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Autore: LaniePaciock    01/01/2014    8 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Cap.1 L’appartamento del secondo piano


“Ah, che bravo ragazzo! Si merita il titolo di colonnello!”
“Lei dice Tenente Colonnello? Ma non le sembra giovane?”
“Sciocchezze, Maggiore! L’ho visto in azione ed è un tipo sveglio!”
“Ma è americano…”
“Solo di origine. Nessuno è perfetto, Maggiore. Neppure lei o io!”
“Sì, ma per quanto ne sappiamo potrebbe…”
“Cuciti la bocca, soldato!”
“Signori, per favore. Il Colonnello Castle è giovane, ma è anche un ottimo soldato. E non dimentichiamoci che suo padre si era sacrificato per la causa già anni fa…”
“Ha ragione, General Maggiore. Se ha anche solo un briciolo dello spirito del padre, allora potrà anche aspirare a diventare uno tra i più giovani generali di Germania! E allora…”
Bla, bla, bla. E ancora bla. Quanto odiava quelle chiacchiere tra vecchi soldati nazisti? Ma soprattutto, quanto odiava quelle stupide feste?
Con un sospiro, il neo Colonnello Richard Castle si aggiustò con un gesto annoiato una piega dell’uniforme grigia e bevve un sorso di spumante. Quella era la sua festa per la promozione, ma la odiava esattamente come tutte le altre. Erano sempre costellate di uomini con divise dal grigio chiaro al blu scuro o al bianco a seconda dell’appartenenza all’esercito di terra, marina o aeronautica. Il numero di medaglie e mostrine scintillanti era incalcolabile e tutti li sfoggiavano con onore nelle loro uniformi tirate a lucido. Ma Castle ci vedeva quasi solo due tipi di persone: i vecchi, che non avevano più voglia di stare sul campo e si lasciavano andare ingrassando, e i giovani ambiziosi, che si sarebbero spianati la strada in qualunque modo.
“Allora, Colonnello, tutto bene?” domandò ridacchiando qualcuno alle sue spalle. Un mezzo sorriso gli scappò dalle labbra. C’era solo una persona tra tutta quella gente che poteva permettersi di chiamarlo ‘colonnello’ ghignando.
“Maggiore Ryan.” lo salutò girandosi verso di lui. Il maggiore lo guardò divertito e alzò appena il bicchiere che aveva in mano per congratularsi della promozione.  Kevin Ryan era poco più basso e giovane di lui. Capelli a spazzola biondi e occhi azzurro chiaro. Sarebbe sembrato un tedesco a tutti gli effetti (e della miglior specie a quanto si diceva al momento), se non fosse stato che era irlandese. Solo una cosa lo tradiva: quel sorriso buono che aveva sempre in volto. Chiunque l’avrebbe definito ingenuo, ma Castle sapeva che la realtà era molto differente. Dietro a quel semplice sorriso c’era un uomo leale e coraggioso. E un ottimo amico.
“Cavolo, Colonello, ora dovrò cominciare a rispettarti sul serio!” dichiarò divertito Ryan. Essendo un maggiore, era di due grandi inferiore al suo, ma a Castle non importava. Nonostante le regole dell’esercito, non gli avrebbe mai permesso di trattarlo troppo da superiore e lui non lo avrebbe mai trattato da inferiore. Nessuno dei due infatti si era arruolato nell’esercito tedesco per sostenere la causa nazista, come era stato per i loro genitori. I Ryan si erano trasferiti qualche anno prima dall’Irlanda perché avevano creduto che quella nazista fosse la miglior politica esistente. I Castle avevano fatto una cosa simile, ma erano arrivati dall’America. I loro figli però non avevano condiviso le stesse idee. Si erano arruolati perché credevano di poter contribuire davvero a fare qualcosa di diverso che non prevedesse lo spargimento di sangue di innocenti. Entrambi pensavano ci fosse più bisogno di giustizia che di ‘pulizia’.
“Sì, come se ne fossi capace, Maggiore!” replicò ironico Castle. Ryan in risposta fece una finta smorfia offesa che lo fece ridacchiare. “Allora, Kevin, come sta Jenny?” domandò poi il colonnello in tono informale e con un sorriso sincero in volto. Quando chiedeva della moglie del suo amico non usava mai il tono da soldato. Inoltre conosceva la donna davvero bene, tante erano state le ore che aveva passato a casa dei coniugi.
Il volto di Ryan si illuminò al nome della moglie e un grosso sorriso gli comparì subito in volto.
