Scena Ottava: I Atto.
Il suono di un’ambulanza mi rimbomba nelle
orecchie. Cos’è successo? Mi ricordo di stare guidando e... << Elisa!
>> spalanco gli occhi, cercando di mettermi a sedere, ma delle
cinghie robuste mi impediscono di muovermi.
<< Non deve muoversi. >> mi dice la
voce di un’infermiera.
<< Cos’è successo? >> ho la voce
completamente roca. Provo a muovermi ma il dolore al fianco mi gela.
<< Deve stare fermo, nell’incidente le si
sono incrinate tre costole e si è lussato una spalla, mentre i tagli
superficiali sono nella stragrande parte del corpo. >>
Incidente?
<< Adesso le farò un primo controllo,
mentre arriviamo in ospedale. Come si chiama? >>
L’infermiera continua ad interrogarmi e –
fortunatamente rispondo – dopo, comincia a disinfettarmi le ferite
superficiali. Bruciano da morire.
<< In una ha del vetro, al Pronto Soccorso
farà più male che qui in ambulanza. >>
Chiudo gli occhi, nauseato dalla posizione e dal
movimento del mezzo, e con un filo di voce chiedo dell’incidente.
<< Siete stati investiti da un ubriaco che
andava a 100 chilometri orari, nella fiancata destra del mezzo... ecco... la
ragazza è ancora lì, incastrata nelle lamiere. È viva, ma non da segni di
ripresa. Lei sa chi è? >>
Rispondo ancora alla domanda con le lacrime agli
occhi e riferisco del precedente incidente. << Non ne eravamo a
conoscenza, aspetti un secondo. >>
L’infermiera comincia a trasmettere le
informazioni che ho dato e continuo ad osservare il tetto bianco e poco
rialzato dell’ambulanza.
Il mio unico pensiero va ad Elisa.
I rimpianti mi stanno schiacciando, il suo “ti
odio” mi scava il petto come la certezza di aver sbagliato tutto, con lei.
Ho sbagliato nel trattarla come una bambola di
porcellana, tanto mi pareva fragile, ho sbagliato nel non sfiorarla, per
evitare che potesse ricordare qualcosa di me, di quel “noi” mancato.
Egoisticamente credevo di proteggerla e invece
ho sofferto, abbiamo sofferto, inutilmente, vittime di una bugia creata da un
malinteso e usata come capro espiatorio.
Per me era stato difficile, gettare Elisa fra le
braccia di Nicola, ma avevo resistito per il suo bene: “Lui è più adatto di me.”
Convinto come un’idiota che avere un ragazzo
della sua – più o meno – età sarebbe stato meglio che stare con un uomo più
grande di dieci anni.
Lo pensavo. Adesso me ne pento più di ogni altro
errore.
Ucciderei per fermare il tempo e vederla
sorridere, serena, con i soli problemi adolescenziali per la testa, a covare un
amore genuino nei miei confronti ed io a ricambiarlo con enorme tenerezza.
Il mezzo si ferma di botto e sento tre portiere
aprirsi: quella dietro e le due davanti.
<< Chiami la dottoressa Abis, sono suo
fratello. >> mormoro stordito. I medici
del pronto soccorso si guardano in faccia.
Perfetto, mi dico, non sanno nemmeno chi sia.
L’unica fortuna che mi viene riservata, è quella
di sentire la voce di Lorenzo nel corridoio.
<< Bene... >> biascico e chiudo gli
occhi, troppo stanco anche per ragionare.
Quando riapro gli occhi possono essere passati
secondi, minuti, ore o giorni, non saprei e nemmeno mi interessa.
L’unico pensiero va ad Elisa.
Senza esitare un attimo suono il campanello
delle infermiere e spunta un ragazzo della mia età, che non esita un secondo a
darmi del tu.
<< Certo che te la sei giocata con Dio,
amico. L’unica considerazione che ti si può dare atto è una: eri troppo sobrio,
per essere uscito da una discoteca, e troppo corretto, passando con il verde
alle tre e mezzo del mattino. A parte gli scherzi, ti è andata bene. >>
Il cartellino del ragazzo dai capelli corvini,
pelle scura, e lineamenti duri, nomina il ragazzo come Francesco.
Prima di riuscire a parlare devo fare mente
locale un attimo.
<< Fai con calma... >> dice
l’infermiere, in tono mezzo ilare la mia
espressione deve averlo sconvolto.
<< La ragazza? >> dico in modo
asciutto e deciso.
<< La ragazza... >>
<< La ragazza, Elisa Reinari, fratello, è
entrata in coma. >>
La voce di mia sorella mi spezza il fiato.
Le lacrime cominciano a rigarmi le guance
impunemente.
Al diavolo l’onore e l’orgoglio maschile.
<< Dici davvero? >> cerco di dire
tra un singhiozzo e l’altro e Alice annuisce, grave, facendo cenno
all’infermiere di allontanarsi.
<< Sono passati due giorni dall’incidente.
Tu sei stato operato di urgenza... hai perso i sensi subito dopo l’essere
arrivato in ospedale per la lacerazione quasi totale di un polmone per colpa
delle costole incrinate. Hai rischiato di lasciarci le penne per un’emorragia interna,
fratello. Che ti è saltato in testa? >>
Il mio pianto non accenna a diminuire.
<< L’unica notizia buona è quella che il
ragazzo che vi ha investiti è stato incarcerato con delle gravi accuse e non
verrà rilasciato fino a quando non sarai in grado di rilasciare qualche
dichiarazione. Intanto deve rispondere di reati come spaccio e uso i sostanze
stupefacenti, droghe e marijuana, detenzione di armi illegalmente guida in
stato di ebbrezza. Era strafatto come se non ci fosse stato un domani. Ho
chiamato Riccardo da Milano per difendervi. È un mio grande amico e un ottimo
avvocato... >>
Mi obbligo a calmarmi, anche perché il dolore al
petto che, penso, sia dovuto alla stiratura dei punti.
Non posso respirare profondamente e mi limito a
dei piccoli respiri cadenzati. Va già meglio.
Alice continua a parlare, ma sento solo tratti
del suo sproloquio.
<< Grazie, Alice, per esserti occupata di
tutte queste cose. >> mi affretto a dire, cordiale e sincero, mentre le
mani di Alice tremano e i suoi occhi le si fanno lucidi.
<< Mi hai fatta preoccupare, bamboccio!
>>
Mi abbraccia delicatamente e non ho più altro da
aggiungere.