Serie TV > The Borgias
Ricorda la storia  |      
Autore: MadLucy    31/12/2013    1 recensioni
{Juàn/Sancha} {Cesare/Sancha} {Goffredo/Sancha}
Era stato Juàn a baciarla di nascosto, Cesare a dormire nel suo letto, ma fu il marito che gioca con i fiori a guardarla morire.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Cesare Borgia, Juan Borgia, Sancha d'Aragona
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
GB
Diabolus pietatem habuit.




-Se non te la sposi tu, me la sposo io.-

-Davvero?-
-Davvero.-
Avrei potuto capirlo subito. Avrei potuto leggere gli intenti del sornione ghigno di Juàn, nei suoi occhi che avevano l'atroce vizio di saccheggiare la felicità altrui come gli avvoltoi fanno con i cadaveri. Sarei potuto andare oltre la carezza che Sancha d'Aragona mi fece sul capo, come si fa con i piccoli animali domestici obbedienti. Avrei potuto, ma allora avevo una grande fortuna: non m'importava. Il mio primo pensiero, guardandola per la prima volta, fu ch'era graziosa. Il secondo fu che sembrava più vecchia della sua età. Io avevo tredici anni, ed ero esile e smilzo come una bambina; lei ne aveva sedici, ma aveva già le forme e la malizia di una donna ben più matura. Ma non le dissi che sembrava più vecchia: le dissi che era graziosa. Probabilmente, se avessi fatto diversamente, molta infelicità mi sarebbe stata risparmiata. Ci sposammo senza nemmeno conoscerci, però non ebbi un brutto ricordo di quella cerimonia. Ero intento a notare come il profumo delle rose intorno a noi si amalgamasse con la fragranza esotica e fruttata della pelle di Sancha, come le piccole perle trapuntate sul suo velo nuziale bevessero la luce delle candele. Non badai a quegli sguardi troppo lunghi, a quei sorrisi furtivi scambiati fra le persone sbagliate; se anche li avessi notati, non avrebbero significato niente per me.
Sentivo le dicerie con orecchie svagate, e facile era non crederci, facile credere che lui fosse un fratello leale e lei una moglie perbene. Ma in fondo nessuno dei due mi apparteneva, nessuno dei due avvertiva la tensione di una catena d'acciaio strattonata.
Erano ebbri e sciocchi. Chiunque avrebbe potuto sorprenderli, e forse era questo a divertirli tanto, ad ingrassare quelle risate torbide che venivano a cercare il marito che gioca con i fiori. Juàn era affamato, Sancha era prodiga ed io ero innocente, in un mondo in cui un Borgia non se lo poteva permettere. Perdevo fra i fiori i miei pensieri sconnessi, brulicanti di confusione, e quando rientravo a casa era tutto finito. Lei sedeva davanti al suo specchio e ammirava l'ennesimo trionfo dei suoi boccoli belli, del suo corpo bello, con la placidità di una dea che esiste soltanto negli occhi degli altri. Ho raccolto questo per te. Non sapevo cosa significasse essere un bravo marito, ma vederla sorridere mi piaceva. Sembrava più giovane, quando sorrideva. Si toglieva di dosso quegli anni che aveva rubato al tempo per imbellettarsi le guance, acconciarsi i capelli. E infatti sorrise davanti a quella primula, ma fu un sorriso che mi pizzicò di fastidio. Bravo maritino, bravo. Ti stai comportando bene. Mi comportai bene per troppo tempo, forse: o magari non avrei mai dovuto iniziare. Magari il giusto destino per lei sarebbe stato finire fra le grinfie di qualche conte gelosissimo, che l'avrebbe picchiata non appena avesse percepito il profumo di un altro uomo sulla sua pelle, o magari sto incolpando troppo duramente la sfrenatezza sbrigliata di una sedicenne finalmente libera dalla sorveglianza dei genitori. Ma a me non importava, davvero. Non ancora.