“Sta bene, grazie Rick” rispose. “Anche se non ne vuole sapere di stare tranquilla!” aggiunse poi un secondo dopo sbuffando. Castle ridacchiò. La signora Ryan era incinta di cinque mesi del primo figlio e il marito dava di matto per ogni singola cosa. Il colonnello sapeva che il suo amico non aspettava altro che quel pargoletto, o pargoletta, uscisse dalla pancia della mamma per tenerlo, o tenerla, in braccio. “Dimmi tu che devo fare!” esclamò un momento dopo Kevin allargando le braccia esasperato e rischiando non solo di far cadere lo spumante dal bicchiere che aveva in mano, ma anche di lanciarlo addosso al Generale Hoffman che stava passando accanto a loro proprio in quel momento. Il Generale gli lanciò un’occhiataccia e sbuffò tra i suoi baffoni, ma per loro fortuna non disse niente e passò oltre, dirigendosi verso il centro della grande sala davanti a loro per ballare con la moglie che teneva sottobraccio.
Castle lanciò un’occhiata di ammonimento all’amico e lui alzò appena le spalle, sollevato però dello scampato pericolo. Ryan bevve un sorso dal suo bicchiere con fare noncurante, quindi riprese il discorso.
“Dicevo… dimmi tu che devo fare!” borbottò scocciato. “L’altro giorno l’ho trovata che stava per salire su una sedia per prendere un vassoio da una credenza in alto. Ma, io dico, che cosa l’abbiamo a fare una cameriera se poi si mette a salire su ogni mobile nelle sue condizioni??” Castle si morse il labbro per non ridere della sua faccia scocciata. Immaginava nitidamente Kevin tornare a casa e trovarsi la moglie su una sedia, magari con l’aiuto della loro domestica di colore, Victoria Gates, mentre a lui si prendeva un infarto seduta stante.
“Guarda che non è inferma.” commentò Rick divertito. “E’ solo incinta…”
“Peggio ancora!” replicò Ryan sbuffando. “Si deve preoccupare per due e lei che fa? Sale sui mobili!!” commentò alzando gli occhi al cielo. Il colonnello non riuscì a trattenersi dal ridacchiare.
“E la famiglia?” domandò poi Castle alzando appena le sopracciglia in un’occhiata allusiva. Era un codice. Era passato diverso tempo da quando il maggiore aveva sentito la sua famiglia l’ultima volta. Quella che intendeva il colonnello era l’altra famiglia, ossia quella che teneva nascosta in casa in una piccola stanza segreta. Da tempo infatti Kevin e Jenny, nonostante il rischio altissimo, davano rifugio a persone o piccole famiglie di ebrei o altri perseguitati dal regime nazista. Non restavano da loro per più di qualche tempo, giusto quello che serviva per procurare i documenti falsi dal loro tipografo di fiducia, Roy Montgomery, per far poi partire i fuggiaschi verso Inghilterra, America o Russia. Alcune volte era più facile, soprattutto se le persone che i Ryan ospitavano erano di pelle bianca e poco conosciute, altre volte invece era più complicato. La famiglia che a cui davano rifugio in quel momento ad esempio, gli Esposito, composti dal capofamiglia di origini cubane Javier, dalla moglie afroamericana Lanie e dal loro piccolo Leandro, era di colore ed era più difficile farli passare per tedeschi nonostante abitassero in Germania da tanti anni. Roy Montgomery, però, un uomo che Ryan aveva salvato tempo prima quando le SS avevano minacciato di distruggere la sua bottega di tipografia tirata su con anni di fatica, gli aveva semplicemente chiesto del tempo in più per organizzare una storia e un nome decente per gli Esposito. Era un tipografo di grande inventiva e quando si presentava con i documenti falsi aveva sempre in mente una storia plausibile per delle possibili domande dei soldati nazisti.
Castle e Ryan in quello erano complici. Se il maggiore si preoccupava di ospitare i perseguitati, il compito del colonnello era fare in modo che nessuno sapesse quello che accadeva in quella casa. Rick proteggeva il segreto e depistava ogni possibile domanda o indagine contro Kevin. Finora ne erano state aperte quattro di indagini su di lui, ma Castle era riuscito sempre a farle chiudere con un nulla di fatto e lasciando la fedina di Ryan immacolata. Era per questo motivo però che Rick era avanzato di grado mentre Kevin no, nonostante anche lui fosse molto promettente. Molti erano ancora sospettosi nei suoi confronti.
“Stanno bene.” rispose il maggiore con un mezzo sorriso, capendo perfettamente cosa volesse sapere l’amico. “Il più piccolo è un po’ irrequieto, ma chi non lo è alla sua età?” continuò divertito. Castle annuì. Aveva conosciuto Leandro Esposito il mese precedente. Era un bimbo di appena 7 anni, ma molto vivace, curioso e intelligente.
