20 luglio
1998. Riddle Manor
«Mio
Signore, abbiamo portato la ragazza.»
Lucius
Malfoy si annunciò in questo modo entrando nella stanza
padronale di quell’abitazione adibita a Quartier Generale. Si
fermò sulla porta,
e fissò quasi vittorioso la figura serpentina davanti a lui.
Lord
Voldemort non si mosse di un millimetro dalla sua
posizione di spalle. Non fece neanche segno di aver sentito
l’entrata di uno
dei suoi mangiamorte, e Lucius, d’altra parte, fece di tutto
per non
disturbarlo oltre: era a conoscenza delle terribili punizioni che
infliggeva a
chi lo irritava, e non aveva alcuna intenzione di essere sottoposto
alla
maledizione cruciatus come l’ultima volta.
In
silenzio fece entrare altri due mangiamorte, che
trascinavano di peso il corpo inerme di una ragazza.
La
buttarono malamente al centro della stanza, e dopo essersi
inchinati al loro Signore si richiusero la porta alle spalle
abbandonandola al
suo destino.
Ella
indossava abiti babbani e riportava ferite in più parti
del corpo: era una combattente, ma questo non era servito a salvarla
quando si
erano presentati in dieci per rapirla.
Quando
fu sicuro che i mangiamorte si fossero allontanati a
sufficienza, Lord Voldemort finalmente si mosse avvicinandosi alla
ragazza e
puntando contro di lei la sua bacchetta.
«Innerva»
mormorò, facendola risvegliare all’istante.
Ella
ci mise un po’ per capire dove si trovava e cosa era
successo, ma quando ci riuscì si portò in piedi
allontanandosi dal mago che
l’aveva risvegliata. Cercò la sua bacchetta nella
tasca posteriore dei jeans,
anche se non si aspettava davvero di trovarla, e rimase a fissarlo con
un’espressione fiera in volto nonostante la paura la stesse
ormai consumando.
Lord
Voldemort la fissò come farebbe un predatore con la sua
preda.
«Hermione
Granger.» sussurrò il mago «Sai,
dovresti essere
onorata di essere al mio cospetto. Probabilmente questa è il
più grande onore che
potrebbe avere una sporca mezzosangue come te.»
Hermione
non reagì. Aveva mandato un patronus ad Harry prima
di perdere i sensi. Lui sarebbe riuscito a trovarla. Era solo questione
di
attimi.
Decise
di prendere un po’ di tempo, sperando solo che
Voldemort non decidesse di ucciderla subito.
«Perché
sono qui?» ebbe il coraggio di esordire Hermione, ma
Voldemort
agitò la bacchetta e lei iniziò ad urlare,
nonostante avrebbe preferito fare
altrimenti.
«Qui
le domande le faccio io, ragazzina.»
Hermione
si rimise in piedi annaspando.
«Perché
sono qui?»
Se
proprio doveva morire preferiva farlo dando prova del suo
coraggio Grifondoro.
Voldemort
le inflisse un altro cruciatus, ma quando lei si
rimise in piedi di nuovo la fissò con un po’ di
ammirazione negli occhi.
Probabilmente
non si aspettava che riuscisse ancora a
resistere dopo due maledizioni inferte da lui in persona.
Si
avvicinò lentamente a lei, puntandole la bacchetta sotto il
mento. La vide continuare a fissarlo impassibile, e si
scoprì sorprendentemente
ad ammirare il coraggio di quella diciassettenne.
Alcuni
dei suoi mangiamorte avrebbero ceduto per molto meno.
«Sei
qui perché sei amica di Harry Potter, e il suo affetto
per te mi permetterà di arrivare a lui, consentendomi,
quindi, di ucciderlo. L’amore
rende deboli. Dovresti saperlo, Hermione Granger.»
Hermione
scoppiò a ridere con quel poco fiato che le era rimasto
dopo la tortura.
«Allora
sei più stupido di quanto pensassi. L’amore
fortifica,
ci permette di dare senso alle nostre azioni. Il motivo per cui non sei
riuscito ancora ad avere la meglio su di noi e su Harry è
perché, a differenza
tua, noi abbiamo qualcosa da difendere e qualcuno da proteggere. Sarai
tu a
morire.»
Fu
il tono tranquillo con cui disse quelle parole che
trattenne Voldemort dall’ucciderla all’istante.
Immediatamente
il suo volto venne attraversato da un’ombra di
incertezza.