Poi, come la sentii dire una volta, diventai sempre più alto e più antipatico. Non commisi mai l'errore di concederle il merito di questa antipatia. Almeno qualcosa, oltre l'orgoglio, rimase mia.
Divenne impossibile ignorare il loro amore avido, consumato sugli stipiti delle porte, sul letto nuziale. Divenne impossibile giocare ancora con i fiori.
Il desiderio di amarla divenne una violenza che praticavo su me stesso senza ritegno, senza pietà. Le vietavo di uscire, per poi gettarmi a terra a supplicarla non appena intravedevo un bagliore di collera nei suoi occhi. Lei perseverava nella mia umiliazione dandomi retta per una notte, poco più. Erano giornate brevi, giornate che non sarebbero più tornate, in cui io mi crogiolavo nel nostro amore come se esistesse. Era disposta a darmi ciò che chiedevo, ma fino all'alba. Poi lasciava il mio cuore a raffreddarsi. La ricoprivo di gioielli, la accontentavo in tutto. Compravo il suo sorriso con monete bucate. E lei forse rideva di quel piccolo, patetico marito che veniva a reclamare i suoi diritti troppo tardi. Ti perdono, le urlavo, ti perdono, dimenticherò, ti perdono. Come se le importasse. Lei ormai era oltre il mio perdono. Non potevo assolverla, non potevo salvarla. Non potevo trarla a me. Lei non voleva essere salvata, voleva precipitare ancora più in fondo, e i miei singhiozzi, le mie elargizioni caddero a terra come petali ad un matrimonio, e lei se li scosse di dosso con fastidio. Tanti uomini condividevano il letto con lei, sempre due o tre più di quelli che le guardie mi riferivano sottovoce, ma più spesso di tutti c'era mio fratello ad allietare le sue serate. Se la spassavano alle spalle del piccolo stolto, dell'unico Borgia che non adoperava i coltelli per riempirsi i forzieri, che non aveva assunto un avvelenatore personale. Del figlio poco amato. Del Borgia buono. Dopotutto anche lui è un piccolo bastardello, se è nato è solo perchè nostra madre è un po' puttana, perciò che non metta becco in questa storia. Non misi becco in quella storia, infatti. Era sufficiente la mia espressione vuota ad accogliere il ritorno di Sancha all'alba, un'arma senza punta che feriva soltanto me. Non ero come lei, come loro. Non ero capace di far entrare altre donne nella nostra camera. Io volevo quella che mi era stata data esattamente perchè non avevo nessuna possibilità di tenermela. Io volevo avere Sancha più degli altri. L'esigua generosità del suo corpo non mi bastava, non a me. Volevo ciò che c'era oltre le sue ciglia, oltre i suoi modi di fare spregiudicati e le sue risate leziose. Volevo la sua anima. Volevo qualcosa di cui non potei mai verificare l'esistenza.
Avevo un solo vantaggio: conoscevo Juàn Borgia meglio di lei. Infatti ben presto mio fratello si stancò della solita pantomima, smise di trovare eccitante tradire la fiducia di quel ragazzino dagli occhi vitrei che non lo insultava mai, e se ne andò, in cerca di qualcosa che non avrebbe mai trovato. Quella sera, dopo un sontuoso ricevimento che mia moglie passò al fianco di un altro, scherzando con un altro e ridendo con un altro, Sancha pianse in camera sua. Era un pianto delicato, sommesso, che non le sciupava il viso, che la faceva bella. Voleva piangere d'amore, Sancha d'Aragona.
Però fingeva. Non amava Juàn, anche se l'idea le piaceva tantissimo; non amava nessuno se non quell'ego instabile sostenuto dal peccato, quegli occhi grandi ch'era stato il Diavolo a venderle. E nessuno ti amerà mai, avrei voluto sussurrarle. Avrei voluto raccogliere le sue lacrime una per una, per avere almeno quelle, almeno una misera parte di lei fra le mie mani. Eppure mi sbagliavo. Esisteva una sola persona al mondo che l'amava, ed era quella che più in assoluto odiavo. Non era Cesare, non era Juàn. Non somigliava affatto a loro. Forse era proprio per questo l'oggetto del mio rancore.