“Alla tua età? Forse dovresti già iniziare a pensare a ritirarti in pensione, Maggiore. L’uniforme non ti si addice.” Una voce, che ben conoscevano entrambi, fece voltare immediatamente Castle e Ryan. Il sorriso sparì subito dai loro volti, sostituito da una espressione seria e fredda. L’uomo in divisa grigia davanti a loro era il Colonnello Michael Dreixk. Era di appena un anno più vecchio di Castle, capelli tagliati a spazzola neri, come i suoi occhi e il suo essere. Era uno di quegli uomini ambiziosi e privi di scrupoli che non si sarebbero sottratti dall’uccidere chiunque, perfino la loro madre, se solo avesse voluto dire salire di grado. Castle lo odiava Dreixk per la sua totale mancanza di umanità e correttezza. Inoltre aveva più volte tentato di screditare Ryan e portare avanti inchieste su di lui che per fortuna erano state liquidate sempre come infondate. Dreixk però non era stupido. Aveva capito che qualcosa Ryan combinava, anche se non avrebbe saputo forse dire esattamente cosa, ma aveva imparato che Castle non avrebbe esitato un attimo a salvarlo. “Perdonatemi, ho interrotto una conversazione privata?” aggiunse qualche secondo dopo con un ghigno malevolo notando lo sguardo di puro odio dei due.
“Solo chiacchiere da festa, Colonnello.” replicò secco Castle.
“Ah, giusto.” replicò Dreixk alzando appena il bicchiere nella sua direzione. “Complimenti per la promozione, Colonnello…” dichiarò con un tono ironico che fece stringere nervosamente il bicchiere in mano a Rick. “Ma sappiamo entrambi che una stella in più sulla controspallina non fa un vero soldato.” aggiunse poi con un ghigno, andando a prendere un sorso del suo spumante. Castle si lanciò un’occhiata alla spallina. Sul rettangolino giallo era incisa una corda intrecciata grigio metallico e, sopra questa, due stelle d’oro, il simbolo del grado di Colonnello.
“Hai ragione, Dreixk.” replicò Castle freddo voltandosi di nuovo verso di lui. Ryan si voltò a guardarlo stupito, mentre l’altro gli rivolse un’occhiata sospettosa. “Una stella in più non fa un vero soldato. Ma d’altronde sappiamo anche che un corno in meno non fa un vero uomo…” commentò facendogli un sorrisetto ironico. Dreixk divenne paonazzo. La settimana precedente aveva scoperto che sua moglie lo tradiva. In realtà lo sapevano in molti, visto che a quanto pareva la donna divideva il suo letto con tutti tranne che con lui. Al traditore aveva mozzato il pene seduta stante e l’avrebbe anche ucciso se non fosse stato che una pattuglia di soldati era passata proprio in quel momento davanti alla sua abitazione sentendo le urla dell’uomo appena evirato.
Senza dire altro, ancora furibondo, il Colonnello Dreixk girò sui tacchi e si mischiò di nuovo alla folla di uniformi. Ryan scoppiò a ridere e si congratulò con Castle.
“Amico, l’hai fregato ancora una volta!” esclamò allegro il maggiore battendogli una mano sulla spalla. “Ma con la tua parlantina mi stupirei del contrario!” continuò ridacchiando. Castle fece una mezza smorfia offesa, ma sentendosi sotto sotto lusingato. Sapeva di avere una lingua che difficilmente restava ferma, cosa che nel tempo gli aveva provocato più di un richiamo dai suoi superiori, ma a volte era più forte di lui. E poi era proprio grazie a questa che aveva salvato più volte sé stesso, Ryan e altri da situazioni potenzialmente spinose, come nelle inchieste, ma anche da battute ironiche nei loro confronti. Inoltre Dreixk lo invogliava proprio a rispondere per le rime. E visto che ora erano diventati pari grado, Rick avrebbe avuto anche molti meno problemi a farlo.
