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Autore: Thiare    31/12/2013    0 recensioni
Tutti i Vendicatori erano entrati in contatto con il Tesseract, tutti avevano visto la sua potenza e ne erano rimasti abbagliati, avevano conosciuto ciò che la natura gli aveva negato di sapere e in parte se n'erano pentiti.
Dicono che l'impotenza del coraggio a volte sia più potente del coraggio stesso, che la vita vada vissuta come una sola persona, quella che sei realmente, ma per Bruce Banner questo concetto era già stato appreso e archiviato.
***
- Tu potrai anche mettere a tacere le emozioni sul tuo viso, ma i tuoi occhi parlano, agente. -
- Tu non sai che cosa ho visto, Steve. So che cosa pensi Capitano: gli dèi non ti hanno assistito, beh neanche a me. -
***
(...) Il dottor Selvig sembrava preoccupato. - Oh grazie al cielo, agente Barton! Temevo non si risvegliasse.-
- Che cosa è successo? -
- Il Tesseract... ci ha mostrato il futuro. -
***
(...) Fu costretto a cadere nella sua visione.
Pepper viveva anche nei suoi sogni.
[Clint/Coulson] [BUON CAPODANNO A TUTTI VOI!]
Genere: Azione, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: le visioni (oops... spoiler?) che avranno gli Avengers sono forme allegoriche, bisogna riuscire a leggere tra le righe e saperle "interpretare". Sono più che altro dei sogni e ogni sogno nasconde la sua parte di mistero e verità. Per qualsiasi incomprensione non esitate a fare domande.
Buona lettura.



AZZURRE VERITA'


- Il Tesseract mi ha mostrato tantissime cose! E' più che conoscenza, è verità. -
- Lo so. Tocca chiunque in modo diverso.
Cosa ti ha mostrato, Agente Barton? -
- Il prossimo obiettivo. -

No, non era il prossimo obiettivo che Clint aveva visto in quel cubo. In realtà aveva visto la verità, e a volte la verità è tagliente, molto più di quanto le dolci e carezzevoli manie della bontà che si cela dietro di essa possano dimostrare. Tutti i Vendicatori erano entrati in contatto con il Tesseract, tutti avevano visto la sua potenza e ne erano rimasti abbagliati, avevano conosciuto ciò che la natura gli aveva negato di sapere e in parte se n'erano pentiti.

Dicono che l'impotenza del coraggio a volte sia più potente del coraggio stesso, che la vita vada vissuta come una sola persona, quella che sei realmente, ma per Bruce Banner questo concetto era già stato appreso e archiviato. Lui sapeva dell'esplosione che c'era stata poche settimane prima del suo arrivo sull'Helicarrier, quel cubo faceva i capricci, si pettegolava, ma in realtà era solo un modo per mettere tutti in guardia, per confermare la teoria che Steve avrebbe sostenuto un paio di settimane più tardi. Sì, quel cubo sarebbe dovuto rimanere in fondo all'oceano, ma alla fine ha cercato solo di proteggerli. 

Tutti della squadra sapevano che il buon dottor Banner aveva visto qualcosa di molto doloroso in quella verità, aveva visto la sua vita in un futuro prossimo.


Lo scettro si illuminava in modo strano, quasi preoccupante, e intensi lampi di luce azzurra provocavano brividi lungo la schiena dei due esperti. Allargare i lati adiacenti alla palla di luce ed estrarla. Bruce aveva calcolato ogni suo gesto, tutto meno che quello che sarebbe successo. La pinza scivolò di lato prima che potesse fare qualsiasi cosa e si andò a scontrare con la parte del Tesseract che alimentava il bastone dell'Infinito. Non seppe neanche come avesse potuto commettere un errore così banale. La palla di energia sprigionò delle radiazioni gamma che andarono a dilatarsi in piccoli cerchi di luce azzurra intorno all'asta e si diffusero in tutta la stanza.
- Vada subito a chiamare Fury! - aveva urlato Bruce a Tony, che si avviò velocemente fuori dalla stanza in preda ad un'isteria incontrollabile. Il ticchettio dei tasti sul computer del dottore non riuscirono però a distrarlo dalla grave situazione in cui si sarebbe potuto trovare. Formule su formule apparivano sullo schermo del suo laptot ma non fece in tempo a leggerne nemmeno una che i piccoli cerchi di luce si unificarono in una sfera luminosa che aleggiava di fronte a lui. Alzò lo sguardo e ne rimase abbagliato, i suoi occhi si fecero cristallini e videro solo quello che l'Infinito gli volle mostrare. 

