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Autore: Disassociative    02/01/2014    0 recensioni
Di tutte le storie che io abbia scritto nel mio piccolo, questa è una sorpresa anche per me stessa: la trama non è decisa, il suo sviluppo verrà automatico mentre scriverò. Ma so che c'è un ragazzo inglese, Ihan, che non risponde di se stesso e anziché vivere, ogni giorno muore un pò di più. Ma anche Ihan, come tutti noi, ha un posto nel mondo, tra le braccia di qualcuno. Ma non sempre è chi ci aspettavamo che fosse... Questa storia è una corsa in discesa. Scrivendola potrei cadere o semplicemente arrivare giù col fiatone, ma l'importante è non rimanere immobile. Ihan comincia a camminare... grazie a me.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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Ero sdraiato sul letto a pancia in su, mentre pensieri tristi correvano nel mio cervello e mi cullavano dolcemente.
Mi chiamo Ihan, ed ho 16 anni. Vivo ad Ely, in Inghilterra, nella contea Cambridgeshire. Sono sempre stato una persona indifferente agli altri, spesso chiuso. Le persone credevano che non avessi problemi, che fossi sicuro di me. Non sapevano nulla.
Mio padre è morto in un incidente d'auto quando avevo dieci anni, e nella stessa tragedia mio fratello maggiore rimase cieco.
Quel giorno era il sesto anniversario e mia madre sedeva in cucina... non piangeva, ma sentivo la sua disperazione mentre urlava il mio nome.
Lentamente mi alzai dal letto e mi sistemai il maglione a righe grigie e blu. Mi mossi verso la porta della mia camera solo dopo aver indugiato per qualche istante davanti alla finestra.
Ormai Floyd, mio fratello, aveva 26 anni e viveva in America con la sua fidanzata, Stacy. Da quando lei era entrata nella sua vita non si curava più di come stessimo noi, in quella piccola e malconcia casa di periferia in cui vivevamo da sempre.
Mentre scendevo le scale sentii una voce femminile, ma roca... a quanto pareva, mia zia Patrice era venuta a trovarci. Lei e mia madre Sue erano sorelle, e non si dividevano quasi mai, soprattutto da quando mio padre non c'era più.
disse mia madre con un finto sorriso.
. lei mi rispose con un cenno della testa.
Nonostante fossi eternamente grato a Patrice per l'aiuto che aveva dato a mia madre negli ultimi sei anni, non riuscivo ad avere alcun tipo di rapporto con lei. Era una donna troppo simile a me: fredda, distaccata ed indifferente. Solo con mia madre accennava ad essere solare.
Sue era una donna estremamente forte e solidale ed il nostro rapporto era tutt'altro che confidenziale. Non riuscivo mai a parlare con nessuno, e nessuno se ne curava.
Perciò ero un ragazzo pieno di segreti. Provavo a nascondere i miei occhi con una frangia castana piuttosto lunga, ma erano di un grigio pallido difficile da non notare. La mia pelle era chiara come quella di Sue e Patrice, ma l'altezza l'avevo ereditata da Brad, papà.
Lui era l'unica persona a cui importava che io stessi davvero bene, e dalla sua morte la mia vita ha preso un sentiero in costante discesa in cui inciampavo ogni giorno. Spesso mi facevo del male, per non pensare a me stesso e focalizzarmi su un dolore fisico che era più sopportabile di quello che avevo dentro, per poi rintanarmi in camera e sentirmi come una ragazzina che si rende conto di aver fatto una cosa così stupida ed inutile da non voler più uscire di lì.
Non mi sentivo un uomo, soprattutto da quando avevo conosciuto Stan. Era un ragazzo nuovo, arrivato da due mesi nella mia classe, difficile da non notare. Spalle larghe, sorriso spiazzante, alto. Queste sono le prime cose che notai in lui.
Non avevo mai desiderato accarezzare i capelli di qualcuno fino a farlo addormentare, ma era successo, con Stan. Eravamo buoni amici, ma come gli altri non provava a capirmi più di tanto, visto che io ero quello stronzo e distaccato. Un giorno mi aveva parlato della sua situazione: a dodici anni aveva capito di essere bisessuale e pochi mesi prima lo disse ai genitori, che quindi si trasferirono ad Ely in fretta e furia, credendo che si trattasse di "aver seguito brutte compagnie". mi aveva detto.  E io mi ero stampato uno di quei sorrisi da ebete in faccia, così entusiasta all'idea che non fosse eterosessuale... Ma ero del tutto certo che non mi avesse mai notato se non come amico.
. Zia Patrice mi studiò con lo sguardo mentre io alzavo il mio verso di lei. . Non avevo voglia di litigare, quindi le voltai le spalle e tornai in camera mia.