In quel momento un altro ufficiale in uniforme grigia venne a congratularsi con Castle. Lui gli strinse la mano come ringraziamento e scambiò i soliti noiosi convenevoli. Riuscì a liberarsi del soldato solo qualche minuto dopo. A quel punto il colonnello lanciò un’occhiata alla sala vasta e piena davanti a lui, chiedendosi che fine avesse fatto Ryan. Quel salone era stato prenotato apposta dal suo superiore per la sua promozione. Tra gli invitati spiccavano molti ufficiali, ma anche dei soldati meno importanti. Secondo il suo superiore aveva fatto bene ad aggiungerli perché così si sarebbe guadagnato la fiducia dei gradi inferiori. Secondo il suo punto vista, lo faceva perché quei ragazzi, con cui aveva lavorato sul campo e che gli avevano coperto le spalle in più di un’occasione, meritavano una serata di svago molto più di alcuni generali presenti. Inoltre erano fedeli compagni e si fidavano di lui, della sua integrità e onestà, nonostante molti lo appellassero come Il traditore perché di origini americane. Ryan era stato uno di quei fidi soldati con cui aveva stretto un’alleanza più forte e duratura.
Nel mezzo della sala, i ballerini si muovevano a tempo di valzer con tutta l’eleganza che gli era possibile, date le uniforme impomatate e i vestiti ingombranti delle signore. C’era un continuo luccichio di mostrine, scintillanti alla luce delle lampade di vetro che simulavano quelle di cristallo dei grandi saloni illuminati, un tempo dominanti nelle sale degli imperatori e degli zar russi delle favole per bambini.
Un baluginio scuro attirò l’attenzione di Castle che si voltò verso una delle pareti. Notò un soldato in divisa blu che inseguiva una donna tentando di invitarla a ballare. Il colonnello ridacchiò. Aveva riconosciuto la ragazza come la figlia di uno dei General Maggiori presenti. Non appena ne fosse stato consapevole anche il ragazzo, si sarebbe tenuto ben lontano dalla damigella. Il tempo di una distrazione e i due erano spariti.
Chi aveva allestito la sala, aveva riempito le pareti di specchi così che la luce venisse riflessa e fosse più intensa, ma facendo in modo anche che la sala sembrasse più grande e piena di quello che era davvero. Qualche secondo dopo Castle ritrovò i due ragazzi che parlavano di soppiatto dietro un gruppo di soldati. Lui non li vedeva davvero, ma il loro riflesso era perfettamente visibile dallo specchio ad angolo accanto a cui i due si erano fermati.
“Colonnello Castle!” esclamò una voce femminile alle sue spalle. Sospirò silenziosamente e si voltò, proprio mentre notava dallo specchio il ragazzo sbiancare ad alcune parole della ragazza. Qualcosa gli diceva che la fanciulla gli aveva appena rivelato le sue origini.
Una donna dalla pelle chiarissima e con i capelli rossi tirati sul capo in un’elegante crocchia, stava in piedi di fronte a lui con le braccia incrociate. Aveva un’espressione imbronciata e uno sguardo torvo.
Frau Otto.” rispose lui inchinandosi appena in avanti. “A cosa devo questo onore?” continuò ironico.
“Colonnello, sono esterrefatta!” esclamò lei, disincastrando le braccia dal busto e iniziando ad agitarle per aumentare il peso delle sue parole. “Sono qui da quasi un’ora ad osservarla e lei non mi ha ancora invitato a ballare!” Castle alzò un sopracciglio e lanciò un’occhiata alla sala affollata. In pochi secondi notò il Generale Otto, marito della donna. Era un uomo alto la metà di lui e largo il doppio e stava parlando allegramente con un altro soldato. Aveva in mano un grosso bicchiere di vino semipieno e, dal colore scuro del suo naso, sembrava non fosse il primo che prendeva.
Castle tornò a guardare la donna con un sospiro.
“Meredith,” replicò usando il nome della donna, come faceva ogni volta che erano soli, con il tono di un adulto che cerca di spiegare un concetto a un bambino. “Abbiamo già avuto i nostri giorni di gloria insieme.” Era vero. Lui e Meredith erano stati insieme per tre anni, ma poi, il giorno stesso che lui avrebbe voluto chiederle di sposarla, l’aveva trovata a letto con un allora in forma Colonnello Otto. Castle all’epoca era un semplice Tenente, con un futuro incerto e un passato da americano, e questo era bastato perché lei cercasse qualcosa di più. C’era stato il prestigio sociale di lei in gioco. Non avevano contato più le notti insieme, né l’amore. Se c’è ne era mai stato. Castle se lo era chiesto più volte nel corso degli anni.
Ora che la sua ascesa all’interno dell’esercito si era ben più che avviata, lei aveva tentato più volte di avvicinarlo. Ma lui non era un traditore e non lo sarebbe mai stato. Aveva provato sulla propria pelle cosa volesse dire.
Meredith sbuffò sonoramente, quindi, come se avesse avuto un ripensamento, gli rivolse un sorriso smagliante.
“Non mi trovi bene, Rick?” chiese facendo un giro su sé stessa. Castle la guardò appena. Era una bella donna, lo era sempre stata, e quel vestito rosa le stava davvero bene. Ma non era più la donna per lui.