Betty era bella, la donna più bella che avesse mai visto in vita sua, ma non c'era più e Bruce doveva farsene una ragione. Aveva passato anni in sua compagnia e altrettanti in sua assenza, non poteva dire che gli mancasse ma il suo profumo era troppo difficile da estinguere dalle sue narici. La sua Betty danzava libera nella coltre di energia e sorrideva: amava vederla ridere. Non lo degnò di uno sguardo prima che si accorgesse di lui: si fermò e gli si inchinò davanti sussurrandogli qualche parola all'orecchio, poi scomparve. 

- Hai negli occhi la brillantezza di chi sa far stare bene, amore mio. -

Ma Bruce non lo accettava, non accettava che quella fosse la sua verità. Le sue iridi diventarono ancora più cristalline e presero l'aspetto di due biglie. Vide cenere e nubi scure avanzare all'orizzonte e degli animali sporchi correre tra le strade di Calcutta. E non riuscì a vedere il Sole apparire dietro le umili case di legno a portare sicurezza e calore. C'era un uomo incappucciato che passeggiava indisturbato in mezzo a quella guerra, lo osservò per un secondo, quando il lungo mantello in cotone grezzo lasciò intravedere un corpo perfetto e slanciato. L'uomo voltò il capo verso la sua direzione e gli rivolse un sorriso inquietante che spiccava sul suo visto deturpato da profonde ferite. Una piccola figura attirò l'attenzione dello sconosciuto, che le si avvicinò puntandole contro un pugnale. 


Bruce si accorse di una bambina ferita, distesa sul ciglio della strada, tra le macerie e tra altri corpi esanimi: aveva lunghi capelli neri e un viso paffuto e scuro, indossava un vestito sgualcito e scolorito, fatto di stracci e sporco di sangue, del suo sangue. Bruce si era chiesto se anche una bambina così piccola potesse provare tanto dolore. Avanzò in quella fantasia e si fermò a pochi metri di distanza dal corpicino; si bloccò all'istante alla vista di un'altra donna, anch'ella meravigliosa. Osservò il suo corpo pallido, le sue forme e le sue gambe magre, notò le sue vesti gettate al vento e la sua figura nuda in tutta la sua bellezza. Un alone azzurro si andava a posare sulla sua vita e sul suo seno, riunificandosi in leggiadri drappi di stoffa che cadevano morbidi sulla pelle liscia, coprendone il petto e il bassoventre. La figura si distese sulla piccola e ne baciò la fronte, poi sorrise e si rimise in piedi tendendo la mano verso la sagoma ancora distesa della bambina. A poco a poco questa si svegliò e sorrise gioiosa, poi si affiancò alla donna stringendole la mano. La ragazza la sollevò e la prese in braccio per poi sorridere orgogliosa. Gli rivolse uno sguardo veloce e abbassò gli occhi stringendo di più a sé il corpo della piccina, che la abbracciava felice. La donna si scostò una ciocca rossa dagli occhi gelidi e spiccò il volo grazie alle sue ali pregiate che, con il loro dorato manto, solcavano il cielo come fosse acqua. 
Bruce cadde in ginocchio, stremato da tante emozioni congiunte e gridò. Erose i suoi polmoni e cacciò tutte le sue emozioni. 



