Aveva sportelli intarsiati con motivi vegetali di scuro argento e quattro destrieri-ombra dagli occhi rossi.

- Toh…- si sorprese Zellos – che bel servizio taxi…ho proprio bisogno di ritornare in Germania bello tranquillo e…

- Dove pensi di andare, rospo? – ghignò Minos con un’aria da vigile canzonatore – la vettura è omologata per sei persone.

- Come?! Scusate e io dove vado?

- A farti benedire! – lo beffeggiò Wimber.

- Non è il caso che tu salga, piccolo Zellos – rise velenosa Hel – la nostra sacerdotessa Pandora è già abbastanza provata e la tua presenza rischierebbe di urtarla maggiormente…

- Ma io non mi azzarderei mai a…

Il Grifone afferrò in malo modo la Rana per la giacca.
La sollevò da terra portandola alla sua altezza.

- Sentimi bene, sudicia ranocchia – minacciò – devi effettuare un’importantissima consegna:  dare un amuleto protettivo  a Don Avido, capo dei Cavalieri Neri che ora alberga a Venezia…Questo è l’indirizzo segreto del palazzo in cui è rifugiato…

Dopo essere stato sbattuto al suolo, Zellos ricevette una specie di piccolo cofanetto e un pezzetto di pergamena.

- E…E ..- esclamò spaesato – quando dovrei partire?

- Ora.

- Ma siamo pazzi?! Ho sonno! Non riesco a camminare!

- Mi hai sentito bene, rana. Estinguiti e guai a te se fallirai… Non assicuro l’incolumità delle tue vertebre.

Il Generale diede sprezzantemente le spalle al servo e salì sulla carrozza.
Non appena chiuse lo sportello, il suo sguardo si soffermò su Pandora.

La ragazzina , con gli occhi persi nel vuoto,  piangeva in silenzio.
Hel le stringeva le spalle tentando invano di consolarla…Tra qualche ora ella avrebbe cominciato a realizzare che della sua famiglia, nessuno era sopravvissuto…
Avrebbe cominciato a spezzettarsi cadendo nell’enorme fantasma amorfo che lascia il tramonto…

Il ragazzo comprese quella sensazione di annientamento suicida…Quella calura di casa che non poteva più rinascere…
Non sapeva più piangere o provare tenera compassione ma qualche volta, nel buio, sentiva un lancinante crampo che gli soffocava acido e tirannico il cuore…Si ritrovò,  alienato dal presente, agli inizi di quell'anno...   

  

La neve si smagliava su Oslo.
Le ossa delle nuvole si sbriciolavano in pastiglie di lana.
Ciascuna linea geometrica d’edificio moderno, ciascuna eleganza di palazzi ottocenteschi s’ingessava sotto una sfoglia di colla gratinata.
Il mare del porto era schiacciato dal timbro della notte e non faceva altro che ingoiare le molecole ghiacciate delle alture.

- Il freddo non è così terribile, mamma.

La voce adulta  e desertica di Minos si sollevò dai ticchettii delle apparecchiature mediche.
In quella stanza d’ospedale,  dalle candide pareti e dalle pavimentate beige, stava un letto di lenzuola incolori e morbide. 
Sopra di esso era distesa una donna di mezza età. Tempo fa doveva essere graziosa ma in quel momento rifletteva tutto il gonfio pallore dell'appassimento: il viso piccolo era opaco e cadente, i capelli dorati si mostravano una matassa di esili radici disidratate, le braccia, il busto e le gambe parevano appiattirsi minuto dopo minuto in una magrezza floscia, grigia, lattiginosa.

- All’inizio ti senti svuotare – proseguì il ragazzo – hai le dita, i piedi, la vista paralizzati e non sai come liberarti…Non conosci strade di calore…Non puoi salire in superficie…Sei nel Reame di Ade. Non puoi sperare di morire perché sei già morto. Devi continuare nella tua metamorfosi e basta. Gli inferi sono al di sotto di questa dimensione, anzi non sono un altro universo bensì una continuazione di questa esistenza. Magari ti potrà apparire tutto diverso ma in fin dei conti le tenebre hanno lo stesso colore ovunque ti trovi.