“In splendida forma.” replicò quasi ironico, ma lei non se ne accorse.
“E allora perché non mi fai ballare?” domandò ancora con il tono di una bimba petulante.                               
“Perché non solo suo marito è in questa sala, Frau Otto…” esclamò all’improvviso Ryan sbucando alle spalle della donna con un sorriso amabile, facendola sobbalzare. Castle ringraziò silenziosamente l’amico, mentre la donna lanciava al maggiore un’occhiataccia. “Ma anche perché,” continuò Kevin. “Sono desolato, ma devo rubarvi il colonnello per un’importante dibattito a cui è atteso.” Poi, prima che Meredith potesse aprire bocca, il maggiore prese Castle per un braccio e lo tirò via con sé.
“Grazie!” sospirò sollevato Castle, mentre Ryan ridacchiava.
“Di niente, Colonnello!” replicò quello.
“A proposito, di che bisogna discutere?” domandò poi curioso e completamente dimentico della donna, continuando a seguire l’amico.
“Uhm, niente…” mormorò quello trattenendo a fatica un ghigno. Dopo ancora qualche passo si ritrovarono davanti al tavolo del buffet e Rick vide i suoi sottoposti, riuniti intorno a diversi boccali di birra pieni fino all’orlo, che lo guardavano con un sorrisetto angelico in volto. Il colonnello li guardò sospettoso a uno a uno, cercando di fermare, con scarso successo, un mezzo sorriso divertito.
“Colonnello,” lo salutò il Tenente Durren scambiando intanto un’occhiata d’intesa con i suoi compagni. “Scusi se la interrompiamo durante la festa, ma avevamo un’importante domanda da farle…” Castle aggrottò le sopracciglia curioso.
“Parla, Durren.” sbottò qualche secondo dopo in risposta. Il tenente lanciò un’altra occhiata ai suoi compagni, quindi prese un respiro profondo per creare ancora un po’ di patos. Che attore… pensò divertito Rick.
“Ecco, ci chiedevamo se un Colonnello può buttare giù più birre di un Maggiore!” confessò alla fine Durren. Tutti, Ryan compreso, si voltarono a guardarlo in attesa mentre cercavano di non ridere. Castle alzò un sopracciglio.
“Tua moglie non ti caccerà di casa?” domandò a Kevin pensando a una furiosa Jenny incinta che scacciava il marito fuori dalla porta con una scopa in mano. Il maggiore scosse la testa.
“Sa quanto odi queste feste, quindi mi ha detto di fare qualunque cosa per farti passare tempo!” replicò Ryan come se fosse la cosa più ovvia. “Se dici di no, però lo capiremo…” aggiunse subito dopo con aria grave. “In fondo sappiamo che ora che sei Colonnello devi mantenere un certo tono e…”
“Dammi una birra!” esclamò Castle rivolto a Durren, sbuffando divertito, senza lasciar finire di parlare Ryan. Era pure diventato colonnello dell’esercito tedesco, ma alla fin fine era sempre un americano pronto a divertirsi. E quella era la sua festa.
 
Castle rabbrividì leggermente per il freddo e nascose quella piccola debolezza con uno sbuffo irritato. Una grossa goccia d’acqua gli piombò sul naso all’improvviso e lui scosse la testa d’istinto, sorpreso e scocciato. Di solito gli piaceva la pioggia. Creava un’atmosfera indistinta e solitaria intorno a ogni cosa e lo scroscio dell’acqua aveva sempre un effetto calmante su di lui. Ma quel giorno tutto quello veniva cancellato dall’idea di dover camminare a novembre inoltrato per le strade di Berlino con solo il giaccone a coprirlo da freddo, vento e pioggia. Sospirò pesantemente da sotto il bavero. Avrebbe dovuto aspettarselo in effetti, vista l’ubriacatura che si era preso alla festa della sua promozione. Però non credeva che il General Maggiore Hoster sarebbe stato così bastardo da metterlo di ronda per una settimana per le vie della città a controllare i soldati!
Sbuffò di nuovo.
“Ehi, hai finito di lamentarti là sotto?” commentò ridacchiando Ryan al suo fianco. Gli lanciò un’occhiataccia. Da bravo compagno di bevute, il maggiore aveva avuto la stessa punizione del colonnello.
“Non ti secca neanche un po’ girare con questo tempo?” domandò di rimando Castle irritato, dando insieme qualche pacca al cappotto per far scivolare le gocce più grandi. Tutti i soldati erano attrezzati di giubbotti impermeabili per i turni sotto la pioggia, ma un ufficiale non avrebbe dovuto averne bisogno. Quindi lui e Ryan si dovevano accontentare dei giacconi invernali di stoffa pesante. Pessimi con l’acqua.