    Quando Tony rientrò nel laboratorio seguito a ruota da Fury, si meravigliò nel vedere che nessuna catastrofe fosse accaduta in sua assenza e nel non ritrovare lo sguardo sollevato del dottore. - Dottor Banner? - Sentirono solo il fiato accelerato di Bruce dietro alla scrivania. Lo ritrovarono accovacciato sul freddo pavimento della stanza con il respiro pesante e un'espressione sconvolta sul viso sudato. - Dottor Banner! Che cosa le è successo? -                                                                  
- E-è tutto finito. - balbettò incredulo.                                                                                                                              
- Chiamo un medico. -                                                                                                                                                                  
- No, non serve. - cercò di opporsi Bruce ma non ottenne comprensione da Fury, che cominciò a ordinare qualcosa all'auricolare.                                          
- Fate venire immediatamente il dottor Jhade e chiamate anche l'agente Romanoff. - impose al primo agente di passaggio nel corridoio.
I due agenti desiderati non tardarono ad arrivare: il dottor Jeremia Jhade si presentò quasi immediatamente in laboratorio. Fece irruzione in quel luogo freneticamente, lieto di poter finalmente occuparsi di un paziente così raro.                                                                                              

- Che cosa è capitato, dottore? - aveva chiesto Jeremia non appena fu sicuro di vedere lucidità negli occhi di Bruce.                                                                                                                                                                                
- Il Tesseract...- non riuscì però a terminare la frase che Natasha entrò nel laboratorio.                  
Guardò prima Fury poi gli occhi sconcertati di Banner. - Pensavo che almeno li sapesse usare i giocattoli, dottore. -                                                                                                                                                        
Bruce si alzò istericamente dallo sgabello in metallo su cui si era poggiato, si avvicinò all'agente Romanoff e si asciugò in malo modo il sudore dalla fronte. Uscì senza aggiungere altre parole e si diresse a grandi passi verso un luogo indefinito, sicuramente al termine di quel corridoio che sembrava infinito. Raggiunse una delle tante stanza buie che lo S.H.I.E.L.D. usava come deposito e si concesse qualche minuto per riprendere il suo normale colorito e a respirare regolarmente. Non si era accorto di essere seguito, in quei momenti stava solo pensando a come far sì che le emozioni di Bruce Banner non diventassero anche quelle di Hulk. Natasha era entrata in quel buco scuro affannata per la corsa che aveva dovuto affrontare per fronteggiare il passo svelto del dottore.
Si fermò sull'uscio e osservò lo strano comportamento del collega.
- Dottor Banner, che cosa le prende? Sta bene? - chiese preoccupata la spia. L'uomo si strofinò un'altra volta gli occhi e riposizionò gli occhiali al proprio posto sul paffuto naso. Ricominciò a respirare normalmente: sembrava di nuovo calmo ma i suoi occhi lucidi non tranquillizzarono pienamente la spia. La spia che tutto vede e nulla tralascia al caso.

- Era lei Natasha. E' lei la Nike. -
***

Non sapeva perché fosse scappata, forse perché sapere per la seconda volta la verità era difficile da sostenere. Anche per LA spia era difficile convivere con l'idea che l'esito della battaglia sarebbe dipeso in parte anche da lei. Perché lo sapeva, Natasha sapeva che Nike era la dea della Vittoria, e aveva finalmente creduto alla profezia che le aveva concesso il Tesseract.                                                                                            
La stanza dell'addestramento era vuota, il suono degli spari risuonava nella grande sala e andava a diffondersi in un'eco infinito che non riusciva a saldare il senso di vuoto che si era creato con la conoscenza del futuro. Fantoccio atterrato. Seconda sagoma bucata al centro della testa. Terzo punto a segno. Un rumore secco e strozzato rimbombava nell'oscuro silenzio, fragile come una preghiera, come una lacrima. Natasha sentì la presenza di qualcuno e si voltò all'improvviso puntando la sua Beretta contro la soglia della palestra. 