Minos si avvicinò alla madre.
Le si sedette affianco prendendole la mano ancora polita  ma che si poteva disgregare da un istante all’altro.
Il coma era un involucro di lento scioglimento. 

- Il freddo – mormorò lui – il freddo non ti brucia…non ti fa  temere il sole…non ti acceca…è la tonalità più bella di questa realtà. Non si flette, resta in alto e vola di pietra.

Il giovane sorrise fosco, senza scintille e con  dolcezza decaduta.

- Sai mamma, a volte penso in che modo il papà e il nonno avrebbero saputo rendere la brillantezza del freddo…Ti ricordi che maghi erano nell’usare i riflettori? Le atmosfere di ogni teatro non sembravano  finzione…Da piccolo pensavo che tutto diventasse vero, che non esistesse la menzogna. Ciascun elemento della realtà poteva solo trasformarsi. Le scenografie che costruivate erano fatte di materiali che nascevano, raccontavano, morivano e poi venivano riciclati. Non c’era nulla di finto. Gli incantesimi per me erano verità.

Il ragazzo si alzò e camminò con l’amara coscienza di non riuscire a ballare.

- Per questo giocavo…Non era solo una normale evasione. Era la possibilità e il potere di creare dei miei mondi…Io ci credevo, calcolavo ogni cosa…Adoravo divertirmi coi burattini…Con quei fili regalavo delle vite e le mettevo in moto. Viaggiavo dove mi pareva.

Si fermò qualche secondo.
Fissò il pavimento, poi la lampada calda che rischiarava le pareti della stanza.
Riprese con tono freddo e incommensurabile: 

- Ora non ho bisogno più di manichini di legno. Ho le persone. Disegno fili invisibili, sollevo corpi e spezzo  ossa. Posso staccare qualunque arto, posso architettare qualunque tortura…non creo più storie. Devo solo ingegnarmi a mettere in atto il modo più efficace per eliminare. È un gioco di fili, mamma. Non faccio nulla di strano. Le decisioni vengono manovrate dai fili, l’amore viene manovrato dai fili, la guerra viene manovrata dai fili, il tempo dai fili…E’ tutta una trama. La differenza è che nel mondo non vedi da che punto partono questi fili…quando uccido per lo meno so che li guido io…Già…anche nei momenti in cui cado in mille pezzi… Sono sempre io…

Il ragazzo passò in rassegna le attrezzature  che alimentavano lo sfatto corpo della dormiente.
Schermi neri con linee verdi che zigzagavano  precise, immotivate.
Battiti robotici che riportavano illusori impulsi cardiaci.
Movimenti di elettrodi imbalsamati. Circuiti e microchip che vibravano mantenendo apparati organici che pulsavano per inezia.
Una vita troncata d’essenza.

Minos vide una piccola metropoli tecnologica  di grattacieli senza uscita.
Si sentì trascinare via dalla tormenta che soffiava fuori le finestre. 

- Scusa, mamma…Scusa se ho vagheggiato, se ho sperato in una visione che mai sarebbe potuta accadere…Forse papà e nonno sono stati fortunati a morire sul colpo. Non hanno sentito le lamiere dell’auto massacrarli. Se sono andati subito. Tu…sei rimasta qui…Io…ho scoperto che la quotidianità che ho amato non è stata che un breve soggiorno per purgarmi con la mia vera vita.

Il ragazzo non strinse i pugni, non ringhiò tra le mandibole.
Desiderava con tutto se stesso arrabbiarsi ma si rendeva mestamente conto che non ce la faceva…Restava impaurito, apatico, rassegnato.
Era un condannato divenuto insensibile alle mitragliate.
Veniva bucato di proiettili ma stava in piedi senza emorragie.