“In realtà no.” replicò il maggiore tranquillo. “Anzi, sento piuttosto umido, sai?” aggiunse un attimo dopo sogghignando. Castle alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Da quando Jenny era incinta, Kevin alternava momenti di gioia e divertimento ad altri di paura e ansia. Evidentemente quella mattina era uno di quelli di battute di spirito.
Rick non commentò all’uscita dell’amico per evitare di mandarlo a quel paese. Si schiacciò con più forza il cappello sulla testa, schizzandosi da solo alcune gocce d’acqua in faccia, e riprese il suo giro per le strade fangose e piene di pozzanghere della città. In quella settimana lui e Ryan avevano dovuto visitare ogni singolo angolo per controllare che non ci fossero problemi tra i soldati e ne aveva piene le scatole. Non che gli mancasse il lavoro in scrivania, visto che lo odiava proprio, ma non vedeva l’ora di poter tornare dalla sua squadra a presidiare una sola zona della città.
Sentì i passi di Ryan seguirlo fedelmente dietro le spalle. Sapeva che anche lui non aspettava altro che tornare alla loro postazione, senza contare che casa sua era a poca distanza il che significava stare più vicino alla moglie in caso di necessità. Castle soffiò ancora silenziosamente da sotto il bavero per scaldarsi appena la faccia. Quindi si guardò intorno con aria malinconica da sotto il cappello. Prima della guerra quelle strade erano state piene di vita. Bambini per strada, ambulanti chiassosi, gente che passeggiava… poi tutto era cambiato. Ricordava i colori vivaci e gli odori mescolati che avevano accolto lui e la sua famiglia anni prima. Ora tutto sembrava grigio e odorava di muffa.
Dall’altra parte della strada notò due uomini avvicinarsi lentamente da sotto la pioggia. Ci mise un paio di secondi a capire che avevano la divisa. Una divisa nera. Uomini delle SS.
Castle si fermò e, nascosto dalla visiera bassa, guardò con disprezzo quegli uomini che avevano contribuito a rendere una città viva e calda in un susseguirsi di case vuote e prive di speranza. Sentì Ryan fermarsi accanto a lui e irrigidirsi alla vista dei due soldati. Il maggiore li odiava tanto quanto il colonnello e probabilmente anche di più. Erano ciò che aveva distrutto la sua famiglia. I genitori di Ryan si erano trasferiti dall’Irlanda pieni di aspettative e promesse e ciò che avevano avuto in cambio era stata la rovina e la morte. Se ne erano accorti troppo tardi.
I due dell’SS lanciarono appena un’occhiata a Colonnello e Maggiore. Non li salutarono, né si fermarono. Semplicemente continuarono per la loro strada chiacchierando tranquillamente come se non esistessero. Non che a Castle o Ryan avesse dato fastidio, ma per legge, o per lo meno per i gradi che avevano sulle spalline, avrebbero dovuto fare loro il saluto.
“Stronzi.” borbottò Ryan tra i denti. Castle si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
“Se volevi fare amicizia, avresti potuto invitarli a bere con te.” commentò il colonnello con tono divertito. Il maggiore alzò appena le spalle.
“Sì, ma poi avresti perso il tuo compagno di bevute preferito.” replicò ironico. Castle scosse la testa ridacchiando, poi un attimo dopo scorse un camioncino con almeno otto soldati caricati che attendeva davanti a un palazzo pochi passi davanti a loro. Aggrottò le sopracciglia. Non era un fatto normale. Di solito un simile spiegamento di uomini avveniva o per prevenire uno scontro o per provocarne uno. Decise di controllare. E poi avrebbe dovuto farlo in ogni caso.
Il colonnello si fece subito serio e si avvicinò deciso al gruppo, seguito a poca distanza dai passi attutiti dall’acqua di Ryan. I soldati ci misero un paio di secondi a vederli e riconoscerli. Uno di loro scese di fretta dal camioncino riparato, atterrando però direttamente in una pozzanghera e alzando diversi schizzi d’acqua.
“Colonnello!” lo salutò subito allungando il braccio verso di lui. Castle represse una smorfia. Odiava quella forma di saluto. Preferiva di gran lunga quella americana che faceva portare la mano destra dritta davanti alla fronte. “Maggiore!” continuò quello rivolto poi a Ryan. Castle lanciò un’occhiata alle mostrine del soldato. Due colonne chiare in campo nero appuntati sul bavero e una semplice striscia argentata sulle spalline con il bordo dorato. Era un sergente.