Non riuscii a trattenere un ghigno osservando la carrozza di Juàn sparire all'orizzonte, il mattino dopo. Lei mi vide. Cosa cazzo ridi, cosa cazzo ne sai, tu. Le sue urla segnavano una resa, ed era la sconfitta a farle conficcare le unghie nel palmo della mano, perciò non reagii: andava bene così.
Soltanto quando ci trasferimmo a Roma e vidi l'occhiata che rivolse a Cesare, realizzai che l'incubo stava per riavere inizio esattamente da dove era finito. Fu Sancha a sogghignare, quella volta. Sbagliai, persi la testa. Quella sera mi lasciai sopraffare. Magari ti presenterò Lucrezia, così completi il quadrato magico. Attesi il suo schiaffo ad occhi chiusi. Non bruciò. Una sola lingua di fuoco non poteva farmi più nulla, quand'ero in mezzo ad una pira. Quella fu la prima e l'ultima volta che litigammo. Io non alzai mai le mani su di lei: non il fratello ingenuo, il fratello buono. La sera stessa trasferì tutte le sue cose in un'altra stanza del maniero; scappa, scappa, sussurrai nel buio cercando l'astio nel rumore dei suoi passi che la allontavano da me sempre di più. Mio malgrado, ero tornato ad essere il marito che gioca con i fiori.
Nonostante i numerosi anni di matrimonio, nonostante le sue gentili concessioni di tanto in tanto, non avemmo mai dei figli. Inizialmente volli attribuirlo al caso, però in seguito ci ragionai con cinismo e cominciai a sospettare che prendesse un decotto, per non deformare i suoi fianchi ben formati, il suo ventre piatto. La sua vanità raccolta negli specchi e nel sorriso compiaciuto degli uomini ricchi mi stava tagliuzzando la vita, pezzo per pezzo.
Essendo entrambi divorati dalla nostra stessa lontananza, schiacciati dal debito della sua iniquità senza cattiveria, io cercavo una via di scampo nel labirinto di parole non dette, di sogni indistinguibili con timori e differenze inestirpabili, ma lei svoltava ad ogni angolo e, quando allungavo la mano per afferrarle il braccio, accadeva sempre un istante troppo tardi. Impossibilitato ad amarla, impedito ad odiarla, sempre debole come mi ero ripromesso di non essere più, vittima senziente e consapevole, vivevo il mio limbo bianco, sempre ad un passo di distanza dalla contaminazione della pozza di sangue che i miei fratelli spandevano come acqua di sorgente.
La primula che le regalai seccò il giorno dopo, ma io non smisi mai, imperterrito, di raccogliere fiori -e di assistere alla loro morte mentre lei li calpestava, troppo debole per difenderli così come per alzarmi e scappare. Era stato Juàn a baciarla di nascosto, Cesare a dormire nel suo letto, ma fu il marito che gioca con i fiori a guardarla morire.
Sembri più vecchia, sussurrai al suo cadavere avvolto di seta bianca, e fra le lacrime non c'erano più sorrisi per la mia vittoria senza trionfo. Mi alzai. Me ne andai quand'era troppo tardi, certo, però ormai ero oltre il dolore che lei aveva sempre saputo procurarmi.
-Se non te la sposi tu, me la sposo io.-
-Davvero?-
-Davvero.-
Avrei potuto capirlo subito, ma finii per credere che ancora meglio sarebbe stato non capirlo mai.





































Note dell'Autrice: Nulla da aggiungere, solo Goffredo, Juàn, Cesare, quella putt- ehm, Sancha e tanto angst. <3 Lascio a voi qualsiasi opinione. Grazie mille per avere letto!
Lucy
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Borgias / Vai alla pagina dell'autore: MadLucy