- Scusa se mi sono comportato come il peggiore degli assassini. Non meritavi tutto questo…Ho fatto qualunque cosa pur di restare stupido e continuare a credere in acque stagnanti, in queste macchine che cercano di cucire il tuo respiro morto.

Lui era Minos. Il Grifone.
Uno dei tre Generali di Ade.
Lui rinasceva a ogni guerra sacra in un ciclo sempiterno di combattimenti e conquiste.

Non contavano le famiglie che lo mettevano al mondo nelle ere che si succedevano e si cancellavano.

- Forse avevo già capito Ipnos e Thanatos quando ridevano dicendo: “ prova a volare controvento, Grifone”…volevano vedere fino a che punto potevo spingermi…E’ stato un bel divertimento per loro. Non mi hanno fermato perché sono  sempre  spettacoli  straordinari  la paura del cambiamento e l’attaccamento verso la polvere che non vola più.

Lui era stato Minos Van Hansel.
Figlio di scenografi e tecnici teatrali.

Era stato un bambino orgoglioso della propria speciale e pacifica esistenza.
Aveva abbracciato tanto, aveva saputo fantasticare meglio di chiunque altro.
 
- Ancora  adesso faccio fatica  a smettere di essere stupido. Sto parlando da solo. Tu non sei più in questa stanza da anni…Non  c’è neppure   la tua anima.

Il giovane guardò la madre con una falda nell’animo da cui fuoriuscivano solo serpenti sbucciati e bruciati. 

- Sei lontana…lontana…Chissà dove ti sarai nascosta…Ti vergogni di me, vero? Fai bene…è meglio che mi dimentichi.

Minos studiò con lucida e disperata calma i cavi delle apparecchiature mediche.

- E’ bello delirare…almeno uno cerca un po’ di meravigliarsi di se stesso e di giocare come fanno i bambini. Certo, è una presa in giro ma è una presa in giro che accarezza in modo incredibile…Malauguratamente quando ci si diverte, ci si stanca e io sono stanco…molto stanco.

Individuò lo strumento falsamente benevolo che sorreggeva le funzioni vitali della madre.
Sospirò piano, a testa alta.
Nessun incrinatura gli sconvolse i bei lineamenti del viso.
Diede un’ultima occhiata al cielo nero che s’impiastrava di fiocchi.
 
- Piove troppa neve, i miei occhi hanno male ma  non griderò.

L’adolescente si accostò lentamente alla macchina respiratoria.
Si chinò verso il cavo e staccò la spina.

Tutto si spense. Tutto cadde a effetto domino.
L’arancio rosato della lampada carezzò quella quiete stremata, liberata, sciupata.
Erano finiti otto anni di sonno vegetale. 

- Buonanotte, mamma…

Minos prese tra le mani il viso della donna coccolandolo con dedizione dolente e spacciata.

- Anche se non ti appartengo più…buonanotte.

Baciò con arida e distrutta delicatezza le labbra della defunta.
La coprì con il lenzuolo, foderando dentro di sé l’umiliazione di essere incapace di piangere.

- Addio.

Gettò quell’ultimo pesantissimo sasso nella voragine dell'abbandono.
Spense la lampada della stanza e si affrettò a lasciare la clinica. 

Uscito fuori le porte di vetro,  si gettò nella fuliggine candeggiata della neve.
Avvolto nella sua lunga giacca nera da mercenario omicida, decongelò le saette dell'inverno con l’oscurità di passi spietati.

Camminò veloce e  tagliente.
Gli unici zampilli dolci erano i  capelli candidi che gli umettavano, lucidi di inutile illibatezza, la fronte, le spalle, la schiena…

Non osò voltarsi di nuovo verso l’ospedale.
Si lasciò indurire il viso dalla semina di gennaio.

