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Autore: Sheego Watakuri    24/05/2008    1 recensioni
Eccomi qui. Ancora fuori dal mio campo abituale, ma ci sto rpendendo gusto.^^ Spero piaccia questa storia scritta due anni fa, ma, dato che ho imparato solo ora come si usa l'HTML, postata solo ora.^^Buona lettura. Sheego ^^ "-Qual'è il tuo nome?- -Adelaisa, e il tuo?- - Mi chiamo Dilan.- -Ora sono come te, vero?- -Sì, ora sei anche tu un vampiro, come me.-"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

 

 

Un canto. Un lieve suono melodioso proveniente da un folto bosco in un pomeriggio di fitta nebbia. La voce cristallina, prima fioca, si fa ora gradualmente più alta fino a distinguersi chiaramente tra i rumori della natura. La melodia è triste, malinconica, quasi drammatica; echeggia tra il fitto fogliame e risuona in tutto il bosco. Questo magnifico canto sembra provenire da un lago al centro del verde. Sulle sponde di questo specchio d'acqua, sotto ad un salice piangente, è inginocchiata una ragazza; è lei che emette quel dolce suono dalle labbra. Il suo volto chinato e osservante verso il basso è parzialmente coperto da lunghi capelli sciolti castani/biondi; è vestita con un abito lungo e bianco e sulla schiena ha un mantello nero con un cappuccio, anch'esso lungo, legato alle spalle per mezzo di due zaffiri. Ora si sposta una ciocca di capelli dietro un orecchio con la mano sinistra mentre, con la mano destra, regge un rametto dell'albero sotto il quale sta inginocchiata, giocherellando sul pelo dell'acqua, facendogli fare dei giri circolari. Molti tristi ricordi le affollano la mente, ma lei continua a cantare; forse lo fa per cercare di alleviare il dolore che prova da tanto - da sempre- fatto sta che lei continua a cantare, imperterrita, la sua triste melodia. Dei riflessi di fatti vissuti e sofferti le assalgono insistentemente la mente:

 

Una bambina davanti ad una stanza con un orsacchiotto di pezza marrone con dei bottoni che fungono da occhi. La porta era socchiusa, si sentirono delle voci familiari da dentro la camera; la curiosità fu troppa e la bambina si avvicinò all'uscio, mettendosi il suo peluche sotto braccio per non essere troppo impacciata nei movimenti. Vide suo padre, uomo alto e robusto, che discuteva, no, litigava violentemente con sua madre, donna alta e bellissima. Avendo solo due anni, la bambina non riuscì a capire gran che delle loro parole infiammate dall'odio… solo una frase… una frase che non scorderà mai e che la segnerà per sempre:

- Non ti ho mai voluta, come non ho mai voluto quello sgorbio di tua figlia. Muori inutile donna!-

Sul muro si proiettò l'ombra di un uomo con un coltello in mano e di una donna che cadeva a terra con l'arma impiantata nel petto. Un grido riempì la stanza. Poi silenzio. Immagini troppo violente e dolorose per una bambina di due anni che non riuscì a trattenere le lacrime e i singhiozzi, invocando a gran voce il nome di sua madre. Si precipitò dalla donna stesa per terra in un mare di sangue. Si gettò sul cadavere tentando di svegliarla scuotendola insistentemente, ma i suoi sforzi furono vani: era morta. La bambina fissò il padre con la faccia rigata dalle lacrime. Un ghigno uscì dalle labbra dell'uomo che cercò di afferrare la piccola. Lei lasciò cadere sul pavimento della stanza il suo orsacchiotto e fuggì via dalla camera e dalla casa senza mai voltarsi indietro, spaventata e distrutta per quello che aveva appena visto. Camminò per le strade di una città dormiente. Faceva molto freddo. La bimba, che indossava solo un leggero vestitino rosa, cercò di scaldarsi, stringendosi tra le braccia. Dopo un po', trovò un vicoletto. Si sedette sotto il davanzale del primo piano di un palazzo e si accucciò. Lo sguardo le cadde sul suo polso, cinto da un braccialetto d'oro, regalatole da sua madre, composto da una catenina e una piastrina, su di essa c'era incisa una frase che lei non aveva mai letto, dato che non sapeva ancora leggere, ma che le aveva letto sua madre: Sei la stellina più luminosa del mio cielo. Ti vorrò sempre bene, Adelaisa. Con affetto, la tua mamma.