Si
allontanò di scatto e prese a camminare freneticamente
avanti e indietro per la stanza. Poi si bloccò, e volse
nuovamente il suo volto
serpentino verso la sua prigioniera.
Sembrava
pazzo, più di quanto Hermione stessa avesse mai
immaginato.
«C’era
un tempo in cui uccidere babbani e mezzosangue non mi
interessava.» le confidò inaspettatamente.
«Se
le cose fossero state diverse… forse io non mi sarei
tramutato
in questo essere che disprezzo io stesso e tu non saresti qui.
D’altra parte
però, non sarei diventato nemmeno il mago più
potente del secolo quindi,
dopotutto, non mi è andata male non credi?»
Hermione
aggrottò le sopracciglia di fronte a quella specie di
confessione. A parlare non sembrava nemmeno quel Lord Voldemort che
aveva causato
così tante morti.
Vedendo
che ormai non le prestava più attenzione e che si era
allontanato abbastanza da lei, decise di avvicinarsi
all’unica scrivania
presente nella stanza, abbastanza da poter arrivare a leggere alcuni
dei fogli
sparsi lì sopra.
Parlavano
di incantesimi, incantesimi di cui lei non aveva mai
sentito parlare: ce n’erano per infliggere dolore, altri
addirittura di
guarigione, ma quello che la sorprese di più fu quello che,
secondo gli
appunti, serviva ad estorcere la verità. Probabilmente,
riflettè, l’Oscuro
Signore doveva aver provato quest’ultimo su di sé,
senza sapere che la sua
prigioniera sarebbe arrivata prima del previsto.
Grazie
alla sua memoria fotografica, Hermione riuscì a
memorizzare la maggior parte di quegli appunti prima che Voldemort si
accorgesse del suo ficcanasare.
«Stupida
mezzosangue!»
Alzò
la bacchetta verso di lei, ed Hermione capì che era
finita.
Vide
il fascio di luce verde avvicinarsi, e chiuse gli occhi nello
stesso istante in cui Harry e altri membri dell’Ordine della
Fenice irruppero
nella stanza.
Non
vide la preoccupazione negli occhi del suo amico, né la
sua bacchetta muoversi da sola contro l’Avada Kedavra di Lord
Voldemort,
sprigionando un fascio dorato.
Quando
i due incantesimi si toccarono, Hermione provò la
stessa sensazione che ricordava avere avuto solo con la giratempo al
terzo
anno.
Dopo
qualche secondo fu silenzio, e finalmente trovò il
coraggio di aprire gli occhi.
Si
trovava nello studio che era appartenuto ad Albus Silente,
lo riconobbe subito. Tuttavia era privo di tutti quei gingilli che lo
avevano
sempre caratterizzato.
Vide
che i presidi nei quadri stavano dormendo, per cui decise
di svegliare l’unico con cui aveva avuto rapporti in passato.
«Signor
Nigellus? Phineas?»
Il
vecchio preside borbottò nel sonno e aprì gli
occhi.
«Salve,
potrebbe dirmi cosa sta succedendo? Dove sono tutte le
cose di Silente?» esclamò, anche se la domanda che
avrebbe voluto fargli era
un’altra, tipo come fosse riuscita ad arrivare in quello
studio mentre si
trovava a Riddle Manor, ad esempio, ma decise che forse lui non era la
persona
più indicata.
«Ma
nel suo studio mi sembra ovvio! E si può sapere chi
è lei,
signorina? Chi le ha dato il permesso di entrare nell’ufficio
del preside
Dippet?! E con quegli abiti poi!»
Hermione
iniziò a sudare freddo e trattene il respiro.
«Mi
scusi, potrebbe dirmi in che anno siamo?»
La
sua mente iniziò a lavorare veloce in attesa di una
spiegazione logica. Non era possibile che fosse davvero,,,
«Siamo
nel 1944. Oggi è il primo Settembre per
l’esattezza.»
Hermione
sentì le forze mancarle e dovette sedersi su una
delle sedie davanti la scrivania per non cadere.
Se
i suoi calcoli erano esatti si trovava nel tempo in cui
Voldemort aveva ancora diciassette anni e stava per iniziare il suo
settimo
anno. Era ancora Tom Riddle.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
Salve
a tutti! Mi è venuta questa idea un po’ balzana ed
ho
deciso di scrivere per la prima volta una fanfic su Tom Riddle. Penso
proprio
che mi divertirò perché probabilmente
sarà il personaggio più complicato da
strutturare ma spero che il risultato soddisfi sia me che voi quando
inizieranno i capitoli su di lui. Buon 2014! Mary Evans