Soltanto un singulto gli uncinò le pareti della gola.
Un singulto di lacrime bianche, immaginarie, impossibili da dipingere.
La macchia di un’angoscia bambina orfana di direttive.

E i fiocchi di neve cedevano uno dopo l’altro…
Cedevano, cedevano…
Tanti globuli che si cancellavano tra l’acidità gialla dei lampioni e la vacuità decomposta delle ombre.

La meiosi del silenzio si catalizzava  incontaminabile e invulnerabile.  





Cigolante, sconsolato e vagamente rintronato, Zellos attraversò di nuovo il Ponte Vecchio.
Camminando piano , anche se doveva affrettarsi, decise che sarebbe andato alla Stazione ferroviaria di Campo Marte.
Avrebbe preso un comunissimo e affumicato  treno , da pendolare iellato e assonnato, e avrebbe raggiunto Venezia . Era abituato a viaggi da profugo puzzolente e quello, tutto sommato, non era il peggiore. Ovviamente era un  grosso limone da ingurgitare ma sempre meglio che imbucarsi in vagoni merci arrugginiti o imbarcarsi su bastimenti di spazzatura da smaltire.

L’ omarino, non smetteva di bollire e pensava coi brufoli che pulsavano collera giallastra:   

“ Come al solito una consegna dell'ultima ora! Che quel Minos finisse sotto un trattore o un carro armato! Stronzobastardoluridissimo! Che andassero a fanculo lui e tutta la band che lo circonda! Morissero tutti! Tutti! Ma che accidenti dico? Come facciamo a morire se siamo specter e possiamo resuscitare?! Aaaaaaaaah….”

La rana sbuffò esasperata tentando di calciare una bottiglietta di plastica che maldestramente mancò.

“ Che palle… dovrò pigliare il primo regionale e fiondarmi in quell’umidissima città che mi smangiucchierà le ossa…. Fantastico. Penso che riuscirò a battere il record di traversate di un piccione viaggiatore.  Quest’anno mi sono sbattuto dalla Norvegia alla Germania, dalla Germania alla Russia, dalla Russia in Tibet per poi finire  nel Bel Paese…”

Guardò  l’Arno che sfuggiva lento e implacabile alle spille argentate della luna.
Si avvicinò al ponte per rimirare la solitudine che alloggiava tra gli intercolunni dei palazzi, tra le siepi sgonfie dei giardini, tra le ombre signorili dei lampioni.

“ L’unico motivo per cui non ucciderei i tre bellimbusti generaloni è perché mi mandano in Italia…almeno ho tempo per scofanarmi di pasta, pizza, salumi, carne, formaggi…poi quel Brunello di Montalcino, quel Chianti, il Sangiovese…dove le trovo tutte ste meraviglie? Ah…mi dovrei anche comprare degli lp coi migliori cantanti italiani ma non c’ho soldi sufficienti…”

Sospirò sbattendo la testa contro la balconata del ponte.
Un tintinnio gocciolò cristallino e pulito al suolo.

Zellos si accorse che dalla tasca bucata del cappotto era caduto un orecchino.
Lo raccolse agitato e se lo strinse con intenso sentimento  al petto.

Neanche le ultime ammaccature della sbronza riuscivano a fargli scordare il valore inestimabile di quell’oggettino…Quel manufatto d’argento vecchio a forma di rana che era appartenuto ad un’anima insostituibile… Una ragazza senza bellezza, salute e malizia…Una mente che non aveva mai avuto disgusto delle paludi e che aveva comunicato coi suoi sacerdoti.

“ Tiah…” pensò vivamente Zellos ” non tornerò più dove sono nato…se devo essere sincero quel sudicio villaggio della Cambogia non mi manca per nulla…L’unica cosa che mi fa stare schifosamente è non aver mai saputo in che luogo  ti hanno sepolta…bah…ma a che serve in fin dei conti? “  

Fissò la marea fluviale nera che passeggiava immortalata all’interno di un’ enorme e sconfinata  fognatura.
Non ci si poteva tuffare.
Non si poteva fuggire.