- Tu le assomigli molto, sai? - La voce di Steve sembrava parlare per la sua coscienza, ma stentò a credere che la sua lurida anima potesse donarle una simile verità.                                                                                                                                                
- Somiglio a chi? - chiese abbassando l'arma e volgendosi di nuovo verso il bersaglio.                                                                                                                                                                
- A Peggy, la mia Peggy. Lei non aveva paura di sparare ad un uomo, non credo avesse paura di qualcosa in realtà. - ascoltò le sue parole con malinconia.                                                                                                                                                                      
- Questo dovrebbe sembrare un complimento Capitano? -                                                                                          

- Perché no? - Steve infilò le mani in tasca e si appoggiò sul freddo stipite della porta metallica.                                                                                                                                                                                  
- Mi stai paragonando ad una donna morta. -                                                                                                                        

- Oh. Giusto. - abbassò gli occhi e Natasha poté vedere il suo sguardo farsi più cupo.                                                                                                                              
- Scusami, non volevo essere indiscreta, mi dispiace. -                                                                                                  

- Sai Natasha, io ho visto armi nucleari, energie sconosciute; ho visto persone morire sotto i miei occhi a causa di quelle trappole infernali. Ho visto Schmidt uccidere, uomini polverizzati e bruciati. Quelle persone avevano una famiglia! Avevano qualcuno che li amava e quel male è stato inferto a tutti i loro conoscenti; i loro familiari piansero una bara vuota. Peggy voleva distruggere questa tecnologia assurda, voleva che non esistesse più sofferenza. Quindi perché non dovrebbe essere un complimento? -                                                                                                                                                            

Natasha sorrise amaramente e abbassò il capo. - Perché io non sono così. -                                                                    

- Che cosa te lo fa pensare? -

"Tu non sai che cosa ho visto, Steve."


- Allora Natalia, hai deciso cosa vuoi diventare da grande? -                                                                      
- No отец, non ne ho idea. -                                                                                                                                
- Io vorrei che mi rendessi orgoglioso, дочь. - tossicchiava un uomo di circa cinquant'anni. -Vorrei poter sapere che hai reso questo mondo migliore. Vorrei poter sentire dire dalla gente quanto vive bene in una Russia vegliata da due occhi gelidi e da un grande cuore. - 


"So di averti deluso, papà."
 
Mentre le sue pupille si allargavano in una diramazione azzurra alla vista del Tesseract, una voce le risuonava nella mente. Faceva male, troppo male, più del dolore causato dalla morte del padre.

E che cosa hai fatto, Наталия? Sei rimasta fedele alle tue origini? Si diventata l'orgoglio della tua famiglia?

Un uragano di luce blu si liberò dal cubo mettendo al tappeto le altre spie di guardia. Lei invece rimase immobile, ad ascoltare quella carezzevole voce. Era Alexandra, sua madre. La luce azzurra del cubo creava una leggera brezza fresca che invase come l'alito del vento il laboratorio. Quel venticello la avvolse e le carezzò le gote fino a farle desiderare di ritornare nel luogo delle sue origini.

Allora моему ребенку, sei poi riuscita a rendere questo mondo migliore?

- Io.. no, io... Non ci sono riuscita mamma. -

Non abbatterti небольшой, tuo padre non voleva affidarti un compito simile. Lui voleva solo che la tua forza e il tuo impegno fossero impiegati nel bene, voleva che sua figlia riuscisse ad essere felice, ma non si era accorto che la tua felicità accresceva su altri fronti. Ricorda моя принцесса: ogni uomo nasce per vivere il suo periodo di grande splendore, ogni persona ne è possessore, e il suo scopo diventerà far stare bene coloro che gli sono attorno. 

Alexandra apparve tra la nebbia azzurra come un ricordo in lontananza: era bionda, i suoi capelli potevano apparire bianchissimi per il loro chiarore. Era seduta su una poltrona scarlatta e il suo bianco vestito di seta risaltava in quell'immagine sfocata.

Spiccherai il volo, мой дорогой.

- Non credevo che in tutta questa confusione, in questa situazione, tu potessi rinchiuderti in questa stanza isolata dal resto del mondo senza contribuire alle ricerche. Fury approva? -

- Io vengo qui quando la situazione lì fuori diventa insostenibile per me. Succede molto raramente Capitano. -

- Io credo che la situazione sia insostenibile nel tuo cuore, Natasha. -

Una bambina attraversò la strada, lo sguardo era contratto in un'espressione terrorizzata, i ricci capelli rossi venivano scompigliati dall'aria impetuosa come una fiera bandiera stirata dal vento. Gli occhi azzurri si spostavano alle sue spalle per verificare se fosse seguita. L'aria gelida di Mosca era tagliente, e l'abito in cotone che indossava la bimba le arrossava le gambe come se fossero in imbarazzo in quella fredda società.