-         ma - mamma…MAMMA!!!!-

la bambina singhiozzò questo nome fino a quando le sue palpebre si fecero pesanti e il sonno la rapì.

 

Una lacrima scende sulla guancia della ragazza che sta inginocchiata sulla sponda del lago. Dà un'occhiata veloce al suo polso: il braccialetto c'è ancora.

Una voce maschile, proveniente da dietro di lei, la distoglie dai suoi pensieri

-         Ancora qui?-

-         Avevo bisogno di pensare…-

Quella calda voce maschile si avvicina. Una figura familiare si siede accanto ad Adelaisa che continua a guardare lo specchio d'acqua nel quale puccia il rametto di salice. È un ragazzo alto e magro dalla carnagione candida, anzi, pallida. I capelli, lunghi pressappoco fino al mento, sono neri come la notte e i suoi occhi scuri fissano il lago. È vestito con una camicia nera, pantaloni di velluto dello stesso colore e con un  mantello sulla schiena sempre scuro.

-         A furia di pensare sempre ai tuoi ricordi ti distruggerai. Hai sofferto troppo. Quel che è passato è passato. Per te, è meglio non rimembrare.-

-         Io vivo nel dolore. Non posso fare altrimenti, Dilan -

Il ragazzo le rivolge uno sguardo che a prima vista può sembrare serio e critico, ma che, se si osserva bene, si rivela caldo e comprensivo… e questo Adelaisa lo sa bene. Dilan le alza con una mano il mento, rivelando gli occhi azzurrissimi di lei che cominciano ad osservarlo con un velo di tristezza.

-         Puoi provare a dimenticare. -

-         Non è facile dimenticare certe cose quando queste ti hanno segnato l'esistenza-

Dilan è sempre stato affascinato dall'enorme saggezza di quella ragazza, formatasi dopo anni di dolore e non può fare a meno di annuire. Ritira la mano e ricomincia a guardare il lago davanti a loro. Sentendo il suo stato d'animo - è atterrito per non essere capace di aiutarla- la ragazza prende parola, senza smettere di osservarlo.

-         So cosa provi. Da secoli cerchi di aiutarmi a dimenticare e non ci sei mai riuscito. Non devi sentirti in colpa per questo. È impossibile cercare di cambiare le cose quando sono già state fatte. Io posso continuare a vivere così, anche perché quelli come noi non possono fare altrimenti, ma tu non hai grandi brutti ricordi e io non voglio che tu condivida i miei.-

-         Le tue parole sono così giuste… anche se vorrei fare qualcosa… beh… ora è il clima giusto per trovare qualcosa da mangiare. Vieni con me?-

-         Vorrei rimanere ancora un po' in questo posto. Ti raggiungo più tardi.-

-         D'accordo , ma non pensare troppo. Piuttosto rilassati.-

Adelaisa annuisce lentamente accennando un sorriso con le sue labbra sottili, poi torna a fissare lo specchio d'acqua davanti a lei. Dilan si alza e si allontana nella nebbia, fino a sparire. Lei riprende a fare dei cerchi sul pelo dell'acqua, mentre la sua mente vaga, ma non su tristi ricordi, bensì su quello più bello che ha…

 