Erano le 8.45 del 15 Gennaio 2013 e io uscivo di casa, con lo zaino in spalla verso scuola. Arrivato in classe mi sedetti come al solito al primo banco, vicino a lui. Quel giorno aveva una felpa blu, che risaltava molto i suoi capelli biondi, che a loro volta risaltavano i suoi occhi color cartadazucchero.
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sospirò. . Mi mise una mano sulla spalla e cominciò a muoverla in circolo, riscaldandomi. Lo scansai improvvisamente dicendo: . Ero sicuramente arrossito.
Mi guardò attentamente prima di abbassare gli occhi verso il banco e poggiarci i gomiti. . Lo fissai colto di sorpresa, con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa. . A metà della penultima parola si era già alzato e aveva iniziato a camminare fuori dalla classe, verso il bagno.
Rientrò dopo pochi istanti con una faccia dispiaciuta... mi guardò, io annuii e basta. Mentre si risedeva, entrò il professor Gollum, di letteratura. O meglio, lui era il professor Spunch, ma tutti lo chiamavano Gollum vista la sua bassa statura e magrezza.
Durante la lezione, ricordai il momento in cui, due sere prima, ero stato colto da una crisi emotiva e mi ero tagliato più volte sul polso destro. Le croste cominciarono a prudere, perciò alzai poco la manica per grattarmi, distrattamente.
Stan battè un pugno sul tavolo, ma nessuno ci fece caso. Mi girai a guardarlo esterrefatto e lui fissava iracondo il mio braccio, che posai immediatamente sotto il banco, arrossendo.
Si avvicinò a me sussurrandomi furiosamente: . Scossi la testa per fargli capire che non volevo parlarne, almeno non con lui.
"Che cazzo!" pensai, "l'unica persona che non volevo assolutamente lo sapesse, adesso è l'unica a saperlo".
A mezzogiorno suonò l'ultima campanella della mattinata e corsi fuori dall'aula per raggiungere la mensa senza di lui... senza di lui e le sue domande. Ma era più veloce di me, e me lo ritrovai dietro mentre facevo la fila per prendere da mangiare. Inspirai profondamente e mi allontanai, sedendomi al solito tavolo. Stan mi seguì con lo sguardo, ferito. Venne da me con due vassoi, e mi disse:
me ne porse uno col mio solito panino al formaggio, le patatine e la Coca.
Borbottai un "grazie" arrossendo.
Mi guardò come se fossi matto, prima di dire: . Alzai lo sguardo verso di lui: fu il suo turno di diventare rosso.
Non riuscii a spiccicare una sola parola per tutto il pranzo e Stan, dopo aver mangiato, si defilò al bagno come al solito.
Mentre ero assorto nel miei pensieri, una ragazza si sedette al mio tavolo. .
La guardai: era una tipa bizzarra. Capelli lunghi e viola con la frangetta, occhi marroni e grandi e labbra carnose. Per com'era vestita, sembrava uscita fuori da un manga giapponese. Pareva una cosplayer.
le chiesi.
rispose sorridente. La guardai con fare interrogativo e lei mi disse: . La sua vocina era acuta, ma non spiacevole.
Arrossii violentemente e scossi la testa. Così lei sorrise, dicendomi: .
Ogni persona che passasse vicino al nostro tavolo la salutava con sorrisi enormi, evidentemente era amica un pò di tutti, nonostante fosse molto... eccentrica, ecco. Potrei giurare addirittura che un paio di ragazze le fecero l'occhiolino. Oh, eppure sembrava così innocente ed ingenua.
continuò lei. Le dissi che era la ragazza di mio fratello e lei sbarrò gli occhi. , esclamò. . Non riuscii ad afferrare il resto della frase perché scosso da una forte tosse post-shock.
mi fece l'occhiolino mentre ci alzavamo e suonava la campanella. .
Non riuscii a negare, perciò la salutai con la mano dicendole un alquanto imbarazzato.
Quei pochi minuti con Cassie mi avevano rilassato, quasi divertito. Mi sentivo meno freddo, quasi pronto a dichiararmi a Stan.
"Un momento", pensai. "E se lo facessi davvero?".
Non avevo mai avuto paura di dichiararmi, ma quella volta era diverso: ero innamorato di lui e avevo qualcosa da perdere, qualcosa di grande... la sua amicizia.
Mi feci coraggio e mi avvicinai a lui, sussurando: . Scosse la testa e poi sorrise, dicendomi: .
Azzardai un sorriso ed annuii.
Per la prima volta, dopo sei anni, ebbi la speranza che quel sentiero in discesa finisse e che diventasse un piacevole rettilineo dove camminare senza aver paura di cadere, magari mano nella mano con qualcuno... magari mano nella mano con Stan.
  
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