- Capitano tu non mi conosci. -

Corse disperatamente e i suoi piedini scalzi venivano lacerati dalla neve indurita ai margini della strada. Davanti ai suoi occhi, offuscati dal terrore, si prostrava una capanna fragile e rachitica che terminava con un tetto spiovente di legno e mattoni. Un leggero drappo di stoffa scarlatta ne copriva l'entrata ma quel soffio di vento simile ad una pugnalata riusciva a intrufolarsi anche nei meandri più profondi del cuore.
L'entrata era vicina, la meta da raggiungere si faceva sempre più concreta ma la speranza era lontana, e il pensiero di poter rincontrare la propria famiglia alimentava la forza nelle sue gambe. Solo qualche metro, uno, mezzo, la casa sembrava il Paradiso in quell'Inferno spettrale fatto di suoni rochi e spezzati.
La piccola protese la mani in avanti e si lanciò nell'abitacolo atterrando con un tonfo in una casetta buia e quadrata, grande solo una decina di metri quadri. Gli occhi erano stanchi ma non rassegnati, quelle sul suo viso potevano sembrare lacrime ma invece era sudore, lei non piangeva mai. Si rialzò velocemente massaggiandosi il ginocchio dolorante, intenta a scappare dalla porta sul retro da quel pericolo che sembrava imminente.
Qualcosa le bloccò i fianchi e le circondò la vita procurandole un dolore lancinante che risaliva dalle membra più lontane, dai luoghi più celati e sofferenti dell'animo. E gridò, gridò in silenzio perché uno sbaglio del genere le sarebbe costata l'esistenza. Poi sentì la sua schiena sfregarsi contro un indumento freddo e due braccia muscolose circondarle il torace. E la terra venne a mancare sotto i suoi piedi, che cominciarono a dibattersi inutilmente. Una mano le copriva la bocca poiché avrebbe tanto voluto urlare: il vuoto sotto ai suoi piedi sembrava diventare una voragine infinita, un buco nero pronto a risucchiarla. I suoi occhi di ghiaccio si sciolsero e calde lacrime scivolarono giù per le gote arrossate; le labbra si schiusero ma gli occhi rimasero spalancati. Non una smorfia sul suo viso poteva indicare qualunque emozione provasse. Impietrita a mezz'aria rimase la sua mano che, disperatamente, cercava di chiedere aiuto.