“Nome e grado, soldato.” ordinò con tono pacato.
“Sergente Frederick Dussel, signore!” rispose velocemente quello con voce rauca. Castle lo studiò con attenzione. Era magro e più giovane di lui, non doveva avere neanche trent’anni, ma aveva dei grossi baffoni biondi che gli oscuravano buona parte della bocca. Il suo colorito era pallido e smunto e aveva delle pesanti occhiaie, come se non dormisse da diverso tempo. Pareva potesse crollare da un momento all’altro. Castle però lo vide anche muovere quasi impercettibilmente a scatti la mascella e notò, da sotto la visiera del suo elmo, che i suoi occhi erano sgranati. Il sergente era nervoso. Ma d’altronde lo erano anche la maggior parte dei suoi commilitoni. Nonostante fossero in piena Berlino, una guerra era in corso. E non solo fra tedeschi e stranieri. Una parola di troppo poteva farti finire direttamente in uno di quei campi di lavoro in cui rinchiudevano i loro stessi arrestati ebrei, omosessuali, prigionieri politici, semplici criminali, zingari e quant’altro. Nessuno sapeva esattamente cosa facessero. Anche perché nessuno era mai tornato per raccontarlo.
“Cosa fate qui, sergente?” domandò Castle lanciando un’occhiata alla facciata della palazzina davanti a cui erano fermi. Sembrava un’anonima e grigia abitazione di tre piani.
“Ci è stata fatta una soffiata, signore.” rispose quello con non troppa convinzione. “Dicevano che c’era un’americana nei dintorni. Mi è stato ordinato di trovarla e portarla alla centrale.”
“Quindi state perquisendo tutti gli appartamenti della zona, giusto?” Era la procedura standard in quei casi.
“Sì, signore.” replicò il sergente. “Questo era l’ultimo.” Castle annuì sovrappensiero. Ecco perché il tono scettico dell’uomo. La soffiata era stata fatta, ma loro non avevano trovato nulla. Probabilmente il sergente aveva mandato solo un paio di uomini in ricognizione nel palazzo, sperando che si sbrigassero in modo da potersi togliere da quella pioggia torrenziale. Ma un altro dubbio si affacciò alla mente del colonnello. Se la soffiata era reale, allora cosa diavolo ci faceva un’americana lì? Non sapeva che rischiava la vita?
“Molto bene, Sergente.” disse Castle con la mente ancora rivolta a quella donna. Se era vero che c’era, sperò ardentemente che non la prendessero. Doveva mandarli via e cercarla di persona. “Recupera i tuoi soldati e andate a farvi una birra al caldo. Ve la siete meritata.” A quelle parole, l’uomo si permise di sorridere appena da sotto i baffoni, un po’ più rilassato. Probabilmente aveva avuto paura di una lavata di capo perché non aveva trovato niente.
“Grazie, Colonnello.” replicò con un sospiro sollevato. “Lo faccio subito.” Prima che potesse anche solo girarsi verso i suoi uomini sul camioncino però, un urlò risuonò nella strada anche attraverso la pioggia battente. Castle alzò subito la testa verso la direzione del rumore. Arrivava dal secondo piano della palazzina. Un attimo dopo un altro urlo, più forte e disperato, seguì il primo.
Senza pensarci, Castle corse verso il portone aperto e ci si infilò dentro. Non si curò minimante della voce di Ryan che lo chiamava. Sapeva cosa stava per succedere in quella casa e non lo avrebbe mai permesso sotto il suo comando. C’erano degli ufficiali che a volte lasciavano i soldati liberi di “svagarsi” con alcune donne arrestate. Ma lui no. Non avrebbe mai toccato una donna che non avesse voluto e altrettanto dovevano fare i suoi sottoposti. Nonostante fosse uno che lasciava molte più libertà di altri ai propri uomini, quella era una delle poche regole su cui era inflessibile.
Castle vide subito la scala davanti a lui e ci si fiondò di corsa. Salì i gradini velocemente mentre un altro urlo, stavolta più ovattato, rimbombava per le scale. Perse il cappello e quasi rischiò di scivolare sui gradini lisci a causa dell’acqua sui suoi stivali, ma non si fermò neanche un attimo. Arrivato al secondo piano si bloccò, il fiato leggermente corto. C’erano tre porte davanti a lui e non aveva tempo di sfondarle tutte. Sentì diversi passi muoversi dietro e sotto di lui. Probabilmente Ryan e i soldati si erano ripresi dallo shock e lo stavano raggiungendo.