L’omarino l’aveva compreso bene durante quegli anni… Si evade dalla tenebra per finire in una tenebra ancora più grande?
A reggere il mondo era l’infinito perpetuarsi dei moti celesti, a reggere l’anima l’infinita e conscia vigliaccheria di non uscire dalla prigionia.
Bisognava creare la libertà ma la fantasia si costruiva malaticcia sull’impianto deperibile della realtà svalutabile.
Era meno rischioso contare sulle solide sbarre di una galera.

Il nano  prese a cantilenare fievole con un leggero vento che iniziava librarsi.   

- E’ vero, credetemi è accaduto…di notte su di un ponte, guardando l’acqua scura con la dannata voglia di fare un tuffo giùùùùùùùù…*

Le acque non erano la risposta alla purificazione dai fardelli.
Avevano una moltitudine di microbi anch’esse.

Poi ad un tratto, due tizi alle mie spalle…forse angeli vestiti da passanti, mi spinsero nel buio dicendomi…cosììììììì… Meravigliosooooo…ma come non ti accorgi di quanto l’Ade sia meraviglioso….meravigliosooooo!

Il servo in realtà se lo ricordava perfettamente.
Non erano angeli coloro che gli avevano schiuso la panoramica di un universo d’eterni fumi.

Il Sonno e la Morte. Ipnos e Thanatos.
Lui  era stato condotto dalle loro ali d’uccelli paradisiaci ghiotti di speranze da inabissare.

- Perfino il tuo dolore potrà guarire poi…meraviglioso…

I due gemelli dell'Averno adoravano scherzare metallici e gravi.
Sapevano che la Luna era una perla senescente che non emetteva tempeste.
Illuminava con aneli anemici poiché   le tenebre erano un liquame incorporeo che fruttificava in ogni angolo della terra e in ogni sguardo umano.

Ciò era meraviglioso.
Meraviglioso come le lacrime che gridavano fin sopra le montagne per poi distruggersi nella piccolezza di cuori psicotici.   

“ Tiah…Continuo ad amarti anche se non ho più pensieri e una vita in cui credere…Continuo ad amarti senza sapere nuotare per davvero…Non so se io stia vivendo ancora in te…da qui non scorgo nulla…Quelli che porto con me sono soltanto vecchi film, realtà defunte…Chissà dove ti rifugi…Spero che nel vedermi tu possa ridere dicendomi cose belle, strambe e uniche. Io non posso sognare. Il Sogno è fratello della Morte. La Morte è nelle mani di Ade. Ade regge le colonne della superficie. Io non sono un suo guerriero…Sono una briciola di buio che non attende nulla. “





Note esplicative:

- E' giunta mezzanotte !  Si spengono i rumori…  Si spegne anche l'insegna di quell'ultimo caffè! Le strade son deserte , deserte e silenziose, un'ultima carrozza cigolando se ne và… *

: testo della canzone di Domenico Modugno “ L’uomo in frack “  ( 1960 )

“ Eljounir* ” : secondo la mitologia norrena, il palazzo degli inferi in cui risiedeva la dea Hel.

- E’ vero, credetemi è accaduto…di notte su di un ponte, guardando l’acqua scura con la dannata voglia di fare un tuffo giùùùùùùùù…* : testo della canzone di Domenico Modugno “  Meraviglioso” ( 1968 )  modificato “ tragicomicamente “ per il personaggio di Zellos. 


 Note inerenti ai capitoli precedenti:

Alchimisti di Eu Topos *  :  vedi CAP 15- celeste immenso e CAP 17 – danzando con te: al di là del tempo.
 
Rune e Pharao *  : vedi CAP 8 – le magie di Lindo: canzone d’ombra.
 
Calipso * : vedi CAP 12- lande violentate. 