-Aiutami e ti aiuterò, ci siamo dentro insieme ormai.-

Le uniche parole che riuscì a sentire prima che uno scoppio si propagandasse dietro la parete su cui erano appoggiati e le travi che la reggevano saltassero in aria. La rossa cadde in avanti protetta dall'uomo che andò giù come un albero a cui sono state tagliate le radici. Le travi portanti di quella piccola struttura cedettero e una nuvola di polvere e calcinacci si diffuse nel cielo lugubre di una Mosca privata di qualunque felicità.    
La piccola russa era incolume, era stata protetta dal corpo di quello sconosciuto che si era fiondato su di lei salvandole la vita. Al di là del grosso buco nella parete un uomo alto e muscoloso allargava le braccia e sorrideva in modo inquietante. Il suo corpo cominciò a raggrinzirsi, l'uomo si accartocciò su sé stesso in preda a spasmi e la figura robusta che era prima apparsa si stava contorcendo sul polveroso asfalto russo. Quando riprese conoscenza, la piccola si sentì soffocare dal peso del ragazzo sulla sua schiena e cercò di urlare, ma non ci riuscì.
Successe tutti in pochi secondi. Sentì la terra mancare sotto il suo corpo, l'odore del fumo nelle sue narici e un'altra esplosione nelle sue orecchie: la casa era andata distrutta. Quell'essere distruttivo alzò il capo e vide i suoi bersagli scappare verso il mercato gremito di gente, la sua faccia si deformò in tante pieghe violacee e sorrise mettendo in mostra i denti neri.
La bambina stava correndo, non sapeva dove fossero diretti ma era certa che quella situazione fosse abbastanza pericoloso data la quantità di forza con cui il suo salvatore le stringeva la mano. Lo guardò velocemente, era strano il suo comportamento, ma lo era ancora di più il suo completo nero.  I suoi occhi cristallini non lasciavano alcuna emozione, né paura, né preoccupazione, probabilmente solo responsabilità. Era giovane, portava una tuta nera con delle scarpe nere e un giaccone nero. Sembrava che l'oscurità dovesse calare presto sul suo mondo. Il mercato era vicino, tanti uomini e donne esponevano i loro bei raccolti in cesti di vimini, mentre dei carri trainati da asini prendevano il cammino verso i paesi confinanti per esportare le merci. Pochi gesti rotti, essenziali. La piccola si sentì di nuovo sollevata da terra e, prima di essere nascosta su uno di quei carri, incrociò lo sguardo del suo salvatore. Aveva notato un arco nelle sue mani pochi minuti prima, non poteva dire che quella fosse la stessa persona che l'aveva trascinata fuori dal pericolo. Era... cambiato. Non più abiti scuri, non più un'arma scura e una faretra dello stesso lugubre colore. I suoi lineamenti erano più rilassati, familiari, lo vide sorridere e impugnare un arco di legno chiaro e una freccia argentata. Mentre l'umile carretto di legno si allontanava, vide chiaramente due ali piumate spuntargli dalle scapole e scagliare all'impazzata frecce argentee ovunque l'odio fosse persistito.

Eros...*


- Tu potrai anche mettere a tacere le emozioni sul tuo viso, ma i tuoi occhi parlano, agente. -

- Tu non sai che cosa ho visto, Steve. So che cosa pensi Capitano: gli dèi non ti hanno assistito, beh neanche a me. -

- Esiste un Dio soltanto, Natasha, e sono certo che tu sia la persona che ha vegliato di più. -

Erano ore che se ne stava rannicchiata tra i cesti di rami intrecciati di quella "vettura", buche e sassi  impedivano un tranquillo viaggio, e i controlli doganali non avrebbero aiutato per niente. Il carro si fermò tutto ad un tratto.

"Простите, сэр, мы должны проверить его груза. Она может начаться, как только мы обнаружили, что все в порядке."

"Ладно, идти вперед." **

La bambina si preoccupò: non poteva scampare ai controlli della polizia doganale. Il telo che copriva il suo corpicino era di cotone grezzo e dubitava che un materiale così trasandato potesse salvarla. Come non detto il panno venne alzato e il Sole alto nel cielo prese a pugni i suoi occhi. Una figura familiare la prese in braccio con fare materno e fece ripartire senza problemi il carro. 

- Siamo salvi ora. - rivelò il suo salvatore.

Camminarono per giorni alla vista di un aspro combattimento tra luce e neve e, quando le loro forze si esaurirono, una capanna in quei luoghi sperduti determinò l'esito positivo della loro lunga impresa. Passarono settimane davanti al calore del camino e a piatti caldi che, fortunatamente, si erano procurati soggiornando in quella vuota casetta a tetto spiovente. 

Il fuoco scoppiettava nel camino e il gelido colore dei loro occhi si unificava in sguardi incerti che talvolta si lanciavano, senza parole, senza pretese.
- Non conosco il tuo nome. - aveva chiesto il giovane dai capelli chiari.
- Neanche io. - era stata la risposta secca della bambina. 
- Comunque è un piacere conoscerti. -

- Che cos'è quello? - aveva chiesto la rossa indicando l'arco che giaceva al fianco dell'uomo.
- E' il mio migliore amico, se non ci fosse stato lui nella mia vita allora adesso sarei in un altro posto. -
- Dove? - netta, di poche, semplici parole. 
- Sarei in compagnia dei tuoi genitori. -
- Allora abbandona il tuo amico, io non vedo l'ora di rivederli. -
- Non posso. -
- Perché no? -
- Perché ti pentiresti di non poter più tornare indietro. -
- Che vuoi dire? -

- E' ora di cena, vieni, mangiamo. - e si alzò dalla poltrona su cui si era abbandonato, dirigendosi verso la malridotta cucina. Non le aveva risposto.