Dove sei?? pensò disperato il colonnello. All’improvviso un nuovo urlo. Si voltò di scattò e in due passi raggiunse la porta sulla destra. La sfondò con un singolo calcio. Davanti a lui vide un piccolo salotto arredato con molti oggetti, ma con nessuna persona presente. Tese le orecchie e sentì come un rumore attutito di lotta dietro una delle porte del piccolo corridoio alla sua sinistra. Vi si avviò velocemente e in un attimo un lamento trattenuto gli fece capire qual era la porta giusta. La aprì senza nemmeno pensare a recuperare la pistola al suo fianco. E si bloccò sulla porta.
Un uomo in divisa, con già i pantaloni calati come aveva temuto, stava tenendo ferma una donna sotto di lui cercando insieme di alzarle la veste. Entrambi si voltarono stupiti. La donna non piangeva, ma era terrorizzata, gli occhi sgranati. L’uomo sembrava seccato dall’interruzione. Quella sua espressione fece infuriare Castle ancora di più.
Senza dire una parola, percorse il breve tratto tra loro, prese l’uomo per la collottola, lo alzò da terra di peso e lo fece sbattere violentemente sulla credenza dietro di lui. Il soldato latrò per il dolore quindi si alzò e lo guardò con odio. Recuperò velocemente la pistola dai suoi pantaloni semi calati e si lanciò contro Castle, non avvedendosi né della sua divisa né del suo grado. Il colonnello gli bloccò il polso con l’arma in modo da essere fuori portata e poi fulmineamente gli tirò un pugno allo stomaco. Quello si piegò in due su di lui spuntando sangue sul suo giaccone e sul pavimento. Castle lo lasciò andare, sperando che ne avesse abbastanza visto come era piegato. Un attimo dopo però, quello si alzò un poco e caricò di testa verso il suo stomaco. Essendo ferito, il soldato era più lento e il colonnello riuscì a bloccare in parte il suo attacco. Prima che potesse colpirlo di nuovo però, si ritrovò la pistola davanti alla faccia. Per un istante rimase paralizzato. Si riprese però immediatamente andando a bloccargli la mano con la pistola con la sua e tirandogli insieme un altro pugno allo stomaco. In quel momento un colpo scoppiò dalla canna della pistola, facendo sussultare il colonnello che abbandonò la presa sull’arma. Il soldato, ritrovatosi di colpo libero, tentò di miragli al petto, ma il colonnello fu di nuovo più veloce. Con un calcio gli fece volare via la pistola e il pugno successivo fu un devastante diretto contro la faccia dell’uomo. Cadde a terra svenuto senza nemmeno un lamento, mentre un fiotto di sangue iniziava uscirgli dal naso. Probabilmente glielo aveva rotto.
Fu solo in quel momento che Castle si ricordò della donna. Ansimante e dolorante per lo scontro, si girò velocemente nella camera. Notò a malapena Ryan alla porta che lo guardava con la bocca semiaperta insieme ad altri soldati. Non era quello che cercava. Un attimo dopo la vide. La donna che aveva cercato di salvare. Era riversa a terra, in una pozza rosso scuro, un foro nero grondante degli ultimi spasmi di sangue in mezzo al petto e gli occhi spalancati verso il nulla.

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Xiao! :D 
Innanzitutto... BUON ANNO!!! :D
Ok, andiamo avanti! XD Allora so che speravate già di esservi liberati di me, ma dovevo fare qualcosa per i miei 2 anni di pubblicazione su EFP! ù.ù (lo so, ditelo pure, che egocentrica! XD) Anyway, questa ff è spuntata un po' dal nulla, nel senso che stavo guardando una rivista di film e mi sono ritrovata davanti un film con dei soldati che durante la seconda guerra mondiale rubavano le opere d'arte ai nazisti e mi sono detta (siccome la mia mente è a senso unico XD) "Come sarebbero stati Castle e Beckett durante la seconda guerra mondiale?". Ho esposto la mia fantasia (pazzia) alle mie consulenti (Katia e Sofy che ancora una volta ringrazio per la pazienza e perché vi adoro!! <3) e mi è stato risposto: "Scrivila!" e così ho dovuto fare! XD
Detto questo, spero vi piaccia! :) Stavolta ho già qualche cap pronto quindi almeno per il momento dovrei riuscire ad aggiornare in tempo una volta a settimana...
A presto!! :D
Lanie
ps: non ho assolutamente pretese storiche, semplicemente mi piace la storia, quindi spero non me ne vogliate nel caso abbia commesso errori sulle cose dell'epoca...
pps:Grazie a Katia per la splendida locandina!! *.*
  
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