Aveva appena smesso di piovere e una ragazza di circa 19 anni uscì da un vicolo semi coperto per cominciare a vagare per le strade di una città deserta in una notte di luna piena; oramai era abituata ad uscire solo nell'oscurità per non essere vista. Non aveva idea di come fosse riuscita a sopravvivere dopo diciassette anni da quel triste fatto; non sapeva come fosse riuscita a trovare il coraggio di rubare… rubare per mangiare, per vestirsi, per lavarsi… era diventata una criminale, purtroppo molto abile, ricercata dalle autorità, ma non lo aveva fatto per divertirsi, bensì per vivere. Era  immersa nei suoi tristi pensieri e non si accorse che davanti a lei c'era una grande pozzanghera. Un altro passo, scivolò e si ritrovò con la faccia nell'acqua e i vestiti fradici. A fatica, cercò di rialzarsi, ma le braccia non la ressero e ricadde nella pozzanghera. Non ce la faceva  più: era stanca di fuggire da tutti e di vivere nel dolore. Lo sentiva: le forze la stavano abbandonando… stava per morire, voleva morire, ma non ci riusciva. Delle lacrime di disperazione cominciarono a scenderle sulle guance, confondendosi con l'acqua sporca sul suo viso. D'un tratto sentì un rumore, lontano, ma presente. Sentì dei passi avvicinarsi a lei, ma non si mosse; restò immobile, un po' per paura e un po' perché sperava che quella persona che si stava avvicinando avesse esaudito il suo desiderio e l'avesse uccisa, facendola smettere di soffrire una volta per tutte. I passi si fermarono. La ragazza sentì che quella persona era davanti a lei e la stava fissando. Sentì che negli occhi dello sconosciuto, anche se non lo stava guardando, c'era un'espressione sorpresa e interrogativa dovuta allo strano comportamento della ragazza che stava stesa nella pozzanghera. Era sempre stata in grado di sentire i sentimenti delle persone da quel tragico fatto. Non sapeva  pronunciare bene il nome di quella sua capacità, ma l'aveva identificata origliando la discussione fatta da uno psicologo importante alla madre del suo paziente, quando aveva dodici anni… Ampa… empa…empa qualcosa… empatica! Ora se lo ricordava. Lei era empatica (allo stato potenziato) da quando era scappata di casa: ora era in grado di percepire… di sentire le sensazioni, le emozioni e i sentimenti altrui.  Lo sconosciuto stava sempre fermo davanti a  lei, mantenendo quell'espressione e quello stato d'animo. La ragazza alzò il viso coperto di lacrime nere verso di lui; sì, poteva confermarlo: era un ragazzo; alto, pallido con capelli e occhi scuri che continuava a fissarla.

-         Uccidimi, ti prego.-

-         Cosa?-

-         Ti ho chiesto di uccidermi.-

-         In realtà ero venuto proprio per questo, ma perché vuoi perdere la vita con così tanta determinazione?-

-         Io vivo nella sofferenza. Se tu mi uccidessi, riposerei finalmente in pace.-

Il ragazzo si inginocchiò davanti a lei e la guardò bene nei suoi stupendi occhi di cristallo. Lei si mise gattoni e, piano, piano, assunse la posizione della persona davanti a lei.

-         Perché dici di vivere nella sofferenza?-

-         Sono sola al mondo e ricercata. Quando avevo solo due anni, ho visto con i miei stessi occhi mio padre che uccideva mia madre durante un litigio, cercando poi di uccidere anche me. Solo Dio sa perché non sono rimasta immobile: avrei potuto già allora farmi togliere la vita in modo da raggiungere mia madre e stare con lei; mi sarei risparmiata una sofferenza lunga diciassette anni da allora.-

Lui fu colpito dalle parole di quella ragazza disperata.

-         Le tue ragioni sono buone.-

 Dalla bocca del ragazzo uscì un paio di canini affilati molto lunghi. Le si avvicinò e le morse il collo. La ragazza si sentì togliere tutte le energie vitali, come se fossero state risucchiate, ma non si sentì morire… sentì un'energia nuova, sconosciuta… la sentì immortale. Le corse veloce nelle vene. Il ragazzo si staccò, ritirò i canini, si alzò e le porse la mano. Lei si appoggiò e si alzò. Non era morta, ma sentiva di non essere viva.

-         Anch'io sono solo. Potremmo farci compagnia. Ho sempre voluto una sorella della quale occuparmi. -

Lei gli sorrise e cominciarono a camminare insieme, fianco a fianco  dirigendosi fuori città, verso una villa immensa.

-         Qual è il tuo nome?-

-         Adelaisa. E il tuo?-

-         Mi chiamo Dilan.-

-         Ora sono come te, vero?-

-         Si. Ora sei anche tu un vampiro, come me.-

I due nuovi amici entrarono insieme nella sontuosa villa, mentre il sole stava per sorgere.

 

Adelaisa lascia cadere il rametto del salice nell'acqua, si alza e si appresta a raggiungere Dilan. È vero, in questa vita deve uccidere per vivere, il che è più grave che rubare, ma almeno non è più sola: sa di poter contare sul suo nuovo "fratello" e sa che lui le vuole bene e non l'abbandonerà mai.

 

 

  
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