Ma qualcosa interruppe quel momento. Il ragazzo biondo si accasciò a terra in preda ad un dolore sovrumano mentre si tastava la coscia, squarciata da una freccia nera. Il sangue scivolò a rivoli dalla ferita aperta ma la bambina non si mosse di un muscolo: una piccola figura si stava materializzando davanti ai suoi occhi.

- Io non ti conosco, chi sei tu? -
- Mi chiamo Allia, sono la parte migliore di te. -

La piccola sagoma dai capelli rossi e lisci e dagli occhi verdi si spostò di qualche passo nella sua direzione, le si avvicinò sempre di più tendendo la mano verso la sua guancia. La mano affusolata però non arrivò a toccarla che l'ologramma azzurrino che aveva preso le caratteristiche di una bambina venne trafitto da una di quelle frecce maledette. La sagoma cadde all'indietro e sprofondò nel pavimento lasciando di sé stessa solo una nebbiolina azzurra e una freccia metallica.
Allora la rabbia ribollì dentro di lei. Girò il capo e vide un uomo alto e forte: si muoveva in modo veloce e meccanico, come se fosse ipnotizzato, avanzava verso la casetta. Scorse i suoi occhi: una luce azzurra si era impossessata della sue iridi e la piccola non poteva negare di provare paura a riguardo. 
Velocemente raccolse l'arnese da terra e sfilò l'arco all'agente dolorante sul pavimento, si impietrì sull'uscio della casa e si mise in posizione con l'arma contro l'aggressore ad alcuni metri di distanza da lei.
- Pi-piccola.. -

Freccia scoccata, corda in vibrazione e intelaiatura dritta. Punto a segno.

Punto a segno, l'ennesima volta. L'ennesimo fantoccio agonizzante sul pavimento con una pallottola nel cranio.

Freccia scoccata e bersaglio colpito. La nemesi del suo salvatore ora giaceva in una pozza di sangue ai piedi della piccola eroina, all'uscita della casa che per settimane era stata loro protettrice.
Quando si dice che l'amore annienta il male in ogni circostanza.
Era finito, tutto finito.
La bambina corse dentro abbandonando l'arco sulla soglia della porta di legno e si accoccolò accanto al ragazzo ferito.


Spiccherai il volo, мой дорогой.

- Tu non sai che cosa ho visto, Steve. -

Il Capitano si staccò dalla porta e si mise seduto su un mucchio di tappetini per lo stretching. Incrociò le mani sulle ginocchia e guardò per terra.
- Io ho visto il vero potere del Tesseract, - ricordò con rammarico - parlo di settant'anni fa. Ricordo solo un grande mare bianco, in quel momento mi diedi del pazzo: mi stavo sacrificando per delle persone che non meritavano tutto ciò di cui godevano. Non mi pento comunque di quello che ho fatto, la Terra non sarebbe mai stata pacifica
con quel cubo nelle vite degli uomini. Non c'è coerenza nel desiderio di potere.                                                                                                                          
C'è stato più di mezzo secolo di pace senza quel cubo, mi risveglio e mi dicono che quella disgrazia è ancora in circolazione. -

Ci fu qualche secondo di silenzio.

- Sai Natasha, il Tesseract mi aveva detto che sarei sopravvissuto allo scontro, non si sbagliava ma ora sto vivendo nel mio inferno. Mi aveva detto che sarei tornato nella mia vita, che ci sarei stato a quell'appuntamento, sarei stato puntuale quel venerdì alle otto. Io mi sono fidato di lui e l'ho persa. -

- Chi ha grandi responsabilità deve compiere grandi sacrifici. -

- E perché a me sembra che tu non te ne stia ancora capacitando? -

Natasha fece un sorriso amaro abbassando il capo, poi si rivolse di nuovo verso Steve.
- Se il mondo non finisce nel frattempo, io venerdì sarei libera. Passa alle otto se ti va. -

Gli sorrise ed uscì dalla stanza degli allenamenti lasciandolo solo.