 

Note personali: L’ULTIMO AGGIORNAMENTO DEL 2013!!! XD sono stata previdente ^^ avevo detto che a fine dicembre ci sarebbe stato questo capitolo e così è stato!
Mi scuso però  con i lettori che seguono anche “ Io ,figlio dell'’inferno “  >.<  purtroppo non sono riuscita ad aggiornare in anticipo col cap 3 perché la stesura di questo episodio ha finito per assorbirmi del tutto…aggiungete poi impegni natalizi e proseguimento studi XD
Spero di riuscire a tornare su Death entro la fine di gennaio anche se non vi garantisco nulla di sicuro al 100 %  perché entro il 20 devo terminare una fan fic per un contest ( sta volta il fandom è Lady Oscar ^^) e poi…il 3 febbraio ho un esame…abbiate pazienza ^^”

Dunque vi devo rompere un altro pochino le scatole con i chiarimenti storico mitologici inerenti a questo episodio…procediamo con ordine.

- Pandora e Radamanthys: nella storia originale del Kuru e della Teshirogi    non hanno alcuna relazione sentimentale/carnale…Personalmente, mi è sempre piaciuto immaginare una loro intesa ^^ quando ho letto Lost Canvas e sono arrivata alla parte in cui la Viverna si scontra con Aron/Ade…sigh…mi si è stretto il cuore!! Vedere Rada che salva Pandora come ultimo gesto prima di finire a brandelli mi ha colpita tanto *.* Sono così partiti i voli pindarici…va bene…è vero che il generalone è un grezzone che pensa a servire solo Ade e spargere tempeste e sangue però… cavolo! Siamo in un AU con tanto di “ What if…” e “ missing moment” …perciò…chi è poi che non s’inventa le coppie? XD   
Riguardo il mito greco,  Pandora e Radamanthys non condividono nulla di nulla…Come avete letto nel capitolo , la fanciulla maledetta è sempre “ il dono “ creato dagli dei  che apre il vaso delle sciagure ecc…tuttavia ho inventato il fatto che Epimeteo la ripudia e la relega nel Limbo ( e non hanno nessuna figlia di nome Pirra )…Tutto in funzione della relazione con Radamanthys, il quale  era davvero un semidio  fratello di Eaco e Minosse…
In conclusione ho desiderato spiegare l’origine delle storie di questi due personaggi attenendomi in parte  alla mitologia…

- I Libri Acherontici ( e gli altri testi rituali che narra Hel)  :  studiando attualmente etruscologia vi garantisco che non sono inventati e che dovevano esistere secondo le testimonianze latine…Purtroppo, nel mondo reale, non sono mai stati ritrovati e neppure stati  scritti dagli Alchimisti di Eu Topos XD XD  ( questa è pura farina della fantasia…)

Spero di essere stata chiara ^^ se sono rimasti diversi punti oscuri nel piano illustrato da Minos e Hel è appositamente voluto perché non posso svelarvi tutto adesso ;)
Avrete notato l’entrata in scena sia di specter della serie classica sia di quelli della Teshirogi ( Winber e Fedor) e…avrete notato Zellos!! XD E’ un personaggio che non mi sembra particolarmente preso considerazione e che invece potrebbe diventare moooolto interessante…Il mio intento è quello di mostrarlo in più sfaccettature, che siano comiche o tragiche ( vagamente pirandelliano XD XD ) Non so quanto vi possa piacere ma mi auguro che voi lo possiate apprezzare!! >.< 

Come ultimissima cosa ringrazio un caro amico che mi ha suggerito il nome “ Hel” per la creazione della deliziosa maga funerea ! Se non ci fosse stato a illuminarmi con la mitologia norrena non sarei riuscita a tratteggiare efficacemente la figura della mia “ personaggia” !!

VI AUGURO UN BUON 2014!!! :D

All’anno prossimo! ^^  

 

 


 
   
 
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