Forse il Tesseract si riferiva ad un altro venerdì alle otto...
***

Il mondo è fatto di pazzie e realtà: ci sono le pazzie buone, le fantasie, che sono i sogni, i desideri. Poi ci sono le realtà, tante realtà, tante dimensioni di vita per ogni persona che la vive. Esistono le realtà soddisfacenti, perfette, e le delusioni. Ma grazie al dio che attribuiamo come nostro salvatore, esistono verità concrete e non. Le realtà concrete, quelle che con la nostra pazzia, quella buona, riusciamo a colorare di realismo; e poi ci sono quelle immaginarie, le casseforti, i diari segreti, i lucchetti. Tutto ciò che può proteggerci dalla cattiveria e l'ingiustizia, tutto ciò che interpretiamo come arma di difesa. Sono un bene entrambe però, tutte e due le realtà: quelle immaginarie e quelle concrete costituiscono la vita, quella di tutti i giorni, quella che viviamo all'esterno e nella nostra mente.

Mentre la realtà immaginaria di Steve Rogers si faceva spazio nella sua anima, un'immagine lo riscosse dai suoi pensieri. 

Una donna alta, slanciata e snella si era materializzata davanti ai suoi occhi ciechi. Il Capitano teneva la testa bassa, rivolta a terra, e l'ologramma creato dalla luce azzurra del Tesseract che era rimasta nel suo cuore si avvicinava sempre di più. Si inginocchiò davanti a lui e sorrise. Portava ancora quella camicia bianca e quella gonna marrone, quella che le dava un tocco di eleganza quando la formalità di una donna nell'esercito si impossessava dei suoi diritti. Gli prese il viso tra le sue mani gelide e fece ondeggiare i capelli scuri. Un sorriso tirato si fece strada sulle sue labbra soffocate di rossetto. Lesse i suoi pensieri e ne rimase colpita.

- Tu, Steve Rogers, hai davvero bisogno di un eroe? - sussurrò in un soffio.

- Sei tu il mio eroe. - rivelò alzando il capo e sforzandosi di ridere.

La guardò negli occhi per l'ultima volta ed uscì da quel lugubre magazzino, rinchiudendo quella conversazione inedita in quelle quattro mura.


*Eros è il dio dell'amore, Cupido. 

**"Mi scusi, signore, dobbiamo controllare il suo carico. Può ripartire non appena saremo sicuri che è tutto in ordine."
"Va bene, fate pure."


N.d.a.
Una one shot incentrata sulle possibili visioni che avrebbero potuto avere i Vendicatori entrando a contatto con il Tesseract. 
Tutto è partito essenzialmente dalla frase pronunciata da Selvig e riportata all'inizio del capitolo che mi ha fatto riflettere. Mi sono detta: "Più o meno tutti gli Avengers hanno visto/sorvegliato/analizzato il Cubo e quindi questa è la mia risposta. Ovviamente è solo una supposizione, niente di più.
Questa storia inizialmente era stata scritta come one shot ma si è dilungata un po' (molto) troppo e ho deciso di spezzarla in due. Nel prossimo capitolo il resto dei Vendicatori scoprirà il suo lato più sensibile... 

Spero vi sia piaciuto e che mi facciate sapere se almeno ho azzeccato il punto o no.
Infine con questa storia auguro una buona fine del 2013 e un super felice Capodanno, che il 2014 possa realizzare ogni vostro desiderio nascosto, impalpabile, ogni sogno che pensiate non si possa avverare o non sapete di desiderare. In amore, fortuna, lavoro, salute o qualsiasi cosa sia, spero davvero che sarete felici, non guardate mai al passato perché non serve a niente, non cambierà il futuro, solo il presente potrà migliorarlo. Quindi sguardo davanti a voi e affrontate l'anno che viene, così come viene, come va a voi di affrontarlo.
Le giornate schifose lasciamole nell'anno che sta passando e facciamo in modo di vivere ogni singolo giorno al meglio. In fondo ogni giornata è bella perché è diversa dalle altre.

Just words, fantasies and fortune

Erika
   
 
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